parte 2° tensione internazionale e coesistenza pacifica 1953-1962
IL MONDO COMUNISTA E LA DESTALINIZZAZIONE
1953 - 1956
Il sistema di potere staliniano aveva creato un regime del terrore nella società ma anche all'interno dell'apparato politico; questo che costituiva un motivo di forza venne anche a rappresentare un motivo di debolezza, il sistema non poteva sopravvivere al suo fondatore dato che non vi erano grandi personalità (e se vi fossero state sarebbero state opportunamente eliminate) in grado di sostituire il grande dittatore; la destalinizzazione non fu quindi un processo di democratizzazione ma un inevitabile passaggio da una dittatura intollerabile ad una almeno accettabile per la nuova situazione.
La morte di Stalin costituì nel mondo comunista un avvenimento di eccezionale importanza. La scomparsa di uno statista che in un altro paese avrebbe costituito un evento ordinario con la sostituzione di un nuovo personaggio politico alla guida del paese, divenne nell'Unione Sovietica un avvenimento tale da cambiare radicalmente la politica del paese. Subito dopo le onoranze di rito i massimi leader del paese Malenkov, Berja e Molotov, rappresentanti rispettivamente il partito, la polizia e il governo, stabilirono che la carica di segretario del partito e quella di presidente del consiglio dei ministri, non fossero più cumulate nella stessa persona come al tempo di Stalin, e diedero vita ad una forma collegiale di potere e ad un profondo rivolgimento della linea politica precedente (nella quale avevano avuto gravi responsabilità) ritenendo di non possedere la statura e le capacità per imporre un nuovo regime dispotico come quello del predecessore.
Il regime stalinista si presentava in crisi già negli ultimi anni di vita di Stalin, gli insuccessi in politica estera (Turchia, Iran, Berlino, Corea e la defezione di Tito), e nel campo economico, con un paese che viveva nello stato d'emergenza come negli anni di guerra, avevano prodotto un sotterraneo malcontento. Soprattutto lo stato di terrore che ogni cittadino, funzionario dello stato, o intellettuale viveva, rendeva intollerabile la situazione, e solo le misure repressive e il sistema della delazione, che oltrepassavano ogni limite giuridico, potevano contenere. Fra i numerosi mali della società sovietica sicuramente il peggiore era la totale insicurezza nei confronti del potere; un insignificante atto di indisciplina o di scarsa efficienza nel lavoro, una affermazione non in linea con le direttive del regime, poteva costare gravissime condanne senza possibilità d'appello.
Tutta la società sovietica, il partito, l'esercito reclamavano se non la libertà almeno una maggiore autonomia e un sistema di vita tollerabile. I nuovi dirigenti del Cremlino non si opposero a questa tendenza profonda della società, e nei mesi successivi alla scomparsa del dittatore presero significative misure per migliorare il tenore di vita della grande massa dei cittadini, mitigare la situazione dei contadini delle aziende di stato, e promuovere una minore tensione internazionale.
Con il nuovo corso inaugurato dalla direzione collegiale la Russia vennero eliminati gli aspetti più deteriori della dittatura di Stalin, riformata parzialmente l'economia, ammessa una relativa tolleranza, ma in nome di un pragmatismo di potere ai quali i dirigenti sovietici non potevano opporsi. Alla morte di Stalin d'altra parte gli stessi uomini maggiormente compromessi, come Malenkov e Berja, ritenevano di "riformare" il regime non risultando possibile la prosecuzione della dittatura in quella forma. Il regime rinunciò a perseguitare gli "oppositori potenziali" coloro cioè, che pure non avendo commesso atti contro l'ordinamento dello stato si riteneva che per varie ragioni culturali, etniche, religiose o di altro tipo, non fossero degli "integrati" nel sistema politico. Fu quindi bloccata sul nascere la persecuzione antisemita iniziata nel periodo precedente, e liberate le nazionalità non russe deportate, ma il rispetto dei diritti civili e politici rimase qualcosa di profondamente estraneo al modello sovietico.
Il periodo di Malenkov e Kruscev successivamente, si venne a caratterizzare in tutto il mondo comunista più per la attenuazione del regime precedente, che per il sorgere di principi innovatori. L'Unione Sovietica di quegli anni appariva spenta, tesa a contenere e resistere alle spinte che provenivano dalla società (senza più l'autorevolezza del precedente regime) e avviata a quel lento declino ideale e materiale che caratterizzò l'ultimo periodo del comunismo sovietico. Le riforme economiche e politiche non furono una libera scelta dei nuovi dirigenti del Cremlino per la edificazione di un nuovo stato, ma il tentativo di smorzare una protesta che da molte parti dell'impero si stava sollevando. Gli internati nei grandi campi di concentramento della Siberia, i tedeschi della Germania Orientale, gli operai della Cecoslovacchia e della Polonia diedero vita ad una protesta, nata da motivi economici, ma che immediatamente diveniva politica con richieste di riforme radicali che andavano molto oltre le concessioni dall'alto del nuovo regime.
Gli anni fra il 1945 e il 1953 furono un anni di crescente tensione fra i due blocchi, caratterizzati da una corsa agli armamenti senza precedenti e da una caduta delle relazioni diplomatiche che mise in crisi gli stessi organismi dell'ONU. Questi anni costituirono il momento più difficile della guerra fredda, periodo nel quale si diffuse nell'opinione pubblica sia dell'Est che dell'Ovest l'idea che la guerra fosse praticamente inevitabile. Dopo la morte di Stalin i dirigenti sovietici compresero che lo stato di tensione risultava improduttivo e si fecero promotori della "distensione" che, se non portò alla risoluzione di molti contrasti aperti negli anni precedenti, contribuì a far prendere coscienza che il dialogo fra le parti risultava utile ed anzi indispensabile per tutti. Nessuno dei contendenti poteva strappare una vittoria completa sull'altro, i due sistemi politici per quanto lontani erano costretti a coesistere.
Sicuramente Malenkov, braccio destro di Stalin, e Berja, il temibile ministro degli Interni e capo della polizia, erano i personaggi più odiati e ritenuti responsabili degli atti peggiori della dittatura. Berja veniva considerato un personaggio scomodo e temibile da parte di una larga parte della nomenclatura; come ministro degli interni disponeva di un potere vastissimo, i suoi uomini erano presenti in ogni struttura politica ed economica del paese e reparti di polizia presidiavano tutte le sedi dove si svolgeva la vita politica del paese. Nei giorni successivi alla morte di Stalin l'esponente comunista prese alcune iniziative per riprendere totalmente il controllo dei servizi di sicurezza (fra le quali la liberazione di Abakumov) e diede ordine ai reparti speciali dipendenti dal ministero degli interni di concentrarsi nella regione di Mosca per garantire l'ordine pubblico e reprimere la forte criminalità, ma in realtà come deterrente per i possibili rivali politici.
Berja fu anche il fautore di alcune iniziative innovative che non incontrarono il consenso di altri grandi personaggi della nomenclatura. Nelle settimane immediatamente successive all'insediamento dei nuovi capi del Cremlino venne concessa un'ampia amnistia e accordata una maggiore autonomia alle Repubbliche, eliminando la prassi che le massime autorità delle stesse fossero conferite ai cittadini di origine russa. Il nuovo governo s'interessò anche degli urgenti problemi economici, venne decretata la riduzione della pressione fiscale sugli appezzamenti agricoli dei contadini delle aziende di stato, ridotte le consegne obbligatorie e aumentati i prezzi pagati dallo stato per le derrate agricole, permettendo un miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori rurali e un incremento della produzione agro alimentare. Nel campo politico venne denunciata la "congiura dei medici" voluta da Stalin come una artificiosa montatura, (anche se non vennero individuati i responsabili dell'intrigo), e si iniziò una revisione di molte condanne espresse negli anni passati. La nuova politica ebbe risvolti anche nel campo delle relazioni internazionali; importanti segnali di disgelo si ebbero già nei giorni successivi alla morte di Stalin, e su iniziativa dei dirigenti sovietici vennero liberati dalle autorità coreane l'ambasciatore inglese e altri cittadini britannici trattenuti in Corea.
Il nuovo quadro politico non si presentava però stabile. Nel giugno del '53 si ebbe una grave crisi ai vertici dello stato sovietico. Il potente ministro degli interni Berja venne arrestato nel corso di una drammatica riunione alla presenza del maresciallo Zukov. Si ritiene che una parte notevole nella vicenda, quasi un colpo di stato, venne svolta dall'esercito che impedì la reazione delle truppe del ministero degli interni. Il leader comunista venne processato insieme ai suoi principali collaboratori, accusato di "maneggi criminali... a favore del capitale straniero e dell'imperialismo britannico" e giustiziato. Berija, che fu il terzo dei capi dei servizi segreti con Jagoda ed Ezov ad essere eliminato, secondo il figlio Sergò fu ucciso il giorno stesso del suo arresto e il successivo processo fu semplicemente una farsa . Le epurazioni non cessarono,all'interno dello stato sovietico, nell'anno successivo venne giustiziato Rjumin considerato il diretto responsabile della cosiddetta congiura dei medici e Abakumov responsabile della persecuzione dei dirigenti di Leningrado; Il ruolo della polizia politica venne comunque fortemente ridimensionato e quindi sottoposto al controllo del partito.
La morte di Stalin aveva provocato uno sconvolgimento in tutto il mondo comunista che i provvedimenti tesi a mitigare la dittatura non riuscirono a smorzare. Il 1° giugno si ebbero scioperi nell'industria in Cecoslovacchia che ebbero il loro culmine nell'assalto del municipio di Pilsen; la protesta nata per motivi economici (la difesa del potere d'acquisto dei salari) ben presto si trasformò in rivolta politica con la richiesta di libere elezioni e l'allonta-namento delle truppe sovietiche. Due settimane dopo si assistette alle manifestazioni operaie contro l'aumento di "produttività" nel lavoro a Berlino che si estesero rapidamente alle altre grandi città della Germania Orientale, nel corso delle quali si verificarono assalti di commissariati e liberazione dei prigionieri politici. Nella capitale tedesca i rivoltosi e per un certo periodo di tempo ebbero il sopravvento sulle forze di polizia che con scarsa volontà si impegnarono nella repressione dell'agitazione. Contro i manifestanti che avanzavano richieste anche a carattere politico, fra le quali le dimissioni di Ulbricht e la riunificazione della Germania, intervennero le truppe sovietiche di stanza nel paese che riportarono l'ordine con il ricorso ai carri armati; al termine della repressione si contarono 500 morti. Delle difficoltà di tenere la Germania Orientale sotto controllo i dirigenti del Cremlino ne erano ben coscienti; nel '53 dopo la morte di Stalin parlando al Presidium, Berija sostenne: "Ma che rilevanza ha questa DDR? E' una cosa messa su dalle truppe sovietiche, anche se la chiamano Repubblica Democratica Tedesca" ; la provocatoria dichiarazione costituì uno dei capi d'accusa nel suo processo poco dopo.
Non molto tempo dopo si verificarono ribellioni nell'Asia sovietica fra i detenuti dei grandi campi di concentramento; gli insorti chiedevano condizioni di vita più umane e opposero una resistenza disperata; vennero infine sopraffatti dalle truppe di rinforzo arrivate dalle altre regioni, tuttavia il governo fu costretto a rivedere il regime di detenzione e negli anni successivi il numero degli internati diminuì notevolmente.
In Ungheria, dove si era accentuata l'attività della stampa clandestina contro il regime, venne rimosso con l'assenso del Cremlino l'odiato Rakosi e sostituito con Imre Nagy, esponente moderato favorevole alla democratizzazione economica del paese; il partito fu comunque scosso da contrasti violenti e due anni dopo in seguito alla caduta di Malenkov, il leader riformista fu costretto ad abbandonare il governo.
Di fronte a tali avvenimenti il governo sovietico accettò di riconsiderare la propria politica verso i paesi satelliti; in Germania Orientale si pose termine alle riparazioni e vennero ridotte le spese per il mantenimento delle truppe sovietiche nel paese, nel '54 vennero sciolte le società miste nell'Europa orientale e in Cina, che avevano operato in maniera fortemente scorretta in quei paesi.
Anche negli altri paesi dell'Europa orientale dove non si erano avute manifestazioni di protesta si ebbe una attenuazione del regime repressivo. In Polonia nel '54 si procedette alla liberazione e riabilitazione di numerosi esponenti perseguitati nel periodo stalinista fra i quali lo stesso Gomulka, venne destituito Bierut e soppresso il Ministero della Sicurezza responsabile delle epurazioni compiute negli anni precedenti. In Bulgaria lo stalinista Vulko Cervenkov venne sostituito dal più moderato Todor Zhivkov; in Romania invece, il nuovo corso non produs¬se cambiamenti significativi, e nel 1954 venne condannato all'ergastolo Vasile Luca, esponente comunista in precedenza legato ad Ana Pauker.
Nel 1955 si ebbe un netto miglioramento dei rapporti fra Unione Sovietica e Jugoslavia. Kruscev riconobbe esplicitamente le colpe del suo governo attribuendole alla politica portata avanti da Berja. Nell'incontro a Belgrado che suggellò la riconciliazione, il leader del Cremlino affermò che le relazioni fra i due stati dovevano essere improntate a rispetto reciproco, nella piena sovranità e indipendenza. Tito dimostrò di gradire i nuovi passi dell'Unione Sovietica ma evitò di riannodare rapporti formali fra i due stati e nel campo internazionale si fece promotore del movimento dei paesi non allineati curando in particolare le relazioni con l'Egitto di Nasser e l'India. La nuova politica di Mosca verso Belgrado venne comunque criticata da diversi esponenti politici staliniani come Molotov e dai dirigenti cinesi, sostenitori di una linea più intransigente, come anche per ragioni opposte dal comunista jugoslavo Gilas contrario anche a certi indirizzi autoritari del governo; per questa sua manifestazione di dissenso venne condannato a 18 mesi di reclusione.
La battaglia per il potere non cessò comunque con l'eliminazione di Berja; nel '55 venne messo sotto accusa Malenkov che dopo la scomparsa del primo aveva perduto progressivamente larga parte del potere. Al Comitato Centrale del partito venne duramente criticato per aver sostenuto la necessità di sviluppare quei settori dell'economia che contribuivano al miglioramento del tenore di vita dei cittadini sovietici in contrasto con Kruscev favorevole a privilegiare l'industria pesante. Nel febbraio l'ex braccio destro di Stalin si dimise da Primo Ministro e venne sostituito dal maresciallo Bulganin vecchio amico di Kruscev, mentre un altro grande comandante militare, Zukov, assunse il ministero della Difesa, più tardi tuttavia, anch’egli verrà allontanato dal potere e accusato per l'eccessiva autonomia conferita all'esercito.
Con l'eliminazione di Berja e il significativo ridimensionamento di Malenkov, la situazione politica appariva favorevole alla ascesa di Kruscev e ad una profonda destalinizzazione dell'apparato pubblico; in questo quadro politico si aprì il 20° congresso del PCUS a Mosca che impresse al blocco comunista e ai partiti che perseguivano tale aspirazione una profonda svolta. Vennero rivolte critiche sull'operato di Berja ma che implicitamente coinvolgevano la figura di Stalin, e venne affermato che il "culto della personalità" del recente passato non poteva non essere in contrasto con i principi leninisti. Nel campo della politica estera le novità furono non minori; secondo il leader comunista esistevano paesi e forze politiche non strettamente comuniste, ma amiche della pace con le quali l'URSS poteva stabilire proficui rapporti di collaborazione, e se l'umanità risultava divisa in due blocchi contrapposti, tuttavia poteva sussistere una forma di "coesistenza e competizione pacifica" con il mondo occidentale. Questo significava il riconoscimento dell'impossibilità di sovvertire con l'uso della forza l'assetto politico mondiale, ma non anche la creazione di un ordine mondiale più equilibrato e la rinuncia all'abbattimento dei sistemi politici occidentali. Importanti innovazioni vennero anche affermate nel campo dei rapporti fra centro e periferia; i partiti comunisti dell'Occidente non dovevano considerarsi rigidamente legati a un rapporto di subordinazione e potevano seguire vie diverse da quelle perseguite nell'Unione Sovietica; ma la parte più significativa del congresso fu il cosiddetto rapporto segreto, tenuto alla fine dei lavori, quando ormai i delegati si accingevano di lasciare Mosca. Kruscev denunciò che dagli anni Trenta alla morte di Stalin, l'Unione Sovietica aveva conosciuto gravissime illegalità; gli organi di polizia attraverso atti di violenza, il ricorso alla tortura, e ad ogni altro mezzo di repressione aveva istituito il regime del terrore nel paese. La responsabilità di tali fatti, come delle deportazioni di massa, delle epurazioni all'interno del partito, venne addebitata a Stalin che aveva promosso il dispotismo e il culto della propria persona. Il dittatore venne anche considerato responsabile della impreparazione militare e della pessima condotta della guerra che aveva provocato milioni di morti fra soldati e civili (ma non anche accusato per il Patto Molotov Ribbentrop). La rottura delle relazioni diplomatiche con la Jugoslavia e numerosi altri errori politici vennero attribuiti alla politica del predecessore, tuttavia non tutto della prece-dente politica venne criticato. L'eliminazione di Trozcky, Zinoviev e Bucharin, la collettivizza-zione forzata e la terribile eliminazione dei kulaki non vennero considerati come “errori”. Le critiche allo stalinismo furono esplicite ma le proposte di riforma del sistema furono ben scarse né vi fu una reale richiesta di democratizzazione dello stato.
Il "rapporto" aveva carattere segreto, ma venne comunque ampiamente diffuso, e facilmente pervenne in Occidente dove attraverso la stampa raggiunse l'opinione pubblica mondiale. I partiti comunisti francese, inglese e americano contestarono le conclusioni del rapporto, quello cinese ed albanese espressero anch'essi disappunto ma nei paesi dell'Est e per milioni di cittadini sovietici costituì un eccezionale avvenimento.
Conciliare le esigenze dell'impero con quelle di un regime non ostile alla società fu il grande problema del regime di Kruscev. Questi oscillò fra i due estremi senza giungere ad alcuna situazione stabile. Ad una apertura seguiva un intervento repressivo, come nel campo delle relazioni internazionali alla disponibilità al dialogo seguiva un improduttivo irrigidimento. I progressi risultavano estremamente modesti e al termine del decennio kruscoviano l'Unione Sovietica si presentava in una situazione non migliore a quella degli anni precedenti. Solo l'uso della forza poteva tenere in vita un sistema che per sua natura tendeva a disgregarsi, e per adoperarla occorreva una figura al di sopra dei "mortali" che nell'Unione Sovietica dopo la morte di Stalin non esisteva. Il regime sovietico non aveva conquistato il cuore della classe operaia né degli intellettuali, e ciò si risentiva nei modesti risultati nel campo economico e nella scarsa vitalità della classe dirigente.
La condanna dello stalinismo non fu sufficiente a frenare il malcontento popolare nei paesi dell'Est. Nuovamente gli operai, come nel '53 in Cecoslovacchia e nella Germania Orientale si fecero protagonisti della rivolta. Nel giugno del '56 i lavoratori delle officine automobilistiche di Poznan in Polonia diedero vita ad uno sciopero che si estese in tutto il paese per richiedere livelli retributivi accettabili e l'allontanamento delle truppe sovietiche dal paese. Venne dichiarato lo stato d'assedio ma l'esercito si rifiutò di sparare sugli operai e la rivolta, che si concluse con almeno 38 morti, (più di 100 secondo fonti non governative), venne fermata solo dall'intervento delle truppe speciali del ministero degli Interni. Le proteste suscitarono comunque fermenti all'interno del partito comunista nel quale si aprì il contrasto fra i sostenitori dell'allineamento a Mosca e i sostenitori di una democratizzazione del paese. Nell'ottobre si tenne il comitato centrale del partito al quale intervennero gli stessi capi del Cremlino; ebbero la meglio i riformisti, e Gomulka, il sostenitore della via polacca al socialismo, poté riprendere in mano la segreteria del partito.
L'Unione Sovietica non poteva accettare che le truppe sovietiche fossero estromesse dalla Polonia e che il paese si distaccasse dal blocco comunista; vennero iniziate quindi nei giorni successivi delle manovre che facevano ritenere imminente un'azione di forza contro la repubblica ribelle. Gli operai all'interno delle fabbriche iniziarono ad armarsi e a prepararsi alla resistenza contro un intervento di Mosca ritenuto ormai probabile, ma Gomulka riuscì a garantire la permanenza del paese nell'alleanza sovietica e a scongiurare lo scontro. Venne allontanato l'odiato ministro della difesa Rokossowsky (il cittadino sovietico nominato a capo dell'esercito), migliorati a favore della Polonia i rapporti commerciali con l'URSS, liberato il cardinale Wyszynski in carcere da tre anni, ma l'apparato statale non venne toccato e la Polonia si avviò verso la normalità
La situazione in Polonia non si era ancora stabilizzata che cresceva in Ungheria il malcontento verso il governo. Fra il giugno '53 e il dicembre '54 si era avuto il cosiddetto "nuovo corso" sotto la segreteria di Imre Nagy, ma la caduta di Malenkov aveva provocato la fine dell'esperimento politico e il ritorno di Matyas Rakosi. La reazione del vecchio leader stalinista contro gli oppositori all'interno e all'esterno del partito fu energica, ma sotto la pressione degli stessi dirigenti del Cremlino, che ritenevano il leader ungherese eccessiva-mente screditato, dovette abbandonare definitivamente il potere.
Nell'ottobre si tennero a Budapest i funerali di Rajk e delle altre vittime degli anni dello stalinismo che si trasformarono in una grande manifestazione che presto infiammò tutto il paese, chiedendo libertà politiche, il ritorno di Nagy alla guida del paese, e il ritiro delle forze armate sovietiche. Numerosi membri della famigerata polizia vennero fatti fuori mentre nelle fabbriche si andava organizzando il movimento contro il regime. Il 23 sotto la pressione della piazza Nagy ritornò al governo e quale primo ministro assicurò una serie di riforme e invitò la popolazione alla calma e a deporre le armi. Due giorni dopo si verificarono davanti al Parlamento i primi scontri con le truppe sovietiche di cui la popolazione chiedeva l'immediato allontanamento. I sovietici sembrava comunque fossero disponibili al compro¬messo sulla base degli accordi sottoscritti in Polonia pochi giorni prima e accettarono la richiesta di Nagy di lasciare il paese, ma il 1° novembre dopo consultazioni con gli altri paesi dell'Europa orientale le truppe di Mosca invasero l'Ungheria. Il governo la sera stessa deliberò la uscita del paese dal Patto di Varsavia e lanciò un appello alle Nazioni Unite perché fosse garantita la sovranità della nazione. La richiesta di soccorso venne accolto dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU dove venne dibattuta una mozione di condanna che non ebbe attuazione per il prevedibile veto sovietico; l'Assemblea Generale espresse una dura condanna all'operato dell'Unione Sovietica ma senza poter imporre alcun provvedimento concreto. Nei giorni successivi si vennero a formare due governi nel paese, uno sotto la guida di Kadar sostenuto dai sovietici e un governo di coalizione presieduto da Nagy formato da esponenti comunisti, socialdemocratici, rappresentanti del partito dei piccoli proprietari (il partito al potere nel '47) e del circolo Petöfi che godeva del sostegno della popolazione.
Il 4 novembre la capitale ungherese venne bombardata e nella città si accese una battaglia contro i carri armati sovietici; solo con notevole sforzo l'esercito di Mosca riuscì a prendere pieno possesso della città e i combattimenti nel paese cessarono solo dieci giorni dopo. Al termine dei combattimenti si ebbero 25.000 morti nel paese, 15.000 cittadini ungheresi deportati in Unione Sovietica e 160.000 che abbandonarono il paese per sfuggire all'arresto. Nagy venne incarcerato, e rifiutatosi di riconoscersi colpevole condannato alla pena capitale. L'ordine era ristabilito nel paese ma il regime sovietico ne usciva profondamente squalificato, e non poté più riprendersi dalla condanna morale espressa dalla comunità internazionale.
I filosofi Lukacs e il tedesco orientale Harich vennero arrestati per aver sostenuto l'opportunità di una via autonoma al socialismo come quella intrapresa dalla Polonia di Gomulka; nel giugno del '58 nonostante le proteste di Tito, venne eseguita la fucilazione di Nagy e di altri tre importanti esponenti degli avvenimenti di due anni prima. Gli americani dovettero prendere atto che non avevano modo di favorire il distacco dei paesi dell'Europa orientale dall'URSS e mutarono strategia nei loro confronti; negli anni successivi concessero aiuti economici al governo Gomulka al fine di consolidare la sua autonomia, sia pure parziale, da Mosca.
L'Unione Sovietica di Kruscev non aveva realizzato grandi progressi verso gli obbiettivi del socialismo: emancipazione dei lavoratori, democrazia, e stato di diritto, né era riuscita a dare vita ad una associazione di stati comunisti su basi democratiche di reciproco rispetto. Il comportamento fortemente autoritario dell'Unione Sovietica portò ad una profonda crisi all'interno dello schieramento comunista. I partiti comunisti italiano e francese rifiutarono di condannare l'intervento sovietico (parlarono di agitatori controrivoluzionari sostenuti da agenti imperialisti) ma molti uomini di cultura come il filosofo Paul Sartre in Francia e Pablo Picasso si allontanarono dalle organizzazioni di estrema sinistra e in Italia i gravi fatti sancirono il distacco dei socialisti che presero energicamente le distanze dai comunisti. Solo successivamente Togliatti si espresse a favore delle "vie nazionali al socialismo" definizione che non comportava comunque un rifiuto del modello sovietico.
Anche in altri paesi del mondo comunista si ebbero agitazioni. In seguito al rapporto segreto in Bulgaria tramontava Cervenkov il principale esponente comunista dopo la morte di Dimitrov. Disordini si verificarono in Georgia, dove le tesi di Kruscev su Stalin al 20° Congresso vennero considerate come un attacco al grande personaggio georgiano e un tentativo di svilire l'identità nazionale della repubblica caucasica, e a Grozny dove scoppia-rono disordini fra Russi e Ceceni. Nel '56-'58 si ebbe il ritorno delle popolazioni deportate negli anni dello stalinismo con l'eccezione dei tedeschi del Volga e dei Tatari della Crimea (per evitare i risentimenti degli Ucraini), ma la situazione non tornò alla normalità.
Un'autentica svolta in Unione Sovietica non si ebbe nemmeno quando vennero allontanati dal potere gli ultimi grandi esponenti stalinisti Molotov, Malenkov, Kaganovic. L'Unione Sovietica non andò oltre i provvedimenti tesi ad attenuare la dittatura e migliorare le condizioni dei lavoratori rispetto alla situazione gravissima degli anni precedenti (divieto di licenziamento da parte dei lavoratori e sanzioni penali contro l'assenteismo). L'economia liberata da alcuni dei lacci che la tenevano soffocata conobbe un discreto miglioramento, ma sul piano politico la democratizzazione rimaneva un obbiettivo irraggiungibile, le vicende di Pasternak e di altri numerosi letterati ne costituì la conferma.
