INTRODUZIONE
La guerra fredda che lo storico Luigi Salvatorelli ha definito uno scontro "non tanto fra capitalismo e comunismo, quanto fra una concezione liberale-democratica del mondo e una colettivistico-autoritaria", si è conclusa. I nuovi stati, creatisi dalla disgregazione del mondo comunista si sono avviati sia pur con alcune difficoltà ad una crescita economica, politica e ad un più elevato livello di democrazia. Una fase della storia si è definitivamente chiusa, la politica dei blocchi si è dissolta, il grande vincitore, gli Stati Uniti, hanno saputo non abusare di questo successo, mentre altre potenze nell'Estremo Oriente, che forse saranno all'origine di nuovi antagonismi, sembrano emergere.
Fra i tanti conflitti verificatesi nella storia, la guerra fredda si caratterizza senz'altro per essere uno dei più fortemente ideologizzati. All'indomani della fine della seconda guerra mondiale si crearono due schieramenti rigidamente contrapposti non sulla base di contrasti particolaristici fra stati, ma sulla base delle dottrine politiche che i governi si erano dati, e non è stato raro il caso che la caduta di un regime provocasse il passaggio di uno stato da uno schieramento all'altro.
Ad uno sguardo complessivo risulta che l'Occidente si fece portatore dei valori di libertà, nonostante le contestazioni in Europa e negli Stati Uniti da parte di forze politiche che si richiamavano ad una diversa (e controversa) idea di democrazia. Rispetto dei principi dello stato diritto e del diritto internazionale, parità giuridica fra gli stati, tutela dei diritti civili e politici hanno caratterizzato lo schieramento euro-americano. Un giudizio sulla guerra fredda al momento della sua conclusione fa ritenere che lo scontro fra Est e Ovest sia consistito prima ancora che nel conflitto fra capitalismo e comunismo come spesso è stato interpretato, fra democrazia e totalitarismo, fra sistemi politici progrediti e sistemi politici più arretrati le cui forze politiche, in Russia come nei paesi balcanici, una volta sconfitte sono confluite a fianco dei nazionalisti. Non esiste conflitto senza una ragionevole dose di realismo politico e nel settore asiatico certamente gli schieramenti persero abbondantemente di significato ideologico, tuttavia ciò non consente in alcun caso di ritenere che esistesse analogia fra i contendenti.
L'immagine dell'Unione Sovietica in Occidente non era stata mai positiva (come del resto quella della Russia zarista in precedenza), e conobbe un ulteriore deterioramento successivamente a causa del terrore in quegli anni di una guerra che in diversi momenti venne considerata come imminente anche da autorevoli personaggi; tuttavia possiamo oggi dire che gli occidentali non si fecero travolgere dalla emotività e quando Mosca dimostrò di voler intraprendere dei passi positivi verso la pace non venne a mancare una risposta da parte dei governi occidentali.
La soppressione delle libertà, le violazioni gravissime del diritto nel mondo comunista non erano giustificate da situazioni contingenti (come molti in passato hanno ritenuto), ma costituirono parte essenziale della dottrina di questi stati, la cui ideologia aveva subito un notevole processo di involuzione rispetto alle dottrine originarie. Quando vennero a mancare le "catene" che teneva saldo il potere, i regimi comunisti si dissolsero rapidamente, abbattuti dall'azione pacifica delle forze emergenti.
La guerra fredda è stata una guerra totale sia perché ha interessato larga parte del mondo, anche le aree più periferiche, sia perché ha investito tutte le strutture dello stato e della società (da quelle economiche a quelle politiche e culturali), e venne condotta anche all'interno degli stati stessi attraverso operazioni di varia natura che tendevano a neutralizzare i simpatizzanti del fronte avversario. Come in una guerra combattuta i territori venivano perduti o conquistati, ma senza ricorrere all'uso delle armi, quando risultava evidente che una posizione non fosse più difendibile la si abbandonava semplicemente. Tuttavia, e questa costituì la grande differenza rispetto alle guerre tradizionali del passato, i governi interessati agirono in maniera sempre cosciente che lo scontro potesse degenerare in un conflitto incontrollabile che avrebbe potuto provocare la fine dei vincitori e dei vinti e forse dell'umanità.
La guerra condotta dagli Stati Uniti non fu una operazione di profitto capitalistico a favore di un ristretto gruppo di uomini come sostenuto da una certa parte della sinistra, il capitalismo internazionale fu invece in larga parte contrario alla guerra fredda per tutta la serie di restrizioni al commercio verso paesi che offrivano materie prime e mercati a buon prezzo, ed infatti una consistente opposizione all'impegno degli Stati Uniti sulla scena internazionale provenne dagli ambienti dell'alta finanza. L'azione politica di Washington ha invece trovato il consenso di un vasto movimento d'opinione nel paese, che con l'eccezione forse della guerra del Vietnam, non ha fatto mancare il suo appoggio al governo. Gli Stati Uniti che hanno sostenuto il maggior peso della guerra con grande dignità e impegno di uomini, capitali e mezzi non trassero beneficio della situazione politica creatasi. Diversamente altri paesi che come il Giappone hanno evitato di assumersi responsabilità e impegni sul piano internazionale, nel corso degli anni hanno tratto vantaggio dagli sforzi delle altre nazioni per la conquista dei principali mercati mondiali. Può essere definita d'altra parte guerra per profitto capitalistico quella del Vietnam o quella di Corea? I due stati asiatici non presentavano mercati particolarmente appetibili, in quanto paesi con un tenore di vita molto basso, né grandi risorse che potevano interessare al capitalismo internazionale.
La guerra fredda si concluse senza un vero armistizio; non appena l'Unione Sovietica dimostrò di voler cambiare rotta con una evoluzione interna e nei rapporti internazionali, gli Stati Uniti e l'Europa raccolsero prontamente l'offerta e non imposero condizioni gravosi agli sconfitti. Gli Stati Uniti non approfittarono della loro posizione di forza e anzi dimostrarono negli anni successivi un minore interesse per le questioni internazionali, mentre i rapporti fra USA ed Europa rimasero all'insegna della correttezza e del rispetto reciproco.
A più riprese si è ritenuto che la guerra fredda potesse concludersi attraverso un negoziato "globale", ma questa soluzione non era credibile più di tanto, i paesi comunisti nel corso degli anni avevano sottoscritto e non rispettato i più importanti accordi internazionali, dalla Dichiarazione sull'Europa liberata, ai principi espressi alla conferenza di Bandung (nel caso della Cina), al più recente Atto Finale di Helsinki, e pertanto il conflitto fra Occidente e Oriente si concluse soltanto quando il governo di Mosca mise in atto una serie di atti concreti che andavano verso il riconoscimento dei diritti dei popoli.
La guerra fredda è stata una guerra in larga parte non combattuta, tuttavia nel corso delle numerose guerre succedutesi dal 1945 al 1980 (non tutte ovviamente legate direttamente al contrasto Est-Ovest) si sono avuti 25 milioni di morti, cifra inferiore ai caduti della seconda guerra mondiale ma comunque molto elevata.
Il periodo storico che tanto ha agitato l'opinione pubblica in ogni parte del mondo, deve essere ancora approfondito e rivisto alla luce delle nuove realtà createsi. Ritengo comunque con questo lavoro di aver dato un contributo come storico e come uomo che sente profondamente i problemi del suo tempo.
parte 1° dalla conclusione della 2° guerra mondiale alla morte di Stalin 1945-1953
IL NUOVO ASSETTO DELL'EUROPA
Nella sistemazione dell'Europa e del resto del mondo, due concezioni politiche si affrontarono: quella che intendeva la pace come una sistemazione tra le grandi potenze, e quindi come spartizione dei continenti, e quella che riteneva che i vincitori dovessero limitarsi alla ricostituzione degli stati secondo le realtà politiche e storico culturali esistenti, avviarle a libere istituzioni ma astenersi da ingerenze negli affari interni di queste. Prevalse, soprattutto da parte sovietica, il primo tipo di soluzione, e le grandi potenze non si limitarono ad aggiustamenti e rettifiche di confine, ma si accordarono su quali governi riconoscere, quali forze politiche sostenere, e persino sulla gestione dei loro primi atti politici.
Con la conclusione del conflitto mondiale contro la Germania nazista l'Unione Sovietica ritenne di potersi assicurare alcune importanti posizioni nella scena internazionale. Lo stato comunista avanzò pretese su alcune regioni di confine senza che sussistessero ragioni giuridiche o politiche per procedere in tal senso. Le nazioni dell'Europa Orientale liberate dall'Armata Rossa divennero area di influenza sovietica; la violazione dei diritti civili e politici e le epurazioni condotte in questi paesi suscitarono l'ostilità dei governi dei paesi occidentali e una diffusa avversione dell'opinione pubblica, che in un primo tempo aveva visto anche con simpatia il grande stato eurasiatico.
Alla fine del conflitto mondiale infatti molti uomini anche di governo, in Europa e in America, avevano maturato un sentimento di riconoscenza verso l'Unione Sovietica per il suo grandioso impegno nella lotta al nazismo. All'interno dello schieramento occidentale, in Italia e in Francia particolarmente, si ebbero forze politiche non contrarie all'Unione Sovietica che ritenevano che la mancata realizzazione della democrazia in quello stato dipendesse da cause contingenti non intrinseche ai principi comunisti, tuttavia molti di questi furono costretti successivamente a ricredersi; una serie di gravissimi fatti gettavano delle ombre sul comportamento di Stalin, come il Patto Molotov-Ribbentrop, il massacro dei polacchi a Katyn, la mancata partecipazione dei partiti comunisti alla resistenza fino alla aggressione tedesca all'URSS nel giugno '41.
La seconda guerra mondiale mise in luce l'esigenza per l'Unione Sovietica di confini più sicuri verso la Germania e un più libero accesso ai mari che le consentisse di garantire rifornimenti necessari. Con gli acquisti territoriali dalla Polonia e dalle altre nazioni confinanti tale obbiettivo poteva ritenersi sufficientemente raggiunto ed in ogni caso tale necessità non giustificava in alcun modo gli eventi successivi in Europa orientale. L'Unione Sovietica poteva richiedere l'uso di basi militari in Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria e Romania ma non poteva tenere anche soggiogati i rispettivi popoli e imporgli trattati fortemente sperequati come avvenne nel corso degli anni Cinquanta. D'altra parte le richieste sovietiche sulle ex colonie italiane, o sull'Armenia e l'Azerbagian, all'indomani della fine del conflitto, (o la restaurazione degli antichi diritti in Cina), poco avevano a che vedere con le necessità di frontiere sicure. "Alla fine della guerra" ha sostenuto lo storico italiano Luigi Salvatorelli "Stalin avrebbe potuto realizzare una solida sicurezza dell'URSS, insieme con l'equilibrio e l'equa coesistenza con gli alleati occidentali, solo che avesse lasciato ai paesi liberati dell'oriente europeo la stessa libertà che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna lasciarono a quelli dell'Occidente. Egli invece preferì creare, in una zona vastissima tra il Baltico e il Mar Nero, l'Egeo e l'Adriatico, una serie di stati satelliti, attraverso le occupazioni militari e i governi totalitari comunistici" .
Neanche la debolezza economica dell'Unione Sovietica può essere considerata come la causa dell'insorgere dei contrasti fra Est e Ovest; perché Mosca rifiutò il Piano Marshall che difficilmente avrebbe potuto costituire una forma di ingerenza in un paese con un potere politico così fortemente concentrato? Una potenza che ritiene di essere in stato di inferiorità ricerca l'appoggio delle altre nazioni vicine, la Russia non fu in grado di mantenere buone relazioni nemmeno con paesi come la Francia, che all'indomani del conflitto mondiale si trovava in una posizione di antagonismo con gli anglo-americani. Nel corso della guerra si erano avuti infatti diversi contrasti tra francesi ed anglo-americani; uno dei più significativi, riportato anche da Truman nelle sue memorie, fu l'occupazione della Val d'Aosta da parte dell'esercito gollista in aperto contrasto con le direttive del Comando Alleato, e l'intervento francese in Siria e Libano che inglesi e americani (e le NU) consideravano stati sovrani.
Secondo altri autori il possesso esclusivo della bomba atomica da parte degli USA fu la causa della guerra fredda; ma allora ci si può chiedere perché l'URSS non tentò un riavvicinamento con i paesi europei che nel dopoguerra si erano spostati a sinistra? Le violazioni degli Accordi di Yalta sull'Europa orientale e l'opposizione al Piano Baruch sullo sfruttamento dell'energia nucleare non potevano certo favorire lo sviluppo di rapporti pacifici.
La tesi sostenuta dal senatore americano Mc Namara in "Il disgelo" che l'Unione Sovietica prostrata dalle distruzioni della guerra e dalla carestia, non poteva pensare ad una aggressione all'Europa sembra una deduzione applicabile ad un paese occidentale e non tiene conto della realtà sovietica. Un regime che alla vigilia della guerra decapitò la grande parte delle gerarchie militari non avrebbe rinunciato ad un piano del genere per le pur pressanti questioni agricole. E' invece da ritenere che Stalin pensasse ad un'azione contro l'Europa non comunista attraverso piccoli passi. Molti osservatori politici nel periodo più drammatico della guerra fredda ritenevano che l'URSS puntasse a rovesciare i governi di Grecia e Turchia, mettere in crisi la Germania, e quindi attraverso i forti partiti comunisti locali mettere le mani su Italia e Francia, arrivando in breve tempo a controllare tutta l'Europa continentale.
L'Unione Sovietica negli anni successivi alla seconda guerra mondiale aveva ragione a sentire la sua sovranità minacciata? Il "cordone sanitario" realizzato negli anni '20 da governi ostili alla Russia era decaduto e sostituito da paesi satelliti che ne garantivano le frontiere, l'esercito americano smobilitato e le industrie belliche occidentali riconvertite rapidamente alla produ¬zione civile; nel '44 poi il governo De Gaulle aveva sottoscritto un trattato d'amicizia con la Russia e negli stessi anni si ebbe un analogo trattato di alleanza russo-britannico. Tutte queste ragioni dovrebbero far pensare che l'Unione Sovietica non avesse molto da temere e che non esisteva una ostilità pregiudizievole nei suoi confronti. Gli Accordi di Yalta prevedevano d'altra parte significative garanzie (come la revisione dello statuto degli stretti del Mar Nero), mentre fra gli Alleati i rapporti non erano sempre così cordiali come si potrebbe pensare. Nel '44 gli Accordi di Bretton Woods sull'economia mondiale e il sostegno americano alle aspirazioni indipendentistiche dei popoli asiatici costituivano motivi di attrito fra USA e le potenze europee.
All'origine della guerra fredda vi fu sicuramente il problema delle zone d'influenza sulle quali esistevano concezioni molto diverse. Per i sovietici il concetto di zona d'influenza implicava il diritto di intervento negli affari interni dello stato, mentre per gli occidentali doveva essere garantito il ritorno alla legalità. Così nella Grecia sotto l'influenza britannica si ebbe come primo ministro un democratico convinto come Papandreu, mentre nel fronte opposto si avevano uomini come Rakosi o Ulbricht disprezzati dai propri cittadini e total-mente soggetti all'autorità di Mosca. Nessun raffronto è possibile fra paesi come l'Italia o il Giappone che gli accordi fra le potenze avevano previsto come soggetti "all'influenza americana" e paesi come quelli dell'Europa orientale dove ogni legalità era stata stravolta.
Certamente è difficile pensare ad una guerra che si sovrappone con una precedente, tuttavia i primi segnali della contrapposizione fra Est e Ovest sono ben presenti nel corso della seconda guerra mondiale: il contrasto fra il governo polacco di Londra e il governo di Lublino, l'antagonismo fra i gruppi della resistenza filo monarchici e comunisti in Jugoslavia, la guerra civile in Grecia costituirono eventi significativi di un mutamento di clima politico.
Il nuovo assetto dell'Europa iniziò a delinearsi ben prima della conclusione del conflitto mondiale. Nel corso della guerra i tre "Big" Inghilterra, Stati Uniti, Unione Sovietica tennero una serie di incontri sulla conduzione militare e sugli aspetti politici dello scontro; dapprima sommariamente, successivamente nel dettaglio venne formulata la nuova geografia del continente.
Nella Conferenza di Teheran del dicembre '43 venne concordato l'impegno a realizzare una grande "famiglia mondiale di nazioni democratiche" secondo i principi espressi nella Carta Atlantica precedentemente stabilita e approvata anche dall'URSS. La Carta Atlantica, uno dei documenti più importanti nella enunciazione dei principi che dovevano ispirare il futuro assetto mondiale, prevedeva il diritto dei popoli all’autodeterminazione, il sostegno alla democrazia, la collaborazione tra le nazioni nella sicurezza e nella libertà, la riduzione degli armamenti, e il libero accesso alle materie prime. Nella stessa Conferenza, tuttavia, presero corpo alcune richieste, di diversa ispirazione. Venne proposto che all'interno dell'organizzazione mondiale degli stati fosse riservata una posizione di maggiore rilievo alle grandi potenze che avevano preso parte alla guerra al nazifascismo, richiesta che negli anni successivi si concretizzò nella istituzione del "Consiglio di Sicurezza" dell'ONU. L'organismo non presente nella precedente Società delle Nazioni e tuttora in vigore, rappresentò una alterazione al principio della pari dignità delle nazioni. Gromiko riferisce a tal proposito nelle sue memorie di avere avuto contrasti di vedute con il segretario di stato Stettinius contrario ai poteri speciali da conferire alle tre grandi potenze , e nel corso degli anni il diritto di veto previsto venne utilizzato più di 100 volte dall'URSS. Le limitazioni ai principi del diritto internazionale furono anche più ampie. L'Unione Sovietica richiese in quel consesso il riconoscimento degli acquisti territoriali previsti dal Patto Molotov-Ribbentrop del '39: annessione di Lituania, Lettonia, Estonia e delle provincie orientali della Romania e della Polonia, portando il confine con quest'ultima su una linea che sostanzialmente coincideva con la linea Curzon, che era considerata la più equa demarcazione fra le popolazioni russo-ucraine e polacche.
Sulla questione polacca in particolare, non mancarono aspri contrasti; nell'aprile precedente si era verificata la rottura delle relazioni fra il governo polacco in esilio a Londra e l'Unione Sovietica in seguito alla scoperta dell'eccidio di ufficiali polacchi, avvenuto presso il villaggio di Katyn, dove vennero rinvenuti nelle fosse comuni cadaveri di oltre 10.000 militari. Nella zona polacca appena liberata, la costituzione di un nuovo governo, il comitato di Lublino, in contrasto con il governo in esilio, e il mancato intervento dei russi a favore della rivolta di Varsavia, contribuì notevolmente all'ostilità verso i comunisti. Nel corso della tragica insurrezione (durante la quale trovarono la morte 250.000 polacchi) i sovietici prossimi alla città deliberatamente evitarono di occuparla e rifiutarono lo scalo sul territorio da loro controllato degli aerei anglo-americani che avrebbero consentito l'invio di materiale bellico agli insorti. La repressione nazista costituì un pesante colpo per il movimento di resistenza. Analoghi avvenimenti si ebbero in Slovacchia, anche qui un insurrezione antitedesca quando i reparti dell’Armata Rossa erano prossimi alla regione non ebbe successo; tuttavia in questo caso la collaborazione fra democratici e comunisti non venne meno.
Alla Conferenza Churchill espose il suo punto di vista sulla necessità di una penetrazione degli eserciti dei paesi occidentali nei Balcani al fine di contrastare l'influenza sovietica nella regione, ma non ebbe l'appoggio di Roosevelt e la questione decadde senza avere seguito. Le importanti concessioni degli anglo-americani ai sovietici nella Conferenza di Teheran e in quella successiva di Yalta erano finalizzate all'inserimento dell'URSS nel sistema di relazioni internazionali di stampo occidentale, e di incoraggiare alcune importanti riforme interne di quel paese che potevano apparire come un avvio di democratizzazione e di apertura. In quei mesi veniva annunciato infatti lo scioglimento del Comintern, consentendo una maggiore autonomia dei singoli PC nazionali, un maggiore decentramento politico-amministrativo a favore delle popolazioni non russe, ed infine un accordo in materia religiosa con la chiesa ortodossa.
Nello stesso periodo si ebbero alcuni importanti incontri a Dunbarton Oaks negli Stati Uniti, sulla costituzione dell’ONU. Non si ebbero particolari contrasti, tuttavia l’Unione Sovietica rivendicò il diritto di disporre di 16 seggi della Assemblea Generale, un seggio per ciascuna repubblica dell’URSS, iniziativa che destò preoccupazione presso gli alleati occidentali.
Nell'ottobre del '44 si tenne a Mosca un incontro fra Churchill e Stalin per il superamento delle divergenze nella politica dei due governi. In quella occasione si parlò per la prima volta di sfere di influenza: Bulgaria e Romania avrebbero fatto parte della zona d'influenza sovietica, la Grecia di quella inglese, Jugoslavia e Ungheria soggette al controllo di entram¬be. L'episodio non molto felice è stato riportato dallo stesso Churchill nelle sue memorie ma non pienamente chiarito, non si è tradotto in un autentico accordo e non risulta che abbia avuto un seguito. Visto in un più ampio contesto si può ritenere che lo statista inglese volesse solo rassicurare l'alleato che le richieste britanniche erano limitate e non anche che si dovesse violare i principi della Carta Atlantica precedentemente approvata.
Le questioni dei Balcani e dell'Europa Orientale costituirono subito dopo il ritiro delle truppe tedesche problemi complessi e motivi di contrasto fra le grandi Potenze.
Nella Grecia invasa da truppe italiane e tedesche si venne a formare una attiva resistenza con tre formazioni: l'EAM-ELAS di tendenze comuniste, l’EKKA repubblicana riformista, l'EDES formata da elementi monarchici e democratici. Per evitare la degenerazione della situazione (come nella vicina Jugoslavia erano frequenti gli scontri fra le varie fazioni) gli inglesi chiesero al re Giorgio di tenersi temporaneamente in disparte, e di affidare la reggenza ad un personag¬gio più amato dal popolo, l'arcivescovo Damaskinos. Nel paese già colpito da una gravissima carestia, si costituì con l'appoggio delle truppe britanniche sbarcate ad Atene, un governo di coalizione nazionale con rappresentanti di tutte le fazioni, presieduto dal socialdemocratico Papandreu che in passato era stato uno dei massimi oppositori alla dittatura di Metaxas. Il governo tuttavia ebbe una durata brevissima. Il 2 dicembre '44 i sette ministri di sinistra diedero le dimissioni a causa dell'impossibilità di giungere ad un accordo sul disarmo dei gruppi partigiani e sulla questione istituzionale. Il giorno successivo una manifestazione comunista ad Atene si concluse con numerosi morti (incidenti avvenuti forse per responsabilità degli stessi dimostranti) che costituì l'inizio degli scontri e della guerra civile. Al governo, sempre comprendente un vasto schieramento politico, subentrò il generale di tendenze repubblicane Plastiras che dovette gestire una situazione estremamente difficile. La ripresa del controllo di Atene costò ai britannici 2000 morti, e lo stesso Churchill (criticato dalla stampa occidentale, ma non da quella sovietica, per la durezza dell’intervento) dovette intervenire. Si arrivò comunque ad un compromesso, che venne formalizzato negli Accordi di Varkiza, che prevedevano il disarmo dei gruppi partigiani, l’epurazione dei collaborazionisti, libere elezioni e referendum sul futuro assetto istituzionale.
Anche in Jugoslavia, dove la monarchia formalmente non era stata abrogata, si assistette a contrasti all'interno della resistenza; da una parte i cetnici, serbi nazionalisti, sotto il comando di Mihajlovic, e dall'altra i comunisti titoini comprendenti diverse nazionalità. Americani ed inglesi fecero pressioni sul re Pietro II affinché togliesse il sostegno al generale nazionalista in quanto ritenuto eccessivamente in contrasto con i gruppi non serbi, e si arrivò nel giugno del '44 ad un compromesso con i titoini, che tuttavia venne rapidamente superato dagli eventi; nell'ottobre di quell'anno Belgrado venne liberata dalle forze congiunte russe e titoine che costituirono l'unica forza politica determinante del paese.
In quello stesso periodo crebbe il timore reciproco fra anglo-americani e russi di una pace separata con la Germania. Nell'estate del '43 si erano avuti incontri a Stoccolma fra agenti sovietici e tedeschi con reciproche proposte per la conclusione del conflitto, e contatti informali si ebbero anche nei mesi successivi fra rappresentanti del Reich e Alleati occidentali. E' da ritenersi che se l'attentato a Hitler nel luglio del '44 da parte delle alte gerarchie militari tedesche avesse avuto successo le potenze occidentali avrebbero forse incontrato meno difficoltà a concludere un armistizio a danno dei sovietici.
Alla Conferenza di Yalta nel febbraio 1945 venne stabilito il nuovo assetto politico mondiale in linea con quanto stabilito nella precedente Conferenza di Teheran:
- Disarmo, smilitarizzazione e smembramento della Germania, con creazione di una zona d'occupazione francese da ottenersi nella parte di territorio spettante all'Inghilterra e agli USA. Veniva stabilito inoltre da parte sovietica un piano di requisizioni per 20 miliardi di dollari, che venne contestato perché eccessivo dagli inglesi.
- Spostamento a ovest della Polonia, con confini da definire in incontri successivi. Veniva previsto inoltre il riconoscimento del governo di Lublino con l'inclusione comunque di esponenti del governo di Londra.
- Riconoscimento del governo di Tito in Jugoslavia con raccomandazione tuttavia, ad allargare il medesimo ad esponenti non comunisti.
- Revisione del Trattato di Montreux concernente gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli a favore dell'URSS, tale da consentire un migliore accesso alla flotta sovietica.
- Revisione dei confini fra Italia, Jugoslavia e Austria, in conformità alla situazione esistente.
- Ripristino dei diritti russi sulla Cina, la Mongolia Esterna, sulle basi navali di Port Arthur e Dairen, le ferrovie Transmanciuriana e Sudmanciuriana; e per quanto riguardava il futuro dello stato giapponese, occupazione sovietica della parte meridionale dell'isola di Sakhalin, delle isole Curili e presidio temporaneo della Corea da parte delle forze armate americane e sovietiche.
- Costituzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e del Consiglio di Sicurezza, con poteri speciali.
- Impegno sovietico nella guerra col Giappone (non essendo stata perfezionata la bomba atomica gli americani in quel momento ritenevano particolarmente utile il contributo russo nel conflitto) da realizzarsi non appena conclusa la guerra in Europa.
- Dichiarazione sull'Europa Liberata che prevedeva il "diritto di tutti i popoli a scegliersi la forma di governo sotto la quale vogliono vivere" e quindi l'impegno da parte delle tre potenze di "costituire delle autorità governative provvisorie largamente rappresentative di tutti gli elementi democratici di queste popolazioni, e che si impegneranno a stabilire, non appena possibile, con libere elezioni, dei governi che saranno l'espressione della volontà popolare" .
Venne invece accantonato il cosiddetto Piano Morgenthau, sottoscritto da Inglesi e Americani alcuni mesi prima, che prevedeva la totale deindustrializzazione della Germania, si ritenne infatti che tale iniziativa avrebbe avuto pesanti ripercussioni sull’economia europea.
Nel corso della seconda guerra mondiale molti auspicavano una collaborazione ampia e su basi democratiche fra le tre grandi potenze e che gli Stati Uniti non riprendessero la politica isolazionista come negli anni successivi al precedente conflitto; secondo lo storico italiano Salvatorelli "L'America è proprio quello che ci vuole fra l'Inghilterra e la Russia" per garantire un lungo periodo di pace. Una larga parte dell'opinione pubblica riteneva che un "ruolo guida" dei Tre Grandi avrebbe garantito la stabilità nella politica europea e mondiale ma il concetto di "ruolo guida" si prestava ad interpretazioni molto ambigue. Analogamente la diversa concezione delle sfere d'influenza fu motivo di contrasto fra anglo-americani e sovietici; "La divisione dell'Europa in sfere d'influenza", è sempre Salvatorelli che parla, "porterebbe con sé la soggezione stabile delle molte potenze minori alle poche maggiori, la compromissione radicale del diritto dei popoli a un'equa parità, a una ragionevole autonomia. Altro è riconoscere, come noi abbiamo già esplicitamente fatto, la necessità «rebus sic stantibus» di una condirezione delle tre grandi potenze vincitrici; altro è trasformare l'espediente temporaneo in soluzione permanente, o piuttosto peggiorare radicalmente lo stato di fatto della condirezione facendo di questa una spartizione" . Molti condividevano il timore e ritenevano che il risultato principale della Conferenza di Yalta fosse stato la suddivisione dell'Europa e del resto del mondo in zone d'influenza. L'opinione non era del tutto errata, tuttavia le zone d'influenza hanno conosciuto situazioni molto differenti; nel campo occidentale l'influenza anglo-americana avveniva attraverso sovvenzioni economiche o d'altro tipo ai partiti anticomunisti ma senza alterare la legalità, nel campo orientale la legalità veniva immediatamente stravolta con elezioni irregolari e vessazioni di ogni tipo nei confronti dell'opposizione.
La figura di Roosevelt, il principale protagonista degli accordi, è stata oggetto di giudizi molto contrastanti; è stato considerato un intransigente idealista, e il responsabile della cessione di una parte dell'Europa ai sovietici. Entrambi i giudizi possono non essere condivisibili. Gli Stati Uniti intervennero nel conflitto mondiale con molta riluttanza, pertanto conclusa la guerra contro il nazismo ritennero il loro ruolo concluso, non diedero eccessivo interesse ai problemi dell'Europa e si disinteressarono del destino dei popoli dell'Europa orientale. Considerare il presidente americano un idealista intransigente potrebbe essere anche eccessivo. L'annessione dei paesi baltici e le deportazioni delle minoranze non russe in Unione Sovietica, il trasferimento in patria dei prigionieri russi liberati dagli eserciti alleati contro la propria volontà già nel corso della guerra, non potevano sfuggire al presidente americano. Molti politici americani del resto condividevano l'ottimismo di Roosevelt e mostravano una certa propensione per l'Unione Sovietica, non perché simpatizzassero per quel sistema politico, ma perché al vertice di esso vi era in quel periodo un comunista, non ideologizzato e pragmatico, con il quale a differenza di molti altri esponenti comunisti, era sempre possibile il negoziato e quindi avviare, anche se gli avvenimenti successivi furono diversi, il mondo verso una stabile pace.
