parte 4° il crollo del comunismo
IL NUOVO STATO SOVIETICO
L'immagine
dell'Unione Sovietica nel corso degli anni della guerra fredda si
era rivelata per certi aspetti poco corrispondente alla realtà.
L'Unione Sovietica venne considerata un paese più progredito di
quanto realmente fosse, (l'unico campo in cui il paese potesse
essere veramente considerato una grande potenza era quello militare
sul quale si concentravano la massima parte delle risorse dello
stato) e si riteneva che il grande paese eurasiatico fosse immune
da alcuni mali più tipici delle società occidentali come i fenomeni
di degrado sociale, la corruzione, largamente diffusa invece in
tutti i livelli dell'apparato statale. Diversamente da quanto si
credeva in Occidente, all'interno della società sovietica era
presente un diffuso nazionalismo, e forti spinte verso il
conservatorismo per nulla in contrasto con l'ideologia ufficiale
della nazione.
Nel
1982, alla morte di Breznev, l'Unione Sovietica attraversava un
momento estremamente difficile, dissanguata dalla corsa agli
armamenti, dall'impegno internazionale imposto dalla guerra fredda,
ma ancor più dalla inefficienza e dalla corruzione di un sistema di
potere politico economico al quale non credeva più nessuno, classe
dirigente compresa. L'immobilismo e la stagnazione del quasi
ventennio di potere brezneviano avevano prodotto apatia e
rassegnazione, perdita di valori ad ogni livello della società; di
questi problemi era cosciente anche la stessa élite che governava
il paese, ma presa nella volontà di mantenere il potere ad ogni
costo cercava di evitare tutto ciò che poteva apparire come
innovazione.
E'
difficile capire gli avvenimenti sovietici con i suoi numerosi
aspetti contraddittori, se non si comprende che al di là dello
scontro fra tendenze politiche contrastanti esistevano numerosi
interessi personali, una vasta rete di corruzione e di traffici con
pochi esempi fra le nazioni più avanzate. Il PCUS, centro del
potere in Unione Sovietica, negli anni della stagnazione
brezneviana aveva assunto i caratteri di una organizzazione volta
alla tutela degli interessi di un ceto privilegiato e parassitario
lontano ormai da ogni connotato ideologico. Parlando della
situazione politica del paese Andrej Sacharov nel 1980 scriveva:"La
popolazione del paese accetta senza muovere un dito la penuria di
carne, di burro e di molte altre cose; sopporta una stridente
disparità sociale tra élite e il popolo, e tollera l'arbitrio e la
crudeltà del potere".
Il
paese aveva grandi problemi nel settore agricolo e nel campo
dell'approvvigionamento; secondo quanto affermato dall'accademico
Tihonov nel 1977 gli appezzamenti di terra gestiti direttamente dai
contadini colchosiani, le cosiddette imprese agricole di supporto,
che rappresentavano l'1% delle terre coltivate fornivano il 28% del
totale della produzione agricola. A causa della difficile
situazione alimentare, agli inizi degli anni '80 si ebbero alcuni
casi di protesta operaia in tutte le grandi città della Russia,
dell'Ucraina e della regione del Baltico, che vennero repressi con
un gran numero di licenziamenti senza produrre conseguenze nel
paese.