L'EVOLUZIONE INTERNA DEI PAESI OCCIDENTALI
Le difficoltà economiche del dopoguerra, il sorgere delle grandi potenze extraeuro-pee e della guerra fredda, il processo di decolonizzazione con le conseguenti maggiori difficoltà nel garantire l'approvvigionamento di materie prime, spinsero i paesi dell'Europa a superare il tradizionale antagonismo e a creare una comunità di stati. L'idea già formulata da Churchill negli anni della guerra prese corpo nel '47 con la creazione dell'Organizzazione Economica per la Cooperazione Europea (l'OECE) per la pianificazione degli aiuti americani previsti dall'ERP (piano Marshall), e l'approvazione del Trattato di Bruxelles, nell'anno successivo, fra i paesi già aderenti al BENELUX, la Francia, e la Gran Bretagna.
Diversi erano gli approcci alla questione europeista; quella dei federalisti favorevoli alla creazione degli stati uniti d'Europa come organizzazione creata dal basso attraverso una assemblea costituente eletta dai cittadini, quella dei sostenitori di una aggregazione graduale attraverso l'unificazione di alcune politiche, e infine quella di coloro che proponevano una collaborazione inter governativa fra gli stati, ma contrari in genere a qualsiasi organismo con carattere sovranazionale. Negli anni successivi si ebbero progressi verso una maggiore solidarietà europea, ma in un senso diverso da quello auspicato dai sostenitori più intransigenti dell'europeismo.
Nel '49 per iniziativa degli stessi cinque paesi che avevano dato vita al Trattato di Bruxelles venne istituito il Consiglio d'Europa con finalità consultive e culturali, fra le quali la tutela dei diritti dell'uomo, la cooperazione culturale nel campo dell'educazione e la formazione di una coscienza europea. L'organizzazione non aveva caratteristiche sovranazionali, il Comitato dei Ministri previsto come massimo organo deliberava esclusivamente all'unanimità servendosi di un'assemblea consultiva; negli anni successivi la organizzazione venne estesa ad altri paesi fra i quali la Repubblica Federale Tedesca, ma i risultati dell'OECE e del Consiglio vennero giudicati comunque insufficienti dai federalisti.
Nella prima metà degli anni Cinquanta molto intensa fu l'attività dei governi europei per una maggiore integrazione del continente. I problemi ad essa connessa trovarono notevole interesse nell'opinione pubblica e la creazione di una associazione di stati europei incontrò il sostegno degli Stati Uniti, che nel corso della guerra fredda ricercarono costantemente l'intesa coi governi europei e agirono nel pieno rispetto della sovranità degli stati del vecchio continente. Movimenti federalisti di ispirazione cattolica e laico democratica sorsero ovunque, ma ad alcuni successi seguirono delle battute d'arresto. Nel '51 su iniziativa del democratico cristiano francese Schuman venne creata per assicurare il libero scambio di due prodotti considerati altamente strategici nell'economia industrializzata, la Comunità Europea Carbone e Acciaio, alla quale tuttavia non aderì la Gran Bretagna. Nell'anno successivo il progetto del movimento federalista di organizzare una Comunità Europea di Difesa non venne portato a termine. L'organizzazione doveva consentire alla Germania di Bonn di contribuire alla difesa comune europea superando il problema del riarmo tedesco. Il trattato venne firmato nel '52 dai governi di Francia, Gran Bretagna, Italia, paesi del BENELUX e Germania Federale ma non ebbe seguito per la mancata ratifica del parlamento francese. In Francia infatti le forze nazionaliste e quelle pacifiste filo sovietiche per motivi opposti si opponevano alla partecipazione del paese a tale progetto. i gollisti ritenevano il problema della difesa della nazione non potesse essere delegato ad un organismo sovrana-zionale, mentre i comunisti erano contrari ad ogni iniziativa che fosse in contrasto con la politica sovietica. Successivamente vennero comunque firmati i trattati per l'istituzione dell'Unione Europea Occidentale, sostanzialmente simili ai precedenti, diversi solo sul ruolo da attribuire alla Gran Bretagna.
Il raffreddamento dei rapporti tra Francia e Gran Bretagna e l'opposizione di quest'ultima a creare un organismo europeo dotato di vasti poteri portò alla creazione di una zona di libero scambio, l'EFTA comprendente i paesi scandinavi, il Portogallo, l'Austria e la Svizzera, con competenze più limitate. L’organismo ebbe scarso successo e progressivamente venne soppresso.
Nonostante i problemi legati alla guerra fredda, tutto il mondo occidentale ha conosciuto negli anni Cinquanta un tasso di sviluppo economico che non ha confronti con quello di qualsiasi periodo storico. Grazie alla liberalizzazione dei mercati, alla stabilità dei prezzi e delle valute, alle istituzioni regolatrici del commercio internazionale, alle innovazioni tecnologiche, i paesi dell'Europa conobbero un incremento del reddito nazionale particolarmente elevato, il tasso di crescita del PIL fra il 1953 e il 1973 risultò mediamente del 4,8% contro il 2% del periodo compreso fra il 1870 e il 1940.
I migliori risultati vennero conseguiti dalla Germania e dal Giappone, seguiti da Francia e Italia, mentre l'Inghilterra, pur seguendo il trend positivo, conobbe dei miglioramenti più limitati. Fra il 1953 e il 1962 la produzione industriale della Gran Bretagna registrò un incremento del 30% contro la crescita del 90% della Francia e del 100% della Germania. La difficile situazione economica spinse nel 1963 il Premier Mac Milian a chiedere l'ingresso della Gran Bretagna nel MEC.
Le conseguenze del positivo andamento economico furono la stabilità politica (con l'eccezione comunque della Francia), una maggiore diffusione della cultura e della parteci-pazione popolare alle scelte politiche degli stati, che consentirono un migliore sviluppo del continente europeo.
Negli anni Cinquanta si ebbe in Europa il superamento delle controversie legate a questioni territoriali. La Saar venne restituita dal governo di Parigi alla Germania, l'Alsazia Lorena, che aveva costituito nel passato motivo di attrito (in quanto regioni di lingua tedesca ma storicamente legate alla Francia) definitivamente riconosciuta come territorio francese, infine il Territorio Libero di Trieste, anche se in contrasto con la volontà delle popolazioni, venne diviso in due zone fra Italia e Jugoslavia. L'unica questione aperta rimaneva quella dei confini orientali della Germania con la Polonia (che non poteva essere risolta fino alla riunificazione tedesca) e venne definitivamente conclusa nel 1990 con la accettazione da parte del parlamento tedesco del contestato confine dell'Oder-Neisse.
Il programma di austerità e i poco brillanti risultati economici avevano provocato la caduta del governo Attle in Gran Bretagna. Il gabinetto Churchill subentrato ai laburisti nel 1951 lasciò in piedi buona parte delle riforme economiche attuate dai predecessori e gestì la politica di decolonizzazione con molta prudenza, evitando gli improduttivi irrigidimenti dei governi francesi. Il governo conservatore, sebbene dovette affrontare una difficile situazione economica, rimase ininterrottamente al potere per tredici anni fino al 1964.
In politica estera venne confermata l'alleanza più stretta con gli Stati Uniti, mante-nendo su alcune questioni dei punti di vista comunque diversi. Il governo inglese si oppose al progetto del generale Mac Arthur di estendere il conflitto coreano alla Cina e nel 1954 giunse al riconoscimento formale del governo di Pechino. Diversamente sul Medio Oriente, per la questione del petrolio iraniano e del Canale di Suez, questioni giudicate di notevole interesse per la nazione britannica, il governo conservatore sostenne sia pur con poco successo una posizione più incisiva. L'impegno del governo conservatore nella politica estera produsse la reazione dei gruppi pacifisti. Nel 1960 all'interno del partito laburista la corrente ostile a Goitskell si espresse a favore del disarmo nucleare unilaterale, e nel febbraio dello stesso anno, 40.000 cittadini presentarono una petizione al Parlamento per chiedere l'eliminazione dell'arsenale atomico.
La posizione inglese verso le istituzioni comunitarie è stata molto controversa. Il governo di Londra si espresse a favore della Comunità Europea di Difesa, non aderì alla Comunità Europea carbone e Acciaio e all'Europa dei Sei contrappose una associazione di libero scambio con poteri più limitati, l'EFTA. Tale posizione fu anche il prodotto dell'opposi-zione dei paesi del Commonwealth all'ingresso di Londra nella organizzazione economica europea, e negli anni successivi l’Inghilterra dovette rivedere le sue posizioni.
La Quarta Repubblica francese fu caratterizzata da una gravissima instabilità politica favorita anche dal sistema costituzionale che non consentiva la formazione di vaste aggregazioni politiche e dalla presenza di un partito comunista e un partito gollista che non presero parte alla formazione dei governi, ma che tuttavia erano in grado di ostacolare la normale vita politica del paese.
Negli anni Cinquanta la Francia conobbe un periodo di prosperità economica, ma i problemi connessi con la decolonizzazione, ed in particolare la questione dell'Indocina e dell'Algeria provocarono ulteriori contrasti a livello politico. Nel 1958 il tentativo di conciliazione del governo di Parigi verso l'Algeria provocò una insurrezione militare in quella colonia che avrebbe potuto facilmente estendersi al resto della nazione. Le forze politiche per prevenire tale eventualità a larga maggioranza affidarono il governo a De Gaulle, il quale diede vita ad un gabinetto di unione nazionale con poteri speciali; il generale sebbene favorevole alle richieste dei francesi d'Algeria si riteneva avrebbe potuto evitare una più grave crisi nel paese.
Il primo atto politico del nuovo governo fu il progetto di una nuova costituzione che ponesse fine alla grave instabilità e rafforzasse i poteri del Presidente; il tentativo ebbe successo e nell'estate dello stesso anno si tenne un referendum che sancì a larga maggioranza (80% dei voti) la nascita della Quinta Repubblica.
La questione algerina si presentava complessa a causa dei forti vincoli che legavano il paese arabo, nel quale erano presenti circa un milione di francesi, a Parigi; nella prima metà degli anni Cinquanta nessun partito, comunisti compresi, era favorevole alla piena indipendenza della colonia. La controversia franco-algerina, sulla quale i sovietici si astennero di intervenire, non interessò particolarmente gli alleati occidentali; secondo l'opinione di Kennedy la posizione degli Stati Uniti non poteva che essere quella di "riaffermazione della nostra ovvia fiducia agli amici europei, e al tempo stesso d'ovvia fedeltà ai principi dell'autodeterminazione". Nel gennaio del '61 si tenne un referendum con il quale il 75% dei francesi si espresse a favore dell'indipendenza, seguì un nuovo tentativo di colpo di stato militare che ebbe però scarso seguito, e non impedì la prosecuzione della politica di pace del governo.
L'anno successivo il governo francese sottoscrisse con i rappresentanti del movimento algerino gli accordi che stabilirono la nascita dell'Algeria indipendente. Il nuovo stato arabo si diede una forma di governo autoritaria e socialisteggiante; il governo di Ben Bella non rispettò gli impegni assunti sul rispetto dei coloni francesi e centinaia di migliaia di francesi (i cosiddetti pied noirs) furono costretti in condizioni tragiche ad abbandonare il paese.
L'Italia superò bene la difficile situazione economica del dopoguerra, si avviò rapidamente verso la stabilità politica, e attraverso diverse iniziative sul piano sociale (riforma agraria, fiscale e Cassa del Mezzogiorno) pose fine alle numerose agitazioni economiche nel paese. L'economia del paese beneficiò di provvedimenti liberisti e di iniziative pubbliche come la creazione dell'ENI per lo sfruttamento delle risorse energetiche e il Piano Vanoni per la programmazione economica. Nel '53 l'approvazione di un nuovo sistema elettorale, la cosiddetta "legge truffa", creò una situazione di scontro politico che venne tuttavia presto superata. I governi centristi guidati da De Gasperi si fecero promotori dell'europeismo, e nel '54 venne risolta la questione di Trieste con l'affidamento della Zona A al governo italiano e la Zona B al governo jugoslavo.
La Germania Federale si riprese con sorprendente rapidità dalle distruzioni della guerra, le difficoltà economiche connesse con l'arrivo di milioni di profughi, e le riparazioni economiche.
Sotto la guida di Adenauer e del liberale Erhard la Germania inaugurò una politica economica liberistica profondamente diversa dalle tendenze seguite dagli altri paesi europei. Grazie ad essa il paese raggiunse un tasso di crescita economica superiore a quello degli altri paesi del continente, superato fra i paesi industrializzati solo dal Giappone. Le istituzioni della nuova Germania assicurarono al paese una notevole stabilità che non venne meno anche quando venne deciso nel '55 lo scioglimento del partito comunista e di quello neo nazista. I democratici cristiani di Adenauer fecero dell'integrazione della Germania nell'Europa e nel blocco dei paesi occidentali il loro cavallo di battaglia, mentre i socialdemocratici dell'SPD mettevano in luce i rischi gravissimi per il paese di un confronto Est-Ovest e propendevano pertanto per una politica neutralistica, tuttavia le posizioni non erano inconciliabili.
Nel 1962 il partito cattolico di Strauss promosse una serie di iniziative contro il pe-riodico Der Spiegel che aveva pubblicato delle rivelazioni in materia militare suscitando vivaci polemiche e la reazione dei liberali che si dissociarono dalla maggioranza. Adenauer fu quindi costretto a cedere il cancellierato al leader liberale Erhard ponendo fine al lungo periodo di permanenza dei democratico cristiani al vertice del governo.
Nel '53, proprio alcune settimane prima della morte di Stalin, Eisenhower fece il suo ingresso alla Casa Bianca in seguito ad un largo successo elettorale. Il suo passato di stimato comandante militare era troppo grande perché il suo rivale democratico Stevenson, potesse impedirgli la vittoria. Ike, come veniva chiamato confidenzialmente, rappresentava agli occhi dei suoi cittadini l'immagine della persona pulita, disinteressata, semplice, sostanzialmente moderata e pragmatica, forse per questa sua eccessiva semplicità non troppo amato invece dagli intellettuali. Fiero anticomunista ma amante della pace fu lontano dagli eccessi di Mc Carthy e nonostante la presenza dell'intransigente Dulles al Dipartimento di Stato, non perse le occasioni di dialogo che si presentarono con il blocco comunista.
Il periodo di Eisenhower fu caratterizzato da prosperità economica e da una notevole stabilità interna, la caccia alle streghe ebbe termine avendo potuto constatare la saldezza dello stato e la impossibilità delle forze filo sovietiche all'interno del paese di rappresentare una minaccia per le istituzioni; l'attacco privo di qualsiasi fondamento del senatore Mc Carthy al presidente Eisenhower, diede il colpo finale alla campagna di accuse nel paese.
La politica di Eisenhower favorì l'evoluzione economica e politica del paese. Il governo, composto in larga parte di grandi uomini d'affari, diede impulso all'iniziativa privata, ma lo stato sociale realizzato dai predecessori non venne smantellato. Il presidente si impegnò anche nella questione della segregazione razziale che costituiva un grave aspetto negativo dell'America di quegli anni. I diritti politici e civili, l'accesso all'istruzione per le popolazioni di colore rappresentava ancora, specie nei paesi del sud, un serio problema; attraverso una nuova legge sui diritti civili e l'abolizione delle scuole riservate ai bianchi venne favorita l'emancipazione dei negri, che comunque a partire dal 1960 iniziarono una forte agitazione.
Gli Stati Uniti nella prima metà del secolo avevano raggiunto e superato sul piano economico il vecchio continente, ma sul piano della politica internazionale si presentavano ancora come una nazione di non grande peso politico. Nel corso della seconda guerra mondiale avevano "prestato" il proprio potenziale all'Europa sottoposta alla minaccia tedesca, ma molto faceva ritenere che cessato il pericolo gli Stati uniti sarebbero ritornati al loro ruolo tradizionale. Truman, con il piano di aiuti all'Europa portò la nazione ad un superiore livello, e si assunse grandi responsabilità internazionali con la politica di "contenimento" verso l'Unione Sovietica. Il Segretario di Stato della amministrazione Eisenhower, Foster Dulles si propose un obbiettivo ancora superiore, fare degli Stati Uniti i protagonisti della scena internazionale e non limitarsi a sostenere l'Europa dalla minaccia proveniente dall'Est. La battaglia contro la tirannia cino-sovietica (il cosiddetto roll back) divenne l'obbiettivo fondamentale della nazione americana andando oltre la politica difensiva di "contenimento" inaugurata nel '47 dal presidente democratico.
IL BIENNIO DI PACIFICAZIONE
1953-1955
La prima fase della guerra fredda ha rappresentato lo scontro fra anglo-americani e sovietici sulle questioni internazionali legate alla conclusione del conflitto mondiale. Negli anni successivi il conflitto si è progressivamente ampliato a nazioni che in precedenza non avevano preso parte alla controversia; tutte le principali nazioni occidentali, Germania compresa, scesero in campo a sostegno di inglesi e americani ai quali erano legati da un patrimonio di valori in comune e dal progetto di un ordine mondiale fondato su basi demo-cratiche. Non si trattava più come nel passato di una contesa fra potenze con interessi contrari, ma dello scontro fra due concezioni opposte del mondo. Nel corso degli anni Cinquanta si è avuta inoltre una ulteriore estensione geografica del conflitto, quando i paesi del Terzo Mondo che da poco avevano raggiunto la piena indipendenza, compresero che l'URSS poteva essere una valida alternativa ai paesi occidentali negli aiuti finanziari e tecnologici. Avendo l'Unione Sovietica dimostrato la sua forza nel campo internazionale e la sua capacità di contrapporsi alle nazioni occidentali, molte delle nuove nazioni afroasiatiche incominciarono a guardare a quel paese per strappare quei vantaggi che non avrebbero potuto ottenere diversamente dai paesi europei. L'Indonesia, l'Iran di Mossadeq, l'Egitto poterono in tal modo imporre i propri punti vista alle nazioni europee nonostante la loro inferiorità di forze.
Il biennio successivo alla morte di Stalin ha fatto ritenere all'opinione pubblica mondiale che la guerra fredda potesse essere superata, ma se si verificarono alcuni importanti progressi, e le contese su alcune aree geografiche vennero portate a termine, nuovi problemi sorsero a causa dell'estendersi della scena politica internazionale. Il conflitto comunque ne risultò fortemente trasformato, tanto che per alcuni autori la guerra fredda si concluse in quegli anni ed iniziava nel '53 la fase della cosiddetta coesistenza pacifica; in realtà il conflitto da politico-militare divenne sempre più politico-economico ed in questo campo l'Unione Sovietica e il blocco dei paesi socialisti non aveva alcuna possibilità a resistere ad una guerra di logoramento con l'Occidente.
Una particolare indagine statistica condotta dalla Fondationn Nationale du Politiques mise in luce un fenomeno che per quanto discutibile poteva essere ritenuto significativo; le espressioni ostili nei confronti degli USA contenute sulla Pravda passarono dall'80% del '52 al 20% successivamente alla morte di Stalin . Il fenomeno indicava un minore irrigidimento ideologico nei confronti dell'avversario capitalista che se non significava l'attenuazione della guerra fredda poteva comunque favorirla.
Positivi risultati sul piano della pacificazione si ebbero già nelle settimane immedia-tamente successive alla morte di Stalin; secondo Malenkov non vi era "questione contenziosa o irrisolta che non possa essere sistemata con mezzi pacifici, sulla base di un reciproco accordo con i paesi interessati". La liberazione del giornalista americano Oatis, l'eliminazione delle restrizioni al personale diplomatico straniero a Mosca, la ripresa delle relazioni diplomatiche con Israele, e la rinuncia alle rivendicazioni territoriali nei confronti della Turchia e dell'Iran, avvenuta poco dopo, creò un clima internazionale profondamente rinnovato. La reazione di Eisenhower e di Churchill alle iniziative russe fu ampiamente positiva e il vecchio Premier britannico si spinse ad un esplicito invito a riprendere gli incontri al massimo livello interrotti nel '45 dopo la Conferenza di Potsdam.
La prima questione affrontata fu quella della Corea ma le trattative per la conclusione del conflitto non furono così rapide come ci si sarebbe potuto aspettare, e fino alla vigilia dell'armistizio cinesi e nordcoreani non rinunciarono a lanciare furibondi quanto inutili attacchi contro le armate della Coalizione; il 27 luglio comunque le parti raggiunsero l'intesa. L'accordo, che prevedeva il sostanziale ritorno allo status quo ante, non costituiva un vero trattato di pace, comunque venne eliminato un pericoloso focolaio di guerra che in diverse occasioni aveva potuto degenerare in una estensione del conflitto a tutto l'estremo oriente.
Il 22 giugno '53 Adenauer scrisse ai capi di stato dei paesi occidentali una lettera con la quale si auspicava un incontro fra le quattro grandi potenze, che tenuto conto anche delle esigenze di sicurezza dell'Unione Sovietica, avviasse a risoluzione l'annoso problema tedesco. La iniziativa venne rilanciata dagli Alleati a Mosca, la quale fece conoscere che avrebbe preferito una conferenza a cinque con la partecipazione della Cina per affrontare tutte le questioni internazionali aperte. La controproposta sovietica non poteva essere accettata dagli americani perché avrebbe significato il riconoscimento del governo di Pechino come legale rappresentante della Cina; si ritornò quindi sulla proposta originaria di un incontro a quattro che si tenne a Berlino nel gennaio dell'anno successivo.
La conferenza non ebbe quasi alcun risultato. Molotov a nome del governo di Mosca aprì l'incontro con una richiesta che rischiava già di far naufragare i lavori: partecipazione della Cina comunista, eliminazione delle basi militari americane all'estero e delle armi nucleari senza alcuna forma di controllo. Sulle due maggiori questioni europee, Austria e Germania le distanze rimanevano incolmabili. Le nazioni occidentali ritenevano che si dovessero tenere nello stato tedesco libere elezioni sotto controllo internazionale, per la formazione di un'assemblea costituente e di un governo rappresentativo con cui concludere il definitivo trattato di pace (Piano Eden). I sovietici ritenevano invece che il futuro governo della Germania avrebbe dovuto costituirsi sulla base di accordi fra i governi di Bonn e Pankow (con una influenza del partito comunista ben oltre la sua reale consistenza quindi), non veniva rifiutato il concetto di un ritiro degli eserciti di occupazione, ma con la riserva che il territorio tedesco sarebbe potuto essere rioccupato da uno degli eserciti qualora la sicurezza di un paese fosse stata minacciata. I sovietici probabilmente non pensavano ad una Germania unita sotto un governo comunista, dato che questo sarebbe stato un obbiettivo difficilmente raggiungibile, ma ritenevano che quanto meno si avesse uno stato neutralizzato scarsamente influente a livello internazionale. Sulla proposta sovietica di un ritiro totale delle forze armate di tutte le quattro potenze dalla Germania vi erano numerosi pareri contrari; si sarebbe creata probabilmente una situazione molto vicina a quella della Corea anteriore al 1950 e, approfittando della cortina di ferro che impediva agli occidentali di disporre di informazioni, la DDR avrebbe potuto ricostituire un esercito per minacciare Bonn.
Anche sulla questione austriaca non si ebbero significativi progressi. I rappresentanti sovietici richiesero che l'Austria divenisse uno stato neutrale e che armate delle quattro potenze fossero mantenute fino a che non si fosse giunti ad un trattato di pace con la Germania. Il piano rimase comunque su affermazioni generali e non incontrò l'interesse degli occidentali. Sulla questione della sicurezza infine, la richiesta americana per una attenua¬zione dei segreti militari venne respinta dai sovietici.
Gli americani intuendo il pericolo costituito dalla proliferazione dell'atomica per usi civili e militari presentarono una proposta per la creazione di una agenzia internazionale per l'energia atomica con il compito di esercitare un controllo sul buon uso della stessa da parte di tutte le nazioni. La proposta venne accettata (anche se trovò attuazione solo diversi anni più tardi) e questa costituì l'unico risultato positivo delle conversazioni, oltre all'impegno di giungere entro tre mesi ad una nuovo incontro che questa volta comprendesse anche la Cina di Pechino, i due governi coreani, e gli stati associati alle grandi potenze, per la risoluzione definitiva della questione coreana e indocinese.
La nuova conferenza si tenne a Ginevra, come previsto il 26 aprile di quell'anno. L'incontro si aprì in un clima non favorevole agli occidentali, alcuni giorni dopo l'apertura dei lavori si ebbe la tragica caduta del presidio francese di Dien Bien Phu che costituì la fine di ogni velleità colonialista in Asia. I lavori comunque proseguirono; venne accantonato il problema della rappresentatività della delegazione cino comunista, dal momento che sia gli occidentali che i paesi comunisti ritenevano in quella fase il raggiungimento della pace in quella regione di estrema importanza. Sulla questione della sistemazione definitiva della Corea non si ebbe alcun progresso, gli sforzi si concentrarono invece sulla ricerca di una soluzione nel Vietnam.
Il governo francese, come quello britannico e americano, preoccupati che il movi-mento comunista avrebbe potuto estendersi a macchia d’olio nella penisola indocinese ed oltre, e della debolezza politica e militare del governo dell'imperatore Bao Dai da loro sostenuto, accettarono alcune richieste, tuttavia si imposero affinché le truppe del Viet Minh abbandonassero il Laos e la Cambogia.
L'incontro fra le delegazioni francesi e cinesi in forma separata diede i suoi frutti; si stabilì una linea di demarcazione sul 17° parallelo che separasse i territori del governo di Hanoi e quello di Saigon, il ritiro delle truppe francesi e di ogni altra truppa straniera entro 10 mesi, libere elezioni sotto controllo internazionale da tenersi entro i due anni.
Il governo di Washington pur ritenendo che i francesi avevano strappato ampie concessioni si dichiarò non favorevole al piano, mentre il nuovo Premier sud vietnamita, il cattolico Ngo Dinh Diem, che di lì a poco si sarebbe sbararazzato dell'imperatore per stabilire un governo fortemente autoritario, si dichiarava analogamente insoddisfatto. La guerra, che era costata la vita di decine di migliaia di uomini, venne conclusa e negli anni successivi la Francia si astenne da qualsiasi atto d'ingerenza negli affari di quella regione. Un contributo significativo alla pace aveva visto la luce, ma di lì a poco una nuova crisi, conosciuta come la crisi dello Stretto di Formosa, tornò a riportare la tensione nell'Estremo Oriente, questa volta fra Cina e Stati Uniti.