Nelle settimane immediatamente successive al vertice mondiale, una serie di gravi violazioni agli accordi in Europa orientale da parte dell’Unione Sovietica ponevano una pesante incognita sulla tenuta dei medesimi e sul futuro del nostro continente, portando anglo-americani da una parte e sovietici dall’altra ad una progressiva rottura.
L'UNIONE SOVIETICA NEL PERIODO STALINIANO
Nel leninismo il fine ultimo dello stato è l'emancipazione economica e politica del lavoratore, non diversamente da quanto previsto dai marxisti; ma tale fine è realizzato attraverso non l'azione solidale e spontanea dei lavoratori, ma attraverso la guida del vertice politico. La massima autorità dello stato, o meglio dello stato-partito, rappresenta la suprema depositaria del bene dei lavoratori, insindacabile e non aperta alle richieste dal basso. Sindacato libero, agitazione spontanea dei lavoratori diventano nel leninismo delle minacce all'ordinamento, azioni di una massa priva di coscienza che non contribuiscono all'evoluzione della società nel senso previsto dal comunismo.
Il vertice dello stato nei paesi comunisti esercita la sua azione sui corpi intermedi, i quali agiscono a loro volta sulla parte restante della società in una organizzazione piramidale efficiente dove nulla può sfuggire. Secondo i principi dello centralismo democratico la società è sostanzialmente un corpo inerte plasmato dalla volontà politica del ristretto gruppo di potere al quale è legata da un rapporto di subordinazione.
Nel corso della storia molte forze politiche portatrici di idee rivoluzionarie, sebbene democratiche, hanno ritenuto di dover realizzare per un periodo di tempo circoscritto un regime che assumesse i pieni poteri per neutralizzare le opposizioni legate al precedente regime. Questo fenomeno rientra in quel realismo politico che viene generalmente conside-rato accettabile nell'opinione pubblica. Nell'Unione Sovietica liquidate le forze controrivolu-zionarie e le interferenze straniere, gli strumenti repressivi non vennero ridimensionati ma conservati ed anzi perfezionati. Molte delle purghe staliniane apparirono in Occidente oltre che deprecabili, come operazioni prive di alcuna utilità dal momento che nulla minacciava la stabilità dello stato sovietico negli anni '30. Nello stalinismo infatti l'obbiettivo non è la neutralizzazione delle opposizioni ma di tutto ciò che possa costituire difformità nella società. Le minoranza nazionali, il sentimento religioso, le tendenze scientifiche e artistiche non codificate dal regime, (e finanche le deviazioni sessuali) sono viste come minaccia all'ordinamento. Ogni forma di critica autonoma, ogni forma di individualismo, viene drasti-camente abolito. Queste caratteristiche non trovano riscontro nei regimi totalitari nazionalistici che si affermarono in Italia o nei paesi balcanici negli anni '30, che in genere si limitarono ad una concentrazione dei poteri senza creare però un sistema di controllo sull'individuo.
Riguardo ai regimi totalitari del nostro secolo è possibile fare una distinzione fra quei sistemi politici, come il nazismo, lo stalinismo e il maoismo che ricorrono all'utilizzo della persecuzione di massa anche contro nemici "potenziali", allo stravolgimento delle regole di diritto civile, e si pongono come finalità la trasformazione forzata dell'individuo, e quei sistemi che attuano una forma di repressione diretta a neutralizzare l'opposizione politica in senso stretto, il diritto civile non differisce sostanzialmente dai sistemi democratici e dimostrano una certa indifferenza verso gli aspetti personali dell'individuo.
La scissione operata dal leninismo fra il vertice e la base della società si è aggravata nel corso degli anni e a distanza di generazioni non si registrarono progressi. L'emancipazione dei lavoratori, grande obbiettivo della dottrina di Lenin non ha avuto luogo ed anzi i piani quinquennali rappresentarono una non indifferente involuzione per il proletariato costretto alla irreggimentazione materiale e morale per garantire il decollo economico del paese. La élite che guidava lo stato divenne così progressivamente burocrazia anonima e priva di valori, per approdare in tempi recenti, dopo la caduta del regime totalitario, ad una alleanza con i nazionalisti, solidali nella lotta alla democrazia.
Sul concetto di democrazia al quale le dottrine dei paesi dove il comunismo era al potere hanno fatto ampio ricorso, vi è sempre stato un equivoco: essa non ha il significato di volontà dei cittadini liberamente espressa, ma nel bene della collettività gestito discrezio-nalmente dal vertice politico. La verifica attraverso gli strumenti autonomi della società è un concetto estraneo alla dottrina affermatasi nei paesi del socialismo reale. La posizione comunista sotto questo punto di vista sconfinava nel manicheismo; dal momento che essi rappresentavano il progresso e il bene dei popoli, ogni loro atto, anche con l'uso della forza, non poteva che essere legittimo giustificato storicamente.
Alla luce degli ultimi avvenimenti appare molto ridimensionata l'affermazione di diversi storici, che la Rivoluzione del '17 rappresenti il maggiore avvenimento del nostro secolo. Lo stato sovietico così come si è venuto a realizzare non può essere considerato l'attuazione di un principio innovatore. Il crollo del comunismo e la disgregazione dell'Unione Sovietica testimonia che la società capitalista non sia fatalmente destinata a soccombere davanti il socialismo e che la democrazia borghese sia storicamente e dialetticamente superata. Il socialismo dirigista non ha trovato il consenso degli intellettuali, della parte più progredita del proletariato (categorie che invece hanno maggiormente contribuito al crollo del comunismo) e ha invece sviluppato sul piano sociale una classe parassitaria, priva di valori, incapace di rinnovarsi, ostile ad ogni innovazione. Nei paesi meno evoluti, come la Serbia, la Romania, il vecchio regime resiste ancora, mentre completamente liquidato appare nella repubblica Ceca o in Ungheria, società più evolute.
Il controllo della società nella Russia staliniana è sistematico, ogni organizzazione anche a carattere privatistico con finalità non politiche è soggetto al controllo della polizia speciale. Come scrisse il grande storico italiano Salvatorelli, "Stalin mantenne, e anzi rafforzò la sua dittatura che divenne sempre più fine a se stessa, sempre più lontana dallo spirito di umanità e dal principio marxista del potere ai lavoratori ". Lo storico russo Roy Medvedev ha calcolato in 20 milioni le vittime dello stalinismo e in altrettanti quelli sottoposti ad internamento e secondo Solzenitsin in tutto il periodo sovietico 60 milioni furono le vittime direttamente o indirettamente provocate dalla dittatura sovietica. Ciò che colpisce maggior-mente è comunque l'inutilità sotto ogni punto di vista di molte persecuzioni, come quella di cui furono vittime gli ex prigionieri di guerra dei tedeschi, tutti uomini che avevano combattuto con onore e che non avevano collaborato col nemico negli anni passati nei campi di concentramento. Vennero spediti in Siberia come documentato da Nicolai Tolstoi in "Vittime di Yalta" .
Alla luce di tali episodi l'Unione Sovietica, lungi da essere il superamento del liberalismo e della democra¬zia "borghese", rappresenta la antitesi dei valori liberali, in una particolare commistione di autoritarismo tradizionale, e moderno. Gestione capillare della società, disprezzo del diritto, forte senso dello stato spinto all'abnegazione, rappresentano gli elementi fondamentali del sistema socialista sovietico.
Il caso dell'Unione Sovietica ci pone un inquietante interrogativo, come un paese sorto sulla base di una dottrina rivoluzionaria in seguito ad avvenimenti considerati fra i più importanti del secolo abbia dato vita ad un regime che non solo non ha raggiunto gli obbiettivi previsti dalla sua ideologia, fare del paese uno stato moderno dove il lavoratore fosse il soggetto principale della società, ma ha dato vita ad un regime dispotico chiuso ad ogni innovazione che nel corso della sua esistenza ha dato vita a episodi che ripugnano la coscienza umana.
Veramente si può pensare che l'emancipazione dei lavoratori e dei popoli, il progresso della storia, la costituzione di una società mondiale libera si possa realizzare attraverso l'antitesi della libertà, la coercizione materiale e psichica, l'educazione alla subordinazione? I risultati dei regimi comunisti in Europa e nel Terzo Mondo farebbero pensare di no.
Nell'Unione Sovietica del periodo staliniano si creò una mitologia nella forma non diversa da quella di altri regimi totalitari, finalizzata a far ritenere che il paese dovesse impegnarsi in sforzi colossali e fossero necessarie misure gravissime per fronteggiare le minacce provenienti dall'esterno. Il regime aveva creato l'idea che lo stato sovietico dovesse vivere in una costante tensione per la realizzazione di grandi obbiettivi e che gli fosse affidata una importante missione per l'umanità. I successori di Stalin pur mitigando lo stato del terrore non furono in grado di essere all'altezza del mito e il regime fondato dal grande dittatore non poté che avviarsi ad un progressivo declino.
Nel dopoguerra i comunisti presentarono la Russia sovietica come la grande liberatrice dell'Europa, ma occorre ricordare che le enormi perdite umane durante la guerra furono la conseguenza dell'invasione tedesca ma anche della eliminazione della parte migliore degli ufficiali durante gli anni della Grande Purga. Sulla condotta della guerra non mancarono d'altra parte gravi ombre: il Patto Molotov-Ribbentrop sulla spartizione dell'Europa Orientale, l'eccidio di Katyn, il mancato intervento a favore della Rivolta di Varsavia.
Nel periodo staliniano numerose innovazioni introdotte dalla Rivoluzione riguardo la società vennero eliminate; la famiglia tornò ad essere il nucleo della società, venne vietato l'aborto, abolite le scuole con classi miste maschi e femmine, introdotto un singolare divieto di matrimonio con cittadini stranieri. Il periodo staliniano per molti aspetti rappresentò un autentico regresso per la nazione russa. La subordinazione della cultura e il culto della personalità (che con la imbalsamazione della salma di Stalin raggiunse livelli patologici) difficilmente trovano riscontro in altri regimi.
Il controllo e la rigida subordinazione della cultura, dell'arte, e di ogni manifestazione di pensiero, insieme all'esaltazione nazionale russa fu la direttiva principale del governo sovietico; per Zdanov. "Compito della letteratura sovietica... è aiutare lo stato a educare in modo giusto la gioventù" . Lo studio non finalizzato agli obbiettivi di partito venne considerato come "spirito oggettivo" in contrasto con le direttive dello stato. Venne infine riabilitato in quegli anni il passato zarista della Russia.
Non mancarono nell'URSS le manifestazioni di un nazionalismo gretto e volgare come la mistificazione delle epopee dei popoli non russi, della cultura e dell'arte europea; negli stessi anni si ebbe la attribuzione di alcune importanti scoperte scientifiche e tecnologiche (fra le quali la radio, l'aeroplano, la lampadina, e la locomotiva) a uomini di origine russa e la negazione nel campo scientifico della genetica da parte dell'accademico Lyssenko che venne ufficialmente approvata dal regime. Il sedicente scienziato prometteva enormi risultati dall'applicazione delle sue teorie nel campo agricolo, e gli esponenti della comunità scientifica che vi si opponevano vennero perseguitati o allontanati. Dove le direttive della nuova biologia vennero attuate si ebbero gravissimi danni sul piano economico e ambientale.
Il nuovo ordinamento stalinista prevedeva una serie di gravi restrizioni dei diritti dell'individuo; l'arresto venne considerato un atto amministrativo non soggetto al controllo della magistratura, e di fatto nessun individuo a qualsiasi categoria appartenesse poteva considerarsi al sicuro dal cadere improvvisamente in disgrazia senza conoscere le cause della sanzione.
Non appare accettabile la tesi sostenuta da molti comunisti che i sistemi repressivi di massa realizzati nell'Unione Sovietica fossero il prodotto dell'isolamento a cui fu sottoposto il paese. Gli anni del Terrore, seguiti all'assassinio di Kirov nel dicembre 1934 probabilmente programmato da Stalin stesso, vennero a cadere in un periodo di grande stabilità del paese, quando le minacce straniere, le armate controrivoluzionarie, le opposizioni politiche e delle minoranze allogene erano ormai un ricordo del passato. In campo internazionale a metà degli anni '30 si ebbero alcuni importanti cambia¬menti; l'Unione Sovietica cessò di essere vista come una nazione esportatrice di pericolose rivoluzioni, fece ingresso nella Società delle Nazioni, giudicata fino allora come una aggre¬gazione di forze borghesi e in campo diplomatico si dichiarò per il mantenimento dello status quo; nel 1935 concluse un patto di non aggressione e assistenza con la Francia, integrato con un'alleanza con la Cecoslovacchia, mentre le relazioni con la Germania nazista furono per un certo periodo tutt'altro che di ostilità. D'altra parte l'isolamento per un paese come l'Unione Sovietica che dispone di risorse naturali immense non poteva avere molto significato.
Negli anni '36-'38 si abbatté sul paese la Grande Purga con la quale venne liquidata la vecchia classe dirigente leninista. Appare incredibile come una intera categoria di cittadini, in gran parte bolscevichi che avevano preso parte alla rivoluzione, siano stati liquidati senza alcuna reazione, così come l'esercito subì senza ribellarsi la eliminazione delle alte gerarchie militari. Il 70% dei membri del vecchio Comitato Centrale vennero in diversi modi epurati o eliminati. Una gigantesca operazione di forza si attuò nel paese, 8 milioni di cittadini vennero sottoposti a misure restrittive, 5-6 milioni subirono la deportazione nei campi di lavoro della Russia settentrionale, e della Siberia. Con tali mezzi il regime si proponeva di creare una classe dirigente ed una società allineata e disciplinata con le direttive provenienti dall'alto.
Nello stalinismo la repressione non è una degenerazione legata a fatti contingenti, ma sviluppo logico e parte integrante della dottrina che intende creare una società anonima e uniforme priva di identità e di radici storiche. La coercizione, la deportazione, la perdita della memoria storica e lo svilimento degli oppositori attraverso le confessioni forzate costituirono gli strumenti ordinari di tale strategia.
Alcuni esponenti comunisti a proposito di certi comportamenti del dittatore georgiano che ripugnavano le coscienze umane hanno parlato di "errori", ma non è una affermazione condivisibile. Certi atti, come la creazione dei "gulag" non sono errori ma lo sviluppo puntuale della dottrina stalinista, errori sono piuttosto da ritenersi il mancato appoggio dei comunisti europei alla posizione di Tito. Nel '56 la denuncia di Kruscev sui crimini dello stalinismo confermò i sospetti dell'opinione pubblica mondiale sulle pesanti misure coercitive in vigore nel paese e che i sostenitori del sistema sovietico avevano sempre contestato come opera della propaganda americana. Le rivelazioni costrinsero i comunisti ad un diverso atteggiamento; venne affermato che il comunismo si realizza per "fasi" e che fosse necessario un periodo dittatoriale per arrivare alla affermazione del socialismo. La realtà non ha confermato questa opinione l'Unione Sovietica si è appiattita nell'autoritarismo e a distanza di decenni o di generazioni non si è registrato alcun progresso nella realizzazione di uno stato diverso.
I metodi autoritari non hanno risparmiato nemmeno lo stesso partito al potere. Il Congresso del partito venne convocato da Stalin in due sole occasioni, nel '39 e nel '52, il Soviet Supremo venne privato di fatto dei suoi poteri decisionali, mentre il Comitato Centrale, responsabile dell'elezione dei massimi organi e del Politburo, si riunì non più di quattro volte fra il '39 e il '51.
Le terribili misure repressive vennero sopportate dalla popolazione con rassegna-zione. Il popolo russo nutriva nei confronti del potere un misto di timore, di fedele devozione e di orgoglio appagato dal nazionalismo. Il rapporto fra stato e cittadino era di sudditanza talvolta insofferente e passiva talvolta partecipe.
Il dopoguerra rappresentò un periodo estremamente difficile per la nazione russa a causa delle distruzioni della guerra, ma anche per la prosecuzione delle persecuzioni contro oppositori o più semplicemente di personaggi che avevano perso la fiducia del dittatore. In base ai documenti del KGB da alcuni anni disponibili, risulta che 20 milioni di cittadini sovietici, per periodi più o meno lunghi soggiornarono nei campi di lavoro forzato. Si tratta di insediamenti (G.U.L.A.G. ovvero Direzione statale per i campi) nelle zone interne della Siberia e della Russia settentrionale dove i detenuti venivano utilizzati nei settori lavorativi più ingrati, generalmente nelle miniere, direttamente gestiti dalla polizia politica, all'interno dei quali i reclusi non politici, delinquenti abituali, era riconosciuto un superiore status. Queste colonie forzate ebbero un importante ruolo nel processo di industrializzazione del paese negli anni '30 e '40, tuttavia la bassa produttività, le attività di controllo dispen¬diose, le ribellioni di massa (numerose e gestite da associazioni clandestine anche ben organizzate), resero questo sistema produttivo scarsamente redditivo e venne drasticamente ridotto dopo la morte di Stalin. I morti fra il '34 e il '47, come risulta dagli archivi furono 516.000 , una cifra inferiore a quella calcolata da alcuni organismi in Occidente; diversamente dai lager nazisti infatti il fine di questo apparato non era la distruzione di un genere umano, ma l'utilizzo di mano d'opera a basso costo.
Negli anni '40 una larga parte dei condannati al lavoro coatto era rappresentata da minoranze non-russe accusate di collaborazionismo con i tedeschi. Le deportazioni di massa delle popolazioni allogene iniziarono già prima del '45. Negli anni '36-'38 vennero colpiti Ucraini, Tatari, Uzbechi, Mongoli Buriati, nel '40 i Baltici, Bielorussi e Moldavi, nel '41 i Tedeschi del Volga, nel '44 i Tatari della Crimea, Calmucchi buddisti, Ceceni, Ingusci, Caraciai; lo spostamento di popoli interessò circa due milioni di individui. Le repubbliche autonome di Crimea, Cecenia Inguscezia, dei Tedeschi del Volga, e dei Calmucchi vennero abolite e sostituite da province sotto il controllo dello stato; inoltre venne accordato in tutte le repubbliche ai cittadini di origine russa un posto preminente nell'amministrazione, in genere il posto di Vice Segretario del Partito. Anche i gruppi religiosi furono oggetto di misure repressive, fra questi i Battisti conobbero la deportazione, mentre relativamente tollerata fu la chiesa ortodossa più incline al compromesso.
Altra vittima della politica stalinista nell'immediato dopoguerra furono i prigionieri di guerra russi rientrati dalla Germania. Soldati e ufficiali che pure avevano combattuto con valore, che non avevano collaborato in alcun modo durante l'internamento, vennero al momento della consegna alle autorità sovietica inviati nei campi di concentramento perché ritenuti potenzialmente ostili. Analogamente alla fine della guerra una grande massa di prigionieri di guerra tedeschi e giapponesi furono trattenuti in Unione Sovietica come criminali di guerra, in realtà il provvedimento costituiva un espediente per disporre di manodopera da avviare al lavoro forzato
La situazione delle regioni periferiche dello stato sovietico nel periodo immediatamente successivo alla conclusione del conflitto mondiale risultava precaria. Lungo la frontiera occidentale dell'URSS, nell'Ucraina, nelle repubbliche baltiche, e nella Bielorussia (ma anche al di là del confine in Polonia) operarono varie gruppi di guerriglia che si erano costituiti nel periodo dell'occupazione tedesca, di cui Mosca ne venne a capo definitivamente solo nel '50-'51. Tale situazione ebbe gravi riflessi sull'agricoltura e nel '46-'47 si ebbero centinaia di migliaia di morti fra i contadini a causa dei piani di prelievo nei loro confronti da parte del governo per finanziare la ripresa del paese, ma anche per le spese militari che rappresentavano nel periodo precedente alla morte di Stalin circa il 25% del bilancio dello stato.
La documentazione in possesso agli storici è ancora oggi fortemente lacunosa comunque nonostante l'apparente monoliticità dello stato non mancarono contrasti profondi nel gruppo di vertice. Nel febbraio del '48 Molotov venne sostituito nella carica di ministro degli esteri dal procuratore generale della repubblica Wiszinsky, personaggio temibile e terribile come lo definì lo stesso Gromiko nelle sue memorie. Il cambiamento non comportò un vero muta¬mento nella politica estera dell'Unione Sovietica; una svolta sia pure modesta nelle relazioni USA-URSS si ebbe nel 1952, quando Stalin visto il fallimento della politica di forza a Berlino come in Corea ritenne di evitare la politica dello scontro frontale. Fra Zdanov e Malenkov non mancarono attriti già nell'immediato dopoguerra. Nel '49 alla morte del primo si verificò il conflitto fra Malenkov, Berja, Kruscev contro Molotov e gli altri esponenti che erano stati vicini allo scomparso. Nel '51 infine Berja, ritenuto eccessivamente potente venne esautorato dal controllo sui servizi di sicurezza, anche se conservò la carica di ministro degli interni.
Fra i cambiamenti avvenuti nei primi anni Cinquanta si ebbe la modificazione della denominazione del partito da "avanguardia organizzata della classe operaia dell'URSS" in "organizzazione volontaria di lotta dei comunisti uniti dagli stessi ideali" , mentre la percentuale di iscritti al partito appartenenti alla classe operaia nel corso degli anni si ridusse progressivamente. Il partito comunista nel periodo staliniano aveva cessato di essere "organismo di elaborazione collettiva di un pensiero politico: da questo punto di vista, la differenza fra comunisti e non comunisti era diventata per Stalin puramente formale... cinghia di trasmissione delle direttive emanate dall'alto" .
Al 19° Congresso del partito tenuto nel 1952 Malenkov, il principale relatore, attaccò Molotov e si fece promotore di alcune innovazioni in politica estera. Si ritenne che la guerra fredda avrebbe rafforzato la coesione di Francia, Inghilterra e Stati Uniti e pertanto venne posta attenzione ai movimenti anticolonialistici che avrebbero potuto portare ad una rottura fra europei e americani, anticipando la futura politica kruscioviana; venne invece confermata la struttura accentrata della direzione dello stato venne confermata, nonostante il ritorno alla stabilità interna,
Negli anni del dopoguerra Stalin assunse una posizione sempre più sospettosa verso gli organi dello stato e anche del partito, ovunque il dittatore georgiano vedeva tentativi di complotto e qualsiasi personaggio emergente che non fosse espressione del gruppo dirigente venne visto con diffidenza, come nel caso del maresciallo Zukov, il maggiore protagonista della guerra alla Germania; venne allontanato da Mosca per un incarico secondario nonostante che non avesse mai assunto posizioni contrastanti con il vertice. Altre vittime di quel periodo furono alcuni esponenti del partito e di organizzazioni locali di Leningrado che avevano richiesto che fosse riconosciuto alla città l'importante ruolo di resistenza durante l'assedio nel corso della guerra contro la Germania e che la sede degli organi della Repubblica federativa Russa fossero trasferiti nella città del Baltico; la richiesta non ebbe seguito e i massimi dirigenti cittadini ritenuti responsabili dell'iniziativa vennero incarcerati o fucilati.
Nel '48 un progetto di costituire una grande comunità ebraica nella Crimea, spopolata per la deportazione dei Tartari, fu all'origine di una violenta campagna antisemita di cui ne fecero le spese uomini di cultura e il Comitato Ebraico Antifascista, il cui presidente Solomon Michailovic Mikoels venne gettato sotto un autocarro da agenti dei servizi segreti. Venne inoltre negato agli Ebrei il diritto di raggiungere la nuova patria in Palestina e la campagna antise¬mita che si venne a scatenare in quegli anni nell'URSS e nelle repubbliche dell'Est portò alla rottura delle relazioni diplomatiche con Israele.
L'ultimo periodo di vita di Stalin fu contrassegnato da una notevole ripresa delle epurazioni di cui ne subirono le conseguenze molti alti dirigenti e stretti collaboratori vittime dei sospetti del dittatore. Abakumov capo dell'MGB venne arrestato perché ritenuto troppo legato a Berija; successi¬vamente dopo la morte di Stalin venne liberato per essere accusato poco dopo per le vicende della cosiddetta "congiura di Leningrado". Nel 1952 vennero epurati dai rispettivi incarichi Aleksander Poskrebylev capo della segreteria personale di Stalin e il generale Nicolaj Vlasik capo della sua guardia del corpo. Venne incarcerata perché ebrea la moglie di Molotov senza che ciò suscitasse la reazione del leader comunista. Successivamente nel gennaio del '53 un gruppo di medici responsabili delle cure dei massimi dirigenti sovietici, in buona parte di origine ebrea, vennero accusati complotto e di aver provocato la morte dello stesso Zdanov. In seguito a tale iniziativa decine di migliaia di ebrei furono inviati nei campi di lavoro; solo la scomparsa di Stalin impedì la prosecuzione dell'opera.
La morte di Stalin provocò sgomento e dolore nella popolazione, nella gigantesca massa umana che si dirigeva nella capitale a rendere onoranza al defunto si verificarono parecchi infortuni che provocarono numerosi morti. Sulla morte del dittatore numerose sono state le voci che il decesso non avvenne per ragioni naturali. Si ritiene che la causa del decesso venne in qualche modo "aiutata" dall'intervento delle persone vicine (si fece il nome di Berja), e che i soccorsi medici non poterono arrivare che dopo diverse ore dalla emorragia cerebrale di cui Stalin fu vittima.
I progressi dell'Unione Sovietica al termine dei trent'anni di stalinismo non potevano considerarsi particolarmente numerosi, la società sovietica conobbe un'autentica involu¬zione. Il dispotismo come mezzo di progresso di una società si confermava un totale insuccesso.
Un'economia per potersi sviluppare adeguatamente necessità di attività come ricerca, spirito di creatività, libertà d'azione, fattori che non avevano spazio nell'economia sovietica; d'altra parte le enormi risorse sottratte alla produzione e destinate alle attività di controllo, di polizia, nonché alle spese belliche rappresentavano un peso economico non indifferente. La gestione dell'economia in forma autoritaria sotto qualsiasi regime difficilmente risulta produttiva. La centralizzazione del potere decisionale economico e l'ipertrofia dell'apparato burocratico produssero gravi alterazioni del sistema economico. I dirigenti di industria costretti ad un continuo incremento dei ritmi di produzione dovettero ridurre il livello qualitativo dei prodotti o falsificare i dati sull'andamento dell'azienda.
L'agricoltura non ebbe grande sviluppo e non mancarono gli scempi nel campo ecologico che produssero guasti economici gravi come l'inaridimento delle terre del Cazachistan. Nel 1940 nonostante la meccanizzazione e l'ampliamento delle superfici coltivabili (di oltre 6 milioni di ettari rispetto al periodo precedente) la produzione cerealicola pro capite non era superiore a quella degli anni precedenti la Rivoluzione. Situazione ancora peggiore risultava nel settore zootecnico dove si registrarono dei regressi rispetto al passato.
Il primo piano quinquennale nel 1928 con il quale si inaugurò la politica economica stalinista segnò un sensibile regresso per le condizioni dei lavoratori: orari di lavoro superiori alla norma (la legge prevedeva una giornata lavorativa di 8 ore ma normalmente se ne svolgevano 11 o 12) maggiore disciplina, ricorso al cottimo, differenziazione dei salari (la costituzione del '36 prevedeva esplicitamente l'abbandono del principio marxista della retribuzione del lavoro in base ai bisogni) contrassegnarono quegli anni. Gli obbiettivi grandiosi del piano (incremento industriale del 130%, incremento agricolo del 50%) vennero realizzati senza l'esclusione dei metodi adottati nelle industrie capitalistiche, contemporaneamente venne realizzata la collettivizzazione completa delle campagne che venne compiuta attraverso la liquidazione di quella classe di contadini relativamente benestanti, che aveva dato vita a organizzazioni di lavoro sufficientemente autonome (erano considerati tali coloro che possedevano più di 40-60 iugeri di terra e di 2-4 cavalli). La liquidazione della categoria avvenne con il ricorso a mezzi coercitivi, deportazioni e massacri (si calcola che si ebbero 10 milioni di morti e interi villaggi deportati). La grande opera di industrializzazione venne realizzata tenendo i prezzi dei prodotti agricoli forzata¬mente bassi, prelevando in tal modo ricchezza da tale settore per essere destinato all'industria
La linea economica seguita nel dopoguerra non divergeva sostanzialmente da quella seguita negli anni precedenti. La priorità veniva data alla produzione dei beni strumentali, mentre il tenore di vita rimaneva a livelli non elevati giustificato dallo sforzo contro l'"imperialismo". L'unico elemento innovativo di quegli anni fu l'utilizzo per la ricostruzione delle risorse dei paesi satelliti con ampio prelievo di beni e anche di manodopera.
Nella disciplina del lavoro ritardi nel lavoro erano considerati delitti punibili con la reclusione anche negli anni del dopoguerra. In quegli anni vennero introdotti forti incentivi economici a chi superava la produttività media (stacanovismo), una differenziazione salariale con rapporti da 1 a 10 all'interno di un medesimo impianto produttivo, "competizioni socialiste" fra il personale di aziende dello stesso settore. Il lavoro a cottimo divenne un sistema ampiamente diffuso, riapparso ufficialmente con una delibera del Comitato Centrale del PC dell'aprile del '24.
Successivamente al conflitto mondiale vennero ulteriormente aggravate le condizioni di lavoro dei lavoratori dell'agricoltura, costretti a lavorare senza quasi percepire reddito. Un bracciante delle aziende di stato in un anno non arrivava a percepire la retribuzione di un operaio dell'industria in un mese. In base ad una legge degli anni '30 i contadini non potevano abbandonare il villaggio senza una speciale autorizzazione ed inoltre la struttura agricola si presentava notevolmente inefficiente; i piccoli appezzamenti di terra lasciati in esclusiva ai contadini che rappresentavano non più del 6% del totale e delle terre coltivabili superavano di gran lunga la produzione dei Kolchoz e Sovchoz.