Il
nuovo segretario del partito succeduto a Breznev nel 1982, Juri
Andropov, riteneva che occorressero una serie di riforme economiche
amministrative e si impegnò nella lotta alla mafia presente nella
burocrazia, ma la sua scomparsa a meno di 24 mesi dalla sua nomina
gli impedì di portare a termine le iniziative enunciate. La fama di
moderato del nuovo leader sovietico fu comunque messa in
discussione; come alto dirigente del KGB nel '56 fu il principale
artefice della repressione ungherese, e nel 1983 denunciò, senza
rendere note le prove, un progetto degli Stati Uniti di ricercare
il conflitto, anche sul piano dello scontro diretto, con il blocco
comunista. Nel 1984 la direzione del partito passò quindi a
Kostantin Cernenko, esponente della vecchia guardia brezneviana,
che bloccò ogni tentativo di innovazione nel paese; l'unico atto
politico della sua breve permanenza al Cremlino fu la singolare
riabilitazione dell'anziano leader stalinista Molotov; anch'egli
non ebbe lunga vita e morì a soli 13 mesi dall'incarico. Per un
sistema monolitico come quello sovietico la scomparsa di tre leader
in meno di quattro anni non poteva non lasciare conseguenze. Una
dittatura come quella sovietica per poter sopravvivere necessitava
di stabilità e di grandi personalità al vertice.
Nel
1985 veniva eletto segretario del partito, su proposta del
Politburo, con l'appoggio del ministro degli esteri Gromiko e il
voto unanime del Comitato Centrale, Michail Gorbaciov, già membro
del Politburo e responsabile del settore agricolo. In Occidente del
nuovo statista si conosceva la sua intelligenza e le sue capacità
professionali, ma nulla faceva ritenere che le riforme da lui
promosse avrebbero messo in moto un movimento quasi
incontrollabile, che avrebbe prodotto nel giro di alcuni anni la
dissoluzione dell'URSS. Gorbaciov aveva salito i numerosi gradini
della gerarchia dello stato dimostrando ovunque grandi capacità, ma
con un carriera non dissimile a quella di altri grandi dirigenti,
senza aver mai manifestato tendenze in contrasto con quelle
ufficiali; nonostante i numerosi tentativi di compromesso Gorbaciov
per la sua politica finì per essere odiato sia dai conservatori,
sia dai progressisti, e una volta caduta la sua fortuna si trovò
completamente isolato.
Il
successo di Gorbaciov nei primi anni di potere era forse dovuto al
diverso stile umano del leader profondamente differente da quello
dei suoi predecessori; Gorbaciov appariva come un personaggio
umano, dall'intelligenza viva, sorridente e disponibile, al
contrario del cupo Breznev, statuario e inavvicinabile. Il nuovo
capo del Cremlino è stato talvolta accostato a Kruscev in quanto
riformatore, ma differiva da questi sicuramente sia per livello
intellettuale che per equilibrio, inoltre sotto il suo governo il
paese conobbe, almeno nel campo delle relazioni internazionali, dei
progressi sconosciuti nell'epoca del predecessore. Ci si è chiesto
se il grande leader sovietico, che comunque per doti intellettuali
risultava superiore a molti suoi predecessori, rappresentasse un
autentico riformatore o piuttosto un monarca assoluto che vista la
difficoltà della situazione politica accettasse le richieste di
innovazione provenienti dal basso. Difficilmente infatti un
personaggio politico è stato tanto stimato dall'opinione pubblica
mondiale e poco amato in patria, considerato responsabile del
peggioramento della situazione economica da larga parte della
popolazione e visto con scarso interesse da parte degli uomini del
dissenso. Nel mondo occidentale il leader sovietico venne invece
giudicato come l'uomo della svolta; le riforme veramente riuscite
in Unione Sovietica riguardavano la politica estera, mentre nel
campo della politica interna i cambiamenti risultarono
inconsistenti e gli insuccessi superarono i risultati positivi. Nel
nuovo stato realizzato da Gorbaciov i cittadini non erano più
perseguitati per le idee espresse, ma le istituzioni rimanevano
distanti dal cittadino, e gli organi di informazione, sebbene non
sottoposti a censura, restavano appannaggio della nomenclatura.
Anche sul piano delle libertà religiose si registrarono grandi
progressi di cui ne beneficiarono tutte le confessioni religiose
prece¬dentemente perseguitate, cattolici lituani, uniati ucraini ed
ebrei, che videro finalmente riconosciuto il diritto di espatrio.