Fallita la Conferenza di Berlino sulla Germania, dove l'URSS si era opposta alla restaurazione di uno stato tedesco pienamente sovrano, gli Alleati si convinsero della necessità di inserire la repubblica di Bonn nella coalizione militare europea in tempi rapidi. Già nel gennaio '51 i sovietici avevano messo in guardia i paesi occidentali da tale tentativo, ma al tempo stesso non avevano compiuto passi in avanti per normalizzare la situazione. La ratifica degli accordi sulla creazione della Comunità Europea di Difesa incontrò alcune difficoltà in Francia e Italia. In Francia dove forte era il timore delle conseguenze del riarmo tedesco, l'accordo venne osteggiato da comunisti e gollisti, quest'ultimi contrari in assoluto al principio di sottrarre forze nazionali da destinare alla difesa comune. La resistenza italiana e francese al trattato provocò la reazione americana, contraria a che il peso della questione militare dovesse ricadere eccessivamente sul proprio paese. Dulles avvertì i due governi europei che gli aiuti ai rispettivi paesi sarebbero cessati e avrebbero rivisto la loro politica e la loro presenza in Europa se il progetto di difesa collettiva non fosse stato approvato. Il Segretario di Stato americano non ottenne i risultati che si prefiggeva, il parlamento di Parigi nell'agosto del '54 respinse il trattato e gli americani dovettero rinunciare a iniziative di ritorsione che sarebbero andate contro gli interessi di tutti.
Nell'ottobre del '54 vennero comunque sottoscritti gli Accordi di Parigi che prevedevano la costituzione dell'Unione Europea Occidentale con una diversa posizione della Gran Bretagna rispetto al progetto precedente, l'ingresso della Repubblica Federale Tedesca nella NATO con l'impegno tuttavia di non produrre armi atomiche, e un piano di riarmo controllato.
Il blocco sovietico, nel tentativo di impedire la ratifica degli accordi UEO, propose alle nazioni occidentali una conferenza sulla sicurezza europea, che venne respinta come pretestuosa. L'Unione Sovietica fece quindi conoscere che l'ingresso della Germania Federale nel sistema militare occidentale avrebbe impedito la prosecuzione delle trattative sulla questione tedesca e che non sarebbero mancate opportune contromisure.
Cinque mesi dopo l'URSS denunciò i trattati di amicizia con Francia e Gran Bretagna sottoscritti nell'immediato dopoguerra, che d'altra parte avevano perso sostanzialmente ogni valore, e venne annunciata la costituzione dell'organizzazione militare dei paesi socialisti, il Patto di Varsavia, iniziativa che non destò comunque eccessivo allarme dato che di fatto già esisteva un blocco militare comunista sotto forma di numerosi accordi di reciproca assi-stenza. Al tempo stesso però le trattative sulla questione tedesca non vennero interrotte come era stato minacciato, e il giorno successivo alla firma del trattato che istituiva l'alleanza militare comunista, venne sottoscritto il trattato di pace con l'Austria. L'accordo di pace segnò un importante passo verso la distensione; dopo il ritiro delle truppe sovietiche dall'Azerbagian iraniano nel '46 questo costituiva il primo caso in cui i sovietici spontanea-mente abbandonavano importanti posizioni. La rapida conclusione del trattato con l'Austria dopo anni di estenuanti trattative si spiegava probabilmente col timore da parte di Mosca che le province austriache controllate dagli occidentali fossero integrate nella NATO. In anni successivi l'URSS ai sensi del trattato sottoscritto si dichiarò contraria all'ingresso di Vienna nel MEC.
Si ritenne che il positivo esito della questione austriaca avrebbe favorito il raggiungi-mento di un accordo sulla Germania, e che i tedeschi si sarebbero dimostrati ben disponibili ad accettare uno stato di neutralità permanente come contropartita della possibile unifica-zione, ma ciò non avvenne, Adenauer rispettosamente ma risolutamente si oppose ad un accordo del genere e confermò la sua adesione piena all'alleanza occidentale.
Nell'estate di quell'anno si ebbero altre due importanti iniziative per la pace, la Conferenza di Ginevra e il viaggio di Adenauer a Mosca, avvenuti dopo la positiva chiusura nel maggio della crisi dello Stretto di Formosa fra le due Cine.
La Conferenza di Ginevra nella quale vennero discussi i problemi del disarmo, della sicurezza in Europa e la questione tedesca, la cui riunificazione sarebbe dovuta avvenire compatibilmente con le esigenze di sicurezza dell'Unione Sovietica, si svolse in un clima di aperto ottimismo, i rappresentanti delle quattro potenze esposero i principi su cui si sarebbe dovuta basare la convivenza fra i due blocchi, tutti improntati al rispetto reciproco, ma progressi reali furono molto limitati e vennero in luce i limiti della nuova fase politica internazionale: quando dai principi si doveva arrivare a delle conclusioni di ordine pratico le posizioni rimanevano distanti. Negli ultimi giorni della conferenza Eisenhower propose alla controparte lo scambio dei piani militari e la istituzione di un sistema di sorveglianza aerea degli impianti militari dei due contendenti; l'Unione Sovietica respinse la proposta immedia-tamente, il piano, conosciuto come "cieli aperti" altro non era per essi che "la legalizzazione dello spionaggio aereo che gli americani da tempo già effettuavano grazie alla loro superiorità tecnologica". Unico risultato positivo della Conferenza fu il miglioramento delle comunicazioni e dei commerci.
La missione del cancelliere tedesco in Unione Sovietica nel settembre consentì la apertura di formali relazioni diplomatiche fra i due paesi e la restituzione dei prigionieri di guerra ancora trattenuti in Russia, ma sulla questione della riunificazione della Germania non vi furono progressi come era da aspettarsi.
A ottobre si tenne l'incontro a livello di ministri degli esteri fra le quattro potenze che avrebbe dovuto concretizzare i principi esposti nella precedente Conferenza di Ginevra; i colloqui si risolsero in un aperto fallimento e la idea di una conclusione consensuale e pacifica della guerra fredda accennata in precedenza anche da Churchill svanì. Molotov era espressamente contrario alla convocazione di elezioni per la risoluzione della questione tedesca, e riteneva una indebita ingerenza negli affari interni dell'Unione Sovietica qualsiasi piano di controllo in materia di armamenti. L'impressione dei rappresentanti occidentali e della stampa era che i sovietici non avevano una reale volontà di trattare, che ricorressero ad una rappresentazione della realtà alterata e in nessun caso intendevano arrivare ad una intesa sulla base del rispetto dei diritti dei popoli. Molotov definì come "non pratiche, non costruttive e artificiali" le proposte occidentali e Kruscev da Mosca ribadiva che il piano di pace presentato dagli occidentali era in realtà "un piano di guerra fredda. Infatti il vero autore di queste proposte, non è presente alla Conferenza, ma la sua ombra, l'ombra di Adenauer, plana su Ginevra".
Tre incontri al massimo livello in un biennio erano stati un grande risultato, era però evidente che i due contendenti non erano disponibili a cedimenti, ritenendo ognuno che avrebbe rimesso più dell'altro; la tensione internazionale non venne eliminata, tuttavia se non la pace, un tacito modus vivendi provvisorio e precario era stato posto e lo scontro fra i due blocchi prese caratteristiche diverse. La guerra fredda dopo il biennio '53-'55 assunse sempre più i connotati di una guerra di logoramento; come la prima guerra mondiale non si ebbero che piccoli spostamenti del fronte, laddove uno dei contendenti riteneva che l'avversario fosse più debole, e come la grande guerra si concluse per esaurimento dell'avversario e non sotto l'incalzare di un attacco massiccio.
Nell'anno successivo la proposta sovietica agli USA di un patto di non aggressione e le missioni ufficiali a Mosca del primo ministro francese e del ministro degli esteri britannico analogamente non diedero risultati.
L'UNIONE SOVIETICA DI KRUSCEV
Gli anni compresi fra il 1958 e il 1964 furono gli anni in cui si affermò come leader incontrastato dell'Unione Sovietica il battagliero Nikita Kruscev, l'ucraino che aveva denunciato i crimini di Stalin. Kruscev era un uomo di origini semplici, di modesta cultura, i cui modi rozzi trapelavano le origini contadine, dotato però di un attivismo e di un temperamento energico che mancava nei successori di Stalin. Non era un uomo di grandi ideali, era però non privo di buon senso e di un forte pragmatismo che gli risultò utile nella scalata al potere. Negli anni dello stalinismo si rese responsabile di persecuzioni nei confronti di ucraini e polacchi, ma verrà ricordato come l'uomo del disgelo e di numerose riforme. Diversamente dal passato Kruscev governò comunque con il consenso del partito, che a differenza degli anni precedenti, poté tenere regolarmente le sue assemblee.
Gli anni fra il 1953 e il 1958 furono positivi per l'economia sovietica, tuttavia la questione agricola presentò numerosi problemi e dovettero essere assunte diverse iniziative per il miglioramento del settore. Nel 1954 venne decisa una minore pressione fiscale sui contadini colcosiani e la riduzione delle consegne obbligatorie di prodotti agricoli allo stato. I risultati tuttavia vennero giudicati non eccellenti e negli stessi anni si diede il via ad un progetto grandioso di sfruttamento delle terre semidisabitate dell'Asia centrale, le cosiddette terre vergini. Nel 1956 oltre 300.000 kmq, una superficie pari all'Italia, erano state dissodate, ma con grande improvvisazione e disorganizzazione e soprattutto con scarsi criteri scientifici; il danno ecologico fu gravissimo, le terre eccessivamente impoverite vennero erose dal vento, mentre la grande riserva d'acqua del Lago di Aral, già provata negli anni precedenti, arrivò vicino al collasso. Non è chiaro quali ragioni spinsero alla grande iniziativa; le tradizionali regioni agricole sovietiche, l'Ucraina, la Russia occidentale e la Bielorussia non risultavano certamente sovraffollate ed un migliore utilizzo delle medesime (lo stesso Kruscev ammise che la resa per ettaro in quelle regioni era molto bassa) sarebbe risultato forse più razionale. Un altro importante esperimento condotto negli anni Cinquanta fu la coltivazione su larga scala del mais, che avrebbe dovuto garantire migliori risultati; l'innovazione forzata risultò anch'essa molto deludente e inferiore alle aspettative. Si giunse così all'acquisto del grano dall'estero per evitare una nuova carestia nel paese, a cui si provvide con vendite di grandi stock di oro. Negli stessi anni venne consentito alle aziende agricole di disporre dei macchinari agricoli che in precedenza erano di esclusiva proprietà statale (in base all'asserto marxista della proprietà dei mezzi di produzione da parte dello stato) in tal modo le aziende agricole acquistavano una certa autonomia e divenivano più simili a delle cooperative di stato.
Nel 1956 vennero abolite le leggi del periodo staliniano che avevano istituito una sorta di disciplina militare all'interno delle fabbriche, provvedimento che consentì un sensibile miglioramento delle condizioni sociali ed economiche degli operai. Vennero introdotte comunque alcune norme di lavoro anche molto inusuali, come l'obbligo da parte del personale più qualificato di prestare servizio in opere di manovalanza, iniziativa che produsse disorientamento e una minore attività di tecnici e scienziati. Un grosso ostacolo al benessere economico del paese venne inoltre dalla politica industriale, che come nel passato privilegiava il settore dell'industria pesante su quello della produzione di beni destinati al consumo delle famiglie, conseguenza anche degli impegni militari e degli aiuti tecnologici ai paesi afroasiatici alleati.
Nel 1957 venne avviata una riforma che avrebbe potuto portare a risultati interessanti, il decentramento economico a favore delle Repubbliche con l'introduzione dei Consigli Economici Regionali. La istituzione, che venne successivamente ampiamente rimaneggiata, creò ulteriore disordine nella pianificazione e mise in difficoltà lo stesso capo del Cremlino. Nel mese di giugno il Presidium votò la destituzione di Kruscev da segretario del partito; immediatamente venne convocato il Comitato Centrale, e con l'appoggio dell'esercito nella persona di Zukov la crisi venne superata. In conseguenza di ciò il vecchio gruppo stalinista, il cosiddetto "gruppo antipartito", che faceva capo a Molotov, Malenkov e Kaganovic venne definitivamente esautorato.
L'eliminazione degli oppositori alla politica di Kruscev non favorì una piena stabilità politica e nell'ottobre dello stesso anno il vecchio generale Zukov, accusato di aver attribuito eccessiva autonomia all'esercito, venne rimosso da tutti i suoi incarichi. L'alto prestigio di cui godeva in patria, faceva ritenere che potesse costituire un personaggio troppo ingombrante per un paese come la Russia. L'anno successivo Kruscev cumulò nelle sue mani oltre alla carica di segretario di partito quella di capo del governo, raggiungendo, almeno sul piano formale, la medesima autorità che aveva raggiunto Stalin.
Le riforme cruscioviane confermarono un dato, controllo politico della società e sviluppo economico del paese costituivano due obbiettivi antitetici; se si privilegiava il primo si aveva una società maggiormente disciplinata ma si impediva l'emergere delle risorse umane migliori nei settori vitali dell'economia, se invece si poneva l'accento sul miglioramento economico la dittatura poteva trovarsi degli uomini non allineati in posizioni chiave. Un sistema politico economico dove sono improbabili gratificazioni per chi realizza innovazioni e prevede forti sanzioni per chi non esegue le direttive degli organi superiori, difficilmente può evolversi positivamente, e tale fattore ha pesato fortemente anche nelle vicende successiva.
Al 21° congresso del partito nel 1959 non si ebbero significative novità politiche; Kruscev nella sua relazione sostenne che l'Unione Sovietica avrebbe superato gli Stati Uniti nella produzione agricola e industriale pro capite entro il 1970; l'azzardata affermazione gli si ritorse contro successivamente, come anche il preteso successo economico della regione di Rjazan propagandato dal regime come modello di sviluppo che si risolse in un falso clamoroso; il sistema delle promesse e delle affermazioni irrealistiche voluto dal vertice sovietico poteva dare frutti nell'immediato ma non poteva reggere indefinitivamente.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta si ebbero alcune importanti innovazioni nel campo delle relazioni fra il centro e la periferia del mondo comunista; il COMECON, creato nel '49 divenne un'organizzazione più autonoma di cui beneficiarono i paesi satelliti, ma le novità più importanti riguardarono la Polonia dove si ebbe una riduzione del sistema collettivistico nel settore agricolo, riforma che anni prima sarebbe stata inconcepibile. Tuttavia il miglioramento delle relazioni con i paesi satelliti dell'URSS non impedì alcuni contrasti e il ritiro nel 1958 delle forze armate sovietiche dalla Romania, su richiesta del governo di Bucarest.
Nel successivo congresso del partito del 1961 non si andò molto oltre la conferma delle accuse allo stalinismo (questa volta pubblicamente e non attraverso rapporti segreti) ma senza proposte di democratizzazione o comunque innovazioni significative. Poco dopo la conclusione dei lavori Kruscev propose comunque una diversa organizzazione interna del partito, che non aveva precedenti e che sarebbe risultata alquanto singolare per qualsiasi associazione politica come normalmente viene intesa. La struttura del partito doveva organizzarsi non su sezioni a base territoriale (cittadine, provinciali ecc.), ma su settori produttivi diversi e quindi diviso in due fra area agricola e industriale. Le finalità di questo progetto non sono mai state rese note; l'iniziativa venne criticata e fu una delle prime riforme ad essere cancellate dai successori di Kruscev.
Le riforme kruscioviane tendevano ad un miglioramento delle condizioni economiche e sociali del paese, ma la richiesta di un rinnovamento etico politico del paese rimaneva inappagata. Nel giugno del '63 si tenne un Plenum del Comitato Centrale dedicato alla questione ideologica, non vi furono innovazioni significative, né una maggiore apertura verso la società. Il partito, al di là della personalità del suo capo, come del resto la società sovietica sembrava investita da quello stato d'apatia descritto da Maksimov dal quale la Russia non riusciva a riprendersi.
Decine di anni repressioni, di conformismo, di interventi dirigistici nella cultura non avevano però distrutto lo spirito russo e nel corso degli anni Sessanta si assistette al rifiorire della letteratura e al risorgere della protesta morale contro la situazione del paese. Numerosi furono i movimenti spontanei giovanili che chiedevano un superamento dei limitati orizzonti delle istituzioni, il più conosciuto fra questi fu quello che iniziò a riunirsi nel '58 presso il monumento di Majakowskj a Mosca; la letteratura, la poesia e l'arte erano le attività preferite da questi giovani, ma da qui il passo a considerazioni sulla realtà sovietica era breve. I giovani subirono numerose vessazioni da parte della polizia, e nell'aprile del '61 intervennero le unità del KGB, che dopo aver dato vita a provocazioni, procedette all'arresto di numerosi partecipanti. Ma i gruppi giovanili e i circoli culturali di protesta o comunque al di fuori dell'ortodossia rimanevano un grande problema per le istituzioni sovietiche, soppresso un movimento ne sorgeva un altro non meno agguerrito; dall'Ucraina ai paesi baltici, in tutte le regioni più avanzate dell'Unione Sovietica, la voce del dissenso non poteva essere messa a tacere.
Il controllo della società da parte delle istituzioni sebbene ridotto negli anni Cinquanta non venne meno, letterati e artisti vennero perseguitati come "parassiti" o nel migliore dei casi come "sfaccendati", campagne moralizzatrici contro presunti mali della società vennero organizzate pretestuosamente per colpire chi non si adeguava ai modelli imposti dall'alto. A Mosca e nelle altre principali città sovietiche manifestazioni artistiche e letterarie clandestine furono represse e denigrate dalla stampa ufficiale come opere d'arte degenerata o immorale. Negli stessi anni iniziarono a circolare i "samizdat" (in italiano autoedizione) attraverso i quali vennero pubblicate opere letterarie non ammesse dal regime e la denunce di crimini commessi dalle autorità contro gli oppositori.
L'episodio di malcontento intellettuale più importante e che maggiormente interessò l'opinione pubblica fu il caso del poeta e romanziere Boris Pasternak, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1958. L'opera principale dell'autore, "Il Dottor Zivago", ripercorreva la storia dei primi anni della rivoluzione sovietica, contrapponendo allo spirito di disciplina dei bolscevichi l'estro creativo del protagonista; il lavoro venne giudicato contrario ai canoni della letteratura ufficiale e boicottato dalla organizzazione ufficiale degli scrittori. L'opera venne tradotta in 24 lingue, ma non poté essere pubblicata in patria; al grande letterato venne impedito di ritirare il riconoscimento internazionale e subì gli attacchi di numerose organismi, ma ricevette la solidarietà di tantissimi intellettuali e gente comune.
Nel 1961, poco dopo la conclusione del 22° Congresso, il generale e stimato accademico Grigorenko, denunciò pubblicamente a Mosca i mali della burocrazia e il diffondersi di privilegi a favore degli uomini d'apparato; venne immediatamente allontanato dall'accademia militare di cui faceva parte e inviato in un piccolo centro dell'estremo oriente. Il pluridecorato ufficiale non si rassegnò al silenzio e condannò le dure repressioni delle rivolte popolari avvenute in quegli anni a causa di problemi alimentari. Venne espulso dall'esercito, e successivamente inviato in un manicomio. Questo tipo di misure si diffuse negli anni successivi per colpire quegli oppositori troppo noti, contro i quali non potevano sussistere gli estremi di reato (anche del generico "propaganda antisovietica").
Nel 1962 apparse sulla rivista "Novy Mir", che raccoglieva il meglio della cultura russa, il romanzo di Solgenitsin "Una giornata di Ivan Denissovic", l'opera poté superare la censura perché ritenuta diretta esclusivamente contro lo stalinismo. Il grande autore russo, che aveva conosciuto anni prima l'internamento in Siberia a causa di un'allusione contenuta in una sua corrispondenza, descriveva nel romanzo lo squallore di quel mondo e il dramma esistenziale dei prigionieri politici; l'opera costituì un pesante colpo morale al regime ed una condanna dalla quale non poté più riprendersi. Sulle opere successive del grande letterato, le autorità sovietiche agirono con maggiore circospezione, e i romanzi "Reparto C" e "Ultimo Cerchio" non poterono essere pubblicati.
La protesta intellettuale non era l'unica che investiva il paese, a causa della crisi economica e del peggioramento della situazione alimentare, negli anni 1962 e 1963 si ebbero diverse agitazioni operaie alcune delle quali finite tragicamente. Il più grave degli scioperi si ritiene (riportato anche da Solgenitsin) sia quello verificatosi, nel giugno 1962 nelle grandi fabbriche di Novocerkassk in Ucraina, dove operai e studenti scesero in piazza per protestare contro la crisi alimentare e le dure condizioni di vita. La città venne immedia-tamente messa in stato d'assedio, la polizia e l'esercito caricarono la folla e aprirono il fuoco provocando numerosi morti, alcune decine o alcune centinaia secondo le fonti. La rivolta si concluse con nove condanne a morte nei confronti dei manifestanti ritenuti maggiormente responsabili, diverse pene detentive e l'invio degli altri agitatori nei campi di lavoro. Altre manifestazioni e incidenti si verificarono a Keremovo, Krivoy Rog, Grozny dove vi erano stati in precedenza scontri fra etnie diverse, Krasnodar, Jaroslavl, Murom, ma anche in alcune grandi città come Doneck, Gorkij e a Mosca nelle industrie automobilistiche Moskvic.
Le promesse irrealistiche, l'insuccesso di Cuba, e un peggiora¬mento economico negli ultimi anni furono fatali al leader ucraino. I successori di Kruscev mantennero comunque in vita molto degli anni precedenti, la coesistenza pacifica, il rifiuto del culto della personalità, l'eliminazione delle persecuzioni di massa, insieme ad una minore irreggimentazione della società rispetto al periodo staliniano e una certa tolleranza verso i paesi dell'Est; rimase infine immutato il contrasto con la Cina.
LA MONDIALIZZAZIONE DEL CONFLITTO
Con la decolonizzazione negli anni Cinquanta i paesi afroasiatici non hanno conosciuto il decollo economico o un significativo progresso civile. La linea politica maggiormente seguita da questo gruppo di paesi in campo economico e politico fu di tipo nazionalista socialista.Tale indirizzo politico ha portato a durissimi scontri fra paesi vicini e all’interno dei singoli stati fra gruppi etnici e religiosi diversi. Inoltre la politica seguita da tali governi ha portato ad una forte chiusura verso il mondo esterno, ad un diffuso stato d’illegalità, al dilagare della corruzione, e ad una concentrazione di ricchezze che non ha favorito la circolazione dei beni. Attribuire la responsabilità di questa situazione alle regole del commercio internazionale o al cosiddetto "neocolonialismo" come talvolta è stato fatto, appare riduttivo, paesi ricchi come quelli dell'OPEC, (e paesi isolazionisti che rifiutano i circuiti economici dell'economia mondiale), non godono di una migliore situazione. Oggi i paesi in via di sviluppo sembrano necessitare più di democratizzazione, di certezza del diritto e di uno sviluppo della coscienza civile che di sostegni finanziari o tecnologici che in questi anni hanno prodotto in alcuni casi più scompensi che benefici.
La prima metà degli anni Cinquanta furono gli anni della riscossa del Terzo Mondo contro l'Occidente. Ovunque si vennero a formare movimenti nazionalistici intransigenti che intendevano affrancare i paesi afroasiatici dal dominio straniero e modificare i rapporti economici esistenti. Nel '55, Nehru in India, i socialisti birmano U Nu e l'indonesiano Sukarno furono i promotori della Conferenza di Bandung fra tutti i paesi afroasiatici (con l'eccezione del Sud Africa di Israele e dei governi scarsamente rappresentativi della Corea). I principali risultati della conferenza furono solidarietà e cooperazione fra i paesi in via di sviluppo, non ingerenza e uguaglianza fra tutti i membri, lotta al colonialismo in tutte le sue forme, appoggio alla causa araba contro Israele, nonché iniziative per la pace mondiale e contro il ricorso alle armi atomiche. La conferenza ebbe un altro significativo risultato dando impulso alla creazione del movimento dei paesi non allineati. Tuttavia non ebbe conseguenze sul piano pratico, e i paesi del Terzo Mondo mantennero pessimi rapporti al loro interno.
I paesi afroasiatici che da poco avevano raggiunto l'indipendenza tennero un comportamento intransigente verso il mondo occidentale; le prese di posizione contro la comunità israelitica, la cacciata dei cittadini francesi in Algeria, le nazionalizzazioni di piccole e grandi proprietà straniere, il non riconoscimento della libertà di navigazione sul Canale di Suez, produssero un deterioramento dei rapporti con l'Europa e l'America. Parecchie crisi internazionali (fra le quali quella iraniana del '51, quella di Suez del '56 e quella cubana successivamente) furono infatti innescate da provvedimenti di confisca di beni e aziende di nazioni straniere; molti di questi provvedimenti vennero assunti arbitrariamente, senza nessun tentativo di negoziazione con la controparte, costituirono una grave violazione del diritto internazionale, e risultarono infine molto meno utili di quanto ritenuto ai governi che le avevano promosse.
I sovietici, secondo la nuova politica enunciata da Kruscev, ricercarono l'intesa con paesi anche non comunisti ma che per ragioni diverse fossero in contrasto con i paesi occidentali. Gli anni Cinquanta furono anni favorevoli all'espansionismo comunista fra i paesi del Terzo Mondo e le potenze occidentali dovettero faticare non poco per cercare di contenere la avanzata dei paesi ostili al capitalismo e difendere i paesi amici che come "tessere del domino", secondo una nota espressione americana, cadevano uno appresso all'altro; tuttavia le conquiste del blocco socialista non furono durevoli e non potevano nascondere la grave crisi interna che il mondo comunista stava maturando. Per Kennedy la strategia del comunismo mondiale era finalizzata "a guadagnarsi l'Europa seguendo la via più lunga attraendo nella propria sfera una vasta zona esterna, produttrice di materie prime e si giova inoltre delle numerose rivoluzioni simultanee che van scoppiando in quella zona... le grandi parole d'ordine che un tempo noi proponemmo al mondo: parole d'ordine della libertà personale e nazionale, dell'eguaglianza naturale di tutte le anime, della dignità del lavoro, della larga partecipazione allo sviluppo economico. Eppure noi abbiamo permesso che i comunisti ci sloggiassero dal posto che ci spetterebbe di diritto, alla testa di questa rivoluzione dal respiro mondiale. Ci hanno presentati quali difensori dello status quo".
Lo scontro fra paesi industrializzati e paesi ex coloniali presenta caratteristiche molto particolari. Per i secondi non disporre di grandi forze militari non costituisce un problema insuperabile; è sufficiente rendere la guerra costosa come risorse e uomini, stancare l'opinione pubblica del paese avversario per raggiungere il fine perseguito. Questa tattica venne adoperata con successo dai paesi afroasiatici, e ben presto sovietici e cinesi compresero che questo doveva diventare il terreno di scontro privilegiato con gli occidentali.