Al termine dei quasi trent'anni di stalinismo, l'Unione Sovietica si presentava profondamente trasformata in alcuni settori: la produzione industriale passava dai 40 miliardi di rubli del 1930 ai 245 del 1950 e vaste zone interne desolate erano state colonizzate, non senza il ricorso tuttavia a metodi coercitivi. La produzione di carbone fra il 1928 e il 1940 passava dai 36 ai 166 milioni di tonnellate e quella dell'acciaio dai 4 ai 18 milioni. Tuttavia molti dei prodotti non giungevano sul mercato e le statistiche non risultavano sempre attendibili, mentre molte produzioni risultavano inutilizzabili o prive di interesse per il settore al quale erano destinate.
La produzione di cereali costituì uno dei maggiori fallimenti dell'economia sovietica, lo stesso Kruscev successivamente dovette riconoscere che in questo settore "il paese si venne a trovare a lungo al livello della Russia prerivoluzionaria" . La resa complessiva del settore negli anni 1950-1953 era del 10% superiore a quella degli anni 1910-1914, ma la resa per ettaro di superficie coltivabile e quella pro capite risultavano addirittura ridotta. Il settore dell'allevamento infine registrava valori ancora peggiori.
Altro grande problema non risolto dell'Unione Sovietica fu la crisi degli alloggi nelle grandi città, era considerato normale che una intera famiglia vivesse in una stanzetta di pochi metri quadrati e che i servizi igienici fossero in comune in uno stabile per una ventina di famiglie, mentre diffusissimo risultava il fenomeno della coabitazione.
I PAESI DEL BLOCCO OCCIDENTALE
Dal punto di vista economico l'Europa usciva estremamente provata dal conflitto. Diversamente dalla 1° guerra mondiale, dove le distruzioni riguardavano solo le zone teatro di guerra, (così ad esempio l'Inghilterra era uscita praticamente indenne), nell'ultimo conflitto l'intero continente risultava profondamente devastato. Impianti industriali, città, ferrovie, comunicazioni marittime tutto risultava sconvolto. Altissimo si presentava il numero dei profughi e dei senza tetto, mentre disoccupazione e inflazione mettevano in difficoltà anche quelle categorie non direttamente colpite dalle distruzioni. In diverse parti d'Europa, in Germania e in Russia soprattutto, i danni all'economia provocavano enormi problemi di disponibilità di cibo per la popolazione. Alla forte domanda di prodotti dall'estero necessari per i bisogni più urgenti e la ricostruzione, risultava difficile provvedere a causa della scarsità di valuta estera disponibile e alla notevole contrazione delle esportazioni europee verso il resto del mondo. Grande importanza per la politica di aiuto ai profughi venne dalla creazione dell'agenzia speciale dell'ONU l'UNRRA al cui finanziamento provvedeva in larga parte gli Stati Uniti; di questa iniziativa ne beneficiarono ampiamente i paesi dell'Est e costituì dopo la cessazione della legge "affitti e prestiti" il maggiore contributo internazionale alla ricostruzione economica dell'Europa. I gravi problemi economici che minacciavano l'Europa rendevano più difficile la ricostituzione di stabili istituzioni; Truman nelle sue memorie ricorda che il segretario alla difesa americano Stimson fece presente che: "Durante il prossimo inverno era probabile sopravvenissero carestia ed epidemia in tutta l'Europa centrale. Disse che probabilmente a ciò sarebbero seguite la rivoluzione e l'infiltrazione comunista. Le difese che noi avremmo potuto opporre a tale situazione sarebbero stati i Governi occidentali della Francia, del Lussemburgo, del Belgio, dell'Olanda, della Danimarca, della Norvegia e dell'Italia. Era di capitale importanza impedire che questi paesi venissero spinti dalla fame verso la rivoluzione o il comunismo".
I paesi europei uscirono dal conflitto mondiale fortemente ridimensionati: le grandi distruzioni operate dalla guerra, il forte indebitamento con l'estero, la progressiva disgregazione degli imperi coloniali, la scarsità di risorse naturali rispetto al colosso sovietico e americano obbligarono il vecchio continente a rivedere radicalmente la sua politica.
Gli Accordi di Bretton Woods sulla creazione del FMI e la stabilità dei cambi, insieme alla creazione dell'ONU e agli Accordi di Yalta crearono una fiducia eccessiva in un grande avvenire per l'intera umanità e nella vittoria definitiva e irrevocabile della democrazia nel mondo, mentre la crisi economica e politica investiva il vecchio continente.
La crisi economica e il mutamento dei valori politici causato dal conflitto favorì in tutta Europa le forze di sinistra e più in generale provocò il ridimensionamento dei partiti borghesi a favore di quelli di massa, socialisti, comunisti, cattolici, che in Francia, Italia e Germania arrivarono a comprendere la massima parte dell'elettorato. Tuttavia di lì a poco in diversi paesi la guerra fredda con la conseguente radicalizzazione dello scontro politico mise in difficoltà i partiti della sinistra moderata, costretti a scegliere l'adesione a uno dei due schieramenti. La depressione economica, e sul piano morale lo sforzo bellico dell'Unione Sovietica contro il nazismo, favorì l'ascesa dei comunisti anche in quei paesi come la Svezia, la Danimarca, la Norvegia, il Belgio e l'Olanda dove i comunisti non avevano mai rappresentato una forza politica di rilievo. Tuttavia solo in Francia e in Italia il successo di queste forze politiche si presentò stabile nel tempo, mentre negli altri paesi vennero facilmente riassorbiti dalla sinistra moderata. I partiti comunisti europei in linea con il progetto staliniano rinunciavano comunque a qualsiasi piano di conquista del potere non legalitario e accettavano la prassi parlamentare.
Il Piano Marshall e il federalismo europeo divennero due dei principali temi del dibattito politico del dopoguerra: Il programma di aiuti americano venne contestato dalle forze di sinistra filo comuniste come un'ingerenza degli Stati Uniti negli affari interni dei paesi europei. Tale giudizio non veniva condiviso dalle altre forze politiche; una nazione che intende utilizzare il proprio potere economico su altri paesi preferisce servirsi di accordi bilaterali dove può strappare vantaggi superiori e mettere in concorrenza tra loro i beneficiari; il piano americano prevedeva invece la costituzione di un'organizzazione europea (l'OECE) con l'incarico di provvedere alla distribuzione degli aiuti. Anche la questione dell'integrazione europea divideva i comunisti (sostenitori invece dell'internazionalismo proletario e di un legame privilegiato con l'Unione Sovietica) dal resto delle forze politiche in massima parte favorevoli (esclusi i gollisti e i nazionalisti in genere) ad un accordo in materia economica fra le nazioni del vecchio continente e ad un nuovo spirito di collaborazione fra paesi che condividevano gli stessi ideali democratici, iniziativa che incontrava il favore degli stessi Stati Uniti.
L'azione dei comunisti in Italia, Francia, Jugoslavia e Grecia (su espressa disposi-zione di Mosca) fu estremamente prudente. In Francia e in Italia i comunisti disponevano di un vasto consenso e di una forza, anche sul piano militare, non indifferente, tuttavia Stalin richiese di non forzare la situazione. Si riteneva che non vi fossero le condizioni per la realizzazione di un regime comunista e che in ogni caso questo avrebbe potuto facilmente mantenersi non allineato con Mosca così come era avvenuto in Jugoslavia. Tuttavia nel campo occidentale si ebbero una serie di provvedimenti restrittivi nei confronti delle organizzazioni comuniste; il governo laburista inglese decise nel '48 l'esclusione dei comunisti da alcune istituzioni dello stato, seguito da analoghi provvedimenti in Francia e negli Stati Uniti.
La Gran Bretagna soprattutto avvertì le esigenze di un accordo di collaborazione in Europa, già nel corso della guerra Winston Churchill espresse la sua opinione sulla necessità della creazione di una grande coalizione di paesi europei per contrastare l'influenza sovietica e una possibile ripresa del nazismo. L'Inghilterra nella opinione di molti non era più in grado di mantenere il suo status di grande potenza e si apprestava realistica¬mente a ridimensionare il suo ruolo.
Nel luglio del '45 i conservatori, sotto il grave peso della crisi economica e dei sacrifici imposti dalla guerra, vennero fortemente penalizzati dall'elettorato. La svolta a sinistra venne considerata significativa delle nuove tendenze affermatisi in Europa. Il nuovo governo nel biennio 1946-47 procedette ad un piano di radicale trasformazione sociale ed economica del paese. Vennero nazionaliz¬zati importanti settori economici, banche, trasporti, attività minerarie, produzione di energia elettrica e dell'acciaio. Venne dato impulso alla ricostruzione edilizia delle città maggiormente colpite dalle devastazioni della guerra, alla riforma dell'insegnamento, all'estensione dei servizi sociali, e si fece ricorso alla svalutazione della sterlina per fronteggiare la difficile situazione della bilancia con l'estero. Tali iniziative vennero attuate attraverso il ricorso a finanziamenti degli Stati Uniti, verso i quali il governo si impegnava a rinunciare a certi privilegi coloniali, a sottoscrivere gli Accordi di Bretton Woods non ancora ratificati, e quelli sul liberalizzazione del commercio internazionale (il GATT), che contribuirono al progressivo ridimensionamento del ruolo economico del paese.
I provvedimenti adottati dai laburisti non furono in grado tuttavia di migliorare la situazione economica del paese e nel 1947 Attle fu costretto ad adottare un piano di austerità, consistente in forti restrizioni ai consumi e razionamento di alcuni viveri che provocò nel '49 la grave agitazione dei portuali; l'ondata di scioperi (ispirati dai comunisti) costrinse il governo a decretare lo stato d'emergenza. Nuovamente il governo si trovò nelle condizioni di dover chiedere l'intervento degli americani, i quali decisero un piano di aiuti generalizzati all'intero continente europeo che passò alla storia come Piano Marshall.
Alla svolta in campo economico non coincise una diversa politica estera; la Gran Bretagna rimase l'alleato privilegiato degli Stati Uniti, l'impegno nella guerra fredda rimase inalterato, e proprio il governo laburista, nella persona del ministro degli esteri Bevin, si fece promotore dell'alleanza atlantica.
Nello stesso periodo l'Inghilterra fu costretta a riconoscere l'indipendenza del Pakistan, dell'India e della Birmania, a recidere definitivamente gli ultimi legami politici con l'Irlanda a rinunciare ai suoi privilegi in Egitto, e a definitivamente rinunciare al suo impero coloniale.
La Francia uscita dalla guerra con gravi danni attraversò un periodo di instabilità politica che non favorì la ripresa economica. Nel '44 numerose regioni presidiate da gruppi comunisti, sfuggivano al controllo del governo centrale e solo un accordo fra il governo di Parigi e quello di Mosca, finalizzato anche a contrastare l'influenza anglo-americana nel continente, consentì il disarmo dei partigiani e il ritorno alla normalità. In politica estera De Gaulle mantenne un distacco da entrambi blocchi, politica che venne seguita anche dai suoi immediati successori. Tale politica, come era realisticamente prevedibile, non ebbe successo e negli anni successivi la Francia dovette rinunciare alle sue ambizioni.
Difficile risultò anche il problema costituzionale. Nel 1946 l'Assemblea Costituente vide il suo progetto costituzionale respinto da un referendum popolare e nell'anno successivo vennero indette nuove elezioni. Approvata finalmente la nuova costituzione che prevedeva un esecutivo con poteri limitati e un sistema parlamentare che non consentiva la formazione di stabili maggioranze, la situazione politica non migliorò, e avviò il paese a quella crisi che nel ’58 portò al governo con poteri speciali presieduto da De Gaulle.
Nelle prime elezioni parlamentari i comunisti ottennero 186 seggi, i socialisti 103, il movimento popolare repubblicano di ispirazione democratico cristiana 166. Si venne a creare un governo di vasta coalizione sotto la presidenza del socialista Auriol, ma nell'anno successivo i comunisti uscirono dalla maggioranza, mentre una vasta ondata di agitazioni condotte dalla CGT, sindacato di ispirazione comunista, tentò di mettere in difficoltà il governo. Il distacco dei comunisti dall'area di governo in Francia, avvenuto nello stesso periodo in cui il partito comunista italiano rompeva con le forze politiche moderate, si è realizzato in forma molto diversa. In Francia i comunisti mantenevano un atteggiamento molto più intransigente che gli aveva alienato le simpatie degli altri gruppi di sinistra e nonostante il grande successo elettorale non erano quindi in grado di determinare un cambiamento nello scenario politico di quel paese. La rottura avveniva sulla politica coloniale verso l'Indocina e su quella sindacale; nei mesi successivi il peggioramento della situazione economica del paese spinse il governo a severe misure di razionamento alimentare, e nel novembre del '47 al richiamo di 80.000 uomini sotto le armi per fronteggiare le agitazioni dirette dai comunisti (vennero scoperti depositi di armi sovietiche), che rischiavano di degenere in atti insurrezionali. Alla opposizione comunista venne ad aggiungersi quella di destra, il Rassemblement du People Francais diretta da De Gaulle, che chiedeva un maggiore ruolo internazionale della Francia e un governo con maggiori poteri in grado di contrastare il regime dei partiti. Tale situazione portò alla formazione di un vasto raggruppamento di centro sinistra denominato Terza Forza, che escludeva i gruppi estremistici di destra e di sinistra.
Analogamente alla Gran Bretagna anche la Francia decise un vasto piano di nazionalizzazioni di importanti settori economici e iniziative in materia di legislazione sociale. I risultati furono inferiori alle aspettative e il programma economico del radical socialista Mendes France venne contrastato anche dalle forze moderate della coalizione. Come in Inghilterra lo stato intervenne a sostegno dell'economia, venne svalutato il franco, e veniva intrapresa una riforma profonda dell'impero coloniale ormai destinato al tramonto.
La questione italiana risultava anche più complessa rispetto a quella degli altri paesi europei. Alle difficoltà economiche causate dalla guerra, si aggiungevano quelle prodotte dalla particolare posizione del nostro paese, zona di confine fra la sfera d'influenza occiden-tale e sovietica, e con una regione, la Venezia Giulia, sulla quale la Jugoslavia avanzava pesanti pretese. A differenza di altri paesi in Italia inoltre, lo stato democratico doveva essere interamente ricostituito, alcuni, come Benedetto Croce, ritenevano che si dovesse ritornare allo status quo precedente il fascismo, altri, soprattutto le forze che si erano maggiormente impegnate nella Resistenza, ritenevano che si dovesse creare uno stato completamente rinnovato sul piano politico e sociale.
Nel giugno del '46 si tenne il referendum sulla questione istituzionale e le elezioni per l'Assemblea Costituente. La consultazione si svolse fra gravi irregolarità, minacce, (molti gruppi armati non avevano deposto le armi), mentre molti cittadini vennero messi nelle condizioni di non poter votare. La repubblica ottenne la maggioranza con un modesto margine e sui risultati non mancarono le contestazioni da parte della Real Casa e di alcuni giuristi sul sistema di conteggio dei voti.
Con la caduta del fascismo e della monarchia la Chiesa riprese una posizione nel paese che nei decenni precedenti aveva perduto. L'organizzazione cattolica divenne l'istituzione principale del paese; con la sua struttura capillarmente diffusa alla vigilia del 18 aprile diede vita ad una vasta rete propagandistica (i Comitati Civici), superiore a quella della stessa Democrazia Cristiana.
Nel giugno del '47 il presidente del consiglio De Gasperi si recò negli Stati Uniti per richiedere aiuti economici. La missione ebbe esito felice; gli americani accettarono di prestare soccorso alla nostra economia, ma l'aiuto americano aprì la strada alla rottura con i comunisti e socialisti e alla fine della collaborazione fra i partiti che aveva governato il paese dal '44. I comunisti che fino allora avevano tenuto un comportamento molto moderato, giungendo alla approvazione in sede costituzionale dei Patti Lateranensi avversati dai liberali e dagli altri partiti di sinistra, ripresero piena autonomia. La avversione dei comunisti al Piano Marshall, e il colpo di stato filo sovietico a Praga contribuirono alla radicalizzazione della lotta e alla rottura (come già era avvenuto in Francia) fra comunisti e democratici all'interno delle organizzazioni sindacali. La situazione economica del paese non migliorò, manifesta¬zioni contro il caro vita e la disoccupazione degenerarono in tumulti. Nel Meridione, e in Sicilia, dove operava un attivo movimento separatista, si diffusero le occupazioni di terre. La tensione culminò nel paese nel novembre del '47 in seguito all'assalto alla Prefettura di Milano da parte di dimostranti armati comunisti. La drammatica situazione nel paese provocò la scissione del gruppo socialista democratico di Saragat.
La minaccia di una spaccatura gravissima nel paese divenne incombente, si ritenne che i comunisti con l'appoggio dei gruppi partigiani tentassero di creare un governo autono-mo nel Nord sotto la protezione delle armate titoine. I trattati di pace d'altra parte avevano imposto al paese delle forze armate ridotte al minimo non capaci di contenere una ampia sollevazione. La questione di Trieste, a cui la popolazione italiana si dimostrò molto sensibile , influì sulle vicende di quel periodo e favorì i gruppi moderati e filo americani.
L'appoggio anglo-americano alle forze politiche anticomuniste non venne a mancare: nel marzo del '48 il Segretario di Stato Marshall fece sapere che gli aiuti al paese sarebbero cessati qualora un governo comunista si fosse insediato. Successivamente si venne a sapere che l'ammiraglio americano Carney, senza consultarsi coi superiori, teneva pronte armi da consegnare ai carabinieri e alle forze armate per far fronte all'eventuale minaccia di un atto di forza delle sinistre.
Le elezioni del ’48 diedero la maggioranza assoluta alla Democrazia Cristiana alla Camera, e un'ampia maggioranza relativa al Senato, la crisi del paese sembrò superata, ma nel luglio dello stesso anno, l'attentato a Palmiro Togliatti da parte di uno studente scatenò gravissimi tumulti a stento trattenuti dai massimi dirigenti comunisti. L'adesione alla NATO nell'anno successivo diede luogo a nuove manifestazioni di piazza e incidenti, ma il potere appariva ormai ben consolidato e il paese si avviava progressivamente alla normalizzazione.
I problemi delle guerra fredda investirono anche la Chiesa Cattolica che nel 1949 si inserì nel contrasto fra Est e Ovest. Pio XII, (che pure in precedenza non aveva preso posizione nei confronti del nazismo), espresse con atto ufficiale una pesante condanna verso il comunismo, in nome di valori sostanzialmente antiliberali. Venne affermato che costituiva "peccato mortale" non solo l'adesione al partito comunista, ma anche l'adesione ad associazioni dove i comunisti fossero ampiamente presenti (come la Confederazione del Lavoro o le associazioni partigiane) o che comunque facessero "causa comune con il comunismo". Nell'anno successivo, un decreto papale comminò la scomunica a tutti coloro che avessero agito in contrasto con le legittime autorità ecclesiastiche e venne riaffermato il principio dell'autorità religiosa sui fedeli.
In Svezia, Norvegia, Danimarca, Olanda la situazione politica risultava meno agitata che negli altri paesi del continente e avviata ad uno sviluppo non traumatico e pacifico. Nei paesi scandinavi in particolare, si affermava un vigoroso programma socialdemocratico di riforme economiche che davano vita al cosiddetto "welfare state".
Nel Belgio si presentava la questione istituzionale del ritorno al trono di re Leopoldo, criticato per il comportamento tenuto verso la Germania nazista, questione che divideva la comunità vallone da quella fiamminga, quest'ultima più legata alla Corona. Superato nel 1951, con l'abdicazione il contrasto, la situazione si avviava rapidamente alla normalità. Alle elezioni del 1946 il Partito Social Cristiano riportava il 42% contro il 33% dei socialisti e il 13% dei comunisti; con l'esclusione del quadriennio 1954-58 le forze conservatrici rimasero al potere per circa trent'anni. In Olanda il partito popolare cattolico, che nel corso degli anni si apriva alla collaborazione coi socialisti, riportava una discreta affermazione, mentre i comunisti nonostante avessero riportato il 12% dei voti rimaneva isolato ai margini della vita politica. In Norvegia e in Danimarca la ripresa economica e della vita delle istituzioni non presentava problemi e anche qui la presenza dei comunisti rimaneva sostanzialmente irrilevante.
Spagna e Portogallo che non avevano risentito degli effetti della guerra mantenevano inalterati i loro regimi; la Spagna franchista comunque si trovò al centro di dure critiche da parte della comunità internazionale. Il governo di Madrid escluso dall'ONU e da tutti gli organismi internazionali, ma non sottoposto ad embargo commerciale come richiesto dall'URSS, condusse una vita politica ai margini dell'Europa. Nel '46 il governo francese, successivamente a scontri fra partigiani francesi con l'esercito regolare spagnolo nei Pirenei, dispose la chiusura della frontiera con la Spagna. Nel dicembre dello stesso anno l'Assemblea Generale dell'ONU chiese il ritiro degli ambasciatori di tutti i paesi dalla Spagna, ma negli anni successivi l'isolamento venne parzialmente ridotto.
Alle difficoltà economiche e politiche dell'Europa si contrapponeva la positiva situazione dell'America che negli anni della seconda guerra mondiale aveva acquisito una grande fiducia nel proprio ruolo internazionale che impedì quel ritorno all'isolazionismo che era seguito alla fine del 1° conflitto mondiale. Gli Stati Uniti si fecero promotori di una nuova politica economica mondiale, più aperta al libero scambio e all'accesso alle materie prime, principi previsti nella stessa Carta Atlantica, e quindi del sostegno della democrazia, della legalità e del diritto internazionale.
Nel campo economico e sociale alla politica del presidente americano, favorevole alla continuazione delle iniziative rooseveltiane si contrappose il Congresso, a larga maggioranza conservatore in quegli anni, che approvò leggi (il Taft-Hartley Act) limitative dei diritti sindacali. Truman si impegnò comunque in una politica di sostegno ai ceti economici più deboli, il "Fair Deal" che prevedeva l'aumento dei minimi salariali, la promozione del pieno impiego, e importanti opere pubbliche al fine di garantire una migliore distribuzione del reddito.
I primi anni Cinquanta furono caratterizzati in America dalla diffusione fra l'opinione pubblica e le autorità di governo del timore di gravi infiltrazioni di agenti comunisti nei principali centri di potere e nelle attività riservate dello stato. Il fenomeno prese nome di "caccia alle streghe" o "maccartismo" dal nome del senatore Mac Carthy che fra il 1950 e il 1954, quale presidente della Commissione d'inchiesta sulle "attività antiamericane", accusò pubblicamente numerosi esponenti politici di avere rapporti con ambienti comunisti (fra gli accusati anche personaggi come Arthur Miller, Charlie Chaplin, il generale Marshall e successivamente lo stesso presidente Eisenhower). Mac Carthy venne smentito dallo stesso Senato americano, ma ciò non impedì il diffondersi dello stato d'allarme. Il fenomeno del maccartismo non costituì una forma di isterismo collettivo come talvolta è stato sostenuto. La sottrazione dei piani della bomba atomica non poteva non suscitare timori e gravi dubbi sulle misure di sicurezza del governo. Da parte di numerosi e autorevoli esponenti inoltre si ammetteva esplicitamente il rischio di una nuova guerra, lo stesso generale Patton (suscitando la reazione di Truman) espressamente aveva dichiarato poco prima della morte che il paese doveva prepararsi alla 3° guerra mondiale . Nel '46 in un sondaggio d'opinione risultò che il 58% degli americani riteneva che la Russia volesse imporsi come la maggiore potenza mondiale, nel '48 tale percentuale salì al 77% e nel '50 all'81%.
Nel 1950 venne approvato (nonostante il veto presidenziale) l'Internal Security Bill in base ad esso le organizzazioni comuniste non vennero considerate illegali, ma obbligate a rendere pubblici i loro documenti, e come in Gran Bretagna, i membri di tali organizzazioni vennero esclusi dagli incarichi nel settore della Difesa. Vennero poste anche limitazioni all'immigrazione: agli esponenti di organizzazioni con finalità totalitarie (nazisti e comunisti sostanzialmente) venne interdetto l'accesso nel paese. Numerosi dirigenti del partito comunista vennero condannati per "propaganda contro l'ordine costituito". Nel 1951 negli Stati Uniti 2000 funzionari di stato si trovarono nelle condizioni di dare le dimissioni, mentre 212 vennero sospesi dal servizio; il caso che destò più sensazione fu quello del funzionario Alger Hiss, alto dirigente del Dipartimento di Stato, che accusato di aver passato documenti riservati all'estero, venne condannato a seguito di un processo penale anche se la pena riguardava solo un reato minore, per falsa testimonianza. Anche alcuni grandi uomini di scienza come Oppheneihmer, vennero colpiti dal sospetto ed esclusi da alcune ricerche scientifiche.
Le accuse ingiuste del senatore Mc Carthy, disapprovate anche dallo stesso Eisenhower, vennero riconosciute come tali, i procedimenti penali, fra cui quello ai coniugi Rosenberg, che aveva interessato l'opinione pubblica mondiale, si svolsero nel rigore previsto dalle leggi americane in dibattimenti processuali ampiamente pubblicizzati dagli organi d'informazione; le garanzie costituzionali non vennero meno, e la democrazia americana superò la difficile prova.
Un altro importante caso che interessò l'opinione pubblica americana fu quello di Henry Wallace Segretario al Commercio del Presidente Truman (già collaboratore di Roosevelt) che nel '46 diede le dimissioni perché in contrasto con il Presidente sulla questione dei rapporti con l'URSS. Costituì un "partito progressista" pacifista e contrario all'antagonismo con l'Unione Sovietica; alle elezioni successive tuttavia non ottenne che il 2,38% dei voti, e ben presto uscì dalla scena politica .
Sul piano della politica estera il Presidente Truman rivelò una grande capacità di innovatore. Con il programma di aiuti all'Europa, l'assistenza ai paesi emergenti, il cosidetto "quarto punto", e il sostegno ai governi impegnati diretta¬mente nella guerra fredda diede al paese una posizione e una responsabilità mai assunte in precedenza. Al primato economico che gli Usa avevano raggiunto da decenni si aggiungeva quello politico che lo stato americano non aveva mai ricoperto, all'inizio degli anni Cinquanta tuttavia non mancavano esponenti conservatori americani, come l'ex presidente repubblicano Hoover, favorevoli alla politica di isolazionismo e al ritiro delle forze americane dall'Europa. Gli Stati Uniti con Truman non limitarono più, come nel passato a interessarsi dell'andamento economico del continente, della situazione dei mercati, ma con decisione affermarono che ogni violazione dei principi del diritto internazionale, in ogni parte del mondo costituiva una minaccia a quei valori di cui il paese era sostenitore.
L'AFFERMAZIONE DEI REGIMI COMUNISTI
NEI PAESI DELL'EST
I paesi dell’Europa orientale non avevano conosciuto un vero sviluppo economico e la base dell’economia rimaneva un’agricoltura molto arretrata, che anche dove non era presente il latifondismo, non consentiva la diffusione del benessere. Nel periodo fra le due guerre erano sorti partiti socialisti, partiti contadini, e partiti comunisti ma con scarsi risultati. I partiti di ispirazione marxista avevano una presenza significativa in Cecoslovacchia, in Bulgaria, in Jugoslavia mentre negli altri paesi dell'Europa orientale disponevano di un consenso molto limitato. In Ungheria dopo la rivolta del '19 i comunisti persero gran parte del loro seguito popolare, mentre in Polonia venivano visti con una certa diffidenza a causa del loro legame con la Russia, tradizionale nemico del paese, in Romania infine i comunisti erano presenti con un organizzazione di poche migliaia di simpatizzanti.
Gli sviluppi politici nei paesi dell'Est nel periodo del dopoguerra non differiscono di molto, non esistono differenze significative fra paesi ex alleati dell'Asse (Ungheria, Bulgaria, Romania) e paesi che hanno conosciuto l'occupazione nazista (Polonia e Cecoslovacchia) né fra paesi relativamente industrializzati e paesi più poveri. Sostanzialmente il processo di sovietizzazione dei paesi dell'Europa orientale presenta caratteri comuni, anche se la realizzazione della dittatura fu rapida in Romania, Bulgaria e Polonia, mentre In Cecoslovacchia e in Ungheria avvenne in tempi più lunghi e i due paesi poterono sperimentare, anche se per un periodo brevissimo governi nati da liberre elezioni. Nella prima fase sorsero coalizioni fra partiti antifascisti, successivamente i partiti non allineati vennero attraverso arresti e persecuzioni soppressi, assorbiti dal partito comunista o sottomessi alle direttive del governo. Lo stesso partito comunista venne infine epurato degli elementi comunisti non conformi alle direttive di Mosca.
Lo storico Renè Remond ha messo in luce che una certa rassegnazione dei popoli dell'Europa orientale nei confronti della Russia era dovuta alle inaudite violenze che questi paesi avevano subito da parte della Germania e dal pesantissimo tributo di vite umane, (in Polonia più di un quinto della popolazione perse la vita nel corso della guerra), che questi stati avevano subito nel corso della seconda guerra mondiale.
Nei paesi dell'Est non diversamente da quanto successo in Italia e Francia successivamente alla seconda guerra mondiale si affermarono governi di coalizione nazionale, ma in questi paesi gli eserciti "di liberazione" svolsero un ruolo determinante nelle vicende successive. Nell'Europa orientale i partiti non allineati con Mosca vennero privati progressivamente dei loro capi autentici e sostituiti con personaggi graditi ai comunisti. In Bulgaria nel marzo del '45 la sede dell'Unione Agraria venne occupata dai comunisti con l'appoggio dell'esercito sovietico; nella DDR, in Polonia, in Bulgaria, in Romania il partito socialista venne assorbito forzatamente nel partito comunista. La "denazificazione" nella Germania orientale e la persecuzione dei collaborazionisti nel resto dell'Europa orientale da parte dei sovietici fu motivo per eliminare gran parte degli oppositori alla comunistizzazione di quegli stati. I servizi segreti controllati dai comunisti, come la spia passata in Occidente Gordievskij ha rivelato, hanno avuto un ruolo fondamentale in questa operazione e nella realizzazione dello stato comunista.