Fra il giudizio totalmente negativo di molti cittadini russi, e
quello estremamente positivo espresso da molti in Occidente, in
realtà occorre considerare che Gorbaciov era un uomo d'apparato,
dotato di ottime qualità ma che non poteva o non intendeva
distruggere quel vasto sistema di potere del quale faceva
parte.
Il
rifiuto o l'impossibilità di Gorbaciov di procedere ad una
innovazione della classe dirigente e l'eccessiva tendenza alla
mediazione gli alienò le simpatie del popolo russo che iniziò a
ritenere il nuovo leader un continuatore della vecchia politica.
Secondo Solgenitsin: "Un caos ha preso il sopravvento da quando
Gorbaciov ha cominciato a parlare di riforme senza peraltro
attuarne alcuna" anche Sacharov espresse riserve sulle
riforme di Gorbaciov, più formali che sostanziali, che non hanno
operato quel cambiamento reale che la società si
aspettava.
Il
primo atto politico verso la democratizzazione della vita politica
del paese compiuto dal nuovo leader fu l'eliminazione delle
persecuzioni contro i numerosi dissidenti ed una politica
fortemente innovativa in materia di diritti umani e libertà
d'espressione, della quale beneficiò anche lo stesso Sacharov al
quale venne revocato l'obbligo del soggiorno, anche se i mezzi
d'informazione rimanevano saldamente nelle mani della
nomenclatura.
Sul
piano economico non si ebbero invece significative riforme;
l'autonomia delle imprese pubbliche, un rimedio prospettato da
Gorbaciov nei primi anni della sua presidenza, e già in precedenza
formulato da Kossighin, si rivelò un provvedimento poco efficace,
le finalità dei dirigenti d'azienda, non erano le stesse dei
fruitori dei servizi, e l'innovazione non garantì migliori
approvvigionamenti per il paese. Anche una legge sulle cooperative
non ebbe più fortuna in quanto soffocato da una grande quantità di
limitazioni e di impedimenti burocratici. Vennero emanate infine
leggi contro l'assenteismo e l'ubriachezza sul lavoro, che
costituivano dei palliativi e non incidevano comunque sulla
struttura economica del paese. Il risanamento dell'economia
richiedeva grandi cambiamenti come quelli previsti dal "piano dei
500 giorni" preparato dall'economista Shatalin; Gorbaciov su
pressione dell'apparato burocratico lo respinse; da allora
l'economia sovietica senza orientamenti adeguati conobbe un
sensibile peggioramento.
Un
sistema economico come quello sovietico, rigidamente statalista e
centralizzato-re, si poteva reggere soltanto sul terrore; al tempo
dello stalinismo i lavoratori come i dirigenti d'azienda si
impegnavano nella produzione non per un beneficio personale o
collettivo, ma sostanzialmente per il timore delle sanzioni (che
potevano andare dal licenziamento all'invio al lavoro coatto), la
qualità dei prodotti era estremamente scadente ma a suo modo quel
sistema funzionava. Decaduto il sistema autoritario il gigantesco
apparato economico divenne un sistema parassitario che viveva di
sussidi statali, produceva beni che difficilmente avrebbero
raggiunto il mercato e che negli ultimi tempi veniva finanziato
stampando rubli.
L'economia sovietica del periodo di Gorbaciov priva di regole di
mercato produceva poco e per di più in maniera scoordinata; a volte
gli stock di merce rimanevano invenduti per difficoltà nei
trasporti o dei sistemi di magazzinaggio e conservazione, altre
volte perché mancanti di alcuni componenti senza i quali il
prodotto risultava inservibile. Una parte della produzione infine
veniva sottratta dal circuito ufficiale da parte degli stessi
responsabili per destinarlo al mercato nero, e fra i numerosi mali
del paese questo rappresentava forse il minore, in qualche modo le
merci arrivavano, sia pure a prezzi impossibili per la maggior
parte della popolazione, sul mercato.