Il periodo compreso fra la morte di Stalin e l'inizio degli anni Sessanta furono caratterizzati dalla figura di Kruscev. Le personalità dei due statisti non potevano essere più diverse, freddo e calcolatore il dittatore georgiano, che mai lasciava trasparire segni di emotività di fronte agli interlocutori, pieno di irruenza il secondo, pronto ad alternare inviti al dialogo con improvvisi irrigidimenti, abile nel mostrare i muscoli ma incapace di mantenere un comportamento coerente. Questa sua caratteristica risultò molto proficua in un primo periodo, ma alla lunga divenne evidente il ricorso al bluff e alla minacce senza seguito, e tale tattica gli si ritorse contro, contribuendo alla sua fine politica. Così nel '56, in occasione della crisi di Suez, il suo monito ai governi di Londra e Parigi sortì effetto, nonostante che per ragioni oggettive non disponeva della possibilità di intervenire militarmente a favore dell'Egitto, ma nel '62 Kennedy poté azzardare sulla questione dei missili a Cuba e l'Unione Sovietica fu costretta ad un'ingloriosa ritirata.
La nuova situazione politica internazionale imponeva una nuova strategia. Il "Roll back" che Eisenhower (ma anche Dulles, massimo sostenitore) si guardarono bene dal portare alle estreme conseguenze, appariva come una esigenza fisiologica. Una guerra anche a carattere non aggressivo, non può consistere solamente nel respingere i colpi dell'avversario, ma deve prevedere, quando il conflitto supera un certo limite, di assumere l'iniziativa contro il rivale, politica che gli Stati Uniti si apprestarono a mettere in atto in Medio Oriente alla fine degli anni Cinquanta. Secondo Dulles "L'arte che oggi serve è quella di saper giungere al punto limite [della guerra] senza varcarlo. Se non si sa usarla si finisce inevitabilmente in guerra... Siamo arrivati sull'orlo dell'abisso e conosciamo il pericolo" .
In quegli anni sorse una polemica negli Stati Uniti sui settori nei quali dovesse maggiormente impegnarsi la difesa. I conservatori ritenevano che si dovesse privilegiare il fronte asiatico orientale, tradizionale area di interesse degli Stati Uniti, rispetto a quello europeo, ma l'opinione non era condivisa dal Segretario di Stato Dulles, il sostenitore del "l'equilibrio sull'orlo della guerra", che riteneva i due fronti di pari importanza. Su alcune questioni internazionali tuttavia americani e alleati europei hanno avuto in alcuni casi opinioni diverse, la politica di Francia e Inghilterra era più moderata sulla questione cinese e in genere dimostravano minore interesse per le questioni del Pacifico, mentre gli Stati Uniti seguirono una politica più moderata verso Iran ed Egitto, anche se successivamente (come enunciato nella "dottrina Eisenhower") presero maggiore interesse per le questioni medio orientali.
La strategia americana che negli anni Cinquanta mostrò tutti i suoi limiti e venne radicalmente rivista successivamente, si fondava sulla cosiddetta "rappresaglia massiccia", ovvero sulla ritorsione con armi nucleari contro un attacco sovietico anche limitato. Per Dulles "La difesa locale conserverà sempre la sua importanza; non vi è però difesa locale che possa da sola arrestare le potenti armate di terra del mondo comunista. Le difese locali devono essere rafforzate dal potere di dissuasione di una forza di rappresaglia massiccia. L'eventuale aggressore deve sapere che non può imporre le condizioni del conflitto che gli conviene di più... Il mondo libero potrà scoraggiare l'aggressione solo se è disposto ed in grado di contrattaccare vigorosamente nei luoghi e con i mezzi di sua scelta".
La corsa agli armamenti generò un notevole panico fra le popolazioni europee ed americane; secondo Kennedy "Nel 1957 l'Occidente aveva senza dubbio una superiorità nel campo delle armi strategiche nucleari. Oggi l'Occidente ha ancora la superiorità, ma ciascuna parte è in grado d'infliggere all'altra una distruzione tale che mai prima nella storia umana è stata possibile o immaginabile". La apprensione per il futuro dell'umanità favorì in quegli anni la nascita del movi¬mento pacifista; manifestazioni del movimento contro la "morte atomica" si tennero in Germania nel 1958 e nello stesso periodo in Inghilterra venne lanciata la campagna per il disarmo nucleare condotta dal filosofo Bertrand Russell. Tali movimenti non convincevano tutti, per lo storico Luigi Salvatorelli "L'ipotesi di una Europa neutrale e sottratta al rischio della guerra e della tirannide è altrettanto priva di realtà quanto quella di un America insulare, che può esistere tranquillamente alla caduta dell'Europa libera".
Il Medio Oriente per molti anni aveva costituito una regione di non particolare importanza dal punto di vista politico, che si era affrancata dal dominio dell'impero ottomano, ma aveva conosciuto successivamente la colonizzazione franco britannica. Fino agli anni Cinquanta la regione era soggetta a numerose autorità tradizionali, prevalentemente sceiccati, che sebbene agitati da contrasti interni ed avessero manifestato qualche segno d'insofferenza, accettavano di buon grado il dominio dei paesi europei. La situazione venne a cambiare quando con la crescita della domanda internazionale del petrolio, conseguenza del boom economico di quegli anni, il Medio Oriente divenne una delle regioni strategiche del nuovo assetto mondiale. Paesi che per lungo tempo erano stati considerati ai margini dello scenario internazionale conobbero un grandissimo interesse sul piano mondiale, anche se ciò ha contribuito solo in parte al loro sviluppo politico ed economico.
Due fatti in particolare portarono il Medio Oriente ad una situazione di fermento, la creazione dello stato ebraico in Palestina, e la nascita di un acceso nazionalismo fortemente antieuropeista che ebbe notevoli riflessi sulla autorità delle fragili monarchie locali.
Su un piano giuridico la posizione inglese e francese nei confronti dell'Iran di Mossadeq e dell'Egitto successivamente, non era contestabile, le concessioni di sfruttamen-to a favore di società occidentali fatte da un paese che dispone di risorse (petrolio o il controllo di una importante via marittima) ma non di tecnologie per utilizzarle, andavano rispettate e il comportamento dei paesi medio orientali non poteva essere definito che arbitrario e contrario alle regole di diritto internazionale . D'altra parte mancò ai governi occidentali la lungimiranza di comprendere gli aspetti politici della questione e il risentimento delle nazioni povere verso i governi ex colonialisti.
Il contrasto fra Iran e Gran Bretagna sulla questione del petrolio e il successivo conflitto fra lo Scià e il suo Primo Ministro Mossadeq nei primi anni degli anni Cinquanta non costituirebbero di norma due avvenimenti della guerra fredda, ma piuttosto episodi legati all'affrancamento del continente asiatico dall'influenza europea; la vicinanza dell'Unione Sovietica e la presenza di un forte partito comunista, che ebbe un ruolo attivo nelle vicende, diede alla questione iraniana comunque una grande importanza internazionale e costrinse gli Stati Uniti, che avevano tenuto una posizione autonoma e divergente dal governo di Londra, ad agire con maggiore determinazione.
Nel 1949 il rinnovo dell'accordo sullo sfruttamento delle risorse petrolifere fra Iran e Gran Bretagna (che prevedeva condizioni migliori per il primo, inferiori comunque a quelle ottenute da altri paesi produttori di petrolio) venne respinto dal Parlamento e fu la causa di agitazioni da parte di nazionalisti e comunisti nel paese.
Nell'aprile del '51 il Primo Ministro Razmara venne assassinato e sostituito con il voto del Parlamento, da Mohammed Mossadeq, leader populista di tendenze nazionaliste. Fra i primi atti del nuovo governo vi fu la nazionalizzazione dell'Anglo Iranian Oil Company, la società con capitale britannico che deteneva il monopolio dell'industria petrolifera, che suscitò gravi proteste degli inglesi che ricorsero alla Corte Internazionale di Giustizia. La Gran Bretagna con l'astensione del servizio del personale britannico e il boicottaggio del trasporto marittimo ottennero il blocco delle esportazioni iraniane, ma nonostante l'invio di un incrociatore al largo di Abadan, non poté evitare l'occupazione degli impianti petroliferi da parte delle truppe iraniane.
Gli Stati Uniti mantennero una posizione molto prudente e tentarono la via della mediazione, ritenendo che una situazione di instabilità avrebbe potuto favorire i comunisti e consentire all'Unione Sovietica di intervenire. In base al trattato sovietico-iraniano del 1921, sottoscritto ai tempi di Lenin quindi, le truppe sovietiche avevano infatti il diritto di ingresso in Iran nel caso di aggressione di un paese terzo.
Nel 1953, anche a causa del collasso economico provocato dal blocco britannico, la situazione precipitò; Mossadeq forte del vastissimo appoggio popolare, iniziò una vasta politica di riforme nel paese incontrando però l'opposizione dello Scià e dell'esercito, e fu costretto a ricercare il costante sostegno del Tudeh, il partito comunista locale, che si accingeva a entrare nel governo. Di fronte a tale situazione lo Scià fece destituire l'intransigente primo ministro, ma fu costretto ad abbandonare il paese sollevatosi contro di lui. L’esilio comunque risulterà brevissimo, il sovrano rientrerà alcuni giorni dopo, acclamato dalle folle, grazie all'intervento dell'esercito (e della CIA secondo alcune fonti), mentre veniva deposto l'intransigente Mossadeq. La situazione ritornò alla calma, i diritti britannici sullo sfruttamento delle risorse petrolifere non vennero ripristinati, tuttavia in un clima di piena riconciliazione con gli inglesi, venne raggiunto un accordo su tale materia. l'anno seguente. Negli anni successivi il paese aderì al patto di Bagdad e si allineò alla politica occidentale, le riforme in materia economica, sociale e religiosa vennero portate avanti, ma l'opposizione alla politica autoritaria del monarca non venne meno.
La nascita dello stato d'Israele e i contrasti fra ebrei e arabi in quella regione negli anni dell’immediato dopoguerra hanno avuto scarso rilievo sulle vicende della guerra fredda e hanno costituito una delle tante guerre locali del Medio Oriente. Il governo britannico, interessato a mantenere buoni rapporti con gli arabi, tentò di frenare l'immigrazione e la formazione di uno stato ebraico nella Palestina, tuttavia forti dell'aiuto delle comunità ebraiche di tutto il mondo, gli israeliani raggiunsero il loro obbiettivo. Gli immigrati ebrei provenivano principalmente dall'Europa orientale e centrale, e superiori culturalmente ed economicamente agli arabi, diedero vita ad una fiorente comunità. Lo stato ebraico costituiva però una specie di isola circondata interamente da popoli arabi mussulmani ostili; le comunità israelite, già dagli anni '20 in contrasto con gli arabo-palestinesi, si sentirono perciò costrette ad una politica militare fortemente attiva.
La decisione dell'Assemblea Generale dell'ONU di creare due distinti stati, uno ebraico ed uno mussulmano (oltre alla città di Gerusalemme sotto amministrazione internazionale) non incontrò il favore degli arabi, che essendo numericamente superiori, ritenevano che in un unico stato avrebbero potuto disporre della maggioranza e quindi di pieni poteri nei confronti degli sgraditi vicini. Al ritiro delle truppe britanniche, gli ebrei proclamarono la nascita dello stato di Israele ma vennero attaccati dai palestinesi sostenuti da una grande coalizione di stati arabi. Per quanto superiori numericamente, questi non riuscirono a prevalere e gli israeliani riportarono alcune vittorie, limitate solo dalla minaccia di intervento da parte del governo britannico. La capacità di resistenza degli ebrei non sarebbe stata certamente sufficiente a fronteggiare l'aggressione se le comunità ebraiche mondiali e i paesi comunisti , interessati a contrastare l'influenza inglese nella regione, non avessero contribuito con l'invio di aiuti militari. Le conseguenze del conflitto furono particolarmente gravi per gli arabi. Lo stato palestinese venne a sparire; una parte conquistato dagli israeliani, il territorio della Cisgiordania assorbito dal Regno hascemita della Transgiordania (che diede vita allo stato di Giordania) e il territori a sud di Gaza occupato dagli Egiziani. Oltre 700.000 palestinesi furono costretti a trovare rifugio in Siria, Giordania e Libano in miseri campi profughi, non integrati con le popolazioni locali.
La comune cultura europea del popolo ebraico e le tendenze più marcatamente nazionaliste successivamente manifestatesi dagli arabi, portarono ad un rovesciamento delle alleanze. Francesi e inglesi si impegnarono nel sostegno d'Israele, mentre gli arabi iniziarono a guardare altrove. In quegli anni nel Medio Oriente sorsero nuovi movimenti politici e l'esercito assunse un ruolo di sempre maggiore importanza, favorendo i gruppi politici di tendenze panarabiste e laiciste.
La infelice conclusione del conflitto per il mondo arabo portò ad una situazione d'instabilità interna di quei paesi, di cui ne fecero le spese soprattutto le monarchie filo occidentali. Nel 1951 l'ambizioso re Abdullah di Giordania, fedele alleato della corona britannica, che durante gli anni della guerra aveva represso la rivolta araba a favore dell'Asse, venne assassinato. Al trono salì il giovane monarca Hussein che dovette costan¬temente bilanciare nel corso del suo regno la sua propensione verso l'Occidente con le spinte panarabiste di una parte della popolazione.
Nello stesso anno il governo egiziano di Nahas Pascià denunciò gli accordi anglo-egiziani del '36 riguardanti il presidio del Canale di Suez da parte di truppe britanniche e il condominio comune sul Sudan (sul quale l'Egitto mirava ad esercitare un controllo esclu-sivo). Nel paese scoppiarono numerosi incidenti (culminati negli scontri fra manifestanti e truppe britanniche ad Ismailia) che portarono al rovesciamento della monarchia da parte dell'esercito sotto la guida del generale Neguib e successivamente del più radicale Nasser. Instaurata la repubblica, il nuovo leader arabo si fece promotore di una vasta riforma agraria nel paese, di un programma di industrializzazione, e in politica estera di un forte panarabi¬smo che puntava a creare una leadership egiziana sul mondo arabo. Nel '54 venne sottoscritto un nuovo accordo fra il governo del Cairo e quello di Londra; in base al quale le truppe britanniche lasciavano il Canale, mentre l'Egitto si impegnava a rispettare la libertà di navigazione e a consentire l'uso di basi nel caso di aggressione (ma non proveniente da Israele) ai paesi della Lega Araba o alla Turchia.
L'Egitto di Nasser divenne in breve tempo il primo e più importante alleato dell'Unione Sovietica, tuttavia non venne meno nel nuovo governo del Cairo il forte senso di indipendenza, e l'alleanza non impedì la persecuzione del locale partito comunista. Diversamente dai paesi europei, gli americani ritennero pertanto di tenere un atteggiamento non ostile; secondo il segretario di stato americano Dulles non era possibile una piena adesione del Rais al blocco sovietico ed infatti nel giro di alcuni anni si verificò l'atteso raffreddamento dei rapporti fra il Cairo e Mosca.
Anche nei confronti degli altri paesi arabi la Francia mantenne una politica restrittiva. In Tunisia il governo di Parigi sotto la pressione delle agitazioni delle popolazioni locali e del governo americano dovette accettare una serie di compromessi con l'opposizione araba sempre più vasti fino alla piena indipendenza del paese (marzo '56). Bourghiba, leader del movimento indipendentista, diede vita ad uno stato fortemente laicista, modernizzatore e vagamente socialista, che mantenne comunque una politica estera lontana dall'estremismo. Nel 1958 l'aviazione francese bombardò un villaggio tunisino ai confini con l'Algeria che costituiva una base d'appoggio dei guerriglieri del FLN; l'azione venne condannata e il governo di Tunisi ricorse all'ONU. Le relazioni con il governo francese rimasero pessime anche negli anni successivi e nel 1961 la base di Biserta ceduta ai francesi venne arbitrariamente sgomberata con la forza dal governo tunisino; ulteriori contrasti fra Parigi e Tunisi si ebbero per la nazionalizzazione delle proprietà straniere.
Anche nel Marocco la Francia fu costretta a rinunciare alle sue prerogative. Nel '53 il governo di Parigi depose il sultano Mohammed V, ma proteste e sollevazioni di capi religiosi e politici due anni più tardi, riportarono sul trono il sultano avversato dai francesi e avviarono il paese verso l'indipendenza. Nell'anno succes¬sivo veniva abolita l'amministrazione internazionale di Tangeri e il Marocco si avviava verso una monarchia costituzionale, lontana comunque dalle posizioni intransigenti degli altri paesi arabi.
Nel 1955 la diplomazia britannica mise a punto un importante successo con la realizzazione di un trattato di alleanza fra Turchia (l'antica potenza dominatrice della regione) e Iraq, a cui seguì in tempi brevi l'adesione del Pakistan (suscitando le proteste dell'India) e dell'Iran. La nuova alleanza, conosciuta come Patto di Bagdad o CENTO, che costituì l'ultimo importante atto della Gran Bretagna come grande potenza, ebbe il pieno appoggio della Francia e sia pur con alcune riserve degli Stati Uniti. L'ingresso dei paesi mediorientali nell'alleanza occidentale costituì l'ultimo anello di quella catena di stati che doveva circondare il blocco sovietico dalla Norvegia al Giappone. Diversi stati arabi tuttavia guardavano con sospetto alle mire espansionistiche dell'Iraq nella regione e si organizzarono prontamente in una controalleanza comprendente Siria, Egitto, Arabia Saudita e Yemen.
Il rapporto fra i paesi dell'America Latina e gli Stati Uniti si presentava non molto diverso da quello degli stati africani verso la CEE. I due gruppi di paesi sono legati commercialmente alle due potenze che costituiscono i principali acquirenti delle loro materie prime e i maggiori fornitori di tecnologie e finanziamenti. In alcuni paesi del Centro America società statunitensi erano proprietarie di larga parte delle piantagioni agricole e dei principali sistemi di comunicazione, mentre le popolazioni locali non erano in grado di valorizzare le loro risorse data la mancanza di capitali e di tecnologie per la commercializzazione dei prodotti agricoli e minerari delle loro terre. I paesi poveri del continente americano avevano tutto il diritto di associarsi e di pretendere degli accordi economici più favorevoli, ma la politica delle nazionalizzazioni delle proprietà straniere perseguita da alcuni governi risultava scarsamente redditizia per entrambe le parti.
Nel 1951 il governo del Guatemala presieduto dal colonnello Arbenz Guzman promosse una profonda riforma agraria che prevedeva la nazionalizzazione delle terre in contrasto con la compagnia americana United Fruit che controllava una larga parte della produzione agricola del paese. Il governo degli Stati Uniti riteneva che il governo potesse essere soggetto all'influenza dei comunisti, sospetto confermato alcuni mesi dopo dall'ac-quisto da parte delle autorità guatemalteche di armi dalla Polonia, forse dirette alla costituzione di una milizia. Nel giugno del '54 un esercito di fuoriusciti proveniente da Nicaragua e Honduras con il sostegno statunitense rovesciò il governo di Guzman, sciolsero il partito comunista e annullarono la riforma agraria.
Anche nella ricca isola di Cuba dove era al potere un dittatore che in anni precedenti aveva chiamato al potere esponenti comunisti, si ebbero agitazioni e manifestazioni di protesta. Nel 1953 Fidel Castro alla testa di 200 uomini tentò senza successo l'assalto di una caserma in una regione periferica di Cuba, il leader rivoluzionario venne arrestato, ma due anni dopo venne singolarmente rimesso in libertà.
Grandi fermenti si ebbero anche in Argentina negli anni del governo Peron, i rapporti con gli Stati Uniti furono contrastanti, e secondo alcune fonti il governo americano contribuì alla caduta del regime.
Chiusa la questione coreana e indocinese l'Estremo Oriente non si avviò comunque verso la stabilità; una crisi, con numerosi fasi alterne, si venne a creare per la contesa di alcune isolette di scarso interesse nello Stretto di Formosa. Le isole in questione si trovavano lontano dall'isola principale dei nazionalisti cinesi, a non più di una ventina di chilometri di distanza dalle coste continentali cinesi, e si presentavano pertanto facilmente attaccabili dall'esercito di Pechino.
L'aspirazione del governo comunista di Pechino di eliminare il governo nazionalista arroccato sull'isola di Taiwan ma ancora potente e in grado di sferrare colpi sul continente non venne mai meno. Il giorno stesso dell'intervento americano in Corea il presidente Truman decise che la VII° Flotta presidiasse lo Stretto di Formosa per impedire attacchi contro il governo di Chiang ma anche per evitare improduttive ritorsioni di questa contro il governo comunista. Nel febbraio del '53 Eisenhower annullò l'ordine del predecessore di tenere "separati" i due contendenti ritenendo in tal maniera di distogliere delle forze comuniste impegnate nella guerra di Corea.
L'accordo dell'ottobre '54 con il quale i sovietici si impegnavano a restituire Port Arthur alla Cina prevedeva anche il sostegno sovietico alla eliminazione del governo nazionalista. Anche gli americani avevano preso impegni per garantire la sovranità di Taiwan, limitatamente però alla difesa dell'isola principale e delle vicine isole Pescadores e non anche a quelle costiere la cui difesa sarebbe risultata eccessivamente gravosa.
Il 3 settembre 1954 la Cina popolare iniziò il bombardamento delle isole di Quemoy e Matsu, che seguiva agli sporadici scontri aeronavali dei mesi precedenti. L'intenso cannoneggiamento faceva ritenere che fosse imminente la invasione delle isole. La tensione venne accresciuta da alcune dichiarazioni da parte dell'intransigente Segretario di Stato americano Dulles sull'opportunità che anche le piccole isole costiere fossero incluse nel piano di difesa di Taiwan che suscitò polemiche anche all'interno della NATO.
La condanna ai lavori forzati di tredici aviatori americani dispersi in Corea e l'attacco comunista all'isola di Ykiangschan nel gruppo delle isole costiere delle Tachen, prontamente evacuate, riportò nei mesi successivi la tensione nella regione, dando luogo ad un confronto che avrebbe potuto provocare uno scontro diretto fra Stati Uniti e Cina comunista di non minore gravità di quello avvenuto nella guerra di Corea da poco conclusa. Nel maggio del '55 i cinesi, che già alla Conferenza di Bandung si erano espressi a favore della pace, in maniera abbastanza improvvisa interromperono le operazioni militari senza contropartita; le cause di questo diverso comportamento dei cinocomunisti non sono note, comunque la contesa era, con beneficio per tutta la regione, temporaneamente sospesa.
Nel '55 si ebbe un importante svolta nelle relazioni diplomatiche sovietiche inaugurata da due missioni coronate da esito positivo, l'incontro con Tito a Belgrado e il viaggio di Kruscev e Bulganin nei paesi asiatici (India, Birmania e Afghanistan) che diedero l'avvio alla nuova politica di Mosca verso i paesi neutrali. Ovunque venne cercato il miglioramento delle relazioni commerciali e l'apertura di crediti a favore delle giovani economie dei paesi afroasiatici. La corsa alla ricerca dei consensi nei paesi del Terzo Mondo era iniziata, e i sovietici negli anni successivi con la realizzazione della diga di Assuan in Egitto dimostrarono capacità superiori alle aspettative. Kruscev nei colloqui con i dirigenti jugoslavi apertamente riconobbe la responsabilità della controversia fra i due paesi ai precedenti dirigenti sovietici ed esplicitamente a Berja, e auspicò un riavvicinamento fra i due stati all'insegna dell'indi-pendenza e del rispetto reciproco, ma la risposta di Tito non fu particolarmente entusiasta, pur soddisfatto del miglioramento nelle relazioni, non intendeva reintegrarsi nel sistema sovietico, e negli anni successivi rifiutò la partecipazione alla conferenza dei partiti comunisti a Mosca del '57 e del '60, e sviluppò invece rapporti di collaborazione con la Romania che si avviava a seguire una strada a sé rispetto agli altri paesi dell'Est.
Nell'aprile del '56, in un periodo di relazioni internazionali particolarmente distese si ebbe il primo degli incontri bilaterali dei capi del Cremlino con i capi di governo occidentali del dopoguerra. Kruscev si incontrò con il Premier britannico Eden; i colloqui, nel corso dei quali i sovietici annunciarono la produzione di un missile a testata nucleare, risultarono scarsamente fruttuosi, tuttavia contribuirono al miglioramento del clima politico internazionale.
Il fallimento delle trattative fra USA ed Egitto per il finanziamento della costruzione della diga di Assuan (che avrebbe aumentato di un terzo le terre coltivabili e raddoppiato la produzione di energia elettrica), l'acquisto di armi dalla Cecoslovacchia, e la conclusione del Patto di Bagdad avevano fortemente deteriorato i rapporti fra Egitto e mondo occidentale, anche se nulla poteva far pensare ad una rapida escalation nella regione. Fu l'aperto appoggio del governo di Nasser ai movimenti indipendentistici algerini, confermati dalla scoperta di un carico di armi egiziane dirette in Algeria, e soprattutto la confisca della Compagnia del Canale di Suez con capitale franco-britannico a provocare la definitiva rottura. Il 13 giugno del '56 l'ultimo soldato inglese aveva abbandonato il suolo egiziano, come previsto dall'accordo del '54, e a poco più di distanza di un mese, il 26 luglio il Rais annunciava la nazionalizzazione del Canale di Suez. L'iniziativa che mise in difficoltà i paesi europei e l'Inghilterra, soprattutto per i rifornimenti di petrolio, venne immediatamente contestata ma non si poté impedire l'attuazione del grave provvedimento. Nasser non soddisfatto dell'arbitraria confisca, senza nemmeno un tentativo di rinegoziare l'accordo sullo sfruttamento della via d'acqua, si spinse a respingere quei principi del diritto internazionale che prevedevano la libertà di transito per le vie marittime di interesse internazionale. La situazione venne ulteriormente aggravata dall'attività di guerriglia dei greco ciprioti che mise in difficoltà la importante base aero navale britannica nell'isola di Cipro che garantiva la presenza europea nel bacino del Mediterraneo orientale.
Gli Stati Uniti, si dichiararono per una gestione del Canale da parte di una associa-zione dei principali paesi che usufruivano della importante via marittima. Tale proposta venne approvata da una conferenza internazionale, ma venne respinta dal governo egiziano che ne impedì l'attuazione.
La impossibilità di procedere secondo le decisioni della comunità internazionale spinse i governi di Francia e Inghilterra ad agire diversamente. Il governo socialista Mollet fu il principale sostenitore di un'azione contro l'Egitto; vennero presi accordi con il governo israeliano per un'iniziativa comune, confidando sul fatto che i sovietici non avrebbero avuto modo d'intervenire per motivi logistici nel Mediterraneo. Israele d'altra parte preoccupata per i continui attacchi di fedayin dalla zona palestinese presidiata dagli Egiziani e dal blocco degli Stretti di Tiran da parte degli stessi che impedivano l'accesso all'unico sbocco israeliano sul Mar Rosso, non aspettavano altra occasione per intervenire.