Romania, Bulgaria e Polonia furono i primi paesi ad essere liberati dall’Armata Rossa, e i primi dove si impose un governo comunista. Nell’agosto del ’44 quando le truppe sovietiche erano penetrate nel paese, il sovrano d’accordo con le alte gerarchie militari decise l’arresto di Antonescu e degli uomini del suo governo. Nello stesso mese i russi entrarono a Bucarest e successivamente venne costituito un governo di coalizione (liberali, partito contadino, socialisti e comunisti) presieduto dal generale Sanatescu, sostituito successivamente da Radescu. Nel paese si ebbe immediatamente una situazione di tensione con la nascita di reparti operai armati. Nel febbraio dell'anno successivo, nel corso di una manifestazione del Fronte Nazionale Democratico (associazione che comprendeva comunisti, socialisti, e Fronte dei Lavoratori della Terra, una formazione politica di minime dimensioni) si verificarono numerosi morti. L'incidente diede il pretesto ai sovietici per intervenire direttamente, e imporre al re (fortemente in difficoltà per il suo precedente sostegno alla dittatura filo tedesca) la costituzione di un governo a prevalenza comunista presieduto da Petru Groza, capo dei comunisti del Fronte dei Lavoratori della Terra. "In Romania" secondo Harry Truman "I russi dirigevano la Commissione di controllo alleato, senza consultare i membri inglese e americano. Il Governo era un governo di minoranza, dominato dal partito comunista che, a dire del generale [il comandante americano Schuyler] non rappresentava nemmeno il dieci per cento della popolazione romena. La vasta maggioranza del popolo romeno, egli diceva, non era soddisfatta dal Governo, nè di qualsiasi altra forma di comunismo... Dal lato economico, la Romania veniva strettamente legata allo stato russo, tramite pagamenti in conto riparazioni, con il trasferimento di proprietà che i russi dichiaravano essere state dei tedeschi, e con la requisizione delle attrezzature industriali come trofei di guerra. Per di più, la Romania veniva quasi del tutto tagliata fuori dai rapporti commerciali con le altre nazioni, e questo la costringeva a dipendere sempre più dalla Russia". Gli Alleati intervennero per ristabilire la legalità nel paese ma non poterono che ottenere l'inclusione di due membri del partito liberale e del Partito Contadino nel governo. Le elezioni dell'anno successivo, che si svolsero in un clima di pesante intimidazione, diedero 386 seggi alla coalizione filo comuni¬sta, 32 al Partito Contadino, e 3 ai liberali.
Nel 1947 i membri dell'opposizione furono accusati di complotto contro lo stato, il Partito Contadino venne sciolto, il suo leader Maniu condannato all'esilio, mentre Bratianu, (che negli anni precedenti si era opposto al governo filo tedesco di Antonescu) leader dei liberali riparò all'estero. Nel dicembre il re venne costretto ad abdicare. Il potere venne concentrato nelle mani del leader comunista Gheorghiu-Dej, che in precedenza era stato membro del NKVD, il servizio segreto sovietico. Negli anni successivi numerosi dirigenti comunisti e 192.000 iscritti al partito sospettati di titoismo vennero espulsi, poco più tardi nel '52 Anna Pauker, attiva dirigente comunista venne allontanata bruscamente dal potere in quanto ebrea. Cattolici, ebrei e uniati (cattolici di rito orientale) subirono restrizioni e persecuzioni. Venne introdotta nel paese la pena di morte anche per reati non gravi e numerosi diplomatici occidentali vennero accusati di spionaggio.
Nel settembre del '44 la Bulgaria, dove negli anni precedenti il PC aveva raggiunto il 20-25% dei voti, venne invaso dall'Armata Rossa e costretta con un atto politico piuttosto insolito, a dichiarare guerra all'URSS (il governo bulgaro, alleato della Germania, aveva dichiarato guerra a Gran Bretagna e Stati Uniti ma non alla Russia) al fine di consentire una diversa posizione giuridica di Mosca.
Contemporaneamente all’ingresso delle truppe sovietiche un colpo di stato organizzato da una parte dell’esercito e dai gruppi partigiani, dichiarò decaduto il governo filo occidentale di Muraviev, e impose un governo del Fronte Patriottico (Zveno, Unione Agraria, socialdemocratici e comunisti), presieduto dal colonnello Georgiev, un ex-leader dell'estrema destra, governo all'interno del quale i comunisti controllavano i maggiori centri di potere. Nei mesi immediatamente successivi la composizione di governo venne più volte modificata, mentre gli oppositori vennero perseguitati. Secondo le fonti ufficiali oltre 2.000 vennero passati per le armi e 10.000 arrestati, ma si ritiene che il numero delle vittime sia stato di molto superiore, e lo stesso Dimitrov, capo del partito contadino, appena rientrato nel paese, dovette fuggire. Come in Romania, l’Unione Sovietica fece sentire il suo peso politico, e di fronte ad un tentativo di accordo fra i partiti, vennero imposte delle restrizioni all’ingresso di esponenti anticomunisti nel governo. Le elezioni nel novembre dell’anno successivo, durante le quali furono assassinati 24 esponenti del partito contadino, attribuirono il 78% dei voti (ma i risultati vennero contestati dalle opposizioni) al Fronte Patriottico, dal quale erano già usciti gli esponenti moderati e quelli socialdemocratici. Il Partito Contadino, già perseguitato in precedenza, venne sciolto e il suo leader Petkov, grande figura della resistenza al nazismo, giustiziato, fatto che suscitò le proteste degli anglo-americani.
Nel paese si instaurò progressivamente il regime del terrore; negli anni successivi il Vice Primo Ministro Kostov venne accusato di deviazionismo con altri dieci esponenti e giustiziato. Quasi 100.000 membri del partito e 17 dei 40 membri del Comitato Centrale del partito, secondo fonti dello stesso regime, vennero espulsi e nel '53 venne emanato un decreto in base al quale i cittadini che tentavano di lasciare il paese senza permesso erano condannati a morte e le loro famiglie internate in campi di concentramento.
A seguito delle numerose violazioni del diritto internazionale nel febbraio del '50 gli Stati Uniti ruppero le relazioni diplomatiche con il governo di Sofia.
In Polonia il partito comunista costituiva una ristretta forza politica con scarso seguito nel paese, e negli anni passati molti dirigenti comunisti fuggiti in Russia avevano trovato la morte nel corso delle purghe staliniane. Alla fine della guerra i comunisti pertanto non rappresentavano che una ristretta minoranza nel panorama politico del paese.
Gli accordi di Yalta avevano previsto per la Polonia l'allargamento del Governo di Lublino agli esponenti democratici e lo svolgimento di libere elezioni per la formazione di un nuovo governo. Subito dopo la conclusione delle ostilità sedici capi della maggiore organiz-zazione della resistenza, l'Esercito Nazionale (Armia Krajova), giunti in Polonia vennero arrestati, condotti a Mosca e nonostante le proteste occidentali condannati. Il governo, (in cui erano presenti alcuni esponenti del Partito Contadino, ma in posizione di minoranza), attuò nei mesi successivi un'opera di repressione dell'opposizione, e decise lo svolgimento di un referendum sull'as¬setto costituzionale del paese, il risultato del medesimo fu largamente contrario alle aspettative dei comunisti, comunque il governo annunciò di aver ottenuto un successo con il 68% dei consensi. La situazione appariva grave, e lo stesso ambasciatore americano a Varsavia, Bliss Lane in un rapporto a Washington commentava: "L'NKVD e l'UB [rispettivamente il servizio segreto sovietico e quello polacco] tenevano le redini del potere così saldamente che nessuna democrazia, nel significato che diamo a questa parola, sarà attuabile in Polonia negli anni a venire" .
Nel gennaio del '47 si tennero le elezioni generali, il Blocco Democratico ottenne 386 seggi, altre liste filo governative 22, il Partito Contadino 28, si trattava di risultati elettorali falsificati in maniera nemmeno troppo nascosta, che suscitarono le proteste di Gran Bretagna e Stati Uniti. Le persecuzioni contro gli esponenti dell'opposizione e la magistratura non cessarono e il leader del Partito Contadino Mikolajczyk, ultimo rappresentante delle forze politiche filo occidentali, fu costretto ad abbandonare il paese.
Nell'anno successivo Wladislaw Gomulka, segretario del partito comunista e già membro della resistenza, che si era rifiutato di associarsi alla condanna di Tito, venne costretto a dimettersi e tre anni dopo incarcerato. I sovietici comunque, non pienamente soddisfatti della situazione venutasi a creare, per rafforzare il controllo sul paese imposero il maresciallo di cittadinanza sovietica Kostantin Rokossovsky come ministro della difesa e comandante in capo dell'esercito, e numerose altre cariche nelle forze armate vennero affidate a cittadini sovietici.
Anche la Chiesa Cattolica che aveva largo seguito nel paese, ed in particolare il suo primate Wyszynski, divenne oggetto di persecuzioni, mentre le relazioni con i governi occidentali si deteriorarono rapidamente e nel 1950, una serie di accuse rivolte a diplomatici e corrispondenti europei ed americani, portarono vicino al punto di rottura le relazioni diplomatiche con l'Occidente.
L'Ungheria in quanto ex alleato della Germania fu soggetta alla Commissione Alleata di Controllo, all'interno della quale i sovietici esercitavano di fatto un vasto potere. Nel novembre del '45 si tennero le elezioni con le quali il Partito dei Piccoli Proprietari (analogo al partito contadino degli altri paesi dell'Est) riportò la maggioranza assoluta con il 57% dei voti (mentre i comunisti non andarono oltre il 17%) e nell'anno successivo venne costituito un governo di coalizione diretto da Ferenc Nagy che per un certo periodo di tempo sembrò reggere e garantire il ritorno del paese alla democrazia. Nel febbraio del '47 venne annun¬ciato l'esistenza di un complotto, inscenato da agenti dell'AV, la polizia segreta controllata dai sovietici, del quale venne accusato il segretario del partito di maggioranza Bela Kovacs. Di fronte alla resistenza del parlamento ad autorizzare l'arresto intervenne direttamente la polizia militare sovietica che procedette contro l'esponente politico. Questi venne costretto ad accusare Nagy che diede le dimissioni e gli venne impedito di rientrare in patria. Progressivamente numerosi esponenti del partito di maggioranza vennero esautorati e ai ministri non comunisti vennero imposte guardie del corpo del servizio segreto. Il partito socialdemocratico, al quale i comunisti imposero la guida del filo comunista Fierlinger, venne successivamente costretto alla fusione col partito comunista.
Nello stesso anno si tennero nuove elezioni che diedero la vittoria alla coalizione di partiti diretta dai comunisti (ma all'interno della stessa non ottennero più del 22%), il potere venne concentrato nelle mani dello stalinista Rakosi, e il paese si avviò verso una durissima dittatura.
Nel '49 venne arrestato il cardinale Midszenty e iniziata una grande purga nei confronti di esponenti comunisti accusati di deviazionismo che culminò con l'esecuzione del ministro degli Esteri Rajk, accusato di essere un agente al servizio della Jugoslavia e degli Stati Uniti. Una successiva epurazione nel '53 colpì numerosi esponenti comunisti ebrei; nel '51-'52 vennero infine eliminati i socialisti che avevano favorito l'ascesa del partito comunista.
Il caso della Cecoslovacchia, paese relativamente più progredito dell'Europa orientale, risultò particolarmente significativo. Per un certo periodo di tempo il paese sembrò costituire un'isola felice fra Occidente e blocco comunista. Senza alterare la struttura politica del paese venne decisa la riforma agraria, e vaste nazionalizzazioni ed infine su espressa richiesta sovietica il ritiro dell'adesione del governo al Piano Marshall. Il tentativo di creare uno stato socialista, ma non anche antidemocratico, fallì nell'arco di breve tempo e con esso ogni possibilità in tutta Europa di costituire "terze vie" fra i due blocchi.
Nel maggio del '45 dopo la liberazione del paese si ricostituì un governo del paese diretto da Jan Masarik (figlio dell'eroe nazionale Tommaso) e dall'esponente comunista Gottwald vice primo ministro. Nell'anno successivo si tennero le elezioni per l'Assemblea Costituente. Le liste comuniste ottennero un buon risultato riportando il 38%, e si costituì un nuovo governo diretto dal capo comunista; tuttavia nelle elezioni successive che si sarebbero dovute tenere nel '48, si prevedeva un declino dei comunisti a causa della difficile situazione economica e alimentare del paese, con un risultato non lontano dal 10% ottenuto nelle elezioni del '35. I comunisti attraverso il controllo delle forze di polizia del ministero degli interni iniziarono una politica di persecuzioni diretta soprattutto contro il Partito Democratico Slovacco e gli altri gruppi d'opposizione. La nomina di esponenti comunisti negli alti gradi della polizia provocò la reazione degli altri partiti e dodici ministri si dimisero per protesta contro i metodi arbitrari dei comunisti. Nel febbraio del '48 la situazione precipitò; come in Ungheria nell'anno prece¬dente venne dato l'annuncio di un complotto appoggiato da potenze straniere in cui venne coinvolto direttamente il partito del presidente della repubblica Benes. A Praga si tenne una manifestazione organizzata dai comunisti di circa 200.000 operai, venne sospesa l'attività del Parlamento e si procedette ad una ondata di arresti contro l'opposizione. La sede del partito social democratico (che in precedenza i comunisti avevano già tentato di assorbire), del partito socialista nazionale e di quello cattolico popolare vennero occupate, effettuati arresti di massa, presidiati i ministeri e gli altri centri nevralgici del paese. Il 26 in una nota di protesta Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia dichiararono che i paesi occidentali si sarebbero opposti anche con l'uso della forza ad attacchi alla democrazia, ma senza risultato.
Lo stesso Gottwald diede l'ordine ai Comitati d'Azione (armati dal ministero degli Interni) di occupare le sedi dei dicasteri non presieduti da ministri comunisti. Il 25 febbraio Gottwald impose al presidente della repubblica un nuovo governo e nello stesso giorno gli studenti di Praga scesero in piazza per protestare contro la svolta autoritaria, manifesta¬zione che si concluse con numerosi morti. Nello stesso mese Jan Masarik, unico esponente non comunista che era stato incluso nella lista dei ministri venne trovato morto¬ suicida o forse gettato dalla finestra. Il Presidente della Repubblica Benes diede le dimissioni per non firmare il progetto di costituzione e si ritirò dalla vita politica alcuni mesi dopo.
Nel '51-'52 si ebbe la purga contro i cosiddetti titoisti che culminò con le esecuzioni di Slansky, ex segretario del partito arrestato su diretta richiesta di Stalin insieme con altri 11 ex dirigenti comunisti in massima parte ebrei. Anche la chiesa cattolica e gli ebrei subirono persecuzioni e vennero forzatamente sottoposti al controllo dello stato. Nel luglio del '51 venne arrestato un corrispondente americano Wiliam Oatis, accusato di spionaggio, al rifiuto del governo di rilasciarlo, il governo degli Stati Uniti prese misure diplomatiche di ritorsione.
In Finlandia, dove i comunisti nelle elezioni del 1945 avevano riportato una discreta affermazione con il 23% dei voti, nel '48 si ebbe una grave crisi. Il ministro degli Interni, il comunista Lejno, tentò di inserire come in Cecoslovacchia, uomini di propria fiducia ai vertici degli organi di polizia, ma il tentativo venne respinto dal Parlamento. Nello stesso anno il paese fu costretto ad un trattato d'amicizia con l'URSS fortemente limitativo della sua libertà d'azione in politica estera. L'Unione Sovietica evitò comunque di inserire stabilmente la Finlandia nel proprio schieramento perché riteneva attraverso di essa di accedere a determinati prodotti di provenienza occidentale.
Anche dal punto di vista economico i paesi dell'Est conobbero una evoluzione abbastanza simile, riforma agraria, nazionalizzazione delle industrie, pianificazione economica; e successiva¬mente soppressione del movimento cooperativo e collettivizzazione forzata furono le tappe del processo di comunistizzazione dello stato. Nello stesso periodo si ebbero una serie di trattati commerciali fortemente sperequati a favore dell'URSS. In base all'accordo russo-polacco del '45 l'URSS acquistava il carbone dal Polonia a 2 dollari per tonnellata contro un prezzo di mercato mondiale intorno ai 14 dollari e la Cecoslovacchia acquistava grano dalla Russia a 4 dollari il moggio mentre il prezzo di mercato del cereale negli USA era di 2,5 dollari. Nei paesi dell'Est vennero create società miste con un duplice obbiettivo, sfruttamento delle risorse economiche e controllo politico dello stato. Il COMECON istituito nel '49 non ebbe ampia attuazione in quanto l'URSS preferì impostare i rapporti commerciali fra le repubbliche sulla base di relazioni bilaterali. Con la politica commerciale imposta da Mosca la percentuale di commercio dei paesi dell'Europa orientale con l'Occidente si ridusse dal 74% del 1938, al 40% nel '48, e quindi al 15 % nel '53. La riduzione dei rapporti economici e diplomatici con l'Occidente, il rigoroso controllo dell'eco-nomia e dei mezzi di informazione, le restrizione all’espatrio e alla circolazione dei cittadini stranieri, completarono la creazione di quella che Winston Churchill definì la "cortina di ferro".
Sviluppi profondamente diversi si ebbero invece, in quei paesi i cui territori non vennero liberati dall'Armata Rossa: Jugoslavia e Albania.
In Jugoslavia il movimento di resistenza si presentava diviso in due formazioni contrapposte: i cetnici filo monarchici di Mihailovic e i comunisti di Tito. La formazione dei cetnici vennero accusate di scarso impegno nella lotta di liberazione e in taluni casi di collaborazione col nemico. I contrasti degenerarono in aperti scontri che videro il progressivo prevalere del gruppo titoino. Stalin, che riteneva che la causa di Tito non fosse degna di interesse, (già nell'incontro a Mosca del settembre '44 non erano mancate divergenze fra i due leader comunisti) offrì scarsi aiuti alla resistenza e fece pressioni affinché il leader jugoslavo arrivasse ad un accordo con il governo regio; l'accordo trovò il consenso anche degli anglo-ameri¬cani, che ritenendo Mihailovic eccessivamente in contrasto con le altre nazionalità non serbe, chiesero a re Pietro II di ritirare il proprio sostegno al dirigente nazionalista .
Nel marzo del '45, liberato il paese, venne costituito un governo di coalizione che ebbe però breve durata. Nelle elezioni di novembre il Fronte di Liberazione Popolare attraverso il ricorso a misure di polizia e del potente servizio segreto OZNA costrinse i partiti non allineati a ritirarsi dalla competizione elettorale; la formazione di ispirazione comunista ottenne pertanto senza incontrare difficoltà il 90% dei voti. Sebbene non esistesse una attiva opposizione nel paese anche qui non mancarono le persecuzioni; il generale Mihailovic venne giustiziato, l'arcivescovo di Croazia Stepinac condannato ai lavori forzati, Gilas esponente di rilievo del movimento comunista venne allontanato dal potere alcuni anni dopo, in quanto ritenuto eccessivamente moderato.
L'Unione Sovietica non potendo adoperare i consueti metodi di pressione utilizzati negli altri paesi ricorse per piegare il paese slavo ad altri mezzi, approfittando della debo-lezza economica di Belgrado. Vennero create società miste russo-jugoslave per i trasporti, la gestione delle linee aeree e la navigazione del Danubio, che si rivelarono un affare lucroso per i sovietici ed una ingerenza nella vita politica della Jugoslavia. I sovietici, che avevano contribuito con il 10% circa del capitale, richiedevano profitti pari al 60%, ed esercitavano un controllo pressoché totale sui servizi affidati. Contrasti di maggior rilievo fra i due stati sorsero a causa dell'infiltrazione di agenti sovietici all'interno della burocrazia statale e sul progetto di federazione fra Jugoslavia e Bulgaria (da estendere successivamente a Romania, Albania, e Grecia una volta liberata).
La Jugoslavia si affermò come un paese molto attivo sulla scena internazionale, si fece promotore di una intensa politica estera all'interno dei paesi dell'Europa orientale e avanzò numerose richieste su Trieste, la Carinzia meridionale, una parte della Macedonia greca, mentre già esercitava una sua influenza sull'Albania e mirava a stabilire un controllo sulla Bulgaria.
Il 10 febbraio 1948 Stalin convocò i massimi leader della Bulgaria e della Jugoslavia, proponendo che si costituisse una federazione fra i due stati e che l'Albania fosse forzatamente assorbita nell'unione; il dittatore georgiano riteneva che attraverso il governo di Sofia avrebbe potuto esercitare un controllo sulla Jugoslavia, ma la proposta venne respinta dal Comitato Centrale del PC jugoslavo. La replica sovietica non si fece attendere e nel mese successivo l'URSS annunciò, provocando profondo stupore nell'opinione pubblica mondiale, il ritiro dei consiglieri militari ed economici, motivato dalla scarsa libertà d'azione accordata ai propri agenti dalle autorità jugoslave. Il partito e tutta la nazione si dimostrò solidale con il governo e confermò Tito alla guida del paese. La questione venne portata davanti al Comitato Centrale del partito che con l'eccezione del ministro delle Finanze Zujovic, approvò l'operato; il contenuto della risposta all'iniziativa sovietica fu abbastanza moderato: "Malgrado l'affetto che ciascuno di noi può avere per la patria del socialismo, la Russia sovietica, nessuno di noi può, in nessun caso, cessare di amare altrettanto il proprio paese, anch'esso incamminato lungo la via del socialismo".
Venne convocato nel luglio il Kominform al quale gli esponenti jugoslavi non parteciparono per il timore di essere arrestati fuori dal paese. Tutti i partiti comunisti, compresi quelli occidentali, si uniformarono alla condanna di Tito e venne decisa la denuncia di tutti i trattati commerciali con la Jugoslavia. L'economia jugoslava venne messa forte¬mente in difficoltà dal momento che lo stato era quasi completamente circondato da paesi satelliti sovietici (considerando anche la zona d'occupazione sovietica dell'Austria) tuttavia il governo di Belgrado non ebbe difficoltà ad allacciare nuovi rapporti economici con l'Occidente e la crisi venne superata.
Successivamente alla condanna si verificarono concentramenti di truppe lungo il confine orientale jugoslavo e fra il '48 e il '52 si verificarono circa 6.000 incidenti di frontiera e un tentativo di colpo di stato; comunque i sovietici non si sentirono di scatenare una azione militare contro il paese dissidente per le gravi conse¬guenze che esso avrebbe potuto creare. La Jugoslavia negli anni successivi si avviò verso una "via nazionale al socialismo", venne abbandonata la collettivizzazione forzata delle terre, e la rigida pianificazione economica; decentramento amministrativo e cogestione delle aziende divennero i principi del nuovo stato.
La crisi jugoslava rappresentò un avvenimento di notevole importanza e di riflessione per i partiti comunisti europei. Nel '48 nel mondo comunista non vi erano che due veri leader, Stalin e Tito. La Jugoslavia costituì infatti con la Russia l'unico paese dove il comunismo si era formato in maniera autonoma senza l'intervento di una potenza straniera; per quale ragione Stalin aveva diritto al monopolio sul comunismo mondiale e Tito un ruolo subordinato? I fatti della Jugoslavia, furono la prima delle crisi che portarono al declino comunista, molti militanti nei paesi dell'Est e dell'Ovest compresero che la patria del socialismo richiedeva una obbedienza superiore ad ogni aspettativa.
Le vicende politiche dell'Albania furono strettamente collegate a quelle della Jugoslavia. Il generale Hoxha capo delle formazioni comuniste, e alleato di Tito, non incontrò difficoltà nella conquista del potere grazie anche all'atteggiamento del governo britannico non contrario all'accordo con i comunisti. Negli anni successivi la questione dell'ingresso del piccolo stato nella federazione jugoslava divenne causa di rottura all'interno del partito (Koci Dzodze capo della polizia politica e numero due del regime, favorevole a tale proposta venne arrestato, forzato a dichiarare che Tito altro non era che un agente al servizio dell'imperialismo britannico e quindi giustiziato). Nel '46 due incidenti navali, che causarono la morte di alcuni marinai inglesi nel Canale di Corfù aggravarono lo stato di tensione con la Gran Bretagna e anche negli anni successivi le relazioni diplomatiche con i paesi occidentali risultarono pessime. Nel paese venne imposto un autentico regime del terrore contro chiunque manifestasse opinioni difformi a quelle ufficiali; secondo alcune valutazioni 16.000 persone perirono nelle prigioni di stato in quegli anni.
Durante il periodo staliniano i paesi dell'Europa orientale conobbero persecuzioni non diverse da quelle portate avanti nello stato sovietico. Negli anni '49-'54 metà dei membri del Comitato Centrale del partito in Ungheria e 3/5 in Cecoslovacchia scomparvero . Contemporaneamente al vertice delle organizzazioni politiche vennero posti i burocrati allineati a Mosca disposti ad un rapporto di sottomissione verso lo stato sovietico anche contro gli interessi della propria patria, mentre i leader che negli anni precedenti si erano impegnati nella resistenza vennero perseguitati. Con l'eccezione del leader bulgaro Kostov, che non ammise le proprie colpe, Slansky, Rajk, Dzodze e Gomulka vennero costretti a confessioni incredibili e ad autoaccusarsi di fatti che difficilmente potevano aver commesso; Gomulka (l'unico esponente realmente vicino a Tito) fu il solo a sfuggire alla pena capitale. Altri esponenti scomparvero senza che si conoscesse la loro fine, il bulgaro Georgi Dimitrov infine, morì in circostanze misteriose a Mosca.
Dopo la morte di Stalin 30.000 prigionieri vennero liberati in Polonia e per 70.000 venne ridotta la pena, nella Germania dell'Est vennero liberati 12.000 prigionieri politici, in Ungheria 150.000 internati poterono ritornare in libertà. Nel '68 secondo le stesse fonti governative, in Cecoslovacchia fra uccisi e internati vi erano state 136.000 vittime.
I parti comunisti dell’Europa occidentale non intervennero a favore dei loro colleghi di partito perseguitati e le iniziative occidentali a favore dei paesi dell’Est realisticamente non furono numerose, tuttavia nel periodo cruciale della guerra fredda gli americani installarono nei paesi occiden¬tali di confine l'emittente radiofonica Voce d'America che per molti anni, nonostante le numerose azioni di disturbo, rappresentò l'unica fonte per i paesi d'oltre cortina di disporre di informazioni non controllate dal regime.
IL DIFFICILE NEGOZIATO PER LA PACE
1945 - 1947
Lo storico Renè Remond ha messo in luce che i governi occidentali e quelli comunisti si esprimevano a favore degli stessi obbiettivi politici: pace, democrazia e giustizia ma che "gli antagonismi erano stati momentaneamente nascosti dalla necessità della lotta contro il nemico comune, e anche dalle ambiguità del vocabolario, perché i due campi adoperavano press'a poco gli stessi termini, dando lor significati diversi" .
La guerra fredda è stata secondo la definizione del maresciallo sovietico Sokolovskij, comandante delle truppe sovietiche in Germania "uno stato intermedio fra la pace e la guerra che un solo passo separa dallo scontro armato" . L'idea di un attacco preventivo degli Stati Uniti contro l'Unione Sovietica prima che questa potesse ampliare il suo deterrente nucleare venne più volte ventilata dalla stampa americana, ma non incontrò interesse nel governo.
Le "crisi" che avrebbero potuto innescare più gravi conflitti nel periodo staliniano appaiono ben localizzate geograficamente, diversamente dagli anni successivi vaste porzioni del mondo non vennero coinvolte. I teatri delle crisi si collocavano tutti nei territori a ridosso con l'Unione Sovietica e i suoi paesi satelliti: Iran, Grecia, Turchia, Jugoslavia, Germania, Cina e Corea, tutte nazioni precedentemente coinvolte nella seconda guerra mondiale e sulle quali Alleati e sovietici avevano tentato di stabilire accordi.
In nessun caso le parti in conflitto tentarono di portare all'avversario colpi micidiali, bensì come in una guerra di logoramento sfruttarono al massimo le situazioni dove ritenevano di trovarsi in vantaggio, valutando comunque i costi e le implicazioni collaterali. Winston Churchill dopo la morte di Stalin affermò "Eravamo convinti che finché Stalin fosse vissuto non avrebbe iniziato una nuova guerra, che avrebbe potuto scatenare un nuovo conflitto mondiale" . In Turchia, in Iran, ma anche nella questione di Berlino, i russi quando compresero che la questione poteva degenerare fecero marcia indietro senza impegnarsi eccessivamente. L'unico risultato veramente considerevole del conflitto nel periodo staliniano fu la vittoria dei comunisti in Cina, che provocò fra l'altro la estensione geografica della guerra fredda. Comunque, diversamente dai paesi dell'Europa Orientale, la Cina si trovava nelle condizioni per mantenere una propria autonomia e il nazionalismo dei cinesi non tardò di farsi sentire.
In una logica "imperialista" tradizionale la posizione dell'Unione Sovietica non era del tutto criticabile: agli anglo-americani veniva lasciata ampia discrezionalità su Italia e Francia (in questi paesi Mosca aveva richiesto ai rispettivi partiti comunisti di astenersi da atti di forza contro i governi filo occidentali), in Grecia e in Jugoslavia, ma anche in Cina, l'Unione Sovietica evitava di impegnarsi eccessivamente, e veniva data mano libera agli americani sul Giappone. Come contropartita l'Europa Orientale doveva passare sotto il controllo sovietico e la Germania neutralizzata e gestita in "condominio". Nell'ottica sovietica le posizioni degli eserciti al momento della cessazione delle ostilità dovevano segnare i confini delle rispettive "sfere d'influenza" e ai paesi dell'Europa continentale non venivano riconosciuti i diritti dei "Big" nè dovevano essere considerati come soggetti autonomi. Questa concezione era in aperta violazione dei principi della Carta Atlantica e della Dichiarazione sull'Europa Liberata a cui la stessa Unione Sovietica aveva aderito. La guerra contro la Germania aveva come fine il rimuovere l'ordine nazista imposto sul continente, creare degli stati con eguale dignità giuridica che corrispondessero alle realtà storico-culturali e dare alle stesse libere istituzioni.