Questa
situazione ha favorito la nascita di una fiorente economia sommersa
che di fatto reggeva il paese, mentre le poche merci vendute
attraverso i canali di stato interessavano solo gli strati più
poveri della popolazione. Le previsioni più pessimistiche sul
futuro della Russia fatte da molti osservatori politici, che
prevedevano carestie e ondate di scioperi, non si sono verificate
grazie infatti alla presenza di un prospero mercato non ufficiale
che ha garantito un minimo di sopravvivenza al paese.
Nel
campo della politica estera si ebbero invece grandi risultati, e
sotto questo punto di vista i meriti del leader sovietico rimangono
enormi. Con la rinuncia all'intervento nei paesi dell'Europa
orientale e alla politica aggressiva nel Terzo Mondo venne chiusa
la guerra fredda e inserita l'Unione Sovietica nel consesso
internazionale. In un suo intervento politico il leader sovietico
sostenne:"Nel mondo di oggi sempre più interdipendente e integrato
è impossibile progredire in una società che frontiere chiuse e
recinti ideologici isolano da processi mondiali... Il vero
socialismo, nel quale il sistema serve l'individuo e non viceversa,
può svilupparsi liberamente soltanto nel contesto di interrelazioni
con il resto del mondo".
I
primi atti del nuovo corso politico si ebbero l'anno successivo
all'elezione di Gorbaciov. Il 27° congresso del PCUS tenutosi nel
febbraio 1986 in un clima di dibattito molto più libero che in
precedenza, rappresentò un importante successo per il capo del
Cremlino; la "Perestroika" e la "Glasnost" (riforma e trasparenza,
ma potrebbero essere tradotti anche con ristrutturazione e
pubblicità) vennero accolte favorevolmente dalle organizzazioni
ufficiali dello stato, le quali tuttavia cercavano di
neutralizzarne gli effetti ritenuti pericolosi per i propri
interessi. Tutta la società sovietica sembrava gradire in un primo
tempo i nuovi orientamenti politici del Cremlino, ma nacquero già
nell'anno successivo le contestazioni. Secondo Ligaciov, portavoce
dei conservatori, "Da una parte stanno coloro che vogliono
procedere sulla strada della perestroika intesa come edificazione
socialista. Dall'altra c'è chi vuole farci deviare verso la via
capitalista e della democrazia borghese, c'è chi vuole introdurre
la proprietà privata e il pluripartitismo" ; i radicali destinati
ad emergere sempre di più nella scena politica, intendevano invece
andare oltre alle riforme per arrivare alla creazione di uno stato
non diverso dal modello occidentale. Il massimo rappresentante di
tale schieramento, Boris Eltsin, nominato membro del Politburo da
Gorbaciov, venne estromesso due anni dopo per le critiche alla
lentezza a cui si procedeva nel campo delle riforme; per un certo
periodo rimase ai margini della vita politica ma successivamente,
grazie al suo successo presso le folle per la lotta alla
corruzione, rientrò con forza nella scena politica.
Nell'ottobre
del 1988 Gorbaciov, con il ritiro di Gromiko dalla carica di capo
dello stato, poté cumulare tale carica nella sua persona, e nel
dicembre una nuova carta costituzionale ampliò i poteri del
presidente, ma ciò non impedì il processo di disgregazione dello
stato. L'anno successivo si tennero le elezioni legislative, dove
per la prima volta nella storia della repubblica sovietica i
cittadini ebbero la facoltà di scegliere fra candidati diversi,
anche non appartenenti al partito. La consultazione rappresentò una
sconfitta per la burocrazia, il 20% degli uomini dell'apparato non
venne confermato, mentre Boris Eltsin, l'esponente dell'ala più
radicale, ottenne un grande successo (nella regione di Mosca
raggiunse punte dell'89% dei voti), il risultato comunque non
modificò di molto la situazione, ma nelle repubbliche non russe
vennero eletti numerosi esponenti nuovi favorevoli al distacco da
Mosca.