Il governo francese e britannico si accordarono sul piano d'azione contro il Cairo, senza informare gli Stati Uniti e gli altri partner della NATO; il giorno 29 ottobre le truppe israeliane attaccarono l'Egitto penetrando in profondità nel Sinai. Mentre la nazione araba si preparava ad inviare rinforzi oltre il Canale, in quella che si riteneva una delle tante scara-mucce di confine, Francia e Gran Bretagna, il giorno successivo, lanciarono come previsto dai precedenti accordi, un ultimatum ai due contendenti affinché le loro truppe si allontanas-sero dalla importante via d'acqua; il governo israeliano accettò la richiesta (avendo raggiunto il proprio obbiettivo), ma gli Egiziani, che avrebbero in tal modo dovuto rinunciare ad una parte del proprio territorio, respinsero la richiesta.
Il giorno 30 si tenne la convocazione del Consiglio di Sicurezza su richiesta del governo americano che già aveva inviato un messaggio a Israele chiedendo la cessazione dei combattimenti e il ritiro delle truppe. Vennero discusse due risoluzioni presentate da americani e sovietici dove si chiedeva il ritiro immediato delle truppe israeliane e il divieto di prestare aiuto allo stato ebraico, che non ebbe attuazione a causa del veto franco-britannico che indirettamente costituivano una sanzione al loro comportamento.
Scaduto il perentorio ultimatum presentato dai due governi europei, il 31 ottobre iniziarono i bombardamenti sugli aeroporti egiziani da parte dell'aviazione francese e britannica di stanza a Cipro e da alcune portaerei al largo del Mediterraneo, che sconvolsero le difese egiziane.
Alcuni hanno visto nella presa di distanza americana dall'iniziativa franco britannica un'azione scorretta alle spalle di quest'ultimi intrapresa per ribadire la supremazia degli Stati Uniti sul vecchio continente. Lo scambio di note fra i governi occidentali fa invece ritenere che si sia trattato di un gesto di buon senso del presidente americano, impegnato negli stessi giorni dalle elezioni presidenziali, contrario ad un possibile allargamento del conflitto, d'altra parte francesi e inglesi avevano messo di fronte al fatto compiuto gli americani, e non ebbero la solidarietà nemmeno dei partner europei della NATO, molto interessati alla questione del libero accesso al Canale.
L'Egitto ruppe le relazioni diplomatiche con Parigi e Londra, ordinò la mobilitazione generale, e ricorse ad una misura che si rivelò estremamente efficace, il blocco del Canale, che insieme alla chiusura degli oleodotti in Siria provocò gravi conseguenze all'approvvigionamento di petrolio da parte dei paesi europei. Gli altri stati arabi evitarono tuttavia interve¬nire contro l'aggressione israeliana e gli egiziani furono pertanto costretti ad abbandonare precipitosamente il Sinai per evitare l'accerchiamento dell'esercito.
Nelle rispettive sedi parlamentari, non mancarono critiche ai due capi di governo francese ed inglese, che comunque con un certo sforzo riuscirono ad ottenere l'approvazione della loro politica (270 voti contro 218 a Londra ed una maggioranza ancora più ampia a Parigi, 366 voti contro 182).
Il 4 novembre l'Assemblea Generale dell'ONU approvò una risoluzione presentata dal Canada in cui si chiedeva la costituzione di una forza di pace delle Nazioni Unite che sembrò non trovare la disapprovazione degli inglesi, più disponibili al negoziato dei loro colleghi di Parigi, ma che non impedì agli stessi e ai francesi di continuare il piano d'azione intrapreso. Il giorno seguente, come previsto, i paracadutisti francesi occuparono Porto Fuad, all'estremità nord del Canale e gli inglesi Porto Said sul lato opposto.
Nella seduta del Consiglio di Sicurezza dell'ONU del giorno stesso il rappresentante sovietico propose un intervento comune con gli Stati Uniti per far cessare l'intervento franco-britannico, ottenendo il deciso rifiuto del delegato americano, il quale sostenne che era completamente fuori luogo un'azione comune contro le nazioni europee specie nel momento in cui le divisioni sovietiche stavano portando a termine l'aggressione contro l'Ungheria. Contemporaneamente l'Unione Sovietica, bruciando le tappe, inviò un messaggio di eccezionale gravità ai governi di Francia, Gran Bretagna e Israele in cui si portava a conoscenza
che la situazione era tale da provocare lo scoppio di una terza guerra mondiale, ed esplicitamente prospettava la possibilità di ricorrere ad attacchi missilistici contro i paesi europei.
Gli Stati Uniti con i quali i governi francese ed inglese immediatamente si consulta-rono, espressero ad essi la loro solidarietà sia pure senza prendere impegni sull'azione che avrebbero condotto nel caso di aggressione o di una flotta russa che avesse portato soccorso all'Egitto.
L'Unione Sovietica, dove vi era stata la formazione di gruppi di "volontari" pronti ad intervenire a difesa dello stato egiziano analogamente a quanto successo in Cina durante la guerra di Corea, informò il governo turco che la flotta avrebbe attraversato gli Stretti, contemporaneamente gli Stati Uniti decisero lo stato d'allerta delle forze americane. Il giorno successivo, le truppe franco britanniche sbarcavano nella zona del Canale nelle zone già presidiate dai paracadutisti, con il supporto massiccio (il primo nella storia) di truppe eli-trasportate e rapidamente dilagavano su tutto il Canale. Al tempo stesso però, sotto la pressione del suo stesso partito, il premier britannico Eden fu costretto a cedere e informava di essere disponibile alla sostituzione delle sue truppe da parte di quelle dell'ONU, alla notizia anche i francesi, sia pure con maggiore riluttanza, si adeguavano alla decisione. Israele accettò di ritirarsi dal Sinai non senza l'assicurazione che truppe dell'ONU presidiassero gli Stretti di Tiran e i campi palestinesi di Gaza, e nel dicembre i franco britannici completavano lo sgombero del Canale.
Eden fu costretto alle dimissioni di lì a poco, e per la Gran Bretagna come per la Francia la faccenda costituì un grave scacco, avendo perso il sostegno di numerosi paesi afroasiatici e al tempo stesso dimostrando di non disporre della forza per una iniziativa internazionale autonoma. Guy Mollet commentando successivamente gli avvenimenti di fronte alle camere sostenne che "Tra un'America che a volte è troppo impulsiva e a volte troppo lenta a comprendere la dimensione del pericolo e un'Unione Sovietica inquietante e talvolta ancora minacciosa nel proprio atteggiamento, abbiamo sperato in un'Europa unita, attiva, quale forza mondiale, non neutrale ma indipendente".
L'insuccesso di Francia e Gran Bretagna nella crisi di Suez segnò una svolta in Medio Oriente. Numerose furono le aziende e le proprietà nazionalizzate, mentre la regione venne investita da un grande fermento che minacciava di spazzare via tutti i regimi filo occidentali.
Il 5 gennaio del 1957 a due settimane di distanza dal ritiro delle truppe franco britanniche dal Canale di Suez il presidente Eisenhower chiese al Congresso (piano d'azione che passò alla storia come "dottrina Eisenhower") la autorizzazione ad intervenire con sostegni economici ed aiuti militari ai paesi arabi che fossero aggrediti o sottoposti alla pressione anche indiretta di Mosca. A tale iniziativa i sovietici contrapposero una iniziativa di pace consistente nella neutralizzazione del Medio Oriente attraverso l'eliminazione delle basi militari, il ritiro di truppe straniere, e il divieto di fornire armamenti a quei paesi. La proposta venne respinta; i sovietici in quel momento non disponevano di basi militari in quella regione e quindi lo sgombero avrebbe riguardato esclusivamente le forze occidentali inoltre la neutralizzazione della regione avrebbe consentito a Nasser, all'apice della sua potenza, di assumere il ruolo di leader incontrastato del popolo arabo.
I paesi già aderenti al Patto di Bagdad, la Libia, il Libano, la Tunisia , il Marocco, e l'Afghanistan accettarono la "tutela" americana; il re Saud di Arabia, in contrasto con l'Irak non accettò, tuttavia sottoscrisse un'importante accordo (rinnovo della concessione di basi militari e forniture militari) con gli Stati Uniti.
La Giordania conobbe in quegli anni una delle sue numerose crisi, sotto l'impulso della piazza il sovrano fu costretto a ritirare i suoi propositi di adesione al Patto di Bagdad, e nel '57 un governo formato da nasseriani, palestinesi ed alcuni esponenti comunisti, arrivò alla denuncia del trattato di alleanza con l'Inghilterra. Nell'aprile il governo ritenuto una minaccia alle istituzioni, venne rovesciato dal re che instaurò la legge marziale nel paese. L'Irak dichiarò di essere pronta ad intervenire qualora re Hussein, cugino di secondo grado di Feisal, fosse stato in pericolo; gli Stati Uniti offrirono aiuti economici al piccolo stato, e la VI° Flotta venne inviata a presidiare il Mediterraneo orientale; nonostante i moti di piazza la corona riuscì a resistere ed il paese ritornava successivamente verso la normalità.
In Siria dopo i numerosi colpi di stato susseguitesi dal '49, nel '54 si instaurò un governo militare filo nasseriano sotto la guida del generale Kuatli che nei mesi successivi si rivolse all'Unione Sovietica per aiuti economici e militari. Nell'estate del '57 mentre i comunisti iniziavano la loro scalata al potere in Siria, il governo di Damasco espulse tre diplomatici americani accusati di complotto, mentre un clima di tensione si instaurò con la Giordania per gli aiuti militari forniti ad essa dagli Stati Uniti, e con la vicina Turchia per questioni di confine.
In seguito ad alcuni incidenti di frontiera fra Ankara e Damasco, il 9 ottobre di quell'anno Kruscev accusò gli Stati Uniti di voler aggredire lo stato siriano attraverso l'alleato turco, e con una nota diplomatica estremamente pesante, in cui si rammentava il pericolo di una vasta guerra (non diversamente da quanto aveva fatto nell'ottobre precedente in occasione della crisi di Suez) intimò di astenersi da azioni di interferenza verso lo stato siriano, nel quale erano già presenti milizie egiziane.
Gli americani non accettarono l'intimidazione e richiesero che fosse costituita una commissione di inchiesta internazionale per accertare eventuali violazioni alla frontiera turco-siriana, e con l'intervento dell'ONU si giunse ad una mediazione.
Nello stesso periodo si svolsero importanti trattative fra Siria ed Egitto che diedero vita, nel febbraio del 1958, alla Repubblica Araba Unita che di fatto costituiva una annessione del fragile stato siriano da parte del governo egiziano; ad essa seguì non molto tempo dopo l'adesione del regno yemenita, ma numerosi furono i segnali contraddittori. In Siria il locale partito comunista venne perseguitato, ma al tempo stesso Nasser con un viaggio a Mosca, sanciva la solidarietà fra i due stati, e raccolse un importante risultato, il finanzia¬mento da parte dei russi della diga di Assuan, che aveva costituito uno dei grandi obbiettivi del leader arabo.
A poche settimane di distanza dalla creazione del RAU, i monarchi di Giordania e Irak diedero vita ad un'Unione Araba fra i due stati, ma a Bagdad, la situazione da tempo già turbolenta, sfociò in una rivolta popolare e nel colpo di stato da parte di elementi nasseriani dell'esercito seguita dall'assassinio di Feisal. L'Unione prevedeva che qualora a Bagdad venisse a mancare il sovrano, Hussein venisse a subentrare a questi, ma non disponendo della forza necessaria per imporre tale situazione, il giovane re preferì scindere l'Unione e chiedere immediatamente l'intervento delle truppe britanniche, che inviarono un contingente di 2.500 uomini ad Amman. Il nuovo governo irakeno evitò comunque posizioni eccessivamente radicali, il partito comunista venne tenuto lontano dal potere e vennero mantenuti buoni rapporti con Gran Bretagna e Stati Uniti.
La situazione nel mondo arabo mussulmano era già molto complessa quando si profilò nel vicino Libano una nuova crisi. Il piccolo stato arabo si reggeva su un difficile equilibrio fra le varie comunità esistenti; in base alla costituzione la presidenza della repubblica spettava ad un cristiano, la presidenza del governo ad un sunnita, mentre la presidenza del parlamento spettava ad uno sciita. I cristiani maroniti, che costituivano la comunità più forte dal punto di vista economico, propendevano ad una politica di buoni rapporti con l'Occidente, mentre i mussulmani erano favorevoli al panarabismo e guardavano con interesse al nazionalismo egiziano. Nel maggio del 1958 la situazione precipitò; gravi scontri si verificarono a Beirut e a Tripoli provocati dai drusi, il principale gruppo sunnita, e dalle altre comunità mussulmane, contro il presidente cristiano Chamun, il quale denunciò attività illecite contro lo stato da parte di Siria ed Egitto. Su richiesta dello stesso presidente nel giugno gli Stati Uniti inviarono truppe nel Libano, che tuttavia non si impegnarono direttamente nel conflitto. L'intervento ebbe ovviamente riflessi sul piano diplomatico; gli americani, che ritenevano la questione libanese non particolarmente degna di interesse, chiesero l'invio di caschi blu a sostituire il proprio contingente, richiesta che venne respinta dai sovietici, i quali in un messaggio inviato ai governi di Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, e India affermavano che l'intervento americano e quello analogo britannico in Giordania avrebbe potuto produrre un aggravamento della tensione nella regione e gravissime conseguenze nel mondo; la nota si concludeva comunque con la richiesta di un incontro dei cinque governi insieme al segretario dell'ONU.
Il governo De Gaulle prese le distanza dall'iniziativa americana, dando inizio a quella serie di contrasti con il governo degli Stati Uniti che caratterizzò il periodo successivo, mentre i paesi della Lega Araba richiesero all'ONU che le potenze occidentali e quelle comuniste si astenessero da azioni in Medio Oriente; richiesta che venne approvata dall'Assemblea Generale all'unanimità, Israele compresa. Nel settembre si raggiunse un accordo fra le fazioni libanesi e le truppe americane poterono lasciare il paese.
Dopo lo sconvolgimento operato da Nasser, l'Unione Sovietica migliorava notevol-mente le sue posizioni, l'Europa perdeva le sue ultime zone d'influenza nel Medio Oriente, solo in parte sostituite da quelle americane, mentre il mondo arabo si avviava a quella situazione di instabilità politica che ha caratterizzato gli ultimi anni di quella regione.
Nel giugno 1961 si ebbero due importanti eventi, il tentativo dell'Irak di mettere le mani sul piccolo ma ricchissimo stato del Kuwait, che da pochi giorni aveva raggiunto la piena indipendenza, (impedito dall'intervento di truppe britanniche, e da un contingente della Lega Araba), e la rottura del RAU. Il governo siriano resosi conto che l'unione con il Cairo significava la sottomissione al Rais egiziano, che intendeva imporre uomini di propria fiducia alle massime cariche dello stato, decise di rompere l'accordo. Nasser lanciò una serie di minacce contro Damasco ma non si sentì di inviare truppe egiziane a reprimere la rivolta e dovette accettare il fatto compiuto; poco dopo anche il governo yemenita decideva di denunciare l'accordo con il Cairo ponendo fine all'opera politica del Rais.
Il 1963 rappresentò tuttavia un anno di grande ripresa per il movimento nasseriano. Un colpo di stato militare in Irak impose al paese un governo socialista e fortemente filo egiziano, seguito poco dopo da un analogo atto di forza a Damasco da parte del partito Baas, che se non mise fine all'instabilità politica del paese, diede una svolta in senso radicale al governo dello stato. Egitto, Irak, e Siria diedero vita nell'aprile ad una nuova unione nazionale, che risultò tuttavia non più stabile della precedente. Contemporaneamente truppe egiziane intervenivano con scarso successo nello Yemen, dove si combatteva una lunga e sanguinosa guerra civile.
In quegli anni l'Unione Sovietica registrò alcuni importanti successi. Nell'ottobre del '57 si ebbe una notizia che fece scalpore nell'opinione pubblica americana e mondiale, l'Unione Sovietica aveva messo in orbita il primo satellite artificiale, lo Sputnik (e nel '61 il brillante risultato venne confermato con il lancio del primo uomo nello spazio). Già nei mesi precedenti la stampa sovietica aveva parlato della realizzazione di un missile intercontinen¬tale ma non essendo stata possibile alcuna verifica si era ritenuto che si trattasse di una di quelle uscite clamorose prive di fondamento degli anni dello stalinismo. La notizia era sconvolgente per almeno due motivi, il primo che la tecnologia di un paese comunista aveva scavalcato (ma negli anni successivi si comprese che si trattava di un successo isolato) quella dei paesi liberi, il secondo motivo di apprensione era che se i sovietici disponevano di un vettore capace di mettere in orbita nello spazio un satellite disponevano anche di un mezzo per colpire il continente americano, fino allora ritenuto quasi invulnerabile.
Parlando dei recenti successi sovietici Kennedy con notevole allarmismo scrisse: "Ci stiamo rapidamente avvicinando a quel pericoloso periodo... in cui le nostre possibilità offensive e difensive mediante i missili avranno un tale distacco rispetto a quelle sovietiche da porci in condizioni di grave pericolo" e non molto tempo dopo in un congresso del partito democratico sostenne che: "I russi ci battono nella gara spaziale... Mezza Indocina è sparita oltre il sipario di ferro. Il Tibet e l'Ungheria sono rimasti schiacciati. Per la prima volta nella sua storia la Russia ha realizzato quel che cercava da secoli, di metter piede nel Medio Oriente... E intanto siamo costretti ad abbandonare il Patto di Bagdad, a mandare i marines in Libano, la flotta a Formosa".
Una svolta nelle relazioni fra mondo occidentale e Unione Sovietica non si ebbe nemmeno quando, eliminato Molotov e gli altri esponenti stalinisti del cosiddetto "gruppo antipartito" e cumulate nella stessa persona di Kruscev le massime cariche dello stato, sembrava che la nazione sovietica avesse rotto i legami col passato. In occasione del 40° anniversario della Rivoluzione d'ottobre si tenne a Mosca una grande conferenza dei rappresentanti di 64 partiti comunisti. Venne formulato un appello per la pace, che più che un invito ai popoli di stabilire giuste e pacifiche relazioni significava la richiesta di resa senza condizione da parte dell'Occidente. La Cina anche intervenne al dibattito, Mao in quella occasione affermò che una guerra nucleare sarebbe stata un'eventualità non del tutto negativa, una metà dell'umanità sarebbe sparita ma lo scontro si sarebbe concluso con l'ineluttabile vittoria del socialismo.
Alla fine del '57 il ministro degli esteri polacco Rapacki presentò un'importante proposta sul disarmo: la creazione di una vasta zona denuclearizzata comprendente le due Germanie, la Polonia e la Cecoslovacchia, che costituivano in quel momento il territorio europeo con più alta concentrazione di armamenti, e dove si riteneva che un eventuale scontro fra le massime potenze avesse più possibilità di verificarsi. Vi furono delle trattative, ma con scarsi risultati, i paesi della NATO, che in fatto di armamenti convenzionali dispone-vano di una forza inferiore al Patto di Varsavia, ritenevano che l'eliminazione delle armi atomiche avrebbe favorito maggiormente la controparte; gli occidentali condizionarono quindi il problema del disarmo con quello della riunificazione tedesca e sollevarono il problema oggettivamente spinoso dei reciproci controlli; l'iniziativa polacca per quanto non priva di un certo interesse, non ebbe pertanto alcun seguito.
Le spese per gli armamenti per la non florida economia sovietica rappresentava un problema considerevole. Non solo il Cremlino doveva destinare una parte non irrilevante del reddito nazionale (il 17% secondo fonti della CIA contro il 6% degli USA) per il bilancio della difesa, ma si vedeva costretta ad impegnare larga parte delle sue migliori risorse, anche intellettuali, nel campo militare a discapito dei settori economici produttivi. Nell'agosto del '55 l'URSS decise una riduzione degli effettivi di 640.000 unità, seguita da un ulteriore riduzione nel maggio dell'anno successivo di 1.200.000 uomini portando quindi le forze armate da 5,8 milioni di effettivi a circa 4 milioni. Dopo alcuni anni, dal momento che l'esercito di massa non aveva più ragione d'esistere, venne stabilito che gli uomini impegnati nelle forze armate non dovesse superare i 2,4 milioni di uomini ma tale progetto venne sospeso nell'estate del 1961 in seguito al riaccendersi della questione di Berlino.
La situazione nel campo delle forze convenzionali non era comunque molto migliorata rispetto agli anni precedenti; nel 1960 la NATO disponeva di 21 divisioni contro le 175 dell'URSS pari a 2 milioni e mezzo di soldati.
Di fronte ai successi sovietici nel dicembre del '57 Eisenhower propose agli alleati europei la creazione di un arsenale atomico a disposizione dell'alleanza stessa con il cosiddetto sistema della "doppia chiave", e l'installazione di missili con testata nucleare (Jupiter e Thor) in Europa; Gran Bretagna, Italia e Turchia accettarono la proposta mentre Francia, Danimarca e Norvegia rifiutarono la presenza di armi nucleari sul proprio territorio.
Nei primi anni Sessanta gli americani compirono ulteriori progressi con la realizzazione dei missili Atlas (a più lunga gittata e meno vulnerabili dei precedenti) e i Polaris, in grado di essere lanciati da sottomarini in immersione; nel '62 gli Stati Uniti avevano colmato il distacco sul piano missilistico e si erano portati in una situazione di vantaggio almeno qualitativo rispetto all'URSS.
Nel marzo dell'anno successivo l'Unione Sovietica, accogliendo una richiesta di numerosi scienziati da tutto il mondo, decise la sospensione degli esperimenti nucleari, con la condizione che le altre potenze si associassero all'iniziativa. Gran Bretagna e Stati Uniti accettarono immediatamente, ma non altrettanto fece il governo gollista francese, che intendeva perseguire una politica autonoma. A fine anno si aprì comunque la conferenza sulla cessazione degli esperimenti nucleari fra le potenze che avevano accettato l'accordo di massima, ma non si ebbero risultati, mentre due nuove crisi (Formosa e Berlino) si aprivano all'orizzonte riportando la tensione internazionale a livelli molto alti. Nel novembre si tenne la conferenza sulla prevenzione degli attacchi di sorpresa (le nuove armi richiedeva¬no tempi di intervento brevissimi), Kruscev in quella sede lanciò una proposta per un patto di non aggressione fra la NATO e il Patto di Varsavia, la creazione di una zona demilitarizzata nell'Europa centrale, e il ritiro delle truppe straniere in Europa, accordo sostanzialmente più sfavorevole alle forze occidentali. Il fallimento delle trattative sul disarmo e sulla creazione di zone denuclearizzate, avveniva invariabilmente sulla questione dei controlli; l'unica forma ammessa di controllo da parte dei sovietici era quella autorizzata dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU, dove i medesimi disponendo del diritto di veto, erano in grado di eliminare iniziative non gradite. La "coesistenza pacifica" così come venne presentata dai nuovi dirigenti di Mosca del resto non convinceva eccessivamente gli americani; secondo il Foster Dulles "Quando lui [Kruscev] parla di pacifica competizione intende parlare di una competizione che deve interamente svolgersi nel nostro campo, lasciando intatto il suo. La coesistenza pacifica che lui vuole significa pace nelle nazioni a regime comunista e disordine nelle altre".
Il 22 agosto 1958 improvvisamente si riaccesero le ostilità fra la Cina maoista e quella nazionalista dopo tre anni di precaria tranquillità. L'artiglieria comunista aprì il fuoco sulla contestata isola di Quemoy, che i nazionalisti ostinatamente intendevano conservare nonostante che non avesse grande interesse per la difesa di Taiwan.
La solidarietà sovietica all'alleato cinese fu particolarmente ampia anche se da lì a poco le relazioni fra i due paesi iniziarono a deteriorarsi. Kruscev chiese il ritiro delle forze armate americane dall'isola, e affermò che un attacco contro la Cina sarebbe stato considerato equivalente ad un attacco contro l'Unione Sovietica, anche se in realtà nulla faceva pensare ad un contrattacco degli Stati Uniti contro Pechino. Nei giorni successivi un nuovo messaggio dai toni ancora più duri e contenente espressioni al limite dell'ingiurioso, venne inoltrato a Washington, che lo respinse come inaccettabile. Nelle sue memorie Gromiko riferisce di un colloquio con Mao del '58 nel corso del quale il Grande Timoniere esprimeva la propria propensione (o almeno disponibilità) ad arrivare ad una guerra diretta con gli Stati Uniti; tale proposta non venne però accettata favorevolmente dai dirigenti sovietici .
Chiang Kay Shek non aveva mai nascosto al sua volontà di rimettere piede sul continente e l'anno precedente aveva deciso l'installazione di missili balistici che minaccia-vano seriamente l'altra Cina. La posizione americana fu invece prudente, Dulles che negli anni precedenti aveva affermato che la difesa dell'Asia dal comunismo era uno degli obbiettivi principali del proprio governo, si limitò a sostenere che gli Stati Uniti si riservavano di assumere alcune iniziative contro l'aggressore ma solo a carattere difensivo. All'interno del partito democratico le opinioni non erano diverse, lo stesso Kennedy riteneva utile a certe condizioni la difesa delle due isole, sebbene non strettamente necessarie alla difesa di Formosa. Gli alleati europei suggerivano soluzioni più prudenti, e il governo britannico dichiarò espressamente di non sentirsi impegnato alla disputa sulle isole in questione.
La tensione internazionale salì nei giorni successivi quando i cino-comunisti aprirono il fuoco contro un convoglio diretto a Quemoy scortato da navi della VII° Flotta, ma il governo americano evitò ritorsioni e fece anzi conoscere di essere disponibile a negoziati e a ridurre la propria presenza militare a Quemoy, qualora i comunisti cessassero il cannoneggiamento dell'isola.
Nelle settimane successive i bombardamenti contro l'isola diminuirono d'intensità, e il 23 ottobre, dopo un incontro con il segretario di stato americano, il governo di Taiwan dichiarò di non rinunciare alla missione di liberare la Cina dal comunismo, ma di non ricorrere all'uso di mezzi aggressivi a tale fine (ciò che in sostanza i cino-comunisti si attende¬vano) e di essere disponibile a ridurre le proprie forze presenti a Quemoy qualora la controparte cessasse l'aggressione contro l'isola. Venne stabilita una fragile tregua che comunque riuscì a reggere; la Cina comunista non riuscirà a eliminare questa spina nel fianco e nel '59 e nel '62 si ebbero nuovi sporadici scontri a Quemoy.