E' difficile pensare che l'Unione Sovietica avesse preparato un piano per il dominio mondiale incontrastato, del resto Stalin per ammissione degli stessi occidentali era un uomo prudente e calcolatore, cosciente quindi della enorme disparità di forza che separavano l'URSS dagli Stati Uniti. I vertici del Cremlino ritenevano invece praticabile una tattica per piccoli passi per migliorare, ovunque si presentasse la situazione, le proprie posizioni. Tuttavia gli obbiettivi risultavano chiari "Questa guerra non è come quelle del passato" rivelò Stalin a Gilas "chiunque occupi un territorio, gli impone anche il proprio sistema sociale. Tutti impongono il proprio sistema fin dove l'esercito ha il potere di farlo. Non può essere altrimenti" . Tale situazione non sfuggiva agli osservatori occidentali, secondo John Foster Dulles “… se i capi sovietici forse non progettano una guerra internazionale, ciò è vero soltanto fino a quando ritengano di ottenere vantaggi maggiori per mezzo della guerra di classe o della guerra civile” .
Per lungo tempo si è stati portati a ritenere che certe ingerenze dell'Unione Sovietica nei confronti dei paesi vicini, fossero la conseguenza dei principi marxisti-leninisti estranei al concetto tradizionale di nazionalità generalmente accettato in Occidente. La realtà sovietica fino ai suoi ultimi sviluppi fa invece ritenere che il nazionalismo tradizionale russo abbia avuto un importante ruolo.
Il contrasto che si venne a creare negli anni '43-'45 non fu tra Unione Sovietica e Stati Uniti, ma fra la prima e la Gran Bretagna. Gli Stati Uniti fino alla primavera del '45 svolsero sostanzialmente un ruolo di mediazione fra le due potenze del vecchio continente (ruolo che venne espressamente riconosciuto nell'incontro di Yalta) anche perché ovvia¬mente meno interessati alle questioni dell'Europa orientale che invece stavano a cuore agli altri due stati. La posizione sostenuta dagli Stati Uniti fino allora era sostanzialmente quella di un intervento temporaneo a favore degli stati europei impegnati nella lotta alla Germania nazista, ma cessata la minaccia ritenevano di disimpegnarsi (e il consistente ritiro delle forze armate dall'Europa immediatamente dopo la fine delle ostilità costituiva la conferma) e ritornare agli interessi tradizionali.
La divisione in due blocchi successivamente alla fine della guerra non era un fatto scontato come si potrebbe ritenere, la Francia in contrasto con l'asse anglo-americano si avvicinò a Mosca, ma lo scarso interesse dimostrato dall'URSS verso il governo di Parigi provocò la immediata cessazione di tale politica.
L'entusiasmo che gli accordi di Yalta avevano suscitato nell'opinione pubblica mondiale venne rapidamente stemperato. Nelle settimane successive alla chiusura della conferenza l'Unione Sovietica procedeva a persecuzioni contro l'opposizionenei paesi dell'Europa dell'est da essa liberati. In Romania l'Armata Rossa occupava i punti nevralgici della capitale, imponeva al re un governo presieduto da Petru Groza, leader di una formazione comunista, e successivamente impediva l'insediamento della commissione tripartiticadi controllo in quel paese. Nello stesso periodo si intensificavano le violenze contro l'opposizione in Bulgaria, mentre in Polonia i capi dell'Armata Nazionale Polacca vennero con l'inganno catturati dai sovietici. Gli Alleati replicarono a tali azioni contestando la assegnazione del seggio della Polonia alla Conferenza di S. Francisco al governo di Lublino, inoltre decisero che la capitolazione delle truppe tedesche in Italia sarebbe avvenuta senza la consultazione del governo di Mosca. Secondo l'ambasciatore americano Harriman "L'Unione Sovietica seguiva due politiche che i suoi capi pensavano di poter applicare con pieno successo e contemporaneamente. Una era quella della cooperazione con Stati Uniti e Gran Bretagna, e l'altra quella di estendere il controllo sovietico agli stati confinanti con azione indipendente. In certi ambienti vicini a Stalin la nostra generosità e il nostro desiderio di cooperare erano intesi come dimostrazione di debolezza, cosicchè il Governo sovietico avrebbe potuto seguire indisturbato la propria politica senza rischiare alcuna protesta o presa di posizione da parte degli Stati Uniti". Churchill e Roosevelt protestarono energicamente e il presidente americano in una lettera a Stalin del 1° aprile, dieci giorni prima della morte, denunciò il mancato rispetto degli accordi di Yalta da parte di Mosca
Non appena subentrato alla Casa Bianca alla fine di aprile, Truman ricevendo il ministro degli esteri sovietico Molotov, gli fece presente che riteneva gli impegni sottoscritti a Yalta sul sostegno alla democrazia e l'impegno all'allargamento del governo di Lublino, violati da Mosca. Nello stesso periodo l'ambasciata americana a Mosca inviava a Washington un rapporto in cui portava a conoscenza che "I partiti comunisti e i loro alleati si servono ovunque delle difficoltà economiche di cui soffrono i paesi posti sotto la nostra responsabilità per far propaganda alle loro concezioni e alla politica dei sovietici, minando l'influenza degli alleati occidentali" .
In una lettera nel maggio '45 Churchill, che già in precedenza aveva espresso i suoi timori e la necessità di spingere gli eserciti alleati su Berlino, Vienna e Praga prima che fossero investite dalle truppe sovietiche, comunicava a Truman la sua apprensione per il futuro dell'Europa: "Io ho sempre lavorato per l'amicizia con la Russia, ma al pari di voi sento profonda ansia per la sua svisata interpretazione delle decisioni di Yalta, per il suo atteggiamento verso la Polonia, per il suo soverchiante influsso nei Balcani, per le difficoltà che crea su Vienna… per la sua capacità di mantenere in campo grandisimi eserciti per lungo tempo. Come si metteranno le cose fra un anno o due, quando gli eserciti britannico e americano si saranno sciolti, e quello francese non sarà ancora formato su scala notevole, quando noi avremo magari un pugno di divisioni, per lo più francesi, e invece la Russia potrà a suo beneplacito decidere di tenere in servizio due o trecento divisioni? Sul loro fronte cala una cortina di ferro. Noi non sappiamo che cosa succeda al di là" . Anche nelle settimane successive il primo ministro britannico continuò ad insistere con apprensione su una diversa politica nei confronti dell’Unione Sovietica, e a richiedere di sospendere il ritiro delle truppe anglo-americane dalle zone occupate. Il presidente americano condivideva almeno in parte l'opinione dell'al¬leato; nel messaggio sullo stato dell'Unione affermò "più ci avviciniamo alla sconfitta dei nostri nemici, più diventiamo inevitabilmente coscienti delle divergenze esistenti fra i vincitori" , tuttavia a lungo Truman mantenne un atteggiamento più sfumato rispetto all’alleato britannico.
L'Unione Sovietica prima dell'apertura della Conferenza di Potsdam trasferiva al governo di Varsavia il controllo dei territori a est dell'Oder-Neisse sui quali non c'era stato accordo definitivo, decisione che provocava l'esodo massiccio della popolazione tedesca. Per decisione di Truman comunque le truppe anglo-americane si ritirarono nei giorni precedenti la Conferenza di Potsdam sulle linee concordate, abbandonando diversi territori fra i quali una buona parte della Cecoslovacchia. La reazione americana agli atti compiuti dall'Unione Sovietica fu più morale che altro, tuttavia il prestito per 6 miliardi di dollari richiesto in precedenza da Mosca venne rinviato nel tempo finché la questione decadde.
Diversi autori hanno messo in luce che un cambiamento nelle relazioni russo-americane si era avuto con l’ingresso di Truman alla presidenza in sostituzione del defunto Roosevelt. Tuttavia nemmeno il nuovo presidente sembrava disposto a seguire la politica più energica di Churchill, e si può ricordare che anche gli uomini dell’entourage rooseveltiano, come l’ambasciatore Harriman, avevano formulato negli ultimi tempi conclusioni diverse sulla politica americana nei confronti dell’Unione Sovietica. Le controversie immediatamente successive alla Conferenza di Crimea possono essere considerate come l'inizio del contrasto fra anglo-americani e sovietici che darà luogo successivamente alla guerra fredda.
Nel maggio del '45, negli ultimi giorni della guerra, le armate titoine invasero Trieste e rivendicarono il possesso di tutta la Venezia Giulia (regione che insieme al Trentino Alto Adige era stata posta di fatto sotto l'autorità della Germania nel settembre '43). Il governo Bonomi espresse la sua protesta e richiese il sostegno degli Alleati che intervennero con energia, e dopo alcune settimane, le armate jugoslave si ritirarono da Trieste e Pola (mantenendo comunque l'occupazione dell'Istria) dietro l'impegno di una sostanziale revisione dei confini. In quello stesso periodo avvennero una serie di eccidi contro la comunità italiana che provocarono diverse migliaia di morti; la responsabilità dei fatti era da addebitarsi ai comunisti croati; secondo numerose testimonianze vennero eliminati indifferentemente italiani che in passato avevano avuto responsabilità col fascismo, antifascisti, e persone completamente estranee alla contesa politica, tali fatti provocarono un'ulteriore aggravamento della tensione. Venne costituita quindi una commissione interalleata per lo studio della questione, e nell'aprile successivo vennero presentate quattro proposte; quella russa che accoglieva integralmente le richieste del governo jugoslavo (Trieste, Monfalcone e Gorizia sotto sovranità slava), quella francese, inglese, americana più vicine alle richieste italiane e alla reale situazione etnica e linguistica della regione. La Commissione giunse quindi a un compromesso sulla linea individuata dai francesi (fra le proposte occidentali era quella meno lontana alle posizioni jugoslave), e venne stabilita la creazione del Libero Territorio di Trieste provvisoriamente con una zona (comprendente la città di Trieste) presidiata dagli anglo americani (zona A) e la parte orientale (Zona B) presidiata dagli jugoslavi in attesa che il Consiglio di Sicurezza dell'ONU deliberasse la nomina del governatore. La questione di Trieste, che con Capodistria e Pola risultavano in maggioranza italiane secondo le stesse fonti statistiche del periodo asburgico, giunse ad una conclusione solo successivamente alla rottura della Jugoslavia con l'URSS, nel gennaio del '54, con la decisione di affidare l'amministrazione della zona A all'Italia e la zona B alla Jugoslavia.
L'organo amministrativo previsto non venne mai insediato per i veti reciproci all'interno del Consiglio di Sicurezza e l'intera questione costituì un grave nocumento alle popolazioni italiane locali che si trovarono costrette ad abbandonare la regione .
Dopo la sconfitta della Germania, nel luglio del medesimo anno si tenne la Conferenza di Potsdam fra Truman, Churchill, sostituito dal laburista Attle nel corso della medesima, e Stalin. Venne abbandonata l'idea dello smembramento della nazione tedesca, si decise per la smilitarizzazione della stessa, l’eliminazione radicale del nazismo, nonché l'imposizione di severe restrizioni industriali, il trasferimento di impianti produttivi in Russia, e la requisizione della flotta. Si decise inoltre l'annessione del territorio di Koenigsberg all'Unione Sovietica, il trasferimento coatto delle popolazioni tedesche da Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria, e l'ampliamento della zona d'occupazione sovietica della Germania. Rispetto a quanto previsto in precedenza venne parzialmente attenuato il regime delle riparazioni; venne infatti stabilito che tali indennizi dovessero tenere conto delle esigenze della popolazione tedesca e consentirgli di "mantenersi senza aiuti esterni". Alla conferenza vennero prese inoltre importanti decisioni su questioni riguardanti l'Europa orientale e affrontate altre questioni sulle quali erano sorte delle divergenze. Gli anglo-americani contestarono la legittimità dei governi rumeno e bulgaro, si lamentarono del fatto che le loro delegazioni in quei paesi fossero in una situazione che “rasentava l’internamento”, e pur accettando l’amministrazione provvisoria polacca dei territori ad est dell’Oder-Neisse, richiesero che la sistemazione dei confini occidentali della Polonia fossero stabiliti al momento del trattato di pace con la Germania. Venne confermato lo sgombero dell'Iran nei mesi immediatamente successivi alla conclusione del conflitto e la revisione del regime degli stretti del Mar Nero, questione collegata comunque allo studio di un nuovo regime internazionale per le più importanti vie d'acqua navigabili, ed infine l'internazionalizzazione di Tangeri, occupata dalle truppe spagnole durante la guerra. Venne stabilito infine di tenere successivi incontri a livello di ministri degli esteri per il perfezionamento degli accordi; a tali conferenze la Francia e la Cina non vennero ammesse in forma piena, ma per volontà dell'Unione Sovietica poterono partecipare solo su questioni geograficamente circoscritte. Nel corso della conferenza venne annunciato l'esito positivo dell'esperimento nucleare americano, tuttavia Truman nelle sue memorie ricorda che la nuova arma non consentiva al momento di fare a meno dell'aiuto sovietico nella guerra al Giappone e che pertanto il possesso del terribile strumento di guerra non condizionò in maniera determinante lo svolgimento dei lavori, che risultò abbastanza inconcludente, e si concluse, nonostante le precedenti proteste, con nuove concessioni da parte degli angloamericani.
Successivamente a tale data Stalin, che riteneva a certe condizioni una forma di collaborazione con le potenze anglosassoni possibile anche successivamente, non incontrò più i massimi leader inglesi e americani e per un decennio non si tennero più incontri al massimo livello. I risultati conseguiti dai sovietici negli incontri internazionali non furono gli unici di quel periodo; l'URSS aveva acquistato la regione di Tannu Tuva ai confini della Mongolia e di fatto la stessa Mongolia e negli anni successivi ottenne la Rutenia dalla Cecoslovacchia, la Bucovina e la Bessarabia dalla Romania, l'istmo di Carelia dalla Finlandia, riconosciuti con i trattati di pace del '47. Perché era stato consentito ad una delle parte belligeranti di acquistare un bottino così notevole, mentre un'altra, l'Inghilterra, usciva notevolmente sminuita con l'obbligo di rispettare le nazionalità a lei sottoposte? La risposta è stata cercata in diversi fattori, nel dissidio tra Stati Uniti e l'imperialismo britannico, nella necessità da parte americana del supporto russo alla guerra col Giappone. La questione ha suscitato sempre innumerevoli polemiche, comunque appare credibile la risposta più semplice: i sovietici misero gli Alleati di fronte al fatto compiuto, e soltanto un nuovo conflitto avrebbe potuto invertire l'andamento.
I confini tracciati dagli accordi internazionali, durante la guerra e successivamente, non erano rispondenti alle realtà nazionali dell'Europa orientale e gli esodi di massa avvenuti successivamente ne costituirono la conferma. Nell'Europa Orientale i diversi gruppi etnici diversamente dall'Occidente non costituivano realtà geografiche separate, ma presentavano delimitazioni molto incerte che hanno dato luogo, successivamente allo sfaldamento degli imperi Ottomano, Russo, Austro-Ungarico, a dispute territoriali senza termine. Considerando fughe, espulsioni e deportazioni si calcola che circa trenta milioni di individui fossero coinvolti in questo gigantesco spostamento di popoli. Di questi, otto milioni erano profughi tedeschi della Prussia orientale e degli altri territori incorporati dalla Polonia, (esodo iniziato già negli anni di guerra di fronte all'avanzata dell'Armata Rossa), tre milioni dai Sudeti in Cecoslovacchia, 500.000 dal Banato regione compresa fra Jugoslavia, Ungheria e Romania. Ed inoltre un milione e mezzo di polacchi raggiunsero la nuova terre annesse dalle regioni orientali, 400.000 finlandesi, 300.000 italiani dall'Istria, e numerosi altri spostamenti minori all'interno dei Balcani, si ebbero in quegli anni .
Per la risoluzione del problema di Trieste, l'armistizio con i paesi dell'Asse e dare una sistemazione definitiva alle numerose questioni internazionali in sospeso, come era stato deciso a Potsdam, si tennero una serie di incontri fra i ministri degli esteri dei paesi vincitori. Gli americani sostennero l'opportunità che alle conferenze partecipassero i rappresentanti di Francia e Cina, i sovietici si opposero a che altre nazioni godessero degli stessi diritti dei Tre Grandi, ma si arrivò comunque ad un compromesso in base al quale i governi delle due potenze minori potessero prendere parte a questioni geograficamente limitate.
Nella prima seduta della conferenza dei ministri degli esteri tenuta a Londra nel settembre '45, i sovietici richiesero l'assegnazione di Trieste alla Jugoslavia, e la spartizione delle colonie italiane (in contrasto con i principi anticolonialistici espressi in precedenza), con l'assegnazione di un mandato su Libia (ritenuta utile come base per la flotta nel Mediterraneo) e il riconoscimento di un particolare interesse sulle isole greche del Dodecaneso. Il governo degli Stati Uniti ritenne invece che i territori italiani in Africa dovessero essere affidati al controllo dell'ONU per un periodo di 10 anni e successivamente accedere alla piena indipendenza. Su questa proposta gli americani rimasero isolati, anche la Francia, ritenendo che le popolazioni dell'Africa occidentale avrebbero chiesto il medesimo trattamento respinse il progetto. Sulla questione delle riparazioni infine, valutate da parte sovietica in 600 milioni di dollari delle quali 100 per l'URSS, non si raggiunse un accordo.
Il comportamento degli americani e dei russi nelle Commissioni di Controllo dei paesi sconfitti risultò sensibilmente differente. L'Unione Sovietica utilizzò tali organismi per imporre restrizioni, riparazioni economiche nelle forme più pregiudizievoli e uomini di propria fiducia nei maggiori centri di potere. Gli Stati Uniti anche esercitando un certo grado di influenza evitarono decisamente ogni forma di vessazione. Il caso del Giappone risulta senz'altro significativo, gli americani si limitarono ad avviare il paese nel processo di democratizzazione e a contrastare i trust economici. Quando nel giugno 1950 l'esercito d'occupazione americano fu costretto ad abbandonare rapidamente il paese per raggiungere la Corea, il Giappone non fece alcun tentativo di sottrarsi al controllo statunitense.
Gli Alleati contestarono la legittimità dei governi insediati in Bulgaria e Romania dove l'opposizione era perseguitata e i rappresentanti della stessa nei governi costretti alle dimissioni. I sovietici replicarono affermando che il governo greco, legato agli occidentali, non forniva anch'esso garanzie di legittimità; vennero fatte comunque da Mosca delle concessioni sull'allargamento del governo rumeno a esponenti liberali e del partito agrario ma sulla Bulgaria non ci fu alcun accordo. Sull'Austria venne stabilito di procedere al distacco dal Reich e la costituzione di una commissione di controllo composta dai rappre¬sentanti dei paesi vincitori. Infine venne confermato lo sgombero di tutte le truppe straniere dall'Iran entro il marzo '46. La conferenza non diede risultati positivi e confermò la rottura fra anglo-americani e sovietici, e la posizione isolata dei francesi. Gli Stati Uniti proposero comunque ai sovietici un patto d'amicizia a lunga scadenza.
La questione delle riparazioni di guerra venne a costituire un grave motivo di contrasto fra occidentali e sovietici. L'URSS reclamava riparazioni dalla Germania per 10 miliardi di dollari pari all'80% del patrimonio industriale del paese (da soddisfarsi in beni e non in denaro) e richiese l'invio di 10 milioni di lavoratori tedeschi in Russia per la ricostruzione del paese. In Romania venne prelevato fra aziende e altri beni l'84% del reddito nazionale, in Ungheria il 94% della produzione meccanica e metallurgica oltre a 300 milioni di dollari in beni. Prelievi vennero effettuati anche verso la Polonia e la Cecoslovacchia che non erano paesi alleati della Germania, ma vittime dell'aggressione nazista, i sovietici infatti avanzarono pretese sui beni "tedeschi" presenti nel territorio o su beni che i nazisti avevano confiscato in tempo di guerra. Richieste indirette di riparazioni vennero avanzate da parte dei sovietici anche nei confronti dell'Austria che gli Alleati avevano considerato come paese non aggressore.
Nella seconda metà del '45 l'Unione Sovietica manifestò un notevole interesse per il fianco sud e l'accesso al Mediterraneo con alcune iniziative, giudicate gravi dagli Occidentali verso l'Iran, la Grecia e la Turchia.
Nel 1941 l'Iran, che costituiva il territorio di transito dei rifornimenti di materiale bellico dagli USA all'Unione Sovietica, venne occupato da truppe britanniche al sud e russe al nord. Si riteneva infatti che lo scià Reza Pahlavi, sovrano modernizzatore ma autoritario, avesse simpatia per la Germania e nutrisse una certa insofferenza verso la Gran Bretagna che aveva imposto dei trattati per lo sfruttamento delle risorse petrolifere a suo favore. Per evitare maggiori attriti venne stabilito un accordo con lo Scià (che abdicava a favore del figlio), con la garanzia degli Stati Uniti, in base al quale gli eserciti stranieri avrebbero comunque dovuto ritirarsi entro sei mesi dalla cessazione delle ostilità.
Terminata la guerra in Europa, l'Inghilterra si attenne a quanto previsto mentre l'Unione Sovietica che riteneva minacciata, pur non esistendo delle prove, la parte sovietica dell'Azerbagian e mirava a stabilire un diritto di sfruttamento sulle risorse petrolifere dello stato persiano, mantenne l'occupazione delle provincie settentrionali.
Nel novembre del '45 il Tudeh (il partito comunista iraniano) forte del tradizionale antagonismo delle popolazioni locali di origine turca verso il potere centrale, proclamò la Repubblica dell'Azerbagian, con l'appoggio delle truppe sovietiche che impedirono l'accesso alle truppe imperiali inviate da Teheran. Nei mesi successivi insorsero anche i vicini Curdi che reclamavano la costituzione di uno stato autonomo non soggetto all'autorità dello stato persiano.
Il governo iraniano si appellò all'ONU contro la violazione della sua sovranità. La questione venne discussa nell'incontro di Mosca del dicembre '45. inglesi e americani protestarono energicamente per la violazione degli accordi e l'Unione Sovietica ritenendo di non poter forzare eccessivamente la situazione accettò un compromesso. L'Unione Sovietica si impegnava a ritirare le sue truppe e veniva creata una società mista russo-iraniana per lo sfruttamento del petrolio, mentre il governo persiano si impegnava a rispettare la sovranità dell'Azerbagian. Nei mesi successivi comunque le neo-nate repubbliche private del sostegno militare sovietico vennero travolte dalle truppe di Teheran, mentre il Parlamento iraniano rifiutò di ratificare l'accordo sullo sfruttamento del petrolio.
Alla conferenza dei ministri degli esteri tenuta a Mosca nel dicembre '45, nonostante le contestazioni da parte americana sulla legittimità delle elezioni tenute in Bulgaria e Romania, vennero raggiunti dei risultati positivi; oltre alla questione iraniana si raggiunse un accordo sulla partecipazione dell'Unione Sovietica all'interno della commissione di controllo sul Giappone (anche se di fatto gli americani mantennero una egemonia sul paese asiatico). Si stabilì infine di fare della Corea, precedentemente occupata dai giapponesi, un paese indipendente temporaneamente sotto mandato ONU affidato a rappresentanti sovietici, americani, britannici e cinesi.
Sulla questione austriaca invece non si registrarono progressi, l'ostacolo principale era comunque la questione delle riparazioni, l'Unione Sovietica pretendeva di rivalersi anche sui beni austriaci precedentemente confiscati dal Reich, mentre per gli anglo-americani dovevano essere restituiti a Vienna. Venne stabilito infine di creare una commissione dell'ONU per l'energia nucleare e l'eliminazione delle armi nucleari. I risultati positivi raggiunti comunque apparvero a Truman più teorici che reali, che contestò pubblicamente l’azione di Byrnes.
Dopo la denuncia unilaterale del trattato di non aggressione fra Russia e Turchia del 1925 da parte di Mosca, alcune settimane dopo la conclusione del conflitto mondiale l'URSS avanzò delle richieste nei confronti del governo turco sulla questione degli Stretti e su alcune regioni di confine. Il governo di Mosca richiedeva la revisione del Trattato di Montreaux, che dava ampia facoltà alla Turchia di disporre degli Stretti dei Dardanelli e del Bosforo, di affidare il controllo della navigazione in forma esclusiva ad entrambe le nazioni e interdire, in violazione con le norme del diritto internazionale, l'accesso al Mar Nero a navi da guerra di paesi terzi. L'Unione Sovietica richiedeva inoltre la concessione di una base militare presso i Dardanelli, e una diversa sistemazione delle regioni armene di Kars e Ardahan che dai tempi della dissoluzione dell'impero zarista erano soggette al governo turco, integrandole nella Repubblica Sovietica Armena (in contrasto con il Trattato di Sevres che prevedeva la creazione di una repubblica armena autonoma).
La questione venne dibattuta alla Conferenza di Potsdam dove inglesi e americani pur non contestando la richiesta della revisione del regime degli Stretti affermarono che si dovesse arrivare alla piena libertà di navigazione per tutte le vie d'acqua anche interne (con particolare riferimento alla navigazione del Danubio). Nel novembre successivo gli americani si spinsero ad una proposta particolarmente favorevole all'Unione Sovietica: l'accesso al Mar Nero da parte di navi da guerra doveva avvenire con il consenso di Russia e Turchia o con quello dell'ONU. Il governo sovietico respinse la proposta americana e per alcuni mesi la tensione fra russi e turchi si accrebbe con spostamenti di truppe lungo il confine. Nell'autunno dell'anno successivo gli Stati Uniti (con il consenso di Francia e Inghilterra) vista la impossibilità di raggiungere un accordo inviarono una flotta a presidio degli Stretti, i sovietici evitarono di aggravare la situazione e progressivamente desistettero dalle loro richieste.
In Persia e in Turchia la pressione del governo sovietico si svolgeva in forma diretta, in Grecia invece, poteva operare indirettamente attraverso una guerriglia locale che consen-tiva all'Unione Sovietica di non esporsi eccessivamente. La situazione venne successiva-mente a complicarsi per la rottura fra Mosca e Belgrado che ebbe notevoli ripercussioni nelle vicende balcaniche.
Gli Accordi di Varkiza del gennaio '45 fra il governo regio e il Fronte di Liberazione Nazionale, l'EAM, prevedevano il disarmo di tutti i gruppi partigiani, la convocazione di libere elezioni da tenersi sotto controllo internazionale, e un plebiscito popolare sulla monarchia. L'accordo sembrò reggere nonostante l'instabilità politica ed economica del paese, ma al momento delle elezioni l'Unione Sovietica, membro della commissione di controllo sullo svolgimento delle elezioni, decise di ritirarsi, mentre i gruppi di sinistra disertavano (e boicottavano) la consultazione. Il risultato delle elezioni fu largamente favorevole al partito popolare filo monarchico anche se quasi la metà dell'elettorato non prese parte alle votazioni. Il referendum sulla questione istituzionale tenutosi nel settembre registrò la vittoria della monarchia (anche se sul conteggio dei voti non mancarono sospetti di brogli) che riportò il 69% dei voti .
Nei mesi successivi gruppi armati comunisti presero possesso con il sostegno di Jugoslavia, Bulgaria, e Albania dell'Epiro e delle zone montuose del nord. Il governo greco ricorse all'ONU che riconobbe (con il voto di 48 paesi) l'ingerenza dei tre paesi slavi (che in precedenza rivendicavano rettifiche territoriali nell'Epiro e in Macedonia) ma la situazione risultò immediatamente molto difficile.
La guerra civile fu particolarmente sanguinosa e comportò gravi sacrifici per le popolazioni locali. Il governo monarchico al fine di impedire i rifornimenti al nemico decise il trasferimento di interi villaggi in zone ritenute più sicure, mentre nel nord controllato dai comunisti migliaia di bambini, anche contro la volontà delle famiglie, furono inviati nei paesi dell’Est per preparare una nuova generazione di cittadini.
La Gran Bretagna, il principale sostegno al governo di Atene, si trovò costretta, a causa della grave situazione finanziaria che attraversava, a interrompere gli aiuti militari ed economici allo stato ellenico la cui caduta avrebbe provocato una situazione gravissima per tutto il bacino del Mediterraneo orientale. La decisione del presidente Truman nel marzo del '47 sull'invio di consiglieri militari e aiuti di ogni genere alla Grecia risolse la difficile questione.
Nell'aprile del '48 si verificò una svolta del conflitto; i combattenti comunisti vennero chiusi in una sacca e costretti allo scontro aperto e nel luglio successivo il governo di Belgrado in seguito alla rottura con Mosca, decise la cessazione di ogni aiuto ai ribelli e la chiusura della frontiera con la Grecia che era servita come transito alle basi in territorio jugoslavo. Infine non molto tempo dopo il comandante delle forze comuniste Markos venne accusato da Mosca di titoismo e sostituito dal più allineato Zachariades.
Nell'ottobre del '49 si concluse definitivamente la guerra civile che era costata più di 50.000 morti (molti di più secondo altre fonti), mentre migliaia di guerriglieri vennero deportati nelle isole. La conclusione della sanguinosa guerra non portò alla stabilità politica; ben 26 governi si succedettero fino al '56 quando salì al potere l'esponente di centro destra Karamanlis.
Anche l’estremo Nord divenne un’area di interesse per i sovietici. Nei giorni precedenti la fine della guerra, le truppe sovietiche sbarcarono a Bornholm, un’isola sotto sovranità danese, particolarmente importante dal punto di vista strategico per il controllo del mar Baltico, e adducendo varie ragioni i russi protrassero la loro permanenza per un anno. Nello stesso periodo richiesero al governo di Norvegia la concessione di una base militare nell’arcipelago delle Spitzbergen, ma ottennero un deciso rifiuto e la questione successivamente decadde.