Conseguenza
del nuovo clima politico e della maggiore libertà furono alcune
scoperte sul passato del paese che erano state sempre coperte dal
segreto; il 21 giugno 1990 il capo del KGB rivelò che il numero dei
morti del terrore staliniano ammontava complessivamente a 3.800.000
e nel 1988 venne scoperta in Bielorussia il campo della morte di
Kuropaty con le fosse contenti i cadaveri di 30.000 di prigionieri
politici . Nello stesso periodo vennero alla luce altri
sorprendenti particolari del passato, la "città sotterranea" di
Mosca, un gigantesco bunker antiatomico destinato a ospitare
120.000 persone, struttura che doveva ritenersi riservata
esclusivamente alla numerosa nomenclatura della capitale, e venne
riportata dalla stampa l'esistenza di un quartiere residenziale
riservato alla classe dirigente comunista, l'Archangel'skoe nei
pressi di Mosca, dove era possibile trovare merci introvabili nel
resto del paese.
Negli
anni 1989-90 si ebbe un deciso peggioramento della situazione
economica e alimentare del paese seguita dal manifestarsi di un
progressivo e intenso scollamento dello stato. Nel marzo '90 il
Congresso del Popolo, in seguito ad alcune imponenti manifestazioni
di piazza dirette da Eltsin, approvò alcuni emendamenti alla
costituzione fra i quali l'abolizione del ruolo guida del partito;
questo provvedimento (concesso a denti stretti dai dirigenti del
Cremlino) ebbe importanza storica, segnando sostanzialmente la fine
dell'epoca della dittatura, ma a causa della difficile situazione
nel paese la transizione verso la democrazia risultò molto più
complessa del previsto. Il PCUS costituiva un grande ostacolo al
processo delle riforme; al momento della salita al potere di
Gorbaciov contava 20 milioni di iscritti, 250.000 funzionari, un
patrimonio valutato in 3.800 miliardi di lire e circa 5.000 palazzi
; nel giro di 18 mesi perse 4 milioni di iscritti. Di questa grande
organizzazione, di cui Gromiko aveva scritto le lodi, (parlando
della "saggezza e la lungimiranza del nostro partito, saldamente
ancorato alle masse popolari" ) per altri rappresentava un
movimento in piena fase di decadenza tenuto insieme ormai dalla
sola finalità del mantenimento del potere; secondo l'economista
Shatalin: "Il partito comunista dell'Unione Sovietica ha esaurito
il suo compito storico consistente nel dimostrare al suo popolo e
al mondo intero, come non bisogna vivere" . In Unione Sovietica i
comunisti rinunciavano ai simboli del potere, a gran parte della
dottrina leninista, alla censura politica, tuttavia non intendevano
rinunciare alla loro presenza nelle istituzioni e consentire un
ricambio della classe dirigente; si arrivò così all'inconsueta
situazione di un paese avviato alla democrazia governato dalla
stessa classe dirigente della precedente dittatura. Questo fu il
maggiore limite della politica di Gorbaciov, secondo Shevarnadze,
ministro degli esteri, e sostenitore convinto delle riforme:
"Gorbaciov è convinto di riformare il partito. Io non ci credo, il
partito non può essere riformato". Un'opera di rinnovamento più
radicale dello stato si ebbe solo anni più tardi e con molti
sforzi, grazie all'opera di Eltsin, che sebbene fosse stato
anch'egli un membro del partito al potere, aveva rotto in maniera
drastica con gli uomini del precedente regime.