Chiusa la questione dell'Estremo Oriente con un sostanziale nulla di fatto, si riapriva la più grave questione sul futuro della nazione tedesca. I sovietici si erano opposti al principio che la Germania fosse retta da un governo sorto sulla base di libere elezioni e ritenevano invece che il futuro della nazione dovesse essere stabilito da accordi fra il governo di Bonn e quello di Pankow. E' evidente che la soluzione prospettata dai sovietici non poteva avere che due tipi di sviluppo, o una soluzione democratica, che avrebbe portato quindi alla sparizione dell'impopolare governo comunista, oppure un generico accordo di normalizzazione fra i due governi e il mantenimento dello stato di fatto. All'interno della questione tedesca si presen¬ava il problema drammatico di Berlino. Le due parti della città avevano avuto uno sviluppo profondamente diverso; la parte ovest si era ripresa in maniera brillante dalle rovine della guerra, presentava tutti i caratteri della fiorente città industriale tedesca, mentre la parte incorporata nel mondo comunista si presentava arretrata e decisamente più povera. La ex capitale costituiva comunque, nonostante le restrizioni della polizia comunista, una facile via di fuga per quei cittadini tedeschi che intendevano sottrarsi al regime comunista. Il numero di fughe in Occidente era stato molto alto, dal 1949 al 1961 oltre due milione e mezzo di cittadini, circa il 15% della popolazione, avevano raggiunto la Germania Occidentale. Il fenomeno provocava serie difficoltà al regime tedesco orientale, dal momento che erano proprio i giovani e i cittadini con più elevate capacità professionali ad abbandonare il paese.
Nel novembre del 1958 Kruscev fece un annuncio che suscitò sgomento fra i tedeschi e in tutto il mondo occidentale. Il capo del Cremlino comunicò ai paesi firmatari degli accordi di Potsdam che la città di Berlino sarebbe diventata una città libera, smilitariz-zata, e svincolata dalla autorità dei due stati tedeschi, riguardo alle comunicazioni, e questo costituiva il passaggio chiave, la nuova amministrazione della città doveva prendere contatti con la Repubblica Democratica Tedesca. Alla futura "città libera" di Berlino veniva richiesto inoltre, di astenersi da attività che potessero recare pregiudizio alla repubblica comunista; in pratica attività, come quelle di una radio che svolgesse propaganda ritenuta antisovietica, avrebbe dato diritto di intervento alle autorità della DDR. I sovietici affermarono infine che se entro sei mesi non si fosse giunti ad un accordo fra le quattro potenze, Mosca avrebbe unilateralmente trasferito i suoi diritti sulla parte orientale della città alle autorità di Pankow.
Il gradimento dei cittadini di Berlino Ovest alla proposta presentata da Mosca venne messo in luce dai risultati delle elezioni amministrative tenute nei giorni successivi, dove il partito comunista riportò l'1,9% dei voti contro il 2,7 % delle consultazioni elettorali precedenti.
La risposta dei paesi occidentali non poteva essere che un deciso rifiuto, accompa-gnato comunque dall'invito a riprendere le conversazioni sulla questione tedesca (che costituiva la sede più idonea per discutere del destino di Berlino) e la sicurezza europea. Lo stesso Kennedy, allora senatore, metteva in guardia sulla situazione: "Io credo sia possibile giungere coi russi a un modus vivendi, specialmente se essi si convincono che un attacco a fondo contro le nostre posizioni a Berlino significherebbe la guerra... Sin dal 1945 la Germania occidentale è stata un grande obbiettivo della politica russa. Se i russi mettessero in pericolo le nostre posizioni in quella zona, io ritengo che ciò sfocerebbe nell'azione militare, perché sono convinto che noi ci batteremo" . Il comandante della NATO si espresse per forzare un eventuale blocco con l'invio di unità corazzate, ma vennero cercate altre soluzioni. Il premier britannico Mac Millan a tale scopo nel febbraio si recava a Mosca per ricercare una soluzione al conflitto; l'incontro si concluse con la convocazione di un nuovo incontro a quattro.
Nel mesi successivi, anche in seguito all'incontro informale del ministro russo Mikoyan, con esponenti del governo americano, Mosca precisò la sua posizione; ammise implicitamente che non vi fossero scadenze perentorie, si dichiarava disponibile a negoziati sulla questione tedesca, anche se su una base scarsamente accettabile per tedeschi e occidentali. Secondo il Cremlino la futura Germania doveva rinunciare ad entrare in alleanze militari, rinunciare ad armamenti pesanti, (proposta fin qui plausibile), ma doveva anche accettare come definitivo i confine orientale sull'Oder-Neisse (confine ritenuto espressamente inaccettabile da Bonn) mentre il nuovo stato doveva sorgere da colloqui diretti fra i due governi, e fintanto che l'unificazione non fosse stata raggiunta, Berlino doveva considerarsi città libera (che significava sottoposta ad un controllo di fatto da parte della DDR in materia di comunicazioni). Per gli occidentali, poi giungere ad un trattato di pace non con il nuovo governo tedesco, ma attraverso trattative con i due governi separati, come richiesto dall'URSS, rappresentava un autentico regresso rispetto alle posizioni precedenti. Il comportamento dei sovietici agli occhi dell'opinione pubblica mondiale, in quella che sarà chiamata la seconda crisi di Berlino, metteva in luce ciò che essi intendevano per rispetto dei diritti dei popoli e democrazia, disarmo e distensione internazionale.
Una esposizione di prodotti americani a Mosca diede l'occasione di un incontro informale fra l'allora vice presidente Nixon e il capo del Cremlino. In quello che passò alla storia come "il dibattito della cucina" (i due tennero un colloquio all'interno di uno stand di arredamento per la casa) non si ebbero progressi e in quella occasione Kruscev si lasciò andare ad una serie di atti poco protocollari di collera per i quali rimase famoso.
A maggio si aprì la nuova conferenza di Ginevra, dove gli occidentali presentarono un complesso piano di pace che costituiva una sintesi fra le posizioni occidentali e quelle sovietiche, e prevedeva contatti bilaterali fra i due governi tedeschi, garanzie a favore dell'Europa orientale in materia di sicurezza, limitazioni del potenziale bellico tedesco, ma anche elezioni pantedesche che costituivano il consueto punto (e di non piccola importanza) di attrito fra i due blocchi.
I sovietici presentarono delle proposte relativamente innovative: riconoscimento dei due governi tedeschi, ritiro di tutte le truppe straniere, divieto per la futura Germania riunificata di far parte di alleanze militari, ma senza esporre elementi precisi su come arrivare all'unificazione. Gli occidentali avevano ragione di credere che Mosca intendesse attuare solo la prima fase, riconoscimento dei due governi e non anche arrivare ad una soluzione completa del problema. Il compromesso non fu quindi raggiungibile, per i sovietici le elezioni significavano la totale eliminazione dei comunisti dallo scenario tedesco, e richiedevano un disarmo totale e non parziale della Germania; prolungatasi fino all'estate, la conferenza si concluse con un aggiornamento sine die. Comunque la riunione si chiuse con almeno una nota positiva, l'offerta da parte di Eisenhower di un incontro a Washington con il leader sovietico con la promessa di restituire la visita quanto prima.
I leader sovietici conoscevano poco le lingue, avevano viaggiato pochissimo e i rapporti sull'Occidente erano spesso viziati dal servilismo dei funzionari di grado inferiore, il viaggio di Kruscev negli States nel settembre di quell'anno, il primo di un capo di stato sovietico, costituì una grande novità, tuttavia diede risultati modesti. Come nelle numerose occasioni diplomatiche che si successero negli anni della guerra fredda, si parlò di relazioni pacifiche, di spirito di collaborazione, che non ebbero alcun risultato sul piano concreto se non un generico impegno a risolvere le questioni internazionali senza ricorrere all'uso della forza. Commentando il viaggio di Kruscev che aveva dato vita a numerosi episodi curiosi, il senatore Kennedy sostenne che "Fino a quando Kruscev sarà convinto che l'equilibrio delle forze pende dalla parte sua, non si lascerà indurre al negoziato né dal sorriso né dal cipiglio, né dai discorsi di Camp David né dalle dissertazioni culinarie... Noi dobbiamo ricostruire la nostra forza, e la forza del mondo libero; dimostrare ai sovietici che il tempo e la storia non lavorano per loro, che l'equilibrio delle forze non si sposta a loro vantaggio; e che quindi un accordo pacifico è indispensabile per la sopravvivenza nostra e loro" . Nonostante le numerose difficoltà nel dicembre venne firmato il trattato sullo sfruttamento dell'Antartico e l'uso pacifico dello spazio, che rappresentava un piccolo passo sulla strada della distensione.
La scarsa conoscenza di quanto avveniva nei paesi d'oltre cortina, e delle potenziali-tà belliche dell'Unione Sovietica, anche dopo le riforme del periodo successivo a Stalin costituì uno degli elementi che impedirono progressi in materia di disarmo e relazioni pacifiche. La necessità di controllo del territorio nemico, spinse gli americani ad istituire un sistema di sorveglianza, che venne affidato a veloci aeroplani, gli U2 in grado di volare ad una quota di 24.00 metri, e pertanto difficilmente intercettabili dai sovietici.
Il 1° maggio del 1960 i sovietici riuscirono ad abbattere uno degli aerei-spia, a catturare il pilota e a recuperare il rottame dell'aereo; presentarono l'accaduto alla stampa internazionale e denunciarono gli Stati Uniti per la grave violazione commessa. Una volta messi alle strette gli americani dovettero ammettere l'episodio di spionaggio ed Eisenhower, nonostante pressioni in senso contrario, si assunse la responsabilità della missione giustificando l'episodio come un metodo per prevenire attacchi di sorpresa da parte dei sovietici. Kruscev a nome dello stato sovietico pretendeva scuse formali da parte degli americani e l'impegno che avrebbero rinunciato nel futuro al compimento di analoghe missioni; all'apertura del vertice dei quattro che si tenne a Parigi il 16 maggio pose tale richiesta come condizione per l'apertura dei lavori. Eisenhower promise soltanto che nel futuro sarebbero state annullate le missioni spionistiche ma ovviamente non ritenne di porgere le scuse e la conferenza si chiuse immediatamente; comunque diversi fattori facevano ritenere che le trattative sarebbero riprese nel giro di alcuni mesi.
Nei mesi successivi il Cremlino mantenne alta la polemica contro gli Stati Uniti “nemici della pace”, campagna ritenuta probabilmente utile in vista delle imminenti elezioni presidenziali americane. Il 1° luglio dello stesso anno venne abbattuto un aereo americano (non in missione spionistica) sul mar di Barents in acque internazionali per gli americani. A settembre Kruscev in un intervento all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in una seduta speciale dove erano presenti numerosi capi di stato, denunciava il governo degli Stati Uniti di banditismo, e chiese che l'ufficio di segretario generale dell'ONU venisse sostituito da un organo collegiale composto da rappresentanti dei gruppi di stati occidentali, comunisti, e neutrali. Il leader sovietico poi si lanciò in pesanti accuse al segretario dell'ONU, del quale non riconosceva la legittimità; per il capo del Cremlino il norvegese Hammarskioeld si era posto al servizio delle potenze coloniali in Congo, e nel febbraio dell'anno successivo arrivò a denunciarlo come complice dell'assassinio del leader africano Patrice Lumumba. Il veemen-te leader sovietico esporrà poi le sue idee in fatto di decolonizzazione, e disarmo completo di tutti gli stati, senza comunque raccogliere adesioni da parte dei rappresentanti dei paesi afroasiatici presenti. Nel giorno successivo, nella stessa sede si verificherà il famoso episodio della scarpa sul tavolo, ben rappresentativo della personalità del leader sovietico.
Rispetto al biennio '53-'55, gli anni più propriamente dominati dalla figura di Kruscev, dal '58 al '64, non hanno segnato notevoli progressi verso la distensione nonostante il moltiplicarsi degli incontri internazionali. In Occidente comunque, i nuovi sviluppi della guerra fredda e le possibilità offerte dalla coesistenza pacifica, favorirono un grande dibattito politico culturale. Molti sostenitori del pacifismo insistevano sulla necessità della ricerca del compromesso e del superamento della guerra fredda. Costoro in tal modo sacrificavano, almeno involontariamente, la causa della democrazia a quella della pace, e non tenevano presente i rischi di una politica eccessivamente moderata. In molti casi una ricerca eccessiva del dialogo significa incoraggiare l'avversario a pretendere di più (non mancherebbero gli esempi storici su questo argomento) e una pace non fondata su principi di giustizia non ha molto modo di reggersi.
L'Africa subsahariana fino al 1960 in larga parte sottoposta alla dominazione coloniale, per un lungo periodo di tempo rimase estranea al contrasto Est-Ovest. Gli stati africani di nuova formazione presentavano tutti i tipici mali dei paesi del Terzo Mondo: frontiere inadeguate - artificiosa eredità del periodo colonialistico - contrasti tribali, corruzione e personalizzazione dei poteri della pubblica amministrazione, mancanza di una coscienza nazionale, iniqua distribuzione del reddito interno. Rapidamente i paesi africani affrancatisi dal regime coloniale diedero vita a regimi totalitari - civili o militari - alcuni dei quali dilaniati da scontri etnici, rivolte e colpi di stato.
Fra i paesi che avevano raggiunto l'indipendenza si diffuse in quegli anni una concezione abbastanza particolare di socialismo, la cosiddetta "via africana al socialismo", che per molti aspetti si allontanava radicalmente dal socialismo "ufficiale" dei paesi avanzati. Questa tendenza di pensiero riprendeva da numerose fonti che andavano dalle dottrine dei socialisti europei dell'800 alle tradizioni tribali in materia di eguaglianza, religiosità, comuni-tarietà, privilegiando gli aspetti solidaristici su quelli espressamente di lotta di classe. Nella realtà tuttavia, i regimi socialisti tendevano alla creazione di una oligarchia di poteri, ad un arbitrario dirigismo economico, al culto della personalità.
L'Africa occidentale, ed in particolare i piccoli ma densamente popolati paesi del golfo di Guinea, vennero comunque prima degli altri a trovarsi investiti dai grandi contrasti internazionali. Il Ghana, ex colonia inglese con il nome di Costa d'Oro, divenne indipendente nel 1957 sotto la guida di Nkrumah, che diede vita ad una spietata dittatura di tendenze socialiste filo cinesi e forte impulso ai movimenti indipendentistici e antieuropei del continente africano. Nkrumah, che venne insignito del titolo di Osagyefo (redentore) nel 1965 ruppe le relazioni diplomatiche con il Regno Unito, ma successivamen¬te venne rovesciato da un colpo di stato militare e il paese si avviò a migliori rapporti con l'Occidente.
La Guinea, ex colonia francese, divenne una repubblica indipendente nel 1958 sotto la guida di Sekou Tourè: strinse intense relazioni commerciali con l'Unione Sovietica e successivamente con la Cina. Negli anni successivi appoggiò apertamente i movimenti indipendentistici nella vicina Guinea Portoghese e giunse ad uno stato di tensione con i paesi vicini e con la Francia, con la quale nel 1965 ruppe le relazioni diplomatiche. In seguito alle numerose repressioni, 2 milioni di cittadini (su un paese con meno di 5 milioni di abitanti) si rifugiarono nel vicino Costa d'Avorio, e poterono rientrare nel paese solo nel 1975, quando si ebbe una svolta moderata, e si arrivò alla normalizzazione dei rapporti con la Francia.
Il Senegal, ex colonia francese, raggiunse l'indipendenza nel 1958 sotto la guida del poeta e africanista Senghor, uno dei massimi leader del continente. Per un certo periodo lo stato africano si presentò come modello di paese socialista non totalitario e capace di tenere rapporti pacifici con gli altri paesi del continente e con le precedenti potenze coloniali. Una effimera federazione venne creata nell'aprile del '59 con il mussulmano Mali, che si era avviato ad un regime totalitario socialista legato ad Unione Sovietica e alla Cina rovesciato comunque nel 1968.
La Cina, che diede ampio appoggio ai giovani paesi africani, e per un certo periodo di tempo sembrò avere creato nel continente una sua zona d'influenza superiore a quella dell'Unione Sovietica, diede sostegno a numerosi movimenti guerriglieri, dalle forze ribelli del Camerun, ai nazionalisti angolani alle milizie di Lumumba in Congo. Nel '63-'64 il ministro Ciu En Lai svolse una lunga missione nel continente africano, nel corso della quale vennero conclusi una serie di accordi di collaborazione con numerosi governi, ma negli anni successivi la Cina non poté fare fronte agli impegni, e tali accordi vennero abbastanza rapidamente accantonati dalle nazioni africane.
La crisi del Congo negli anni Sessanta costituì una di quelle crisi africane dove questioni tribali, economiche e politiche, si sovrapposero in maniera tale da impedire la formazione di schieramenti ben definiti. Il paese africano, dal quale i belgi si erano allontanati senza un adeguato periodo di transizione, visto il crescere dei disordini, si presentava come uno dei più arretrati paesi del continente, privo di una classe dirigente degna di tale nome; tuttavia il paese costituiva una grande riserva di diamanti e altri minerali preziosi che non poteva non suscitare gli appetiti di numerose potenze.
Il 30 giugno del 1960 venne proclamata l'indipendenza del Congo con capo dello stato Joseph Kasavubu, leader dei Bakongo, etnia della regione della capitale, e capo del governo Patrice Lumumba, leader del Movimento Nazionale Congolese. L'autorità dello stato dello stato non andava molto oltre la capitale Leopoldville, e nei giorni successivi si ebbe una grave crisi che provocò il collasso della giovane repubblica. Nella ricca regione del Katanga, sotto la guida di Ciombè e l'appoggio della società belga che gestiva le grandi miniere, l'Union Minière, venne proclamata la secessione, mentre le forze armate del governo centrale si disgregavano e si diffondeva la violenza nel paese. Furono proprio i numerosi casi di violenza contro i cittadini di razza bianca, (oltre 13.000 lasciarono il paese nelle prime due settimane), a spingere il Belgio ad inviare paracadutisti in quei territori, che si limitarono comunque a tutelare l'incolumità degli europei senza interferire nella vita politica del paese. Non molto tempo dopo, anche la provincia del Kasai nel sud del paese proclamò l'indipen-denza, e di fronte alla disgregazione dello stato Lumumba richiese l'intervento di truppe dell'ONU e l'allontanamento dell'esercito belga dal paese.
L'intervento dei caschi blu dell'ONU, diretto a riportare la calma nel paese e non anche a reprimere le spinte secessionistiche, non venne giudicato soddisfacente dal leader africano, il quale lanciò un appello per richiedere il sostegno dell'Unione Sovietica, che infatti non tarderà a mancare. Il 20 agosto il Cremlino chiese che si ponesse termine allo smem-bramento dello stato africano, annunciando che diversamente sarebbero state prese opportune contromisure, e il 2 settembre iniziarono ad arrivare i primi "tecnici" incaricati di prestare assistenza all'esercito di Lumumba, che controllava ormai solo il nord del paese.
Kasavubu, che fino ad allora aveva tenuto una posizione incerta, successivamente all'intervento sovietico destituì Lumumba che nelle settimane successive venne arrestato, ma la situazione a Leopoldville rimaneva incerta. Il capo delle forze armate Mobutu, già collaboratore del deposto capo di governo, il 14 settembre assunse il potere nella capitale, mentre Kasavubu chiese ed ottenne il ritiro delle delegazioni diplomatiche sovietiche e cecoslovacche per l'intervento operato nel paese. Il nuovo governo ottenne il riconoscimento da parte dell'ONU, ma nell'est del paese la regione di Stanleyville e il Kivu rimanevano sotto il controllo di Gizenga, uomo di fiducia di Lumumba, e di Kashamura su posizioni vicine, mentre il sud era controllato da Ciombè ed altri esponenti locali.
L'intervento dell'ONU venne criticato da numerosi governi; Jugoslavia, Ceylon, Egitto, Marocco, e Guinea ritirarono i propri contingenti, Kruscev accusò Hammarskioeld di complicità nell'assassinio di Lumumba, avvenuto nel Katanga, alle cui autorità era stato consegnato in precedenza, e venne chiesto che venissero ritirati i caschi blu da tutto il paese africano.
Dopo alcuni tentativi di riconciliazione fra le parti, con il conferimento della carica di capo del governo al sindacalista socialista Adoula, nel settembre del 1961 si riaccesero i contrasti. Il segretario delle Nazioni Unite, con l'appoggio degli Stati Uniti e il parere contrario di Francia, Belgio e Gran Bretagna, diede ordine di intervenire nel Katanga, sebbene questo presidiato da milizie locali e da mercenari bianchi, fosse in grado di opporre una notevole resistenza. Nello stesso mese si ebbe un nuovo motivo di apprensione, Hammarskioeld trovava la morte in Africa vittima di un incidente misterioso, che contribuì all'aggravamento della situazione. Nel paese tornava a dilagare la violenza e numerosi furono i casi di gravi efferatezze, fra i quali il massacro di 13 aviatori italiani a Kindu nell'autunno del '61 da parte di bande "lumumbiste". I ribelli della regione orientale del paese non ebbero successo e nel gennaio '62 venne catturato lo stesso Gizenga. Nel dicembre del 1962 Ciombè fu costretto a cedere e ad abbandonare il continente africano; il paese sembrò avviato ad un periodo di relativa stabilità ma l'equilibrio rimaneva precario.
Una nuova vasta rivolta fra il 1963 e il 1964 nelle regioni orientali già controllate da Gizenga e nel Kwilu, non lontano da Leopoldville, con il sostegno del governo cinese e di quello di Brazzaville, minacciava il governo centrale e arrivò a controllare una parte del Katanga. Il presidente Kasavubu si trovò costretto di fronte al pericolo di richiamare il suo vecchio avversario Ciombè e a nominarlo primo ministro, il quale con l'intervento dei suoi mercenari poté frenare l'avanzata dei ribelli. Ma l'ostilità di una larga parte dei governi africani verso quello che veniva considerato l'esponente politico al servizio del capitalismo europeo, spinse il presidente della repubblica a disfarsi del nuovo alleato. Ciombè venne definitiva-mente allontanato dal potere e nel novembre del 1965 il generale Mobutu con un nuovo colpo di stato depose lo stesso Kasavubu e assunse i pieni poteri.
Negli anni successivi rivolte locali e azioni di mercenari provenienti dalla vicina Angola continuarono, ma il potere era ormai consolidato nelle mani del generale. Venne dato avvio ad un programma di nazionalizzazioni, fra le quali quella della potente Union Minière, e di “africanizzazione” del paese, ma venne successivamente trovato comunque un accordo con i governi occidentali per lo sfruttamento delle grandi risorse minerarie.
Il governo sull'altra sponda del grande fiume Congo anche destò problemi ai governi occidentali, nel 1958 la colonia francese proclamò l'indipendenza sotto un governo modera-to, ma nel 1963 un gruppo di ufficiali dell'esercito diede vita ad un regime monopartitico socialista, fortemente legato alla Cina; per diversi anni vi fu tensione con il governo di Leopoldville finché nel 1968 il regime comunista venne rovesciato da un nuovo colpo di stato militare.
IL CONFLITTO CINO - SOVIETICO
Il comunismo cinese ha dato vita ad un regime diverso da quello sovietico, comunque non meno lontano dagli ideali democratici: la difesa dello stalinismo anche negli successivi alla destalinizzazione, i campi di rieducazione, la politica di ingerenza nei paesi vicini, non potevano che essere in contrasto con il sistema di valori dell'Occidente, anche se per un certo periodo di tempo il fenomeno cinese suscitò l'interesse di diversi intellettuali in Europa e in America. Rispetto al tradizionale comunismo sovietico il maoismo accentuava il suo intransigente fideismo e si caratterizzava per una maggiore invadenza nel campo della sfera privata dell'individuo.
Il comunismo cinese ha assunto i caratteri di un manicheismo intransigente. Le comuni e le altre istituzioni sociali erano più un luogo di indottrinamento che di dibattito politico, se a ciò si aggiunge il disprezzo per il diritto, i processi di piazza, la persecuzione del mondo della cultura, l'asservimento delle vaste categorie dei contadini attraverso il sistema fiscale e la collettivizzazione, ed infine l'istituzione dei campi di lavoro forzato si ha un quadro poco felice, in contrasto con l'immagine che il regime intendeva accreditare in Occidente.
La repubblica di Mao, come i regimi comunisti precedenti, si caratterizzava per la realizzazione di un regime fortemente antidemocratico, di un ordinamento giuridico che non offriva alcuna garanzia per l'individuo, che anche dopo l'eliminazione dei nemici di classe attraverso la riforma agraria non cessò il suo carattere brutale. Il potere al popolo in Cina, al di fuori di ogni prassi giuridica, ha significato l'intervento di una massa analfabeta incapace di esprimere una volontà autonoma diretta contro quei corpi intermedi dello stato che non simpatizzavano per la politica di Mao. Secondo la maggioranza degli storici si ebbero nel periodo compreso fra la costituzione della repubblica e il 1951, oltre tre milioni di morti, in prevalenza proprietari terrieri eliminati al termine di processi sommari , e 830.000 furono comunque le vittime ammesse dalle fonti ufficiali del regime e per esplicita ammissione di Ciu En Lai.
I primi anni della Repubblica Popolare Cinese si caratterizzarono per un consolidamento graduale del regime; molte delle autorità locali, a causa anche della grave carenza di quadri qualificati all'interno del PCC, erano tenute da non comunisti, attività economiche come l'industria e il commercio gestite da privati vennero tollerate e continuarono indisturbate la loro esistenza. Venne combattuta l'inflazione, ma anche attraverso severe misure coercitive, la prostituzione e la criminalità. La giovane repubblica cinese per potersi risollevare dalle grandi distruzioni del periodo dell'occupazione giapponese e della successiva guerra civile, e avviare verso un rapido sviluppo, necessitava di aiuti dall'esterno che vennero ricercati nella grande vicina sovietica. Il trattato di alleanza sottoscritto con l'URSS nel 1950 aveva costituito una forma d'ingerenza di questa attraverso la creazione di società miste cino-sovietiche, mentre i crediti concessi per un paese di 800 milioni di abitanti risultavano insufficienti, ma la situazione internazionale non consentiva alternative.
Nel 1950 la Cina Popolare intervenne nella guerra di Corea nel momento in cui l'avanzata delle truppe americane oltre il 38° parallelo e la conquista di larga parte del territorio della Corea del nord, sembrava aver posto termine alla disputa nella penisola. La Cina venne accusata per questa azione dall'Assemblea Generale dell'ONU di aggressione di un paese sovrano, comunque aveva salvato la situazione per conto dell'Unione Sovietica, e aveva dimostrato le sue grandi potenzialità nella scena internazionale. Nello stesso periodo procedette all'occupazione del Tibet senza incontrare eccessiva resistenza data l'arretratezza del regno buddista, e degli altri territori del centro Asia già soggetti agli imperatori cinesi.