La prima pesante denuncia del contrasto fra democrazia occidentale e comunismo, venne da Winston Churchill, che sebbene non più al governo, continuava in pieno il suo impegno politico. Nel discorso all'Università di Fulton in America, che suscitò impressione nell'opinione pubblica mondiale sostenne che: "… un ombra si proietta sul mondo dopo la vittoria degli Alleati; nessuno riesce a intendere gli obbiettivi immediati perseguiti dall'Unione Sovietica e dal comunismo internazionale, né si riesce a capire quali siano i limiti, se davvero esistono, del loro espansionismo e proselitismo. Da Stettino a Trieste, dal Baltico all'Adriatico, una cortina di ferro divide il continente. Alla prevenzione di un'altra guerra si può giungere ora, nel 1946, solo col raggiungimento di una buona intesa con la Russia su tutti i punti, sotto l'egida delle Nazioni Unite." Si espresse poi sulla necessità di mantenere il segreto sulla costruzione della bomba atomica e sul problema della sicurezza dell'URSS "Ci rendiamo conto dell'esigenza dell'Unione Sovietica di sentirsi sicura sulle proprie frontiere occidentali attraverso l'eliminazione di ogni possibilità di una aggressione tedesca" continuò lo statista "Diamo il benvenuto alla Russia nel suo giusto posto fra le più grandi nazioni del mondo...I partiti comunisti che erano assai piccoli in tutti quegli stati orientali d'Europa, sono stati innalzati a un predominio e a un potere di gran lunga sproporzionati al numero dei loro aderenti e stanno ora tentando dovunque di conquistare il dominio totalitario. Governi polizieschi prevalgono quasi in ogni caso e fino a questo momento, tranne che in Cecoslovacchia, non esiste democrazia autentica... Varsavia, Praga, Berlino, Vienna, Budapest, Belgrado, Bucarest e Sofia si trovano nella sfera sovietica e soggette in una forma o l'altra non solo all'influenza ma anche ad una specie di controllo da Mosca, controllo che va sempre più accentuato. Atene solo è libera di decidere il suo destino mediante elezioni sotto il controllo di osservatori inglesi, americani e francesi [i sovietici rifiutarono di farne parte]. La Turchia e la Persia sono vivamente allarmate a causa delle aspirazioni di Mosca, mentre i russi a Berlino cercano di costituire un partito semi comunista in Germania... Anche in Manciuria la presenza sovietica desta attenzione... Non è questa la libera Europa che avevamo sognato di costruire e per la quale noi combattemmo".
Il discorso di Fulton, preceduto da quello altrettanto duro di Stalin al Soviet Supremo, venne definito da Bernard Shaw "una dichiarazione di guerra non ufficiale" e non venne apprezzato da molti in America. Il segretario al commercio Henry Wallace era dell'opinione che il comportamento sovietico fosse "causato dalle preoccupazioni risultanti dai loro gravissimi bisogni economici e dal timore per la loro sicurezza. Gli avvenimenti degli ultimi mesi hanno fatto ripiombare i sovietici nel loro timore, già esistente prima del 1939, di un accerchiamento capitalista" . I timori di Churchill erano comunque condivisi anche da Truman che in un messaggio al segretario di stato Byrnes del gennaio '46 scriveva: "Se la Russia non si trova di fronte a un pugno di ferro e a parole energiche, la guerra sarà inevitabile. Capiscono solo una frase: «Quante divisioni avete?» Non penso che si debba venire a compromessi più oltre" .
Sul piano militare la realizzazione delle armi atomiche aveva introdotto grandi novità. Il 25 marzo del '45 Einstein che cinque anni prima aveva incalzato il governo americano perché affrettasse gli studi sulle armi nucleari si dichiarò contrario all'impiego delle armi atomiche ritenute eccessivamente pericolose per l'umanità. Preoccupazioni vennero espresse anche da un gruppo di scienziati che avevano condotto le ricerche sull'atomo, che comunicarono al governo americano (il cosiddetto rapporto Franck) la loro opinione sul problema rappresentato dalle armi atomiche: "Le bombe nucleari non possono assolutamente restare un'arma segreta a uso esclusivo del nostro Paese per più di qualche anno. I presupposti scientifici su cui si basa la loro costruzione sono ben noti agli scienziati di altri paesi" e concludeva con la necessità di istituire un controllo internazionale sulla materia . Il 1° giugno tuttavia un comitato di scienziati sollecitò l'uso della potente arma per piegare il Giappone. Il lancio della bomba atomica su Hiroshima per molti non aveva posto problemi etici particolari, tale arma era semplicemente stata vista come un mezzo d'offesa particolarmente efficace; d'altra parte il numero dei morti della sventurata città giapponese non era superiore a quelli avuti con i bombardamenti di Dresda o di Tokyo di poco precedenti.
In quel momento l'arma fatale era monopolio degli Stati Uniti e per Truman il suo possesso costituiva un fatto di grande importanza; il 9 agosto del 1945, tre giorni dopo il lancio della bomba atomica su Hiroshima affermò: "Noi dobbiamo costruirci guardiani di questa nuova forza per impedire il suo impiego nefasto e per dirigerlo verso il bene dell'umanità. Noi ringraziamo Dio che sia toccata a noi piuttosto che ai nostri nemici e preghiamo perché Egli ci guidi per utilizzarla nelle Sue vie e nei Suoi scopi" . Tale opinione era condivisa anche da Churchill per il quale "Nulla può opporsi alla tirannia comunista in Europa se non la bomba atomica" .
Nel corso degli anni Cinquanta durante le guerre di Corea e di Indocina venne proposto più volte un ricorso a tali armi per dissuadere la Cina ad astenersi da ulteriori azioni di guerra, ma sia Truman che Eisenhower si dichiararono contrari a tale scelta. L'Unione Sovietica si era dotata dell'arma atomica nel '49 ma solo molto più tardi si dotò di un'aviazione e di un sistema di missili in grado di minacciare l'Occidente. Solo allora divenne evidente che il mondo rischiava una guerra dalla quale non si avrebbero avuti né vincitori né vinti ma la distruzione dell'intera umanità.
Fra Stati Uniti, Canada e Regno Unito, gli stessi che avevano condotto gli studi sull'energia nucleare, si decise di non divulgare informazioni sull'arma atomica, al tempo stesso però nel novembre '45 in una conferenza a Washington, si stabilì di "condividere su basi di reciprocità con gli altri membri delle Nazioni Unite, informazioni particolari sulle applicazioni pratiche industriali dell'energia atomica non appena potranno essere messe a punto garanzie efficaci e realizzabili contro il suo impiego per scopi distruttivi" e si propose di creare un organismo internazionale per l'energia atomica. Il Piano Baruch, presentato dagli Stati Uniti all'ONU e previsto dagli accordi della Conferenza di Mosca, prevedeva la creazione di un organismo internazionale per il controllo ed il monopolio dell'energia atomica, l'eliminazione dell'arsenale atomico americano e un sistema di controlli e ispezioni sul territorio per garantire che nessun paese procedesse alla realizzazione di nuove armi atomiche. L'Unione Sovietica respinse la proposta americana, richiese che venisse eliminato l'arsenale atomico degli Stati Uniti e propose che l'organismo incaricato di svolgere i controlli dovesse essere il Consiglio di Sicurezza, organismo nel quale i sovietici disponevano di un diritto di veto. Successivamente al fallimento del piano gli Stati Uniti approvarono la legge Mac Mahon con la quale stabilirono che i segreti sull'arma atomica non fossero divulgati, e nel luglio del '46 le forze armate americane diedero corso ad un esperimento nucleare nell'atollo di Bikini, ritenuto da molti come un monito indiretto all'URSS.
Sui segreti relativi alla bomba atomica e alla bomba all'idrogeno si scatenarono i maggiori sforzi delle reti spionistiche internazionali. In questo campo i sovietici ottennero grandi successi, grazie soprattutto alla facile possibilità di infiltrazione nei paesi democratici. Una grande rete spionistica venne realizzata dall'Unione Sovietica sul territorio americano molto prima della conclusione della seconda guerra mondiale. Negli ultimi mesi del 1945, grazie ad un funzionario dell'ambasciata sovietica a Ottawa che non intendeva essere rimpatriato, venne scoperto un fisico britannico che lavorava in Canada, Alan Nunn May, che aveva passato documenti segreti relativi a ricerche sull'atomo e una quantità di uranio 235 ai sovietici. Un contributo a favore dei sovietici ancora più importante venne da un altro scienziato, Klaus Fuchs, il quale per molti anni lavorò per gli informatori sovietici, e facendo parte dell'équipe di scienziati che a Los Alamo progettò la bomba atomica disponeva di enormi conoscenze da trasmettere al campo avversario. Il caso era da considerarsi grave considerando che i britannici avevano modo di sospettare del personaggio, si trattava infatti di uno scienziato di origine tedesca fuggito dalla Germania all'avvento del nazismo per le sue simpatie comuniste. L'arresto dello scienziato, che subì una condanna relativamente mite, 14 anni di reclusione, consentì la cattura di altri collaboratori minori, fra i quali i coniugi Rosenberg, la cui condanna a morte suscitò emozione in tutta l'America. Il caso di scienziati che scelsero di collaborare col nemico per ragioni di lucro ovvero per convinzioni ideologiche o perché convinti che il possesso delle armi atomiche da parte di più di una nazione fosse utile alla pace furono numerosi, fra questi lo scienziato italiano Bruno Pontecorvo, già collaboratore di Enrico Fermi, fuggito misteriosamente in Unione Sovietica portandosi numerosi studi, mentre lo scienziato Oppenheimer, che non si macchiò di alcun tradimento, si espresse insistentemente per ragioni etiche contro la realizzazione della bomba termonucleare.
L'attività spionistica in quegli anni raggiunse livelli altissimi, condotta soprattutto attraverso agenti infiltrati da parte dei sovietici e attraverso missioni esplorative aeree da parte degli americani; si calcola che 300.000 persone furono gli agenti che operavano in favore dell'URSS negli Stati Uniti e 100.000 quelli legati alla CIA che operavano in Unione Sovietica. I casi di doppio gioco, e anche di triplo gioco, cioè di agenti che fingevano di tradire il proprio paese ma in realtà passavano al nemico materiale fuorviante, furono innumerevoli. Vi furono importanti spie che una volta scoperte ostinatamente non parlarono, come il colonnello sovietico Rudolf Abel, e altri personaggi che al contrario collaborarono. Non mancarono casi di spionaggio da parte di personaggi insospettabili, alti ufficiali pluridecorati, come il colonnello russo Penkowskj, che passò importanti documenti al governo degli Stati Uniti, e quello di un affermato giornalista inglese, Harold Philby, per un certo periodo alto dirigente dei servizi segreti britannici.
Nonostante le richieste contrarie di Churchill e il rapido peggiorare dei rapporti con l'Unione Sovietica, gli americani avevano smobilitato larga parte dell'esercito; nella primavera del '45 in Europa 7 milioni di soldati ritornarono alla vita civile, nel novembre dello stesso anno l'esercito americano in Europa ammontava a 1 milione di effettivi che si ridussero a 300.000 nel luglio '46. contro i circa 4 milioni di quello sovietico.
Gli Stati Uniti fino allo scoppio della guerra di Corea mantennero infatti un esercito incredibilmente ridotto, limitato a una decina di divisioni, mantenendo in stato di buona efficienza solo l'aviazione (venne messo in servizio il gigantesco bombardiere B 36 in grado di trasportare a 6.000 km di distanza un carico di 36 tonnellate di bombe) e la marina militare.
La conferenza di Parigi tenuta nell'aprile-maggio e luglio-ottobre '46 confermò le divergenze esistenti fra anglo-americani e sovietici. Venne decisa l'istituzione del Territorio Libero di Trieste, (città che il ministro Molotov espressamente dichiarava non essere stata mai italiana), sotto controllo ONU, e la restituzione del Dodecaneso alla Grecia; nessun accordo venne raggiunto invece sulla questione delle colonie e la riduzioni delle riparazioni italiane. Sulla questione iraniana, di fatto già conclusa, non si pervenne ad un compromesso ed il governo di Teheran non riconobbe gli impegni assunti in precedenza. Alla conferenza il rappresentante degli Stati Uniti presentò delle proposte di liberalizzazione del commercio che vennero respinte dal governo di Mosca il quale inoltre accusò il governo americano di ostacolare il processo di pace. Venne ricercato un accordo sulla regolamentazione della navigazione sul Danubio, ma di fatto questa rimase soggetta al controllo dei paesi che il fiume attraversava, e nel luglio 1948 la Conferenza di Belgrado stabilì il pieno controllo dei paesi balcanici sul fiume in contrasto con le richieste occidentali.
Nel febbraio dell'anno successivo vennero comunque firmati i trattati di pace con i paesi ex alleati della Germania, attraverso i quali l'Unione Sovietica si fece riconoscere i territori sottratti ai paesi dell'Europa orientale.
Nella seconda metà del '46 due incidenti navali, causati da mine e colpi di artiglieria, che causarono la morte di alcuni marinai inglesi nel Canale di Corfù, aggravarono lo stato di tensione fra Albania e la Gran Bretagna. Contemporaneamente nel sud-est asiatico, in Cina e nel Vietnam, si apriva un nuovo fronte dello scontro fra comunismo e potenze europee.
L'Iran, la Turchia, la Grecia avevano costituito terreno di scontro fra le grandi potenze, ma ben più importante di questi fu il contrasto sulla Germania, cuore dell'Europa e paese di grandissimo rilievo sul piano politico ed economico; il paese tedesco costituì la maggiore posta in gioco durante la guerra fredda e il sospetto reciproco che attraverso i negoziati di pace si tentasse di forzare la nazione verso il proprio schieramento, aggravò i contrasti fra le parti. Il conflitto di interessi fra sovietici, anglo-americani e francesi, questi ultimi più di ogni altri interessati a garantirsi da una ripresa politica e militare di quella nazione, contribuì notevolmente alla degenerazione della situazione.
Lo smembramento e la trasformazione della Germania in un paese politicamente debole ad economia prevalentemente agricola prevista dal piano del ministro americano Morghentau prima della conclusione del conflitto venne rapidamente accantonato perché avrebbe prodotto indirettamente un danno all'economia europea che necessitava delle risorse e dei prodotti industriali tedeschi. I piccoli staterelli creati dallo smembramento sarebbero stati facilmente oggetto di interesse dei paesi vicini e motivo di uno scontro dalle conseguenze imprevedibili.
Nei giorni precedenti alla conclusione del conflitto le potenze vincitrici si accordarono sul non riconoscere alcun governo rappresentativo della Germania, e nella successiva Conferenza di Potsdam venne stabilito l’istituzione di un Consiglio Alleato di Controllo come massima autorità della nazione sconfitta nonché la creazione di quattro zone d'occupazione, con la zona francese ricavata nella parte di territorio controllata dagli anglo-americani. Nel medesimo incontro le potenze occidentali ribadirono che le riparazioni da infliggere alla Germania dovessero tenere conto delle esigenze indispensabili della popolazione civile. Gli americani ritenevano non senza ragione che sottratto ogni mezzo di sostentamento, sarebbe ricaduto su di loro l'onere di provvedere al loro approvvigionamento. Veniva quindi stabilito che le quattro potenze avessero diritto a prelevare ricchezze (beni e impianti industriali) ciascuna dal territorio di propria competenza con una deroga a favore dell'URSS che poteva prelevare anche dalle altre zone fino al 25% delle industrie considerate non strettamente necessarie a fini civili, con l'obbligo comunque di contribuire in una certa misura all'approvvigionamento alimentare.
Nelle trattative di pace le prime difficoltà sorsero da parte del governo francese che più di ogni altro temeva una ripresa della Germania come potenza economica e militare. Il governo di Parigi si oppose a ogni tentativo di ricostituire una amministrazione centrale tedesca, e chiese il distacco della Renania dal resto della Germania affinché fosse costituta in amministrazione autonoma, e l'internazionalizzazione della Ruhr, richiesta quest'ultima condivisa a certe condizioni dai sovietici.
Come scrisse Salvatorelli in quegli anni se le grandi potenze avessero deciso di esercitare i loro poteri sui rispettivi territori tedeschi autonomamente si sarebbe arrivati rapidamente alla spartizione dello stato germanico, mentre se si stabiliva di creare una amministrazione in "condominio" si avrebbe avuta la paralisi a causa dei reciproci veti. Si trattava pertanto di "conciliare due esigenze: il controllo della Germania per la sicurezza dell'Europa (e anche per impedire uno sfacelo ulteriore della Germania stessa nel caos politico e nella guerra civile), e la sottrazione di essa alla sfera d'influenza e agli sfruttamenti particolari di uno o altro Grande" .
Nel territorio soggetto all'amministrazione sovietica vennero introdotte nelle settimane successive alla conclusione della guerra alcune importanti innovazioni economiche (nazionalizzazione delle banche e dei grandi complessi industriali non requisiti) e avviata una drastica riforma agraria che prevedeva l'esproprio e la collettivizzazione delle terre, senza indennizzo per i proprietari. I sovietici inoltre procedettero in materia di riparazioni in violazione di quanto stabilito a Potsdam superando i limiti previsti, ed assumendo altre iniziative in contrasto con gli occidentali. Nel settembre '45 venne disposta la chiusura delle frontiere con le altre zone e la costituzione di quattro partiti, comunista, socialdemocratico, liberale e democratico cristiano, riuniti nel Blocco Democratico Antifascista. In tutti gli organismi amministrativi i comunisti ebbero la maggioranza mentre il partito socialista venne costretto ad una unificazione forzata con quello comunista dando vita al SED. Secondo Erich Ollenhauer, presidente dell'SPD della zona occidentale almeno 20.000 militanti socialisti vennero perseguitati (in alcuni casi incarcerati o uccisi) nei primi mesi del '46 perché contrari all'unificazione col partito comunista; nello stesso periodo si verificarono numerosi casi di violenza sulle popolazioni civili e di deportazioni di lavoratori tedeschi nelle industrie sovietiche. Le iniziative sovietiche suscitarono le proteste inglesi e americane, anche perché obbligava gli Alleati ad intervenire con iniziative di assistenza per evitare il collasso del paese.
La posizione britannica e americana sulla questione tedesca era molto più cauta e sensibile alle necessità della popolazione dell'ex Reich. Gli anglo-americani ritenevano infatti che un accordo sulla sicurezza fra le potenze vincitrici, e una struttura ampiamente federale del nuovo stato tedesco fosse sufficiente a garantire la sicurezza dei paesi europei. I francesi successivamente rinunciarono al distacco della Renania dalla Germania, però richiesero una unione economica con la Saar, importante regione mineraria, e nel dicembre del '47 isolarono la regione dal resto della propria zona d'occupazione, nonostante l'opposizione sovietica.
Gli americani ritenendo che la crisi economica e il disordine avrebbero favorito le forze filo sovietiche, decisero nel 1946 di prendere alcune iniziative per favorire la ripresa economica e migliorare la situazione degli approvvigionamenti alimentari. Fra i vari provvedimenti presi, l'organizzazione di elezioni amministrative, e la cessazione delle requisizioni nella propria zona d'occupazione a favore dei sovietici; tale misura era anche conseguenza del rifiuto sovietico di fornire indicazioni su quanto da loro compiuto, le requisizioni sovietiche avevano infatti assunto le caratteristiche di un spoliazione indiscriminata.
Il segretario di stato Byrnes in un suo discorso a Stoccarda annunciò che "il popolo americano desiderava aiutare i tedeschi a riguadagnare un posto onorevole tra le nazioni libere e pacifiche" e presentò alcune importanti innovazioni che in pratica significavano la fine della politica di occupazione: ricostitu¬zione di un governo centrale tedesco formato dai rappresentanti dei Länder, limitazioni in materia di riparazioni, nuova sistemazione dei territori tedeschi a est dell'Oder-Neisse (che i sovietici nell’incontro di Parigi avevano chiesto di assegnare immediatamente alla Polonia), reintegrazione della Germania nel consesso delle nazioni libere. Nell'ottobre di quell'anno si tennero le elezioni amministrative che nelle zone controllate dagli occidentali diedero un risultato largamente favorevole ai democratici cristiani e ai socialdemocratici che ottennero oltre 80% dei voti. Nelle zone controllate dai sovietici il SED ottenne il 50% dei voti, democratici cristiani e liberali il 25% ciascuno, ma nella città di Berlino dove la consultazione si tenne sotto il controllo di tutte le quattro potenze vincitrici, i comunisti riportarono un significativo insuccesso.
I colloqui di pace sulla Germania fra il '46 e il '48 risultarono più difficili di quanto previsto; gli americani ritenevano di avviare il paese a libere istituzioni ed evitare qualsiasi forma ulteriore di ingerenza, lasciando al popolo tedesco attraverso i propri rappresentanti la politica interna ed estera del nuovo stato. Questo atteggiamento non era condiviso dai sovietici i quali ritenevano che senza un preciso intervento la Germania avrebbe seguito una politica filo occidentale. I sovietici non escludevano il ritiro dalla zona orientale della Germania, ma intendevano imporre pesanti limitazioni alla sovranità tedesca affinché il paese fosse costretto ad una politica di neutralità. Ulteriore motivo di contrasto fra sovietici ed anglo-americani era sempre la questione delle riparazioni, Mosca pretendeva risarcimenti per 10 miliardi di dollari, richiesta tale da provocare il collasso della Germania.
Fra il '46 e il '47 nella Germania orientale venne creata una polizia che sotto certi punti di vista poteva costituire il nucleo di un piccolo esercito. Adenauer, a nome dei rappresentanti dei Länder occidentali richiese la costituzione di una limitata forza armata, pari almeno alla consistenza della milizia della zona est, ma la richiesta venne respinta dai francesi. Viste le difficoltà a ricostruire un libero stato tedesco, e l'insuccesso della conferenza di Londra, britannici e americani decisero l'unificazione delle proprie zone d'occupazione dando vita alla cosiddetta "Bizona". Nei mesi successivi, dopo la rottura fra i rappresentanti dei Länder della zona est e quella ovest venne poi decisa la creazione di un Consiglio Economico formato da cittadini tedeschi, diversi provvedimenti a favore della popolazione tedesca, ed infine la riforma monetaria, che costituì motivo di grave contrasto con i sovietici.
Sebbene l'Austria facesse parte del Reich tedesco negli anni della guerra, non venne considerata dagli Alleati occidentali come paese aggressore e il processo di normalizzazione risultò molto più agevole che in Germania.
Il paese venne diviso in quattro zone d'occupazione e soggetto alla Commissione Alleata di Controllo, ma diversamente dal vicino tedesco venne ricostituito in tempi brevi un governo provvisorio, presieduto dal socialista Karl Renner. Nel novembre del '45 si tennero le elezioni parlamentari alle quali il partito popolare ottenne la maggioranza; nei mesi successivi il nuovo stato austriaco venne riconosciuto dalle potenze vincitrici e il regime di controllo attenuato anche se non mancarono contrasti in materia di riparazioni e sulla requisizioni di stabilimenti industriali considerati di proprietà della vicina Germania.
Nel '48 cessarono le richieste jugoslave sulla Carinzia, tuttavia il trattato di pace venne concluso solo dopo la morte di Stalin nel '55. In base al trattato l'Austria si impegnava alla piena neutralità che venne rigorosamente rispettata negli anni successivi.
IL MONDO SULL'ORLO DELLA GUERRA
Nel conflitto USA-URSS alcuni fattori giocarono a favore di quest'ultima: le zone di tensione erano tutte nel continente eurasiatico in zone di contiguità territoriale con l'Unione Sovietica ed i suoi alleati e pertanto l'esercito russo poteva muovere, come si dice nel gergo militare "per linee interne" mentre i paesi aderenti alla NATO necessitavano di numerose basi militari disperse in ogni parte del globo per assicurarsi valide strutture logistiche.
Da un punto di vista strettamente militare, la guerra fredda comprende due periodi diversi. Nel primo periodo fino al '49, gli Stati Uniti detennero il monopolio della bomba atomica che assicurò una posizione di netta superiorità sull'avversario e le consentì di mantenere poche divisioni contro le 210 dell'URSS, e costrinse Mosca ad una certa prudenza. Nel secondo periodo, il possesso della micidiale arma da parte di entrambi gli schieramenti e il perfezionamento delle armi missilistiche, diede luogo al cosiddetto "equilibrio del terrore". Un attacco con armi atomiche non poteva che produrre una "rappresaglia" e quindi la reciproca e totale distruzione con conseguenze disastrose per tutto il genere umano.
Nel febbraio del '47 con i trattati di pace con i paesi ex satelliti dell'Asse venne stabilito l'obbligo di sgombero delle truppe di occupazione dall'Europa; tale prescrizioni non ebbe seguito, e a vario titolo gli eserciti ex invasori permanerono in Europa, dividendo il continente in rigidi schieramenti contrapposti.
La guerra fredda si presta bene ad una periodizzazione, che sostanzialmente corrisponde alla successione dei capi del Cremlino. Il primo periodo coincide pertanto con gli anni 1945-1953, il conflitto riguarda quelle zone, tutte limitrofe allo stato sovietico, che furono per lo più investite precedentemente dalla guerra, e sulle quali gli accordi di pace non avevano portato a stabili soluzioni. In questo periodo la guerra fredda si andò sviluppando senza che intervenisse qualche forma di contatto fra gli schieramenti contrapposti per cercare una via di conciliazione. La Gran Bretagna, attraversata da una lunga crisi passò le consegne agli Stati Uniti che nel '47 si candidarono a paese leader dello schieramento occidentale.
Il secondo periodo 1953-1962 coincide con gli anni del "triumvirato" Malenkov, Molotov, Berja, e quelli dell'ascesa di Kruscev. L'Unione Sovietica divenne un interessante punto di riferimento per i paesi emergenti di tutti i continenti e il conflitto si allargò quindi a regioni in precedenza mai toccate. Al tempo stesso si tennero numerosi incontri, anche ad alto livello, fra le grandi potenze, che fecero sperare in una rapida conclusione del conflitto; non fu così, tuttavia si ebbero significative fasi di distensione. Le riforme interne al blocco sovietico risultarono totalmente insufficienti a dare stabilità all'impero, che continuò ad essere attraversato da forti agitazioni, anche se in parte non pienamente conosciute. Nel 1962 L'Unione Sovietica, già provata per il conflitto con la Cina, subì una sconfitta senza precedenti che segnò profondamente gli eventi futuri. La crisi dei missili a Cuba fu l'ultima delle grandi crisi internazionali, abilmente gestita da Kennedy, rappresentò un durissimo colpo per i sovietici, i quali non tentarono più una sfida diretta agli Stati Uniti.
La terza fase del conflitto 1962-1985 coincise con il lungo periodo di permanenza al potere di Breznev e le brevi leadership di Andropov e Cernenko; l'Unione Sovietica chiusa ormai in se stessa di fronte alla crisi interna ed esterna, non poté sfruttare nemmeno la sconfitta degli Stati Uniti in Vietnam e l'insofferenza dei popoli del Medio Oriente verso l'Occidente per riprendersi. Chiusa la questione di Berlino, l'Europa cessò di costituire una zona di scontro fra i due schieramenti e il conflitto fra Est e Ovest si spostò completamente all'interno dei paesi del Terzo Mondo dove fino all'ultimo l'Unione Sovietica riportò dei successi. La paura di una guerra totale nel mondo si allontanò sempre di più e la disten¬sione si affermò in maniera irreversibile nonostante la violazione degli Accordi di Helsinki (in materia di diritti umani) e la ripresa dell'espansionismo sovietico dopo il 1975.
Infine con l'ascesa al potere di Gorbaciov e l'affermarsi del rispetto dei diritti civili e politici in Unione Sovietica, ormai in pieno e non più occulto travaglio, terminò definitivamen-te il lungo periodo di tensione internazionale creatosi successivamente al 1945.
Si possono distinguere tre fasi nell'origine della guerra fredda. Il periodo anteriore alla primavera del '45 coincide con il periodo di maggiore fiducia in una stabile intesa fra le grandi potenze, e sebbene non fossero mancati contrasti, questi vennero superati attraverso negoziati e la Conferenza di Yalta venne salutata come l'inizio di una nuova era. Nelle settimane successive allo storico accordo, ancora vivo Roosevelt, si ebbe una serie di gravi violazioni da parte sovietica e la posizione di equidistanza degli Stati Uniti rispetto a Gran Bretagna e Unione Sovietica venne meno con un sensibile riavvicinamento fra le due nazioni anglosassoni. Infine a metà del '47 con l'enunciazione della dottrina Truman, il rigetto del Piano Marshall da parte sovietica e la nascita del Cominform il dissidio degenerò ulteriormente, e si giunse allo scontro aperto l’anno successivo, con il blocco di Berlino.
Il 1947 fu l'anno più difficile per l'Europa. Il vecchio continente si presentava stremato dalla guerra e sconvolto dalle agitazioni sociali. La Gran Bretagna gravata dal debito estero, fu costretta a rinunciare al suo ruolo internazionale e ad una presenza militare più incisiva nel contrastare l'URSS. In Italia e Francia erano attivi due potenti partiti comunisti legati al Kominform, mentre in Grecia con la guerra civile, in Germania, Austria, Turchia, Finlandia e su Trieste si faceva sentire la presenza diretta o indiretta dell'Unione Sovietica. Se gli Stati Uniti non si fossero impegnati nuovamente con il sostegno economico e militare ai paesi europei si avrebbe avuta probabilmente una gravissima situazione per l'intero continente.