In
occasione delle celebrazioni del 1° maggio 1990 Gorbaciov e tutto
il vertice dello stato venne pesantemente contestato dalla folla
nella Piazza Rossa. I cittadini sovietici si aspettavano delle
maggiori innovazioni, e protestavano per il peggioramento della
situazione economica e alimentare nel paese che aveva prodotto un
peggioramento del tenore di vita. Nel luglio '90 si tenne il 28°
Congresso PCUS nel corso del quale venne alla luce lo scandalo
delle dacie e dei conti all'estero degli alti dirigenti; il
segretario del partito Gorbaciov venne duramente contestato dai
conservatori soprattutto per il disordine che si era creato nel
paese, l'indipendentismo delle repubbliche non russe, la perdita
del controllo dell'Europa orientale, considerata inaccettabile da
coloro che credevano nella concezione dello stato brezneviana.
Gorbaciov poté salvarsi con l'appoggio dei radicali, ma superata la
crisi Eltsin abbandonò il partito con un gesto spettacolare che
aumentò notevolmente il suo consenso fra i cittadini e gli consentì
successivamente di riportare un grande successo alle elezioni
presidenziali.
L'altro
grande elemento di novità nel panorama dello stato sovietico fu il
riemergere del problema delle nazionalità e del nazionalismo. A
volte il fenomeno si traduceva in richieste a favore
dell'indipendenza dal potere centrale, in altri casi in scontri fra
etnie diverse. L'Unione Sovietica sotto questo punto di vista
presentava una difficile situazione; il grande paese eurasiatico si
componeva di diverse realtà; le tre repubbliche slave: Russia,
Ucraina e Bielorussia, che costituivano il centro del grande stato,
(anche se è da ricordare che l'Ucraina nel passato è stata oggetto
di repressione e la stessa Repubblica Russa comprendeva numerosi
popoli minori); nel grande paese erano presenti poi le repubbliche
turche di fede islamica: Kazakistan, Turkmenistan, Uzbekistan,
Tagikistan e geograficamente separata l'Azerbaigian, infine le
repubbliche periferiche tradizionalmente soggette all'autorità di
Mosca, legate a questa da un rapporto di dipendenza: Lituania,
Lettonia, Estonia, Moldavia, Georgia, Armenia. Anche sul piano
delle confessioni religiose l'Unione Sovietica si presentava molto
eterogenea, con i cristiani ortodossi che rappresentavano il 34%
della popolazione, gli islamici il 12%, il 5% le altre confessioni
cristiane, l'1% ebrei.
Nel
1988 si ebbero i primi moti a sfondo nazionalistico con lo scontro
per il Nagorno Karabach conteso da armeni di fede cristiana e
azeri, seguito nell'aprile dell'anno successivo da tumulti in
Georgia che vennero repressi dall'esercito con il ricorso ai gas
tossici che provocarono la morte di una ventina di persone;
l'episodio provocò la reazione della parte dell'opinione pubblica
più democratica, la protesta del ministro degli esteri Shevarnadze
e del fisico Andrej Sacharov.
Di
fronte a tali avvenimenti Gorbaciov, che non nascondeva la sua
contrarietà alla indipendenza delle repubbliche, decise di
affrontare la questione non più rimandabile dei rapporti fra potere
centrale e repubbliche; nel novembre 1990 venne presentato il nuovo
progetto di trattato dell'Unione che prevedeva una associazione fra
repubbliche "uguali e sovrane", ma dove le possibilità di distacco
dalla federazione erano abbastanza remote. Le offerte di autonomia
non vennero accolte con interesse dal momento che le carte
costituzio-nali nello stato sovietico non avevano mai avuto lunga
vita. Il sistema sovietico rimase quindi vittima di se stesso. Un
governo che non aveva rispettato i principi fondamentali dei
trattati internazionali sottoscritti, che aveva promosso gli
interventi in Ungheria, Cecoslovacchia, e Afghanistan, non poteva
essere più credibile. Anche se il governo centrale avesse
presentato un progetto di trattato dell'unione non diverso da
quello della Svizzera non avrebbe potuto avere fortuna. I popoli
non russi non sapevano che farsene di autonomia e impegni sul
rispetto delle minoranze, quando il controllo dell'esercito e delle
forze dell'ordine rimaneva nelle mani di Mosca.