Negli anni '52-'53 avvenne la prima svolta nel paese; la grande riforma agraria del 1950 aveva prodotto una eccessiva frammentazione dei terreni coltivabili e non aveva consentito la introduzione di nuove tecnologie e l'industrializzazione dell'agricoltura. Venne pertanto avviata la creazione di un sistema di cooperative sempre più ampie, volontarie ma anche obbligatorie, sottoposte comunque a requisizioni forzate e ad un prelievo fiscale estremamente elevato. La innovazione economica provocò l'impoverimento degli agricoltori e suscitò una vivace reazione nelle campagne. Allo stesso tempo venne iniziata la statalizza-zione dell'industria, a quei tempi pochissimo sviluppata, e dato l'avvio al primo piano quinquennale, che prevedeva incrementi di produzione agricola e industriale assolutamente irrealistici, che seguendo l'esempio sovietico, era finalizzato a privilegiare lo sviluppo dell'industria pesante.
Nel 1951-1952 si ebbero le campagne cosiddette dei "tre anti" e dei "cinque anti" contro la corruzione, lo spreco, lo spirito burocratico, diretta soprattutto verso i quadri intermedi del partito poco graditi; si concluse con una nuova ondata di repressioni ed efferatezze che provocò la morte di circa mezzo milione di persone.
La successiva "campagna dei cento fiori" lanciata nel 1956 non si accompagnò ad una reale liberalizzazione della società e si concluse nel maggio dell'anno successivo, non appena gli intellettuali iniziarono a criticare il regime comunista e a denunciare le vessazioni alle quali erano soggetti con un nuovo giro di vite nei confronti di insegnanti e studenti ("campagna contro i deviazionisti"), che nel migliore dei casi vennero allontanati e inviati ai lavori agricoli nelle regioni più povere del paese.
Il 1958 segnò un anno di svolta per lo stato maoista; venne lanciata l'iniziativa delle "Comuni popolari" che avrebbero dovuto consentire al paese "il grande balzo in avanti" sulla strada del progresso. Le nuove realtà economiche, comprendenti aggregazioni di alcune decine di migliaia di individui, dovevano garantire un'attività in ogni settore da quello della produzione agricola e industriale, ai servizi igienici, alla cultura, all'organizzazione militare. Ogni residuo di proprietà privata e di iniziativa economica autonoma (come i piccoli appezzamenti di terra lasciati ai contadini nel sistema sovietico dei kolchoz) venne rigorosamente eliminato; la nuova organizzazione si dava una struttura capillare, non tralasciando ogni aspetto anche della vita privata. Dal punto di vista economico costituirono un sistema economico estremamente rozzo, che non prendeva in considerazione le obbiettive risorse fisiche e umane, le aspirazioni dei singoli, le esigenze del mercato e della società. Per la creazione di tali strutture i contadini vennero sradicati dai propri villaggi e dalle famiglie per essere raggruppati in grandi unità collettive dove ogni forma di organizzazione sociale precedente era stravolta. La vita dei componenti della Comune era rigidamente inquadrata e scandita da un'organizzazione paramilitare del lavoro, con grandi dormitori e refettori comuni, indottrinamento forzato durante le pause del lavoro, asili obbligatori per eliminare ogni forma di influenza familiare fra le nuove generazioni. Il progetto si estese prontamente in tutta la nazione, ma il fallimento dello stesso fu altrettanto rapido, e successivamente le comuni vennero eliminate per evitare il collasso economico del paese.
Al tempo stesso vennero lanciate fantasiose quanto improduttive iniziative nel campo economico: gli altiforni per la produzione di ghisa e acciaio a livello familiare o di villaggio senza personale competente, e la lotta al passero distruttore di raccolti, che produssero un grave danno ambientale e alla produzione agricola. Nei primi anni della rivoluzione vennero realizzate importanti opere idrauliche, ricorrendo anche al lavoro obbligatorio, per difendere le grandi pianure dalla minaccia dello straripamento dei fiumi, ma alcune di queste realizzazioni portate a termine con tecniche decisamente rudimentali, non ebbero successo. Il piano nazionale di sviluppo dell'acciaio che si poneva traguardi estremamente ambiziosi si risolse in un grande fallimento; sottraendo manodopera al lavoro dei campi si ebbe negli anni 1959-60 una carestia che provocò la morte di 15-30 milioni di persone.
In Cina come negli anni dello stalinismo in Russia si ebbe un grande ricorso al lavoro coatto; una legge del 1957 assimilava agli "oziosi" chiunque non disponesse dei mezzi di sussistenza, ovvero tutti coloro che "non si conformano alle disposizioni prese per il loro lavoro, e per la destinazione ad un altro compito... oppure che non migliorano a dispetto degli sforzi ripetuti che vengono fatti per rieducarli" tali individui andavano assoggettati ad "un regime a pieno tempo di formazione attraverso il lavoro". Anche la Cina ebbe la sua "Berlino"; per molti anni nei periodi peggiori della dittatura, molti cinesi, intellettuali soprattutto, hanno trovato la via di fuga verso l'Occidente superando la cortina di ferro sul continente che fronteggiava l'isola britannica di Hong Kong.
In seguito alla situazione politica precaria venutasi a creare con il grave insuccesso economico, nell'anno successivo alla creazione delle comuni Mao Tse Tung fu costretto a lasciare la carica di presi¬dente della repubblica, (conservando quella di segretario del partito) e abbandonare anche la stessa capitale; per un certo periodo sembrò che il regime fosse interessato ad uno sviluppo economico del paese più equilibrato, ma negli anni successivi il maoismo intransigente riprese piede.
Il distacco della Cina, come quello della Jugoslavia, della Romania e dell'Albania, dimostrarono che l'impero sovietico, minato da numerose forze centrifughe, non poteva reggersi che sulla forza, e dove non fossero presenti armate sovietiche gli stati "associati" tendevano ad uscire dal blocco comunista, quando non mettevano addirittura in discussione la stessa dottrina al potere.
L'Unione Sovietica, con la sua presenza in Europa e il suo arsenale atomico, aveva argomenti con cui trattare a livello paritario con i paesi occidentali, mentre la Cina Popolare, che non disponeva nemmeno di una rappresentanza all'ONU, non era in grado di condiziona-re nella stessa misura la politica mondiale e pertanto riteneva poco utile la strategia fondata sulla coesistenza pacifica. Lin Piao riteneva che secondo le teorie dei sovietici "...chi non ha le armi nucleari è destinato ad essere malmenato, umiliato e annientato, che deve capitolare dinanzi alle armi nucleari del nemico, oppure porsi sotto la protezione di una potenza nucleare e obbedirle" e pertanto concludeva sulla necessità per la Cina di porsi alla testa di un movimento di paesi poveri contro le grandi potenze.
Mao Tse Tung, che aveva fatto del culto della personalità, anche se legato a costumi di vita semplici, uno dei pilastri del regime, non poteva accettare le conclusioni del XX° Congresso del PC sovietico, e d'altra parte vedeva nella coesistenza pacifica il pericolo di un riavvicinamento fra Unione Sovietica e Stati Uniti che certamente non favoriva il proprio paese. Contro Kruscev, e a favore di un autonomia dei comunisti dell'Asia, i maoisti non disdegnarono di rivalutare la figura di Stalin, e il principio della subordinazione della periferia al centro. I principi maoisti riguardo alla lotta fra le nazioni deboli e oppresse contro l'imperia-lismo, non gli impedirono comunque di esprimersi a favore dell'invasione dell'Ungheria.
La controversia cino-sovietica si estese dal campo politico a quello culturale, i dirigenti cinesi contestavano la purezza leninista o marxista leninista dei compagni russi, e la disputa suscitò un ampio dibattito culturale anche in Occidente fra ruolo del partito e delle masse, fra cultura europea e quella emergente afroasiatica, sul rapporto città e campagna, spesso confondendo l'uso delle masse analfabete contro esponenti politici emergenti, con forme di democrazia diretta dove tutto doveva essere messo in discussione.
Nell'ottobre del 1954 Kruscev si incontrò a Pechino con i dirigenti cinesi sottoscrivendo un nuovo accordo con il quale venivano soppresse le società miste cino-sovietiche imposte da Mosca nel 1950, e dato il via alla concessione di crediti superiori a quelli ottenuti negli anni precedenti. Venne inoltre stabilita la liquidazione delle basi sovietiche a Dairen e Port Arthur, che costituivano una forma di controllo sull'accesso marittimo di Pechino, e l'impegno a favore dell'eliminazione delle isole costiere controllate dai cino nazionalisti (che infatti vennero investite successivamente dall'attacco comunista). Il nuovo trattato, decisamente migliore per i cinesi rispetto a quello firmato a Mosca subito dopo la costituzione della Repubblica Popolare Cinese, non impedì tuttavia che nel giro di pochi anni sorgesse un grave contrasto fra le due potenze comuniste.
La Conferenza di Mosca del 1957, dopo i gravi fatti dell'anno precedente che avevano fortemente scosso la saldezza del blocco sovietico, mise in luce dissensi profondi nel mondo comunista. Il rappresentante jugoslavo non prese parte a tutti i lavori e non firmò il documento dei dodici. Togliatti a nome del partito comunista italiano si espresse a favore del "policentrismo" all'interno del movimento comunista e di una maggiore autonomia dei PC locali, subendo le critiche del rappresentante francese e soprattutto dei cinesi che difendevano il principio dirigista. Mao nella sua relazione espresse radicalmente il suo punto di vista sullo scontro con l'imperialismo e la coesistenza pacifica; non si doveva temere la "tigre di carta", secondo l'esponente cinese "in caso di guerra atomica... sarebbe stata annientata la metà della popolazione del globo, ma l'altra metà sarebbe sopravvissuta. In tal caso l'imperialismo sarebbe stato liquidato ed il mondo sarebbe diventato socialista" . Il documento conclusivo della conferenza non poté che registrare le numerose opinioni espresse, e risultò estremamente generico e contraddittorio.
Nel 1959 l'Unione Sovietica denunciò l'accordo segreto sottoscritto due anni prima sulla cessione delle armi atomiche alla Cina, iniziativa che costituì la causa fondamentale del contrasto fra le due potenze comuniste. L'incontro a Pechino di Kruscev con i dirigenti cinesi al ritorno dal viaggio negli Stati Uniti, non contribuì alla pacificazione dei rapporti fra Unione Sovietica e Cina, in quell'occasione anzi, il leader russo diffidò i cinesi da mettere in atto provocazioni contro l'Occidente.
Nell'aprile del 1960 la stampa cinese espresse con chiarezza la sua sfiducia in una vittoria del socialismo attraverso sistemi pacifici confidando sulla forza delle idee, suscitando la reazione dei sovietici. Alla Conferenza di Bucarest nel giugno, Kruscev attaccò senza esitazioni le posizioni dei comunisti cinesi, attribuendo la responsabilità della rottura espressamente a Mao. Ad essa seguì il ritiro dei tecnici sovietici, e la fine di numerosi accordi commerciali che produssero serie difficoltà all'economia cinese.
Nel novembre dello stesso anno venne indetta una nuova conferenza dei partiti comunisti a Mosca (81 delegazioni in totale) alla quale non partecipò il rappresentante jugoslavo. Venne salvata l'unità di facciata, ma i contrasti non vennero meno; fu in quell'oc-casione che vennero codificati i termini politici della polemica nel mondo comunista, "revisionisti" i sostenitori del pragmatismo kruscioviano e "dogmatici" i cinesi favorevoli ad una sorta di rivoluzione permanente contro l'imperialismo capitalista; quando le polemiche superavano certi limiti, quasi per tacito accordo, i sovietici lanciavano accuse agli albanesi e i cinesi agli jugoslavi. Nonostante lo stato di tensione, che degenerò in scontri di confine negli anni successivi, non vi fu mai una condanna esplicita dei comunisti cinesi come era avvenuto nei confronti degli jugoslavi nel 1948.
Nel 1952 due anni dopo l'invasione del Tibet, iniziò una campagna di cinesizzazione forzata e di distruzione sistematica dei monasteri lamaistici, che per il teocratico regno rappresentavano il fulcro della nazione. Nel '59 iniziò la rivolta su vasta scala contro l'occupazione cinese che venne repressa con durezza dopo alcune settimane di combatti-menti con il ricorso dell'esercito e dell'aviazione. Come già nel 1950 il Tibet non poté fare altro che appellarsi all'ONU. Una commissione internazionale di giuristi nel giugno accusò il governo di Pechino di genocidio culturale per le efferatezze commesse, senza che tuttavia la condanna avesse un seguito.
Il governo indiano sosteneva con molta moderazione la causa tibetana (negli anni precedenti aveva riconosciuto che il Tibet fosse territorio esclusivo della Repubblica cinese, nonostante che avesse ereditato dalla Gran Bretagna alcune prerogative amministrative), tuttavia ciò non impedì verso la fine degli anni Cinquanta l'inizio di scontri di pattuglie cinesi e indiane lungo tutto il confine comune himalayano. Il governo cinese non riconosceva il confine Mac Mahon, tracciato nel 1914 seguendo i crinali himalayani, e rivendicava le valli meridionali dell'Himalaya nella zona del Kashmir e dell'Assam. La richiesta non aveva alcuna giustificazione (se non forse per una piccola zona dove passava una strada che collegava il capoluogo del Tibet con il Sinkiang) dal momento che si tratta di territori tibetani (sui quali gli invasori cinesi non avevano alcun diritto) e il confine proposto da Pechino nella parte est, molto al di sotto dello spartiacque montano, non aveva alcuna logica.
I rapporti fra Nuova Delhi e Pechino si erano già deteriorati nel 1957 con l'insediamento di un go¬verno comunista nella regione del Kerala nella parte meridionale dell'India, quando nel 1962 la Cina diede luogo ad un massiccio attacco nella zona himalayana, insufficiente¬mente presidiata dall'esercito indiano, che in poche settimane fu costretto a ritirarsi. L'attacco cinese, che precedette di due giorni la messa in quarantena di Cuba da parte degli Stati Uniti, nel settore est raggiunse la pianura da dove le truppe cinesi avrebbero potuto con facilità dilagare per tutto il paese, ma evitarono di proseguire l'avanzata. Il governo cinese decise il ritiro dal territorio indiano (ad eccezione comunque della regione dell'Aksai Chin), in seguito all'invio di truppe aviotrasportate americane in appoggio all'esercito dell'India, ma anche per la protesta da parte dell'Unione Sovietica, intenzionata a mantenere buoni rapporti con l'India. D'altra parte la Cina non poteva reggere uno scontro prolungato con l'India, una nuova rivolta nel Tibet, avrebbe infatti potuto interrompere le vie di rifornimento dell'invasore. La breve crisi fece comunque 6.000 morti. Nella primavera dello stesso anno si ebbe la rivolta nel Sinkiang delle popolazioni di origine turca che in massa abbandonarono il paese e superarono il confine con l'URSS.
Anche la stagione di buoni rapporti con i paesi afroasiatici, iniziata con la Conferenza di Bandung nel 1955, non fu di lunga durata, e diversi stati vicini divennero oggetto dell'espansionismo cinese; nel '56 le truppe maoiste penetrarono nelle zone di confine della Birmania, e nel corso degli anni successivi Pechino sostenne la guerriglia nel nord del paese contro il governo di Rangoon. Nel 1967 la tensione fra Birmania e Cina portò vicino ad una situazione di scontro aperto fra i due stati. I principi maoisti della solidarietà dei paesi del sud del mondo contro l'imperialismo, vennero in tal modo ridimensionati.
Nel giugno del 1963 i comunisti cinesi risposero all'invito di colloqui da parte sovietica con accuse ed espressioni di particolare gravità, contemporaneamente venne lanciato un programma di strategia politica, conosciuto come "i 25 punti", in cui si affermava che i partiti comunisti dovevano non limitarsi ad una azione politica nella legalità, e che non si dovevano porre limiti all'uso della forza nelle controversie internazionali, si affermava inoltre, che per i cinesi "Sollevare il problema di combattere il culto della personalità equivale in realtà a contrapporre i dirigenti alle masse, ad insidiare la direzione unitaria del partito, basata sull'accentra¬mento democratico, annullarne la forza combattiva e disintegrarne i ranghi"; la polemica si concluse con l'espulsione di due cittadini e tre diplomatici cinesi. Di lì a poche settimane venne concluso il trattato sulla cessazione degli esperimenti nucleari di superficie che per la Cina che si apprestava a fare il suo ingresso nel club nucleare costituiva un serio ostacolo. Nell'anno successivo la stampa cinse confermò le accuse ai dirigenti sovietici; secondo il Quotidiano del Popolo l'Unione Sovietica era ormai "in collusione con l'imperialismo statunitense, con i reazionari di vari paesi, con la cricca del rinnegato Tito e con l'ala destra dei socialdemocratici in una partnership contro i paesi socialisti fratelli" .
KENNEDY E LA CONCLUSIONE DEL PERIODO CRUCIALE
DELLA GUERRA FREDDA
Per anni il generale Eisenhower aveva rappresentato il buon servitore dello stato, pragmatico e di semplici costumi, l'America sentiva ora il bisogno di un uomo che desse un nuovo indirizzo nei valori dello stato, e quest'uomo venne visto nella persona di Kennedy. Il rilancio di principi, come la solidarietà, la giustizia, la pari dignità fra i popoli, fu il programma del nuovo presidente, che comunque non implicava, come infatti dimostrò, un minore impegno nella guerra fredda.
L'8 novembre 1960 John Kennedy, candidato del partito democratico vinceva le elezioni presidenziali con un esiguo margine di voti rispetto al candidato repubblicano Richard Nixon. Kennedy rappresentava una novità per l'America per essere il più giovane dei presidenti nella storia degli Stati Uniti e per essere il primo presidente di fede cattolica, religione per un certo periodo di tempo non particolarmente apprezzata nel paese. Proveniva da una delle famiglie più ricche degli States (famiglia che fu anche negli anni successivi molto chiacchierata) nella quale il padre Joseph aveva ricoperto alti incarichi nelle precedenti amministrazioni. Come ogni buon americano non era mai stato un privilegiato e partecipò all'ultima guerra come ufficiale di marina dove si distinse nel corso di combattimenti.
La sua non lunga presidenza si caratterizzò per diverse innovazioni nel campo economico e sociale, e per un rinnovamento dei valori che erano alla base dello stato americano. Il suo programma politico, che passò alla storia come "la nuova frontiera", si fondava sulla lotta a quelli che erano considerati come i mali della società in quegli anni: la miseria, l'ignoranza, i pregiudizi razziali, e a favore "di quei diritti umani che questa nazione ha sempre sostenuto e che noi ci impegnamo a sostenere in patria e in tutto il mondo" . Nel suo discorso d'insediamento alla Casa Bianca espresse con chiarezza gli obbiettivi della nuova amministrazione: "Lasciate che ogni nazione sappia, che si auguri la buona o la cattiva sorte, che siamo pronti a pagare qualsiasi prezzo, portare qualsiasi fardello, affrontare ogni difficoltà, appoggiare qualsiasi amico, opporre resistenza agli avversari per assicurare la sopravvivenza e il trionfo della libertà" . Particolare cura venne attribuita al sostegno dei paesi emergenti, alla diffusione del benessere e la democrazia, fondamento per una pace giusta e stabile nel mondo. La presenza di affermati intellettuali e valenti giovani professionisti nel gabinetto presidenziale venne considerata una conferma del nuovo modo di procedere dell'amministrazione ameri¬cana. L'impegno per i diritti civili e contro la segregazione, fortemente sentito in quegli anni e sostenuto dall'amministrazione, trovò attuazione in un notevole impegno legislativo, e venne suggellato da una colossale manifestazione che si tenne a Washington tre mesi prima della morte del presidente con circa 200.000 partecipanti.
Nel campo della politica estera i rapporti fra Stati Uniti e America Latina, che nel passato avevano trovato fondamento nel Good Neighboor Policy (politica di buon vicinato), e nell'Organizzazione degli Stati Americani del 1948, vennero rivisti a favore dei paesi latino americani. Nel periodo di Eisenhower vennero approvate due dichiarazioni significative delle tendenze politiche di quegli anni, la "Dichiarazione per la conservazione dell'integrità politica degli stati americani" e la "Dichiarazione sui diritti dell'uomo e sul rafforzamento dei regimi democratici del continente", finalizzate soprattutto a contrastare la penetrazione del comunismo nel continente. La nuova politica di aiuto ai paesi in via di sviluppo formulata da Kennedy trovò una concreta attuazione nella cosiddetta "Alleanza per il Progresso" programma di aiuti per 20 miliardi di dollari (superiore quindi al Piano Marshall) col quale si riteneva di migliorare le condizioni economiche e sociali dell'America Latina; il piano prevedeva anche l'attuazione di alcune importanti riforme interne, come una politica fiscale più severa verso i ceti abbienti, ed una riforma agraria che realizzasse una maggiore giustizia sociale ed un incremento della produzione agricola, sottoscritto da tutti i paesi aderenti all'Organizzazione degli Stati Americani, con l'eccezione di Cuba. Una strategia analoga si riteneva dovesse essere estesa anche agli altri paesi poveri del mondo. Kennedy si rese conto che per vincere la difficile battaglia con il comunismo occorreva stabilire delle buone relazioni con i paesi emergenti, e che gli Stati Uniti "e non la Russia o la Cina sono in grado di aiutare gli altri paesi a darsi stabilità e sviluppo" , a tal fine prima ancora della sua elezione a presidente, nel '59 propose la costituzione di un Fondo prestiti per le Aree Sottosviluppate.
Innovazioni significative si ebbero anche nei rapporti con gli altri stati industrializzati, attraverso soprattutto una riforma del commercio internazionale. Gli Stati Uniti promossero una riduzione generalizzata delle tariffe doganali fra gli stati, che fino ad allora erano regolate da accordi sostanzialmente bilaterali, iniziativa che favorì lo sviluppo degli scambi di beni e tecnologie.
L'assassinio di John Kennedy nel 1963 ha costituito uno dei più grandi enigmi della guerra fredda e del secolo. Anche dopo la recente pubblicazione nell'estate '93 di documenti della CIA già classificati come segreti, non vi sono stati passi avanti sul tragico evento. Il misterioso Oswald autore del delitto, che in precedenza aveva chiesto asilo in URSS (per rientrare in patria non molto tempo dopo) e aveva preso, in circostanze poco chiare, il visto per Cuba, secondo la Commissione Governativa Warren agì non su commissione di altri, ma per iniziativa personale, tuttavia numerose sono state le ipotesi diverse, che si sono scontrate con l'opera di mitomani e depistatori. Sulla vicenda si possono fare molte osservazioni, si può comunque ritenere che i sovietici avessero poco interesse ad eliminare il presidente degli Stati Uniti (morto Kennedy subentrava Johnson che non era certamente arrendevole verso il mondo comunista), mentre il governo di Castro a Cuba, aveva invece poco da perdere in un aggravamento della tensione internazionale.
La mondializzazione del conflitto poneva dei problemi militari nuovi sia per lo schieramento occidentale che per quello sovietico. La minaccia sovietica in occasione della crisi di Suez aveva messo in luce i limiti della forza dell'Unione Sovietica: la insufficienza della flotta di superficie, di bombardieri strategici a lunga autonomia, oltre alle consuete difficoltà oggettive, quali il superamento degli stretti del Mar Nero, che avevano reso quasi irrealizzabile l'invio di un potente contingente a sostegno dell'Egitto.
Nel periodo staliniano l'Unione Sovietica coi suoi alleati presentava dal punto di vista militare una situazione non diversa da quella degli Imperi Centrali durante la prima guerra mondiale, formando una aggregazione di stati geograficamente molto compatta, senza quindi problemi per le linee di comunicazione interne. La strategia sovietica si fondava pertanto su grandi masse di fanteria e di divisioni corazzate, mentre quasi superflua risultava una marina da guerra per la scorta ai convogli marittimi, portaerei, e un'aviazione in grado di percorrere migliaia di chilometri. Venne invece sviluppata la flotta di sommergibili tradizionali e a propulsione atomica (in grado di permanere per lungo periodo in mare senza rientrare per rifornimenti), che avrebbero dovuto mettere in difficoltà i collegamenti marittimi fra l'Europa e l'America, e in ogni altra parte del mondo. In questo campo i sovietici superarono rapidamente gli americani con 473 unità contro i 190 degli americani nel 1958 . Negli anni successivi data la diversa situazione mondiale i sovietici realizzarono alcune importanti innovazioni; la flotta sovietica raggiunse proporzioni notevolmente superiori che nel passato, vennero create basi navali in Libia nel Mediterraneo e nello Yemen a controllo dell'Oceano Indiano, oltre a una serie di basi militari in Siria, Egitto, Irak, Algeria, dove nel 1962 Ben Bella aveva portato al potere i comunisti. Sul piano delle forze terrestri il grande vantaggio sovietico venne però ridimensionato dalla nuova necessità di disperdere una grande parte del gigantesco esercito a difesa del confine cino-sovietico.
La strategia della NATO era molto più basata sulla mobilità, con un'efficace struttura per il trasporto di grandi masse di uomini e mezzi, ma negli anni di Eisenhower era stato privilegiato in maniera eccessiva l'armamento nucleare su quello convenzionale. Il deterrente nucleare era utile al fine di fronteggiare un attacco su vasta scala in zone vitali dello schieramento atlantico, ma era del tutto inutile per fronteggiare quello che sarebbe stato il tipo di guerra negli anni successivi, movimenti di guerriglia e azioni militari limitate.
Nel biennio 1957-1958 si ebbe lo sviluppo dell'arma missilistica, tecnologia sulla quale i sovietici risultarono più avanzati degli americani. I sovietici realizzarono il primo grande bombardiere strategico il Tupolev TU-20 in grado di percorrere 12.000 km senza rifornimenti e una serie di missili dalle caratteristiche poco conosciute ma di elevato livello. Gli Stati Uniti misero a punto i primi missili a medio e lungo raggio (Jupiter e Atlas), montati su rampe di superficie e quindi vulnerabili; il controllo di queste armi, in base agli accordi, spettava in esclusiva agli Stati Uniti che tuttavia avrebbero dovuto prendere in considerazione le esigenze degli alleati europei.
Un passo ulteriore nella sfida russo-americana, fu l'armamento dei sommergibili con missili a testata nucleare. Il sommergibile per sua natura è un'arma quasi invulnerabile nei grandi spazi aperti; questi mezzi costituivano la garanzia che se anche un attacco missilistico di sorpresa avesse portato alla distruzione delle difese a terra, si sarebbe comunque avuta una terribile rappresaglia contro il nemico. Il presidente americano Eisenhower con soddisfazione annunciò al popolo americano nel gennaio del 1960 che "Un crescente numero di sottoma¬rini a propulsione nucleare entrerà a far parte del nostro servizio attivo, e alcuni di essi saranno dotati di missili Polaris. Queste eccezionali armi e unità navali di pattuglia per gli oceani, saranno in grado di colpire con la massima precisione un bersaglio virtualmente in qualsiasi parte della terra. Poiché è impossibile distruggerle mediante un attacco di sorpresa, esse diventeranno uno dei nostri più efficaci presidi per la pace" .