Non appena conclusi gli accordi di pace con i paesi satelliti dell'Asse si tenne nel marzo-aprile '47 la conferenza di Mosca. Il trattato di pace con l'Austria si arenò sulla questione delle riparazioni e delle richieste sovietiche sulla Carinzia meridionale rivendicata dalla Jugoslavia. Sulla Germania i sovietici si opposero alla cessione della Saar alla Francia e nuovamente presentarono la richiesta di riparazioni per 10 miliardi di dollari, ottenendo un nuovo rifiuto americano. Il governo sovietico si espresse per la creazione di uno stato unitario tedesco fortemente centralizzato e lo scioglimento dei corpi ausiliari tedeschi in quanto considerati unità militari, mentre gli occidentali ritenevano preferibile una repubblica federale. La Francia si allineava sulle posizioni anglo-americane e firmava un accordo con Gran Bretagna e Usa sulla Ruhr. Sulla questione della Renania e i territori a est dell'Oder-Neisse si ebbero veti reciproci e nessun accordo venne raggiunto su libertà d'accesso nella zona orientale e sulla costituzione di un Consiglio Consultivo tedesco. I sovietici contestarono energicamente la fusione delle due zone controllate da britannici e americani, i quali replicarono con la richiesta del numero dei prigionieri tedeschi (diversi milioni) ancora trattenuti in Unione Sovietica. Al termine della Conferenza il segretario di stato americano Marshall lamentava il fatto che "la zona d'occupazione sovietica... ha fatto conoscere pochissimo, o addirittura nulla, su quello che accade dentro i suoi confini" . La infelice conclusione della conferenza segnò una grave rottura dei rapporti fra gli occidentali e i sovietici, e spinse il governo di Washington ad una profonda revisione della propria politica internazionale.
Il fine ultimo della politica degli Stati Uniti, non più ristretta al continente americano, veniva definita dal presidente Truman nel discorso al Congresso del 12 marzo 1947: "Uno degli obiettivi fondamentali della politica estera degli Stati Uniti è la creazione di condizioni in cui noi e le altre potenze possiamo stabilire un modo di vita libero da ogni coercizione. Non raggiungeremo il nostro scopo se non aiuteremo i popoli liberi a mantenere libere istituzioni e l'indipendenza nazionale contro movimenti aggressivi che tentano di imporre loro regimi totalitari... Provvedimenti spietati e il desiderio di estenderli alle nazioni libere che ancora sussistono in Europa, hanno provocato la situazione critica nella quale si dibatte questo continente... per garantire condizioni di libertà a tutte le nazioni gli Stati Uniti hanno assunto un ruolo di primo piano nella creazione delle Nazioni Unite. Ma se noi non realizzeremo i nostri obbiettivi se non sapremo aiutare i popoli liberi a mantenere libere le loro istituzioni e la loro integrità si finirà ad imporre ad essi i regimi totalitari. I regimi totalitari imposti ai popoli liberi attraverso aggressioni dirette oppure indirette minacciano la pace e quindi la sicurezza degli Stati Uniti. Molti popoli si sono visti in tempi recenti imporre regimi totalitari contro le loro volontà. Il governo degli Stati Uniti ha più volte protestato energicamente contro le violazioni degli accordi di Yalta commesse in Polonia e Bulgaria... In questo momento della storia del mondo quasi tutte le nazioni devono scegliere fra due forme di vita. Questa scelta troppo spesso non è libera: una forma di vita è basata sulla volontà della maggioranza e si distingue per liberi istituti, governo rappresentati¬vo, elezioni libere, garanzie delle libertà individuali, della libertà di parola e di religione nonché dalla libertà della aggregazione politica. La seconda forma di vita si basa sulla volontà di una minoranza coercitivamente imposta alla maggioranza. Si fonda sul terrore e l'oppressione, su stampa e radio controllate, su elezioni addomesticate e sulla soppressione delle libertà personali. Ritengo che la linea di condotta degli Stati Uniti debba sostenere i popoli liberi che resistono ai tentativi di asservimento da parte di minoranze armate e di pressioni esterne. Ritengo sia nostro dovere aiutare i popoli liberi a forgiarsi i propri destini secondo la loro volontà. Ritengo che il nostro soccorso debba estrinsecarsi anzitutto a mezzo di soccorsi economici e finanziari indispensabili alla stabilità economica e alla vita politica regolare... I liberi popoli del mondo guardano a noi perché noi li assistiamo al mantenimento delle loro libertà. Se noi esitiamo ad assumere tale responsabilità, rischiamo di mettere in pericolo la pace del mondo e metteremo certamente in pericolo il benessere della nostra nazione" .
Il discorso che seguiva le dichiarazioni del Primo Ministro inglese di non poter concorrere più al sostegno di Grecia e Turchia, non venne approvato dagli uomini dell'alta finanza come Bernard Baruch e Joseph Kennedy in quanto l'assunzione di responsabilità avrebbe significato costi economici notevoli e protratti nel tempo; anche il presidente della Occidental Oil Corporation, Armand Hammer, Nelson Rockfeller e il magnate delle ferrovie Wiliam Harriman, si opposero alla politica di scontro con l'URSS . Secondo un'inchiesta del periodico americano "Fortune", riportata dallo storico russo Geller, gli uomini d'affari americani erano interessati a buone relazioni con l'Unione Sovietica. La "dottrina Truman" e il discorso di Fulton di Winston Churchill sulla "cortina di ferro" sono stati considerati, non ingiustamente, gli atti con cui il mondo intero prese coscienza dell'instaurarsi della guerra fredda.
L'altra grande iniziativa americana di quel periodo costituì una importante novità storica per gli Stati Uniti ed il Nuovo Mondo, abituato ad un ruolo politico limitato e comunque subordinato a quello delle potenze europee. Attraverso il Piano Marshall concretatosi nel Programma di Ricostruzione Europea (ERP), il vecchio continente poté beneficiare di scorte alimentari, materie prime, ma anche prodotti finiti e strumentali e crediti commerciali per circa 13 miliardi di dollari. Un effetto non secondario del Piano Marshall fu quello di favorire una maggiore liberalizzazione degli scambi commerciali e facilitazioni nelle transazioni internazionali fra Europa e Stati Uniti e all'interno dell'Europa stessa. La risposta delle economie europee al piano di aiuti fu immediata, e già nel 1949 i paesi europei raggiunsero, e in alcuni casi superarono, il livello di produzione industriale degli anni immediatamente precedenti alla guerra. Opposizioni al Piano Marshall vennero oltre che da parte comunista (sebbene in un primo periodo avessero dato il loro consenso) dai sostenitori del nazionali¬smo economico e politico. L'OECE, l'organizzazione per la cooperazione fra i paesi europei oltre a sovrintendere la distribuzione degli aiuti divenne un organo finalizzato a favorire l'integrazione europea.
George Marshall, ideatore del piano e premio Nobel per la pace, nel suo discorso all'università di Harward nel giugno 1947 espresse in forma esplicita le finalità del suo piano: "La nostra politica non è rivolta contro un paese o una dottrina, ma contro la fame, la povertà, la disperazione e il caos. Suo obbiettivo deve essere la rinascita di una economia attiva nel mondo, così da permettere il sorgere di condizioni politiche, sociali ed economiche nelle quali le libere istituzioni possano vivere… Ma un governo che cercherà di bloccare la ricostruzione di altri paesi non potrà attendersi aiuto da parte nostra. Inoltre, i governi, i partiti politici, o i gruppi che cercano di perpetuare la miseria umana per profittarne politicamente o in altro modo, incontreranno l’opposizione degli Stati Uniti" .
Il piano di aiuti, a cui aderirono 16 paesi europei, non era ristretto ai paesi dell'Europa occidentale, anche all'URSS e ai paesi confluiti nell'orbita sovietica venne accordata la facoltà di aderire al programma. La Polonia e la Cecoslovacchia diedero la propria adesione, che venne successivamente ritirata su richiesta dell'Unione Sovietica. Alla conferenza di Parigi del giugno '47 Molotov si disse contrario al principio che gli aiuti economici dovessero essere concordati fra America e paesi europei; sostanzialmente riteneva che i governi del vecchio continente avrebbero dovuto semplicemente indicare una lista dei beni di cui necessitavano da presentare agli americani. Per il ministro degli esteri sovietico "i crediti degli Stati Uniti non serviranno a ricostruire l'Europa, bensì a dividerla" .
Il programma di aiuti al continente europeo venne completato da un piano di assistenza tecnica ed economica ai paesi in via di sviluppo previsti dal cosiddetto Quarto Punto. Il piano non diede risultati notevoli, tuttavia impedì una maggiore penetrazione del comunismo in quei paesi. La "dottrina" e il "piano" costituivano per espressa affermazione di Truman "le due metà della stessa noce" e costituirono un contributo di grande rilievo alla creazione del nuovo ordine mondiale.
L'estate del '47 segnò una importante svolta nei rapporti fra Est e Ovest: le elezioni in Ungheria dove il principale partito d'opposizione al comunismo venne ridotto al silenzio, l'esecuzione di Petkov, eroe della resistenza antitedesca in Bulgaria, la forte pressione jugoslava su Trieste provocarono un irrigidimento dei due blocchi. Di non minore importanza poi la creazione del Kominform da parte dei partiti comunisti dei paesi del blocco sovietico e di Francia e Italia. La riunione avvenuta nel settembre, e alla quale non vennero invitati i rappresentanti dei partiti comunisti cinese, greco, albanese, e vietnamita ritenuti poco allineati, costituì un importante momento dello scontro ideologico della guerra fredda; vennero denunciati come traditori i sostenitori della socialdemocrazia (fra cui esplicitamente il partito di Saragat) e vennero lanciate gravi accuse ai paesi capitalisti. Altre accuse vennero dirette al Piano Marshall, finalizzato secondo il punto di vista comunista a "stabilire il dominio mondiale dell'imperia¬lismo americano", mentre gli Stati Uniti, leader dello schieramento imperialista, vennero additati come "il nemico principale" del comunismo. L'ambasciata americana a Mosca definì la dichiarazione di Varsavia che istituiva il Kominform "una dichiarazione di guerra politica ed economica contro gli USA"; tuttavia l'organizzazione non ebbe grande vita, i partiti aderenti nutrivano diffidenza verso l'organizzazione che costituiva un mezzo di controllo di Mosca nella vita delle organizzazioni comuniste.
Nello stesso anno gli USA misero a punto il primo piano di emergenza nucleare denominato Half Moon, venne creato il Consiglio di Sicurezza Nazionale e approvata la costituzione della Central Intelligence Agency meglio nota come CIA. Non molto tempo dopo nell'aprile '50 Truman diede la sua approvazione al piano NSC-68 di risposta ad un possibile attacco massiccio delle forze sovietiche contro l'Europa, nel quale si affermava espressa-mente che obbiettivo della politica di Mosca era "imporre la sua autorità assoluta sul resto del mondo" e che occorresse "...stare all'erta per colpire con tutto il nostro peso appena attaccati e, se possibile, prima che l'attacco sovietico sia realmente lanciato... Nelle fasi iniziali di una guerra atomica, i vantaggi dell'iniziativa e della sorpresa sarebbero enormi" . L'allarme per l'Europa era condiviso anche da un illustre giornalista e diplomatico americano, George Kennan: “Fino a quando si riconosceva ufficialmente che esistevano in Russia resti di capitalismo, era possibile attribuire a questi, in quanto elemento interno, parte della colpa per il perpetuarsi di una forma di società dittatoriale. Ma come tali resti vennero poco a poco liquidati, questa giustificazione venne a mancare… e si rese necessario giustificare la continuazione della dittatura proclamando la minaccia del capitalismo estero… Il popolo americano di fronte a questa implacabile sfida, ha fatto sì che tutta la sua sicurezza nazionale dipenda dalla sua capacità di far massa e di accettare le responsabilità di guida politica e morale che la storia ha voluto palesemente affidargli” .
Negli anni '48-'49 molte deposizioni di ex internati e di funzionari sovietici fuggiti all'estero, fra i quali Kravcenko, autore di un libro che destò molto scalpore, parlavano del clima di terrore esistente nel loro paese. La versione ufficiale dei comunisti in tutto il mondo era che si trattasse di propaganda americana per gettare discredito sullo stato sovietico, ma di lì a pochi anni vennero smentiti da Kruscev stesso, oltre che da una serie inconfutabile di prove. In Francia l'esponente russo venne attaccato con violenza dai più autorevoli esponenti comunisti e divenne oggetto di una campagna denigratoria che testimoniava un clima di intolleranza. La sua testimonianza insieme ad altre prove indirette fecero ritenere che in Unione Sovietica e negli altri paesi d'oltre cortina esistessero dei campi di concentramento vasti intere regioni, dove oppositori politici, appartenenti a nazionalità non russe, ed altre categorie ritenute non integrate nel regime, erano costrette al lavoro in condizioni disumane. Le prove raccolte dalla Federazione Americana del Lavoro, e altri riscontri, fra cui nel '49 il ritrovamento del "Codice di lavoro correttivo della Repubblica Federale Socialista della Russia Sovietica", vennero inviate agli uffici delle NU affinché fossero valutate. L'inchiesta aperta dall'ONU accertò le responsabilità dei sovietici i quali comunque impedirono l'accesso ai delegati delle Nazioni Unite nel paese, e respinsero le accuse affermando che i campi di cui si parlava accoglievano solo criminali comuni. Il Consiglio Economico dell'ONU nel 1950 comunque concluse che circa dieci milioni di cittadini erano soggetti al lavoro forzato.
Nel 1948 una grave crisi si ebbe nel nord Europa. La Finlandia che nel '41 si era associata alla Germania nell'aggressione alla Russia (per i territori perduti nel '39) nel marzo del '45 si distaccò dall'Asse e con il ricorso esclusivo alle sue forze si liberò delle truppe tedesche presenti. Ciò gli consentì che non si stabilissero truppe dell'Armata Rossa nel proprio territorio; per la Finlandia tradizionalmente legata alla Russia mantenere una politica di indipendenza da Mosca non fu tuttavia facile, Stalin impose durissime riparazioni al paese ritenendo in tal modo di porre in difficoltà l'economia del paese.
Nelle elezioni del 1945 l'estrema sinistra riportò il 25% dei voti circa e nell'aprile del '48 il governo finnico concluse un patto di reciproca assistenza con l'URSS (diretto soprattutto contro una ripresa della Germania). Un mese dopo si diffusero voci nel paese di un tentativo di complotto che consentì al ministro degli Interni, il comunista Lejno, di adottare alcune gravi contromisure. Il Parlamento espresse un voto di sfiducia all'esponente comuni-sta il quale si appellò ai lavoratori perché fosse indetto uno sciopero di protesta. L'agitazione non ebbe successo, e nelle elezioni di luglio i comunisti risultarono sconfitti. Progressivamente la situazione si normalizzò e la Finlandia si avviò così ad una posizione di neutralità con governi democratici non ostili a Mosca ma senza subire ingerenze esterne.
Nello stesso anno Stalin propose al governo svedese un piano di difesa comune dell'arcipelago di Spitzberg, che venne respinto energicamente dalla Svezia come tentativo di ingerenza negli affari interni.
L'insuccesso della Conferenza di Londra del 1947 conclusa senza raggiungere un accordo su riparazioni e i confini orientali del nuovo stato tedesco portò alla rottura definitiva dei negoziati sulla Germania. John Foster Dulles, presente alla conferenza, ricorda che le richieste sovietiche erano contraddittorie: “Molotov chiedeva alla Germania somme considerevoli a titolo di riparazioni a favore della Russia e, al tempo stesso, prometteva ai tedeschi di migliorare le loro condizioni economiche”. Inoltre il diplomatico americano ricorda che già nel precedente incontro “Il Signor Molotov insistette per l’insediamento di un potente governo centrale a Berlino. I capi sovietici erano sicuri che se tutto il potere politico fosse stato concentrato in un solo posto, preferibilmente Berlino, nella Zona Sovieitca, essi avrebbero assunto il controllo della Germania una volta che essi avrebbero assunto il controllo di quel potere centrale”. I contrasti fra le potenze occidentali e l'Unione Sovietica si accrebbero ulteriormente quando in un incontro a Londra nel febbraio '48, francesi, inglesi e americani decisero di unificare la già esistente Bizona con il territorio sotto controllo francese, di riconoscere al governo di Parigi la Saar, e di voler dare vita ad una Assemblea Costituente eletta direttamente dai cittadini tedeschi. I sovietici accusarono le altre potenze di voler integrare la Germania nel blocco politico e militare occidentale e di perseguire una politica contraria alla pace.
La tensione, anche fra i diversi contingenti militari presenti in Germania, si accrebbe notevolmente, nel marzo il generale Clay, comandante delle truppe americane in Germania, informò il governo della nuova situazione: "Da qualche settimana sento nell'atteggiamento sovietico una sottile evoluzione, che non posso definire ma che mi dà l'impressione che la guerra potrebbe esplodere con drammatica immediatezza" . Nello stesso mese il coman¬dante delle truppe sovietiche, presidente di turno del Consiglio Alleato di Controllo sospese le riunioni dell'organizzazione; l'organo cessò di esistere e ogni forma di coordinamento permanente fra i quattro. Negli stessi giorni venne deciso da parte sovietica il blocco dei treni militari diretti a Berlino che creò difficoltà al rifornimento delle truppe franco-anglo-americane nella città.
Tre mesi dopo il grave provvedimento sulla circolazione ferroviaria gli Alleati decisero l'introduzione di una nuova moneta per fronteggiare la gravissima inflazione nel paese. Il nuovo marco venne ben apprezzato dalla cittadinanza tedesca ma per i sovietici rappresentò una grave violazione degli accordi e decisero un inasprimento delle limitazioni al traffico per Berlino. Le ferrovie intorno alla città, le strade, i canali navigabili, vennero completamente chiusi al traffico, mentre venne sospesa l'erogazione di elettricità ai quartieri occidentali; tali misure significarono l'assedio per le forze armate alleate e l'interruzione di ogni forma di approvvigionamento per la popolazione civile. Il Blocco di Berlino fu una iniziativa di eccezio-nale gravità, di fronte alla quale gli Alleati non avevano altra possibilità che forzare il blocco, rischiando di provocare un gravissimo conflitto, o di cedere; gli Stati Uniti trovarono una terza via, che forse i sovietici non avevano previsto, dispendiosa ma pacifica, il ponte aereo fra la ex capitale tedesca e la Germania occidentale, utilizzando l'aeroporto che rientrava nel settore occidentale della città. L'iniziativa americana, che non aveva precedenti nel passato, realizzata attraverso una concentrazione di aeroplani da tutto il mondo, ebbe successo; il ponte aereo per undice mesi rifornì la città di oltre due milioni di abitanti di quanto necessario (venne trasportata anche pezzo per pezzo una centrale elettrica); l'Occidente diede una grande prova di capacità tecniche e della volontà di resistere ad azioni aggressive.
Nel giugno si ebbero minacciosi spostamenti di truppe da parte dei sovietici ai quali gli americani replicarono con misure militari per garantire i corridoi aerei che erano stati in precedenza violati. L'opinione pubblica mondiale visse un lungo periodo con il fiato sospeso; il generale Clay confermò pubblicamente le intenzioni degli occidentali che "solo la guerra potrebbe obbligarci a lasciare Berlino", Churchill parlò esplicitamente del pericolo di una terza guerra mondiale e riferendosi al fatto che fino a quel momento la bomba atomica era monopolio esclusivo dell'America, disse "Se fan questo in tempo di vacche grasse, cosa faranno in tempo di vacche magre?" ; il Sunday Times infine così commentò gli avvenimenti di quei giorni: "O noi abbandoneremo Berlino, o i russi rinunce¬ranno a cacciarci, o la guerra scoppierà".
Nello stesso periodo il Consiglio Comunale di Berlino, largamente dominato dai socialisti contrari alla fusione con il partito comunista, venne boicottato da tumulti di piazza che costrinse l'Assemblea ad abbandonare la sua sede per trasferirsi nella zona occidentale della città. Ciò diede l'opportunità ai comunisti di realizzare un nuovo organismo rappresen-tativo nella zona est largamente controllato da esponenti filo sovietici.
Venne investito il Consiglio di Sicurezza dell'ONU del problema, ma senza alcun risultato a causa del veto posto dall'URSS. Nella Conferenza di Londra del novembre '48 l'URSS riconfermava le sue posizioni sulla questione delle riparazioni, e contro la costituzio¬ne di un governo federale; l'incontro si concluse pertanto senza risultati. Nell'aprile del '49 venne deciso un nuovo incontro a quattro per tentare di sbloccare la situazione; non vi furono progressi, comunque vista la fermezza dei paesi occidentali nel maggio il blocco di Berlino venne progressivamente ridotto e la tensione fra le due parti decrebbe.
I gravi avvenimenti non impedirono gli occidentali dal proseguire la loro opera a favore della ricostruzione di uno stato tedesco, si pose fine ad ogni tipo di requisizione e si limitarono i propri poteri al controllo sugli atti della nuova amministrazione tedesca, alla gestione della Ruhr, e a materie particolari riguardanti la sicurezza. I Länder della parte occidentale della Germania poterono riunirsi per l'approvazione del nuovo assetto costituzionale, la Legge Fondamentale di Bonn, con la quale diedero vita al nuovo stato tedesco. La Germania venne infine ammessa a beneficiare del piano Marshall, iniziativa che consentì il progressivo miglioramento della situazione economica e il ritorno alla normalità del paese. Nella Germania orientale venne invece costituito un Congresso del Popolo nominato dal SED che costituì l'organo parlamentare del futuro stato tedesco. Non molto tempo dopo nella Germania orientale veniva istituita la DDR, per la Germania iniziava il difficile periodo della separazione in due stati.
La creazione di due stati in Germania creò una serie di problemi per la nazione tedesca e l'Europa; nel 1950 il governo di Pankow sottoscrisse un trattato con la Polonia in base al quale i territori a est dell'Oder-Neisse, venivano ceduti al governo di Varsavia che suscitò la reazione di Bonn. Nel settembre dell'anno successivo il capo del governo della DDR, Grotewohl propose ai colleghi della RFT di aprire negoziati per la riunificazione del paese che non ebbero successo. In Austria la situazione era solo relativamente migliore; nel settembre del 1950 venne indetto con l'appoggio delle truppe di occupazione sovietiche uno sciopero generale insurrezionale, che non ebbe esito positivo per la mancata partecipazione dei lavoratori austriaci.
Nel marzo del '47 venne concluso a Dunkerque un trattato di reciproca assistenza tra Francia e Gran Bretagna in funzione antitedesca, l'accordo venne considerato scarsamente efficace e l'anno successivo si pervenne, su iniziativa del governo laburista inglese, ad una estensione del patto (Trattato di Bruxelles) a Belgio, Olanda e Lussemburgo. Il nuovo trattato prevedeva l'assistenza immediata in caso di aggressione contro uno dei paesi firmatari da qualsiasi parte provenisse l'offesa e consultazioni immediate nel caso che l'aggressione avvenisse al di fuori del territorio metropolitano (senza specificare il tipo di aiuto da riceversi). Il governo del Belgio si dimostrò particolarmente sensibile alla questione della sicurezza europea; parlando del governo sovietico il rappresentante del Belgio presso le Nazioni Unite affermò "La verità è che la vostra politica estera è oggi più audace e più ambiziosa della politica degli stessi zar". La cooperazione sul piano della difesa venne apprezzato da Truman, il quale ribadì l'appoggio americano ai paesi europei: "Sono sicuro che ci mostre¬remo tanto risoluti ad aiutare le nazioni libere dell'Europa, quanto queste lo sono nell'assicu¬rare la propria difesa" e ben presto si aprirono trattative per una partecipazione di Stati Uniti e Canada.
Nell'anno successivo vennero invitati a far parte dell'organizzazione i paesi scandi-navi, l'Italia e il Portogallo; la Svezia declinò l'invito fedele allo spirito di neutralità pur affermando che una aggressione contro la Finlandia avrebbe prodotto una revisione della sua politica. Si giunse così il 4 marzo 1949 alla firma del North Atlantic Treaty Organization (NATO) che costituì la principale alleanza fra i paesi occidentali. Il trattato non prevedeva l'immediato intervento militare a favore dello stato aggredito ma una serie di consultazioni e di misure a seconda di dove si verificasse l'aggressione. Il campo di azione della NATO era abbastanza circoscritto geograficamente; risultava composto dal continente europeo, quello americano, parte del bacino del Mediterraneo e altre aree geografiche particolari. Il trattato venne rapidamente ratificato dal Senato americano nonostante l'opposizione degli ambienti più conservatori. La costituzione della alleanza suscitò proteste da parte dei sovietici e dei comunisti dei paesi europei, ma non impedì comunque il raggiungimento di un compromesso sulla questione di Berlino.
Il timore di un attacco su vasta scala del continente europeo era in quel tempo molto vivo; secondo il periodico italiano "La Nuova Stampa": "Non fu esagerazione la frase divenuta comune che l'Occidente europeo rimaneva aperto ad una invasione russa, la quale poteva arrivare in pochi giorni all'Atlantico. L'obbiezione da parte sovietica o filo comunista, o ingenuamente neutralistica, che l'URSS non pensava e non pensa nulla di simile, è priva di valore. Una sicurezza basata sul buon volere altrui significa, per uno stato qualsiasi, la perdita dell'autonomia" .
I timori espressi dagli occidentali furono molto accresciuti quando il 23 settembre 1949 si ebbe l'annuncio del governo americano che i sovietici disponevano di una bomba atomica (aerei in volo ad alta quota avevano segnalato un aumento della radioattività dell'aria prodotto da un esperimento nucleare), la notizia sconvolse l'opinione pubblica che riteneva la sicurezza dell'Occidente minacciata. Vi fu chi pensava ad un attacco preventivo contro l'URSS prima che disponesse di un arsenale superiore e della facoltà di colpire obbiettivi americani (i bombardieri russi non avevano sufficiente autonomia di volo per raggiungere il continente americano), la reazione di Truman fu invece sostanzialmente moderata, "constatato che nessuno avrebbe potuto mantenere il monopolio" sottolineò la "necessità del controllo internazionale dell'energia atomica" e affermò infine che il risultato sovietico non rendeva più probabile una guerra né che poteva modificare la politica degli Stati Uniti.
Nella riunione del Consiglio del Patto Atlantico a New York del settembre 1950, successiva all'aggressione alla Corea del Sud gli Stati Uniti si fecero promotori di alcune importanti iniziative: inclusione del territorio tedesco occidentale e di Berlino Ovest nell'area di vitale importanza dell'alleanza, un aumento consistente delle truppe statunitensi sul continente europeo (accogliendo una vecchia richiesta degli europei) e infine l'inseri¬mento della Germania Occidentale nell'alleanza; il riarmo tedesco venne accolto con una certa perplessità dei governi europei e pertanto si studiò una formula per l'impegno di truppe della RFT sotto un comando unificato non tedesco, che trovò attuazione nella riunione del dicembre 1950 del Consiglio Atlantico a Bruxelles.
Nel 1950, alla vigilia della guerra di Corea, gli USA disponevano complessivamente di non più di 14 divisioni contro le circa 175 dell'URSS. L'esercito sovietico in quegli anni superava i 5 milioni e mezzo di uomini, e risultava dotato di grandi quantità di carri armati e di mezzi con caratteristiche prevalentemente offensive. "Allo stato attuale delle cose" secondo l'opinione del generale Montgomery "si può prevedere che se fossimo attaccati dai russi, l'Europa occidentale sarebbe teatro di scene di una spaventosa ed indescrivibile confusione" . Nel 1951 gli Stati Uniti realizzarono la prima bomba termonucleare, seguiti dai sovietici due anni dopo, da lì si ebbe la corsa alla costruzione di bombe sempre più terrificanti di numerose volte più potenti di quella di Hiroshima.
Nella riunione del vertice della NATO a Lisbona del 1952 venne stabilito di creare un sistema di difesa dell'Europa mettendo insieme 50 divisioni, ma di fatto tale obbiettivo non venne raggiunto e le divisioni disponibili non furono più di una trentina; gli americani si trovarono pertanto nelle condizioni di dover sollecitare un maggiore impegno da parte dei paesi europei e un sistema di difesa comune, il CED.
Nel periodo staliniano i colloqui fra potenze occidentali e comuniste in materia di sicurezza non cessarono del tutto e fra il '51 e il '52 si tennero diversi incontri in sede ONU per il disarmo, che comunque non diedero risultati.
Intorno al 1950 operava in diversi paesi dell'Occidente e dell'Oriente un attivo movimento pacifista, i Partigiani della Pace, al quale aderirono diversi esponenti della cultura e dell'arte come Picasso e lo scienziato Joliot-Curie. Il movimento lanciò da Stoccolma un appello per la interdizione delle armi atomiche, promosse diverse manifestazioni nelle principali capitali europee ed una gigantesca raccolta di firme che raggiunse la cifra di 273 milioni di adesioni (raccolte in massima parte nei paesi comunisti) contro la guerra. La richiesta di abolizione delle armi atomiche era diretta soprattutto verso gli Stati Uniti e se accolta avrebbe messo in difficoltà maggiormente lo schieramento occidentale. L'organizzazione era diretta da comunisti e sulla spontaneità del movimento si nutrivano numerosi dubbi. Diversa era l'azione di alcuni importanti uomini di cultura come Albert Einstein, sostenitori convinti della pace, e del cosmopolitismo, favorevoli alla creazione di un governo mondiale che garantisse i diritti dei popoli e dei cittadini.
I popoli di colore avevano dato vita già dagli anni precedenti il conflitto mondiale a movimenti nazionalistici e marxisti (ma in molti casi le due posizioni coincidevano e le ideologie non presentavano caratteri ben definiti) che misero in difficoltà il potere degli europei, i quali trovavano sempre più difficoltà a legittimare la loro presenza in Asia.
La posizione degli Stati Uniti e quella dei paesi europei in molti casi divergevano sul problema coloniale. Il governo americano riteneva che i paesi afroasiatici avessero diritto all'autodeterminazione, e l'intervento occidentale dovesse limitarsi a contrastare la penetra-zione del comunismo, mentre i governi europei in molti casi non erano disponibili ad accordare la piena indipendenza. Per le popolazioni indigene in molti casi era comunque difficile distinguere fra le due posizioni e assunsero un atteggiamento di ostilità a quello che genericamente era definito il dominio dei bianchi.