L'autunno
del 1990 segnò un momento estremamente difficile per il paese che
favorì la ripresa delle forze conservatrici. Gorbaciov acquistò
pieni poteri in materia economica per portare il paese fuori dalla
grave crisi alimentare, ma fu costretto ad affidare alcuni
importanti incarichi governativi, fra i quali il ministero degli
interni e la vice presidenza, ad esponenti conservatori, mentre
numerosi suoi collaboratori di tendenze democratiche dovettero
ritirarsi. Il ministro degli esteri Eduard Shevardnaze, esponente
dell'ala democratica, denunciò il pericolo di un colpo di stato e
dell'instaurazione di una nuova dittatura, diede pertanto le
dimissioni, seguite da quelle di un altro dirigente della
perestroika, Jakovlev, che aveva contribuito alla realizzazione di
molte riforme di quel periodo. Il conferimento del Nobel a
Gorbaciov non contribuì alla ripresa del movimento
riformista.
Nel
gennaio dell'anno successivo i rapporti fra centro e periferia
subirono un grave deterioramento, in seguito all'intervento contro
le repubbliche baltiche. Nel marzo 1990, dopo numerose
manifestazioni popolari, il parlamento proclamò la piena sovranità
ed elesse capo dello stato Vytautas Landsbergis, capo del Sajudis,
il Fronte Popolare per la Perestroika, di tendenze nazionaliste; la
proclamazione dell'indipendenza venne confermata nel referendum del
febbraio dell'anno successivo: il 90,4% della popolazione,
percentuale superiore a quella degli stessi cittadini di origine
lituana, che costituivano il 79% della popolazione, si espresse a
favore del distacco dall'Unione Sovietica. I dirigenti di Mosca
reagirono duramente alla iniziativa del governo lituano che fu
costretto a sospendere gli effetti della dichiarazione. Il
negoziato con Mosca non ebbe risultati positivi e contro la
Lituania venne inviato l'esercito. L'intervento dell'Armata Rossa,
condannato da tutta la comunità internazionale, si concluse con 13
morti. Gorbaciov fu costretto a prendere le distanze dai militari,
ma fatti di analoga gravità si ebbero anche nella vicina
Lettonia.
L'invasione
del piccolo stato baltico coincise con una ripresa dei
conservatori, dell'autoritarismo e con il susseguirsi di
dichiarazioni ostili verso l'Occidente che ricordava il periodo
della guerra fredda, tendenza alla quale sembrò non sottrarsi lo
stesso Gorbaciov. L'azione del governo di Mosca non poteva comunque
essere peggiore; fu alla fine costretto a recedere dall'azione di
forza, contestato anche da molti russi fra i quali lo stesso
Eltsin, e provocò le critiche dell'Occidente che sospese gli aiuti
al governo sovietico e il previsto incontro di Gorbaciov con Bush.
Drammatici eventi si ebbero anche in Moldavia; in quella repubblica
si verificarono gravi scontri fra la maggioranza rumena e le
minoranze turche e russo-ucraine che rappresentavano un terzo circa
del paese. Le altre repubbliche si avviarono al distacco da Mosca
con minore difficoltà; ovunque si formarono partiti nazionalisti
che non esclusero dal potere i comunisti e in larga parte formati
dagli stessi uomini della passata classe dirigente. Nelle
repubbliche islamiche si formarono movimenti politici a sfondo
religioso ma solo nel Tagikistan prevalsero i fondamentalisti (il
paese strinse successivamente legami con l'Iran), mentre il
Kirghizistan per la sua posizione geografica si trovò a stringere
rapporti con la vicina repubblica cinese. Verso la fine del '90 le
repubbliche e una dozzina di regioni autonome si dichiararono
sovrane e iniziarono una politica di ostruzionismo verso il governo
centrale attraverso il non versamento dei tributi federali e il
boicottaggio dell'invio di giovani alla leva.