Kennedy, che negli anni precedenti aveva criticato l'amministrazione Eisenhower per lo scarso sviluppo del settore militare e il bilancio eccessivamente ristretto destinato alla difesa, si rese conto che la difesa dell'Occidente non poteva basarsi sulla sola minaccia di guerra catastrofica con le armi nucleari, secondo la strategia della "rappresaglia massiccia" adoperata negli anni precedenti, ma che si doveva contrastare tutta quella serie di piccole guerre locali estremamente insidiose, con mezzi di minore distruzione ma più idonei. Il presidente americano diede perciò vita ad una strategia che verrà conosciuta come "risposta flessibile"; vennero rivalutate le forze convenzionali e creati i primi corpi speciali destinati alla controguerriglia capace di operare negli ambienti naturali più difficili. Secondo il giovane presidente ameri¬cano "La nostra potenza nucleare di dissuasione non basta. Non può bloccare una aggres¬sione comunista troppo limitata per giustificare una guerra mondiale... noi ci siamo bloccati in un angolo, dove non abbiamo scelta: o l'inazione o la distruzione del mondo" . Basandosi sulla esperienza dell'intervento in Libano, Kennedy sostenne che le forze convenzionali non avessero la rapidità necessaria nell'essere mobilitate. Gli stessi concetti vennero ripresi da Henry Kissinger, che nel saggio Nuclear Weapons and Foreign Policy del 1957 mise in luce i limiti della strategia fondata sulla rappresaglia massiccia.
Durante gli anni di Kennedy si ebbero aumenti delle spese militari per miliardi di dollari, realizzati i MIRV (i missili a testata multipla), l'ABM, il missile anti-missile (successivamente abbandonato per comune accordo con i sovietici) eliminate le rampe per ICBM di superficie, facilmente individuabili e sostituite con silos interrati dispersi nelle aree desertiche del continente americano. Vennero messi in servizio armi convenzionali più potenti come il C5 A Galaxy con capacità di trasporto 4 volte superiore al B36, varata la portaerei Enterprise a propulsione nucleare, autentica fortezza mobile nel mare, create brigate aerotrasportate ed eliotrasportate in grado di raggiungere punti lontani della terra in breve tempo, capaci di soffocare sul nascere qualsiasi tentativo insurrezionale.
Nel maggio 1961 Kennedy si espresse per una maggiore partecipazione dei partner della NATO alla difesa nucleare e propose di mettere a disposizione della organizzazione atlantica un certo numero di sottomarini armati di missili Polaris, ma la questione non venne ben accolta dal governo francese e suscitò una serie di polemiche.
Nel sud-est asiatico come era prevedibile gli Accordi di Ginevra del 1954 non vennero rispettati e le forze del Viet Minh iniziarono subito la loro opera di penetrazione nella parte nord orientale del Laos dove diedero man forte al Pathet Lao, il movimento filo comunista fondato dal principe Sufanuvang.
Nel 1956 dopo anni di guerra civile strisciante, si svolsero trattative fra Sufanuvang e il fratellastro Suvanna Fuma (di tendenze neutraliste), che portarono ad un governo di coalizione che tuttavia risultò di breve durata; il paese ricadde nella guerra civile, dilaniato fra forze filo occidentali, neutraliste e comuniste
Dopo una serie di contatti fra i governi britannico, sovietico e americano, venne deciso nel marzo del 1961 di riaprire la Conferenza di Ginevra sull'Indocina. Vi era un accordo di massima sulla proposta di Kennedy di fare del Laos uno stato libero e indipen¬dente da ingerenze straniere, ma le numerose violazioni della tregua non favorirono l'accordo, e le trattative languivano. Nel maggio del 1962 in seguito ad un attacco del Pathet Lao gli Stati Uniti decisero di inviare una flotta nel Golfo del Siam e 2.000 soldati in Thailandia, ma venne evitata la partecipazione diretta degli Stati Uniti al conflitto; nello stesso anno il principe Bun Um, sostenuto dagli americani, e Sufanuvang accettarono di costituire un governo di coalizione presieduto da Suvanna Fuma, accordo che venne confermato dalla Conferenza di Ginevra, sulla base della più rigorosa neutralità del Laos. Anche il nuovo accordo non aveva grandi possibilità di tenuta e nell'anno successivo ripresero i combatti¬menti; i neutralisti di Suvanna Fuma si distaccarono definitivamente dal Pathet Lao e denunciarono l'invasione sempre più massiccia del nord del paese da parte delle forze di Hanoi appoggiate da piccole unità cinesi.
La guerra fredda estesasi a macchia d'olio nella seconda parte degli anni Cinquanta non risparmiava nemmeno la tradizionale zona d'influenza degli Stati Uniti, l'America Latina. Nel '53-'54 si ebbe il breve governo filo comunista, (o comunque ritenuto vicino a tali posizioni) di Arbenz in Guatemala, e negli anni successivi si ebbe una diffusione di movimenti comunisti in tutta l'America centrale che non lasciò indenne anche la parte insulare della regione. L'isola di Cuba costituiva infatti una terra particolarmente felice per clima e risorse agricole, con un reddito pro capite relativamente elevato, soggetta però ad una infelice dittatura e ad un sistema politico corrotto che non incontrava gradimento nel grande vicino nord americano. Il prodotto di gran lunga più importante del paese era rappresentato dalla canna di zucchero, solo il 45% delle terre era però di proprietà di cittadini cubani, e l'economia dell'isola dipendeva eccessivamente dal prezzo internazionale di questo prodotto che costituiva la principale fonte di reddito.
Il regime del dittatore Fulgencio Batista, criticato apertamente dallo stesso Kennedy, allora senatore, incominciò a trovare numerose resistenze. Nel 1957 Castro con un piccolo manipolo di uomini si insediò sulle montagne della zona orientale dell'isola, e da lì portò avanti una attiva guerriglia che non ebbe l'appoggio dei comunisti, ma che incontrò il consenso delle popolazioni contadine locali. Nel gennaio del 1959, il dittatore, al quale gli Stati Uniti rifiutarono l'invio di armi, senza opporre eccessiva resistenza fuggì dalla capitale e si costituì un governo rivoluzionario. Il nuovo regime venne immediatamente riconosciuto da Washington, e lo stesso Castro venne ricevuto alla Casa Bianca, ma allo stesso tempo si verificarono alcuni importanti avvenimenti interni.
La rivoluzione "umanitaria" come era stata definita aveva vinto, tuttavia Castro, il leader dei "barbudos", i guerriglieri delle campagne, non mantenne la promessa di indire libere elezioni, ruppe con l'altra parte del movimento rivoluzionario delle città, e strinse una coalizione con il partito comunista rimasto estraneo al fenomeno rivoluzionario. Josè Miro Cardona capo del governo, e poco dopo anche il presidente della repubblica Urrutia, il coraggioso magistrato da sempre oppositore del precedente regime, furono costretti alle dimissioni, e nel paese si abbatté una ondata di arresti (20.000 prigionieri politici nel 1965 secondo le stesse fonti ufficiali) con centinaia di fucilazioni. I rivoluzionari della vecchia guardia vennero bruscamente allontanati dal potere; nell'estate del '59 il generale Huber Matos, uno dei primi ad aderire alla guerriglia sui monti della Sierra Maestra, venne condannato a venti anni di reclusione, e Camillo Cienfuegos, il più popolare dei capi guerriglieri cubani, che si rifiutò di deporre contro l'ex compagno, morì poco dopo in un incidente aereo sul quale il regime impedì di aprire un'indagine e si ritiene che anche il comandante della torre di controllo testimone dell'accaduto sia morto in circostanze misteriose. Negli anni succes¬sivi anche lo stesso Che Guevara si trovò in contrasto con il regime e decise di abbandonare l'isola, mentre numerosi comunisti vennero ad occupare importanti cariche.
Nel giugno del medesimo anno venne promossa una ampia riforma agraria, condotta con metodi arbitrari, che danneggiò gravemente gli interessi dei numerosi proprietari nordamericani, seguita poco dopo dalla nazionalizzazione delle raffinerie di zucchero e di petrolio. Contemporaneamente si verificò una intensificazione dei rapporti politici e degli scambi commerciali con l'Unione Sovietica culminata con la visita del ministro russo Mikoyan a Cuba. Gli Stati Uniti si astennero da una reazione immediata e proposero una rinegoziazione degli accordi commerciali, ma il 6 luglio dell'anno successivo, dopo alcune pesanti accuse di Cuba al governo di Washington, Eisenhower stabilì una drastica riduzione degli scambi commerciali con L'Avana; nel gennaio dell'anno successivo dopo che il governo castrista aveva deciso la riduzione del personale diplomatico americano nell'isola, si arrivò alla rottura dei rapporti diplomatici fra i due paesi.
Con la nuova amministrazione Kennedy i rapporti fra i due paesi non migliorarono, anzi venne accordato un sempre maggiore sostegno alle organizzazioni dei numerosissimi cittadini cubani (molti dei quali ex rivoluzionari) che avevano abbandonato l'isola e intende-vano abbattere il regime castrista; secondo alcune indiscrezioni inoltre, la CIA, su iniziativa di Robert Kennedy, mise in atto o progettò alcuni tentativi per eliminare Fidel Castro. La posizione americana rispetto al nuovo governo di Cuba venne espressa dal presidente Kennedy nel suo discorso sullo Stato dell'Unione del 26 gennaio 1961. "Nell'America Latina, agenti comunisti che cercano di sfruttare la pacifica rivoluzione della speranza in quella regione hanno stabilito una base a Cuba a sole 90 miglia di distanza dai nostri confini. Quello che rimproveriamo a Cuba non riguarda certo l'aspirazione della popolazione ad una vita migliore, bensì il fatto che essa subisca la dominazione di tirannidi straniere ed interne" . L'Unione Sovietica fece capire che Cuba era da considerarsi sotto l'ombrello protettivo sovietico, e anche la condanna del regime castrista da parte di tutti gli stati americani aderenti all'OSA, non ridusse la determinazione del combattivo lider maximo.
Nell'aprile del 1961 Kennedy, nonostante l'opposizione di diversi suoi collaboratori, decise di sostenere il piano dei cubani anticastristi di raggiungere l'isola e di tentare una sollevazione generale contro il regime; il progetto era meno irrealistico di quanto si potesse credere, a Cuba erano infatti attivi numerosi movimenti di contestazione al regime. Si riteneva inoltre che un'occasione del genere difficilmente si sarebbe rappresen¬tata, dato che in quelle settimane una quantità impressionante di arresti si stava abbattendo sull'opposizione, e avrebbe impedito una successiva insurrezione. Il giorno 17 circa 1.600 esuli, addestrati ed equipaggiati dalla CIA, raggiunsero Cuba (preso la cosiddetta Baia dei Porci), ma il governo castrista aveva avuto modo di conoscere i piani sullo sbarco e venne a mancare l'effetto sorpresa. Dopo alcuni giorni di combattimento l'esercito regolare ebbe la meglio; gran parte dei rivoltosi non ebbero modo nemmeno di reimbarcarsi e furono fatti prigionieri. L'azione provocò la dura protesta dell'Unione Sovietica, che come in precedenti altre crisi ricordò che una guerra locale poteva trasformarsi in confronto armato totale, e il progettato incontro fra Kennedy e Kruscev venne rinviato di alcuni mesi.
L'incontro di Vienna fra Kruscev e il giovane presidente americano non segnò alcun progresso sulla via della distensione. Venne confermato quanto sottoscritto nella precedente conferenza di Ginevra sulla neutralità del Laos, ma la proposta americana in materia di sospensione degli esperimenti nucleari con un sistema meno rigoroso di controlli reciproci, come richiesto dai sovietici, non risultò di gradimento alla controparte, e sulla questione di Berlino si arrivò alla spaccatura. Il capo del Cremlino confermò che entro la fine dell'anno sarebbe stato firmato l'accordo di pace con il governo di Pankow e che quindi, senza fornire alcuna garanzia circa i collegamenti della città con il mondo occidentale, avrebbe avuto termine il regime di occupazione di Berlino. Kennedy rispose con fermezza ribadendo che gli Stati Uniti non avrebbero sgombrato la ex capitale tedesca, e che si sarebbero impegnati per il mantenimento dello status quo; nella sua relazione al Congresso affermò: "Ho chiaramente detto al signor Krusciov che la sicurezza dell'Europa occidentale, e pertanto la nostra stessa sicurezza, sono profondamente legate alla nostra presenza e ai nostri diritti d'accesso a Berlino: che tali diritti sono basati sulla legalità e non sulla sopportazione e che siamo decisi a mantenere tali diritti a costo di ogni rischio e pertanto a mantenere i nostri impegni nei confronti della popolazione di Berlino ed il suo diritto di scegliere il proprio futuro" . Nelle settimane successive Mosca decise di sospendere la programmata riduzione degli effettivi militari decisa in precedenza, e venne decretato inoltre un maggiore stanziamento per la difesa; analoghi provvedimenti vennero presi negli Stati Uniti dove fu stabilito di aumentare le forze armate di 217.000 uomini, con un aumento delle spese per la difesa di quasi 3 miliardi e mezzo di dollari, ed inoltre il rafforzamento del contingente americano presente a Berlino Ovest, il richiamo dei riservisti e un giro di consultazioni con gli alleati. I governi europei condividevano pienamente la posizione americana, e De Gaulle stesso si fece sostenitore di un'azione di forza per sbloccare la situazione.
In tutto il mondo era diffusa l'opinione che fosse imminente un duro confronto fra i due blocchi e in Germania la tensione ebbe particolare drammaticità. Durante l'estate le fughe dalla DDR divennero particolarmente numerose (nonostante che una legge del '57 prevedesse dure sanzioni per chi prestasse aiuto a fuggiaschi) da far pensare se non ad uno spopolamento di quello stato, ad una riduzione della forza lavoro qualificata tale da provocare una crisi delle principali attività produttive.
Il 25 luglio Kennedy espose gli obbiettivi irrinunciabili per gli Stati Uniti sul problema Berlino: tutela della libertà per i cittadini di Berlino Ovest, garanzie nei collegamenti fra la ex capitale tedesca e la Germania Occidentale, presenza militare occidentale nella città per assicurare il rispetto dei diritti dei berlinesi. Nello stesso periodo Kruscev annunciò che le truppe del Patto di Varsavia erano pronte ad ammassarsi ai confini della Germania Orientale.
Nella notte del 13 agosto le autorità di Pankow decisero di stendere lungo tutto il confine che delimitava il settore ovest di Berlino dal resto della Germania comunista reticolati e filo spinato e quindi di chiudere tutti i passaggi fra le due parti della città. Il giorno successivo si tenne una grande manifestazione spontanea di cittadini di Berlino Ovest che tentarono di forzare lo sbarramento, che aveva provocato la separazione anche di numerose famiglie, ma sia la cittadinanza sia il governo di Bonn non poterono fare altro che presentare una serie di proteste. Il giorno 21 dietro ai reticolati venne eretto un muro, che diverrà il triste simbolo della guerra fredda, e sgomberati i palazzi che si affacciavano sul confine, mentre altri provvedimenti rendevano la situazione ancora più drammatica. L'aeroporto di Schoenefeld della ex capitale tedesca venne affidato alle autorità della Germania Orientale e i sovietici pretesero che coloro che intendevano entrare a Berlino Est presentassero i documenti come se si trattasse di un passaggio da uno stato ad un altro. Le comunicazioni aeree e terrestri verso Berlino vennero disturbate ripetutamente, imposto il divieto per i cittadini di Berlino Est di recarsi al lavoro nel settore ovest, venne dato l'ordine di sparare a vista sui fuggiaschi, infine vennero ripresi gli esperimenti nucleari da parte dei sovietici.
Nel mese di ottobre in seguito alle misure prese dal governo della Germania Orientale verso gli stranieri diretti a Berlino Est, sorse un grave incidente nella città, truppe americane e sovietiche mossero verso la Friedrichstrasse per presidiare il posto di blocco e poterono essere ritirate solo due giorni dopo.
Come in diverse altre occasioni precedenti i sovietici dopo aver provocato abbondan¬temente gli occidentali portandoli alla soglia dello scontro diretto, avanzarono la proposta di aprire trattative convinti che, di fronte allo spettro di una crisi con conseguenze gravissime, avrebbero finito per cedere. Tale iniziativa non venne invece accolta con particolare consen¬so, e lo stesso De Gaulle ritenne l'iniziativa espressamente da respingere. In occasione del 22° congresso del PCUS i dirigenti sovietici sostennero che il trattato di pace con la Germania di Pankow fosse da considerarsi non urgente, e ciò consentì di evitare il degenerare della situazione e più gravi conseguenze per l'intero continente. Negli anni successivi numerose furono le provocazioni sovietiche contro Berlino Ovest, e nel corso di 27 anni, 251 sono stati i morti fra coloro che hanno tentato di oltrepassare il confine fra le due Germanie. La affermazione dei sovietici che il muro di Berlino servisse "Al fine di contrastare le misure di Bonn e dei suoi protettori su Berlino Est" , come sostenuto da Andrej Gromiko e quindi a proteggere il mondo comunista da una aggressione occidentale non è mai risultata convincente; Berlino ha sempre rappresentato il punto debole dello schieramento occidentale e non certo il punto dove si poteva condurre un aggressione al blocco sovietico. La realizzazione del muro di Berlino risultò utile alla Germania Orientale ad arrestare la grave emorragia di cittadini che preferivano vivere in Occidente, ma sotto altri punti di vista le conseguenze furono gravi. Un sistema politico che per continuare a sopravvivere doveva chiudere i propri confini e costringere i cittadini ad una permanenza forzata nello stato, non poteva godere di credibilità, e dopo i fatti del '56, gli avvenimenti di Berlino segnarono una condanna morale del comunismo dalla quale non si sarebbe più ripreso.
Nell'ottobre del 1962 si aprì quella che venne considerata la più grave crisi della guerra fredda, la crisi dei missili a Cuba. Attraverso ispezioni aeree, condotte dai già noti U2, gli americani avevano accertato che nell'isola di Cuba erano stati installati all'interno di basi in avanzata fase di completamento, missili terra-terra in grado di colpire gli Stati Uniti, realizzata una serie di aeroporti che ospitavano bombardieri a lungo raggio e verificata la presenza di circa 20.000 soldati sovietici. In quegli anni i paesi della NATO e quelli del Patto di Varsavia avevano già installato numerosi missili balistici a lunga gittata in ogni parte del mondo, ma questi venivano considerati particolarmente pericolosi da parte americana per più di un motivo. La grande vicinanza di Cuba alle coste texane consentiva ai sovietici di colpire con particolare rapidità permettendo di portare a termine un attacco nucleare di sorpresa (il cosiddetto first strike) in grado di distruggere gli impianti missilistici per una successiva rappresaglia. Ed inoltre Cuba godendo della protezione fornita dalle micidiali armi avrebbe potuto esportare la sua rivoluzione verso i paesi dell'America Latina con maggiore facilità.
Kennedy, dopo una serie di avvertimenti espliciti ai sovietici, i quali avevano affermato formalmente che non vi erano armi offensive a Cuba, e un pronunciamento del Congresso, decise di convocare il National Security Council. Il massimo organo di sicurezza prese in considerazione varie ipotesi di contromisure da adottare: azione di guerra contro Cuba, distruzione dei missili attraverso un bombardamento aereo, blocco navale dell'isola, ed infine, ma la proposta non ebbe successo, un baratto con Mosca, il ritiro dei missili Jupiter dalla Turchia contro lo smantellamento degli impianti missilistici a Cuba. Il timore principale degli americani era costituito dal fatto che l'Unione Sovietica avrebbe potuto rispondere con degli atti di ritorsione contro quello che veniva considerato l'anello debole del fronte occidentale, la città di Berlino, e quindi si sarebbe potuta innescare una pericolosa escalation. Alla fine Kennedy su insistenza del fratello Robert, ministro di giustizia, decise di imporre all'isola una "quarantena", espressione un po' meno grave per indicare il blocco navale, al fine di porre l'embargo di forniture militari contro Cuba. Il giorno 22 avvenne lo storico annuncio; Kennedy alla televisione comunicò ai cittadini le risoluzioni che l'America si apprestava a prendere: intercettazione delle navi dirette a Cuba che trasportassero materiale militare offensivo, rafforzamento della base militare di Guantanamo (contro la quale vi erano stati azioni di sabotaggio), intensificazione della sorveglianza sull'isola, e azione di guerra contro la stessa, qualora i lavori per la realizzazione delle basi missilistiche fossero stati portati a conclusione. Il messaggio del presidente concludeva con l'affermazione che un attacco missilistico da parte di Cuba sarebbe stato considerato come una aggressione condotta dall'Unione Sovietica e richiedeva quindi lo smantellamento e il ritiro delle armi offensive sotto controllo dell'ONU. Il giorno successivo venne decretata la limitazione degli scambi nei confronti di 18 paesi comunisti e verso qualsiasi nazione che avesse prestato aiuto militare a Cuba.
Il giorno 24 le navi della 2° Flotta raggiunsero il Mar dei Caraibi e contemporanea-mente vennero messi in allarme l'esercito e l'aviazione. I paesi della NATO e quelli dell'Organizzazione degli Stati Americani espressero piena solidarietà all'azione americana, ma l'opinione pubblica mondiale si chiedeva se i sovietici avessero consentito l'ispezione delle proprie navi, se avessero cercato di proseguire la navigazione, ovvero se avessero ordinato alla flotta di superficie e a quella sottomarina di scortarla. L'Unione Sovietica reagì all'iniziativa americana mettendo in allarme le proprie forze convenzionali e nucleari, e attraverso la TASS il Cremlino protestava conto la iniziativa americana, lanciava pesanti accuse, anche se si asteneva dal rivolgere minacce concrete. Anche Cuba rese nota la sua protesta, ma non poté fare molto di più che rivolgere una serie di ingiurie al governo di Washington.
La crisi di Cuba non poteva degenerare in un conflitto locale come quello della Corea, i sovietici non erano in grado di condurre una guerra disponendo di basi lontanissime e con una marina che avrebbe dovuto superare quegli stretti, che nel corso dei secoli erano stati un ostacolo gravissimo per il controllo dei mari. Anche l'uso dei sommergibili atomici sarebbe risultato poco efficace, tale genere di armi infatti risulta facilmente individuabile e vulnerabile quando deve agire in spazi di mare non molto ampi.
Il segretario generale delle Nazioni Unite U Thant tentò una forma di mediazione invitando le parti a tenere dei colloqui diretti, a sospendere il blocco contro Cuba e contem-poraneamente l'invio di navi verso la stessa, ma la proposta venne considerata più un mezzo teso a guadagnare tempo che una soluzione utile a risolvere la grave crisi. Nell'Oceano Atlantico intanto, diversi mercantili sovietici invertivano la rotta, solo una petroliera, che per le sue caratteristiche non risultava idonea al trasporto di armi pesanti, continuò la navigazione e dopo una perlustrazione dall'alto da parte dell'aviazione americana, poté giungere a destina-zione. Il giorno successivo invece, un cargo preso a nolo dall'URSS attraversò la zona di mare interdetta e senza opporre resistenza venne ispezionato dalla marina ameri¬cana. La marina sovietica non rimase inoperativa, sommergibili e navi da guerra si tennero relativamente vicine alla zona calda pur evitando qualsiasi atto di provocazione.
Il giorno 25 si tenne la seduta del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, che risultò forte-mente improduttiva, tra il rappresentante americano e quello sovietico avvenne un serrato scontro che fece ritenere che non vi fosse alcuna possibilità di conciliazione fra le parti. In quegli stessi giorni le ricognizioni americane su Cuba, durante le quali un U2 venne abbattuto, accertarono che i lavori per l'ultimazione delle basi missilistiche erano stati portati praticamente a termine, situazione che avrebbe dovuto portare a più pesanti misure da parte americana, ma intanto si ebbero alcuni segnali. Fra il giorno 26 e il giorno 27 pervennero a Washington due importanti messaggi da Mosca dal contenuto apertamente contraddittorio. Nella prima lettera si accettavano larga parte delle richieste americane: eliminazione dei missili sotto controllo internazionale, dietro il generico impegno (già formulato dagli Stati Uniti, peraltro) di non compiere atti di aggressione contro il regime castrista; nella seconda lettera, dal contenuto più aggressivo, si proponeva invece una forma di scambio, smantella¬mento dei missili a Cuba, contro la eliminazione dei missili americani in Turchia. L'arrivo dei due messaggi, che lasciò sconcertata l'amministrazione americana, fece ritenere che nei vertici dell'URSS ci fossero confusione e contrasti, Robert Kennedy comunque, con molta oculatezza ritenne di rispondere al primo messaggio e ignorare il secondo, suggerimento che venne accolto dal presidente.
Il 28 si arrivò all'accordo fra le parti sulla base della prima proposta; le proteste di Cuba e il divieto di questa all'ingresso di osservatori dell'ONU sull'isola, poté essere facilmente superato, attraverso l'ispezione aerea delle navi sovietiche che riportavano in patria i missili.
L'Unione Sovietica usciva profondamente scottata dalla vicenda, la quale successi-vamente costituì una delle cause della caduta politica di Kruscev. Tutta la politica internazio-nale dell'URSS e delle altre potenze comuniste ne uscì profondamente mutata; mai più l'Unione Sovietica e la Cina tentarono di sfidare apertamente il gigante americano, e anche il linguaggio aggressivo tenuto dalle due potenze fino allora, venne rivisto. I cinesi criticarono di fronte al mondo comunista il comportamento pavido dei sovietici, ma anch'essi compresero che non si potevano lanciare minacce se non si era in grado di far seguire ad esse dei fatti concreti.
Il primo segnale della diversa politica comunista avvenne nelle settimane immedia-tamente successive alla grande crisi. Il 21 novembre le truppe cinesi inaspettatamente si ritirarono dalle zone himalayane dell'India che avevano occupato nelle settimane precedenti, nello stesso periodo Kruscev in un incontro con Ulbricht faceva presente che la firma del trattato di pace separato doveva essere rimandata nel tempo e che dovevano cessare le azioni di disturbo alle vie di comunicazione dell'ex capitale tedesca.
Il periodo cruciale della guerra fredda terminò nel '62, non in virtù di un incontro ad alto livello fra le parti contendenti, ma successivamente alla crisi dei missili a Cuba che aveva segnato un'inequivocabile sconfitta per l'Unione Sovietica. L'aggravarsi del conflitto con la Cina, e le difficoltà interne del comunismo anche dopo la repressione dell'insurrezione ungherese, completavano il quadro. Breznev e Kossighin, nel loro lungo periodo al vertice dello stato, evitarono ogni prova di forza, e il mondo comunista arriverà progressivamente a chiudersi in se stesso.
La crisi del '62 fu l'ultima delle grandi crisi della guerra fredda, e la paura nell'opi¬nione pubblica di una guerra a carattere mondiale si ridusse notevolmente nei decenni successivi.