La guerra fredda in Asia pose in luce un problema che gli Stati Uniti non avevano valutato sufficientemente. Nei paesi progrediti dove il livello culturale ed economico della popolazione è elevato, i cittadini attraverso regolari elezioni sono in grado di dare vita a libere istituzioni, mentre nei paesi meno sviluppati certi meccani¬smi costituzionali risultano di difficile attuazione. Tale situazione provocò il sorgere di regimi dittatoriali, di concentrazioni di poteri economici e politici (sia attraverso un sistema ad economia statalizzata sia attraverso un sistema liberista) e di una stagnazione della vita politica del paese. In questi paesi d'altra parte le esigenze immediate di soddisfacimento dei bisogni elementari non poteva favorire il sorgere di una coscienza civica né l'esigenza diffusa di democrazia. Anche secondo John Foster Dulles i popoli asiatici: “Sono popoli che non posseggono esperienza per il funzionamento delle libere istituzioni politiche… In quei paesi esiste una grande miseria che offre un terreno molto favorevole alla propaganda sovietica” .
Nel sud-est asiatico o in Cina molti dei capi locali sostenuti dai governi occidentali non combattevano per la democrazia e contro il comunismo, ma per chiunque potesse garantirgli il proprio potere e i propri traffici. Nulla di strano quindi che questi governi che non poggiavano su solide basi si sfaldassero con tanta facilità. L'errore degli americani che questi combattessero in nome dei valori del mondo occidentale ebbe numerose conseguenze negative.
La situazione si presentava difficile per gli europei, tuttavia i sovietici solo con ritardo compresero che la causa dei popoli sottoposti al colonialismo potesse ritornare utile e per un lungo periodo non manifestarono alcun interesse per i paesi afroasiatici che si apprestavano a fare il loro ingresso nel consesso delle nazioni.
Il "fronte asiatico" della guerra fredda fu quello dove i comunisti registrarono i maggiori successi. Alla fine degli anni '40 la Cina continentale con i suoi 800 milioni di abitanti fece il suo ingresso nel mondo comunista anche se venne a a crearsi una situazione non dissimile a quella jugoslava, con uno stato insofferente a porsi in stati di sudditanza nei confronti della "patria del socialismo".
Gli americani ebbero l'intelligenza di non impegnarsi eccessivamente con l'alleato Chiang Kay Shek. Il governo nazionalista aveva favorito l'unificazione della Cina e il superamento dei disordini interni, ma non aveva provveduto ad avviare il paese verso libere istituzioni né a migliorare le condizioni delle popolazioni rurali dove miseria e analfabetismo risultavano largamente diffusi. Per un certo periodo aveva mantenuto buone relazioni con il movimento comunista, ma successivamente alla fine degli anni '20 aveva bruscamente interrotto i rapporti con l’organizzazione marxista, senza che comunque questo pregiudicasse le buone relazioni con Mosca. Il contrasto venne temporaneamente superato dal comune impegno nella lotta all'espansionismo giapponese, ma venuto a cessare il comune pericolo, la guerra civile riprese il sopravvento.
I sovietici, che nell'ultimo periodo di guerra avevano preso possesso della Manciuria e della Mongolia interna, sebbene nutrissero numerose riserve sul movimento maoista, favorirono la penetrazione dei comunisti nelle regione settentrionali. Gli americani pur appoggiando i nazionalisti del Kuomintang, ai quali non fecero mancare rifornimenti di ogni natura, ritenevano tale regime destinato a soccombere per i contrasti interni esistenti (alcuni generali agli ordini di Chiang arrivarono a disfarsi del materiale bellico ricevuto, per cederlo ai rivoluzionari) e a causa dell'ostilità delle masse contadine, che costituivano il 90% della popolazione, verso il regime nazionalista, la diffusa xenofobia verso gli europei e l'impoverimento delle classi medie a causa dell'inflazione, le forze anticomuniste si trovarono in grave difficoltà. Il governo americano si sforzò per una composizione pacifica del conflitto, e nel dicembre del '45 la Casa Bianca inviò il generale Marshall per tentare una mediazione fra le parti, che ebbe però scarso successo.
Nei primi due anni di guerra civile le forze del Kuomintang riportarono alcuni successi, avanzando al nord e occupando anche Yenan, sede del governo comunista, ma l'eccessiva dispersione delle forze, la abile tecnica della guerriglia nelle campagne dei comunisti, ed infine il tradi¬mento dei generali, obbligarono alla ritirata le truppe di Chiang Kay Shek; il generalissimo si dimise da presidente a favore del suo vice Li Tsung Jen, esponente moderato maggiormente stimato dal popolo, che tentò un compromesso con le forze comuniste. Nel gennaio del '47 gli americani cessarono i tentativi di mediazione fra le due parti, e non mancarono di esprimere aperte critiche al governo nazionalista; nell'anno successivo ogni forma di sostegno venne drasticamente ridotto. Nel '49 i nazionalisti si ritirarono nell'isola di Formosa, protetti dalla flotta americana, ma non mancarono anche nel futuro scontri localizzati fra le due parti.
Il nuovo governo della Repubblica Popolare, che successivamente si estese anche al Tibet e alle altre regioni interne, venne immediatamente riconosciuto dall'Unione Sovietica e dagli altri paesi del blocco comunista e nell'anno successivo da Birmania, India e unico fra i paesi occidentali, dalla Gran Bretagna.
Nel febbraio 1950 venne concluso fra Unione Sovietica e Cina un importate accordo di collaborazione che prevedeva la restituzione di Port Arthur, Dairen e le ferrovie della Manciuria, l'apertura di crediti e l'invio di tecnici al governo di Pechino, ma anche la creazione di società miste russo-cinesi per lo sfruttamento delle risorse minerarie della Cina, che costituiva, come in Jugoslavia, una forma di ingerenza negli affari interni del paese. Le basi per una diver¬genza fra i due paesi erano quindi presenti, anche secondo Luigi Salvatorelli se "Tito nella piccola Jugoslavia si è arrischiato a fare del comunismo nazionale affrontando la scomunica di Stalin, tanto più è ragionevole prevedere che ciò avvenga in una Cina comunista" .
Negli anni successivi il governo americano continuò la politica di aiuti al governo nazionalista di Formosa (Taiwan) e si adoperò affinché il seggio all'interno del Consiglio di Sicurezza dell'ONU rimanesse nelle mani di questi, ma al tempo stesso frenarono ogni velleità di rappresaglia contro la Cina Popolare.
La regione sud orientale asiatica ha conosciuto una forte instabilità dovuta a ragioni etniche e religiose. Nei primi anni la guerra del Vietnam, che antepose il governo nazionalista del Viet Minh e diretto dal comunista Ho Chi Minh, ai governi in vario modo sorretti dai francesi, costituì un episodio di guerra anticolonialista non diverso da quanto avveniva in altre parti del mondo. L'opposizione degli Stati Uniti alle rivendicazioni francesi fu esplicita, tuttavia quando dopo l'appoggio di Mao ai comunisti indocinesi lo scontro assunse le caratteristiche della guerra fredda, gli americani non fecero mancare il loro sostegno finanziario al governo di Parigi.
Nella Conferenza di Potsdam venne stabilita la creazione di una Indocina indipen-dente (precedentemente composta da 4 protettorati francesi, il Tonchino, l'Annam, la Cambogia e il Laos) in via provvisoria presieduta da truppe cinesi (nazionaliste) a nord del 16° parallelo, e britanniche al sud, ma il progetto incontrò serie difficoltà.
L'11 marzo 1945 i giapponesi prima di ritirarsi dalla penisola avevano dato vita ad un governo indipendente presieduto dall'imperatore Bao Dai, il quale intimava ai francesi di astenersi dal tentativo di restaurare una nuova amministrazione coloniale nella penisola. Un certo sostegno al nuovo governo venne dagli Stati Uniti. Le truppe americane presenti nella regione, che in precedenza avevano fornito aiuti al Viet Minh, si rifiutarono di prestare sostegno alle truppe francesi presenti.
La zona nord del Vietnam, come previsto dagli accordi di Potsdam venne occupata daIl'esercito cinese e il 2 settembre 1945 il Viet Minh, proclamò la Repubblica ad Hanoi L'imperatore Bao Dai fu costretto alla abdicazione e nel paese Immediatamente si instaurò una ferrea dittatura; molti dei membri dell'appena risorta assemblea nazionale vennero eliminati o incarcerati.
Gli inglesi rinunciarono al loro presidio (e altrettanto il governo cinese nazionalista alcuni mesi dopo) non appena le truppe francesi furono in grado di riprendere possesso della ex colonia, tuttavia il governo di Parigi comprese ben presto che non era possibile restaurare l'amministrazione precedente e il 6 marzo dell'anno successivo riconobbe l'indipendenza del Vietnam come paese membro della Federazione dell'Indocina e facente parte dell'Unione Francese.
Nei mesi successivi la situazione peggiorò; atti di violenza contro coloni francesi, provocarono la reazione francese. Nel giugno venne proclamata con l'appoggio aperto dei francesi la Repubblica di Cocincina (la parte meridionale del Vietnam abitata in prevalenza da cambogiani) e alla fine dell'anno si accesero i combattimenti. Come notò il John Foster Dulles “Le speranze di successo per un governo non comunista sarebbero state maggiori se il Governo Francese si fosse affrettato a concedere una vera indipendenza più rapidamente” .
Il Viet Minh era sicuramente il raggruppamento politico più forte, ma presso le popolazioni non vietnamite, i cattolici, e nel sud, esisteva un forte timore verso il tradizionale autoritarismo del nord. Il governo filo francese però si presentava debole, e lo stesso imperatore Bao Dai con la sua prolungata assenza dal paese, non favoriva la creazione di una alterna¬tiva al dominio comunista.
La guerra si presentò sempre più impegnativa per la Francia, specie quando nel '49 la neo nata Repubblica Popolare Cinese offrì il suo sostegno al governo comunista, ed ebbe importanti riflessi nella vita politica francese. Numerosi furono i tentativi di mediazione, il governo francese giunse comunque alla conclusione che la migliore via per risolvere la complessa questione fosse un riavvicinamento con la Cina. Riteneva infatti che la grande nazione asiatica avesse necessità a superare l'isolamento in cui si trovava, e che a tal fine sarebbe stata disposta a "scaricare" l'alleato indocinese. L'azione del governo di Parigi venne favorita dal Premier indiano Nehru che svolse un importante ruolo di mediazione nelle vicende indocinesi, tuttavia intuita la minaccia dell'espansionismo cinese, il governo di Nuova Delhi si impegnò perché fosse rispettata l'indipendenza di Laos e Cambogia. Tale politica però non incontrava il favore degli Stati Uniti, contrari non solo ad un miglioramento delle relazioni con il governo di Pechino, ma anche al riconoscimento internazionale dello stato comunista. Secondo una larga parte dell'opinione pubblica americana era giusto l'intervento a favore dei francesi in Indocina ma a condizione che si creassero maggiori attenzioni alle popolazioni locali, e che il governo di Parigi assumesse maggiori impegni circa il rispetto dell'indipendenza della ex colonia. Progressivamente gli americani comunque si impegnarono finanziariamente sempre più nella difficile guerra. Nel '53 Dulles dichiarò che gli Stati Uniti erano disponibili ad adoperarsi insieme alle altre nazioni libere per porre fine all'espansione comunista in Vietnam, e fece presente alla Cina che si sarebbe potuto verificare un allargamento del conflitto al di fuori dell'Indocina anche con il ricorso alle bombe atomiche, nel caso che il governo cinese avesse continuato la sua politica di ingerenza nei confronti dello stato vietnamita, ma tale politica non ottenne l'appoggio britannico e si rinunciò ad un maggiore impegno.
La caduta di un importante presidio militare isolato nel nord del Vietnam, Dien Bien Phu, nell'anno successivo costituì per il governo e l'opinione pubblica francese un duro colpo (gli Stati Uniti sebbene sollecitati, a causa dell'opposizione inglese, non consentirono l'intervento diretto della aviazione americana), comunque l'incontro nel mese successivo fra il Primo Ministro francese Mendes-France e il Premier comunista Ciu En Lai sbloccò la situazione. In base agli Accordi di Ginevra firmati il 21 luglio 1954, venne stabilito di dividere il Vietnam in due parti, il nord oltre il 17° parallelo governato dal Viet Minh e il sud sotto il governo dell'imperatore Bao Dai; inoltre venne stabilito che si tenessero elezioni generali sotto controllo internazionale entro due anni e che l'esercito comunista dovesse ritirarsi da Laos e Cambogia che si costituivano in governi autonomi.
L'armistizio poneva fine ad una guerra impopolare che aveva provocato la morte di 19.000 francesi e di 80.000 uomini dei contingenti associati. Negli anni successivi la Francia si astenne da interferenze nella regione, tuttavia la pacificazione nella regione asiatica era da considerarsi ancora lontana. Tre giorni prima della conclusione dell'armistizio le isole Quemoy e Matsu controllate dalle forze di Taiwan vennero cannoneggiate dall'esercito di Pechino, e nel settembre si costituiva l'alleanza militare fra i paesi del sud-est asiatico legati all'Occidente, la SEATO.
In Indonesia le vicende della guerra fredda s'intrecciarono profondamente con quelle della decolonizzazione e dei contrasti religiosi ed etnici della composita nazione. Come nell'Indocina francese, anche nell'Indonesia i giapponesi favorirono la nascita di uno stato indipendente in contrasto con gli antichi dominatori olandesi. Nell'ottobre del '45 sbarcarono le truppe inglesi per presiedere alle operazioni di sgombero delle truppe nipponiche, ma ben presto si accesero i combattimenti con le forze nazionaliste e comuni¬ste, che si accentuarono d'intensità quando le truppe olandesi sostituirono quelle britanniche.
Nel '48 i comunisti tentarono una sollevazione nell'isola di Giava che venne prontamente repressa con migliaia di morti dalle autorità del nuovo governo repubblicano. Tale situazione contribuì alla radicalizzazione del conflitto. L'Olanda, che sosteneva i movimenti indipendentistici delle isole contro il potere centrale, comunque sotto la pressione degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica fu costretta ad accettare il negoziato con il governo nazionalista, che si concluse nel '49 con il riconoscimento dell'indipendenza dell'arcipelago sia pure sotto la corona olandese.
L'Indonesia sotto la guida del leader nazionalista mussulmano Ahmed Sukarno, l'uomo che parlava di una organizzazione mondiale dei paesi poveri, ed ostentava una ricchezza senza confronti, mantenne comun¬que ottime relazioni con l'Unione Sovietica e diede vita ad un regime fortemente autoritario in contrasto permanente con le varie etnie del paese. Il programma politico della rivolta anticolonialista, i Pantja Sila, che prevedevano come punti essenziali il nazionalismo, la democrazia e la giustizia sociale, come molti altri documenti politici terzomondisti rimasero sostanzialmente inapplicati, specie per quanto riguardava la democrazia che non trovò alcuna attuazione.
Anche gli altri paesi della regione furono interessati da ondate di protesta. Un tentativo insurrezionale comunista si ebbe in Birmania nel 1948, paese che aveva da poco raggiunto l'indipendenza ed un certo grado di democrazia. La rivolta venne facil¬mente repressa dal governo centrale, ma negli anni successivi si sviluppò una insidiosa guerriglia ad opera delle popolazioni cristiane Karen e di altre minoranze etniche, che ebbero per un certo periodo l'appoggio cinese.
Nella Malesia, dove gl'immigrati cinesi e in minor misura indiani costituivano oltre la metà della popolazione, si ebbe nel '48 un tentativo di rivolta comunista contro i sultani malesi musulmani nelle cui mani era concentrato l'intero potere politico della nazione. Come nella vicina Birmania, l'insurrezione venne repressa, ma diede origine ad una lunga guerriglia durata dieci anni che impegnò notevolmente le truppe britanniche e costituì una sorta di guerra parallela a quella dei francesi in Indocina. Il conflitto, nel corso del quale 500.000 contadini vennero trasferiti in zone non controllate dalla guerriglia per evitare l'estendersi della rivolta, si concluse con la vittoria del governo legale.
Anche nelle Filippine a cui gli Stati Uniti concessero l'indipendenza nell'immediato dopoguerra, si ebbero diversi movimenti di guerriglia d'ispirazione comunista, ma legata anche a fattori etnici e religiosi; tali movimenti non misero mai in difficoltà seriamente il governo ma si protrassero comunque a lungo nel tempo e crearono impedimenti all'econo¬mia del paese, caratterizzata da una struttura produttiva agricola arretrata.
Lo scontro di gran lunga più importante in Asia, che portò le due superpotenze vicino al conflitto aperto, si ebbe nella piccola penisola di Corea, ex colonia giapponese il cui futuro venne delineato dalle grandi potenze nella Conferenza di Yalta. Gli accordi stabiliti in Crimea prevedevano la creazione di una zona nord presidiata dai sovietici e una zona sud presidiata dagli americani; nella successiva Conferenza di Mosca del dicembre '45 le grandi potenze decisero la costituzione di un governo democratico coreano soggetto provvisoriamente al controllo dei tre Grandi e della Cina.
I partiti coreani, con l'eccezione del locale partito comunista, erano favorevoli invece alla immediata indipendenza; l'Assemblea dell'ONU si fece portavoce di questa esigenza e stabilì due anni dopo di tenere libere elezioni sotto controllo internazionale. L'Unione Sovietica si oppose alla decisione, rifiutò di prendere parte alla Commissione dell'ONU incaricata di sovrintendere alle elezioni e impedì l'accesso della stessa nella zona sottoposta al proprio controllo.
Nel sud, dove si svolsero regolarmente le elezioni, vinse la Associazione nazionale per l'indipendenza immediata diretta dall'anziano leader nazionalista Syngman Rhee. Il 15 agosto venne quindi proclamata la Repubblica di Corea, riconosciuta dall'ONU ma non ammessa a far parte dell'organizzazione internazionale per l'opposizione sovietica. Nel nord invece, si costituì un Consiglio del Popolo sotto la guida di Kim Il Sung, fanatico leader comunista, che diede vita nel corso degli anni ad una sorta di dispotismo teocratico, realizzato attraverso la concentrazione dei poteri dello stato in mano alla famiglia. Il dittatore, che creò attorno a sé una eroica leggenda di leader politico, ma che non prese mai parte secondo diverse testimonianze, alla lotta contro i giapponesi per la liberazione del paese, instaurò un regime del terrore con pochi eguali nel continente. Entrambi i governi comunque si ritenevano rappresentanti legittimi dell'intera nazione coreana, anche se in realtà il paese risultava spaccato in due, diviso dal 38° parallelo, che per accordi internazionali segnava il confine delle zone d'occupazione.
Il nord era più ricco, e le modeste industrie del paese risultavano concentrate in questa area (l'80% dell'industria pesante e il 90 % del carbone), tuttavia centinaia di migliaia di cittadini negli anni successivi fuggirono al sud. Nel sud anche non si ebbe la realizzazione di uno stato democratico; il governo di Seul nel corso degli anni ha subito ripetute contestazioni da parte degli studenti, ha proceduto all'arresto di migliaia di oppositori e non ha compiuto progressi sul piano politico.
Nonostante il disaccordo fra le due potenze, venne stabilito il ritiro dei rispettivi eserciti dalla nazione coreana, alla quale procedettero i sovietici nel dicembre 1948 e gli americani nel giugno 1949.
Nel giugno dell'anno successivo la Corea del Nord, molto superiore come forze militari, superò il 38° parallelo e iniziò l'invasione del Sud. Contro le forze armate di Pyongyang, che disponevano di 90.000 uomini e 150 carri, le truppe di Seul opponevano 65.000 uomini senza armamento pesante. Nei giorni precedenti all'attacco si erano verificati numerosi incidenti di frontiera e il governo della repubblica comunista dichiarò di aver reagito ad una aggressione, ma la concentrazio¬ne di truppe, la rapidità di mobilitazione non lasciava dubbi su chi fosse il reale aggressore; documenti recenti degli archivi di Mosca infine, accertano inequivocabilmente il fatto.
L'aggressione venne giudicata molto grave in quanto la Corea costituiva il tradiziona-le accesso al Giappone. Nei mesi precedenti una dichiarazione del Segretario di Stato americano Acheson aveva invece fatto intendere che gli Stati Uniti non attribuissero grande importanza alla ex colonia giapponese e ciò fu interpretato dai sovietici come possibilità ad agire. Il dittatore nordcoreano d'altra parte riteneva che invaso il sud la popolazione avrebbe immediatamente fraternizzato con i comunisti ma la speranza rimase delusa.
La situazione si presentò subito difficile; il giorno successivo all'attacco i nord coreani avevano raggiunto Seul e costretto alla ritirata l'esercito sud coreano. Il 27 giugno Truman diede l'ordine di intervento alle forze armate a favore della Corea e di presidiare il Canale di Formosa, altra zona di crisi, al fine di impedire attacchi della Cina Popolare contro l'isola nazionalista, (ma anche per evitare rappresaglie di quest'ultimi contro il governo di Pechino), ed infine di aumentare gli aiuti alla Francia in Indocina. Quindi Il giorno successivo in un drammatico appello rivolto al popolo americano dichiarò: "L'attacco contro la Corea mette in chiaro al di là di ogni dubbio, che il comunismo ha ormai superato lo stadio dell'impegno di misure sovversive per conquistare le nazioni indipendenti e che userà ora l'invasione armata e la guerra"; un preciso altolà venne intimato su Formosa "In queste circostanze l'occupazione di Formosa da parte di forze comuniste rappresenterebbe una minaccia diretta alla sicurezza della zona del Pacifico e alle forze degli Stati Uniti che svolgono le loro legittime e necessarie funzioni in quella zona" . Gli Stati Uniti incontrarono notevoli difficoltà ad intervenire; per difendere la Corea del Sud dovettero essere trasferite la massima parte delle truppe che presidiavano il Giappone, lasciando sguarnita la grande nazione orientale.
Venne convocato d'urgenza il Consiglio di Sicurezza dell'ONU nel quale non era presente il rappresentante sovietico. L'Unione Sovietica aveva disposto il ritiro (dal gennaio di quell'anno) del proprio rappresentante per protesta per l'attribuzione del seggio spettante alla Cina al governo nazionalista di Chiang Kay Shek. Il Consiglio condannò la Corea del Nord come paese aggressore (9 voti favorevoli, nessun contrario, e l'astensione della Jugoslavia); la quasi totalità degli stati liberi di quel periodo (compresi gli stati afroasiatici di recente formazione) aderirono alla lotta all'aggressore e venne costituita una grande coalizione di eserciti di 15 nazioni.
L'Unione Sovietica spostò alcune divisioni verso il confine con la Manciuria, fornì sostegno alla Corea del Nord con l'invio di materiale bellico e, anche se la notizia non fu mai confermata, di aviatori russi che presero parte ad azioni di guerra contro gli americani sotto le insegne nord coreane. Il territorio della Corea del Sud venne quasi completamente invaso dai nord coreani che non incontrarono forte resistenza, ma nel settembre con una ben studiata operazione navale le truppe della Coalizione sbarcarono a Inchon, alle spalle dell'esercito comunista, e in due settimane tutta la Corea del Sud venne liberata. Durante questo periodo vennero scoperte presso la capitale diverse fosse comuni dove erano stati trucidati numerosi oppositori politici che suscitarono profonda indignazione nel paese. Venne studiata la nuova situazione e, su richiesta del generale Mac Arthur comandante delle truppe della Coalizione, e contro il parere dei britannici venne consentito all'esercito della coalizione di superare il 38° parallelo.
In breve tempo le truppe della coalizione arrivarono a prendere possesso di quasi tutta la Corea provocando tuttavia la reazione cinese. Il governo di Pechino decise l'intervento nel conflitto coreano attraverso l'invio di circa 400.000 "volontari", (in realtà truppe ben addestrate). Gli americani, che non avevano previsto l'attacco e disponevano di un esercito sul piano numerico decisamente inferiore a quello cinese, furono costretti a ritirarsi oltre il 38° parallelo dove per un lungo periodo la guerra si stabilizzò. La Cina comunista venne condannata dall'ONU come paese aggressore della Corea e nel '51 venne decretato l'embargo militare contro il governo comunista.
Nei mesi successivi la minaccia di un ampliamento del conflitto si diffuse in tutto il mondo e nel dicembre gli Stati Uniti dichiararono lo stato d'emergenza; ai comandi militari venne quindi comunicato che "la situazione esistente in Corea, aumentava considerevol¬mente la possibilità di una guerra generale" e pertanto le forze armate dovevano tenersi pronte ad una rapida mobilitazione. Anche l'URSS adottava delle contromisure e nei primi mesi del '51 venne deciso un considerevole aumento delle spese militari, che passavano dal 19 al 25 per cento del bilancio dello stato.
Il generale Mac Arthur si fece sostenitore di una strategia in contrasto con le direttive della Casa Bianca. Il comandante americano sostenne la necessità di bombardare i ponti sul fiume Yalu che segnava il confine fra la Corea e la Cina, attraverso i quali affluivano i rifornimenti all'esercito di Pionyang, e forte del prestigio che godeva in patria si spinse oltre, proponendo di bombardare le basi dei nord coreani in Manciuria anche con il ricorso alle armi atomiche (si riteneva modesta la possibilità di risposta da parte sovietica in quel momento) e attraverso il gruppo senatoriale repubblicano richiese l'estensione geografica del conflitto coinvolgendo anche le truppe di Formosa contro la Cina comunista. Il Primo Ministro inglese Attle fece conoscere il suo disappunto, riteneva infatti che fosse più utile una politica conciliante verso la Cina (riconoscimento diplomatico e attribuzione del seggio all'ONU) favorendo la rottura con l'URSS; riteneva infatti che Mao Tze Tung come Tito avesse la forza e la volontà per un tale gesto. Truman sfidando l'impopolarità decise la revoca del Comando al generale Mac Arthur; nei giorni successivi la Casa Bianca ricevette 78.000 telegrammi di protesta.
La guerra ebbe notevoli ripercussioni anche sul piano politico-diplomatico. Nel dicembre l'Assemblea Generale dell'ONU votò una risoluzione per l'armistizio e l'inizio di colloqui fra le parti in conflitto. Mosca respinse esplicitamente la proposta mentre Pechino richiese il ritiro delle forze dell'ONU, l'allonta¬namento della marina americana dal Canale di Formosa e in pratica l'eliminazione del governo di Seul. I cinesi inoltre replicarono accusando gli americani di condurre una guerra batteriologica contro le popolazioni della Manciuria, rifiutando comunque l'inchiesta della Croce Rossa Internazionale sul luogo..
Le aspettative di una facile risoluzione del conflitto in Corea da parte di Eisenhower, subentrato a Truman, andarono perdute. I comunisti tenevano un comportamento imprevedibile. Attacchi con truppe scarsamente addestrate venivano condotti a ondate massicce contro postazioni militari di scarsa importanza senza successo. Nel febbraio del '53 l'ambasciatore degli Stati Uniti a Nuova Delhi fece conoscere, anche se in forma non ufficiale, che se le trattative non avessero avuto luogo, ovvero se si fossero incontrati pretestuosi ostacoli, il governo americano avrebbe deciso il ricorso alle armi nucleari e all'allargamento del conflitto.
La scomparsa di Stalin di lì a poco, favorì una svolta nel conflitto, e su mediazione dell'India si ebbero nuvi colloqui. Il problema maggiore dei negoziati risultò la questione dei prigionieri di guerra; numerosi cinesi e nord coreani si rifiutavano di rientrare in patria. Nel luglio si arrivò finalmente all’armistizio, la guerra era costata la vita a 25.000 americani, 50.000 sud coreani, 2.500 membri degli altri paesi della Coalizione e 270.000 fra Nordcoreani e cinesi; il conflitto ebbe conseguenze disastrose per le popolazioni civili fra le quali si contarono oltre 2 milioni di morti e una massa di un milione di profughi, (fenomeno proseguito anche negli anni successivi). Le relazioni fra le due Coree rimasero sempre tese e nel '68 si ebbero due gravi incidenti con la cattura della nave militare americana Pueblo da parte dei Nord Coreani e l'abbattimento di un aereo spia.
In seguito alla guerra nell'Estremo Oriente gli Stati Uniti incrementarono notevolmen¬te gli stanziamenti per la difesa che passarono dai 12 miliardi di dollari del 1950 a circa 51 nel 1953 e vennero introdotte nuove importanti armi come il Nautilus, il primo sommergibi¬le a propulsione nucleare in grado di compiere prolungate permanenze in mare senza rifornimento. La guerra di Corea ebbe anche notevoli ripercussioni sul piano interno, il generale Mac Arthur venne accolto come un eroe non gradito al potere con grandi manifestazioni, e proposto come candidato repubblicano alle elezioni presidenziali. Ad una osservazione più attenta le sue idee sul conflitto erano profondamente errate; la guerra contro la Cina da lui sostenuta sarebbe stata "una guerra sbagliata, nel posto sbagliato, nel momento sbagliato, contro un nemico sbagliato" secondo una felice intuizione del generale americano Bradley .
Lo sgomento suscitato dall'attacco comunista in Corea suscitò la reazione dei paesi dell'area del Pacifico tradizionalmente legati all'Occidente. Nel 1951 venne sottoscritto un trattato di cooperazione militare fra Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti, l'ANZUS, al quale seguì un nuovo trattato , il Trattato del Sud-Est Asiatico, fra i medesimi stati, le Filippine, la Thailandia, il Pakistan (denunciato nel 1972) con la partecipazione di Francia e Gran Bretagna.
La guerra di Corea non impedì la prosecuzione dell'opera di pace in Giappone. La politica degli Stati Uniti nel paese asiatico diretta alla ricostituzione di un governo democra-tico e allo smantellamento dei grandi trusts economici, incontrò il favore delle popolazioni. Al trattato di pace con il Giappone nel 1951 il governo della Cina comunista non venne invitato in quanto governo non riconosciuto, mentre l'Unione Sovietica declinò l'invito. In base ad esso si stabilì che le riparazioni di guerra dovevano tenere conto delle possibilità economi¬che dei giapponesi; lo stato nipponico rinunciava quindi alla Corea, a Formosa, alle isole Pescadores, alle Curili, al sud di Sakhalin e ai suoi mandati sui diversi arcipelaghi nel Pacifico, venne infine consentito il riarmo del Giappone, decisione che produsse un certo timore da parte dei vicini paesi asiatici. Il governo giapponese, reintegrato nei suoi poteri, richiese comunque che truppe americane rimanessero nel territorio e sottoscrisse un patto di mutua sicurezza con gli Stati Uniti.
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