Nel
giugno del 1991 si tennero le elezioni presidenziali nella
repubblica russa che rappresentarono il colpo finale alla struttura
dello stato sovietico; Boris Eltsin venne eletto al primo turno con
il 57% dei voti (e punte molto più alte nelle grandi città), la
contrapposizio¬ne fra il Cremlino e la repubblica, che costituiva
il centro dello stato sovietico, fu la causa della definitiva
dissoluzione dell'URSS.
Gorbaciov
al fine di recuperare una parte del consenso perduto nel periodo
prece-dente con gli atti di forza contro le repubbliche baltiche
indisse un referendum sul nuovo trattato dell'Unione, iniziativa
che incontrò l'opposizione di Lituania, Lettonia, Estonia, Armenia,
Georgia e Moldavia, dove la consulta¬zione non ebbe seguito. Nel
marzo del 1991 comunque il referendum ebbe luogo e si concluse con
esito positivo per il progetto gorbacioviano che riportò il 76% dei
voti.
Le
repubbliche, con l'esclusione di quelle baltiche, accettarono di
firmare quindi il nuovo trattato, ma alla vigilia della firma dello
stesso, l'ala conservatrice del PCUS con a capo il capo del KGB
Kriuscov, il ministro degli interni Pugo, il vice presidente Janaev
che in precedenza Gorbaciov aveva presentato come "uomo di solidi
principi e sostenitore della perestroika" attuarono un tentativo di
colpo di stato. I ribelli annunciarono che a causa delle gravi
condizioni di salute Gorbaciov veniva sospeso dalle sue cariche
mentre truppe speciali del ministero dell'interno penetrarono nella
capitale e occuparono le sedi dei principali centri di potere. I
membri del governo di Gorbaciov non opposero alcuna resistenza e
mantennero un atteggiamento di ambigua neutralità (che spinsero a
far ritenere che il capo del Cremlino fosse d'accordo con i
golpisti), tuttavia la ferma resistenza di Eltsin, del parlamento
russo e di una larga parte della popolazione moscovita che scese
nelle piazze, ed infine quella di una parte delle forze armate
contrarie alla sollevazione, costrinse i rivoltosi a
desistere.
Il
fallito colpo di stato che aveva comunque provocato tre morti fra
la popolazione civile si concluse con un successo per Eltsin; il
presidente della repubblica russa di fatto prese il sopravvento su
Gorbaciov, sciolse con uno storico provvedimento il PCUS, e mise il
KGB in condizioni di non poter nuocere. Gorbaciov quando riprese il
potere la sua immagine risultava fortemente compromessa, e di
questo ne approfittarono le repubbliche per sgan-ciarsi
definitivamente da Mosca.
Nei
giorni successivi il parlamento russo procedette al riconoscimento
dell'indipen-denza dei paesi baltici con un atto che scavalcava
l'autorità del Cremlino. Le repubbliche che si erano
precedentemente impegnate a firmare il trattato sull'unione
proposto da Gorbaciov ritirarono il loro assenso, e un successivo
nuovo progetto venne analogamente rifiutato dai singoli parlamenti.
Nel dicembre infine Eltsin prese l'iniziativa di costituire una
associazione fra le tre repubbliche slave in sostituzione
dell'URSS; nonostante le proteste di Gorbaciov, anche le altre
repubbliche (con l'eccezione di quelle baltiche e della Georgia che
diede la sua adesione solo successivamente) si unirono
all'iniziativa dando vita alla Comunità di Stati Indipendenti,
un'organizzazione di stati sovrani, sostanzialmente analoga a
quella della Comunità Europea. Le nuove nazioni ormai
definitivamente affrancate, vennero riconosciute ufficialmente
dall'ONU nei giorni successivi. Tali paesi non hanno conosciuto
grandi progressi, tuttavia diversamente dalle previsioni dei più
pessimisti, il sistema di stati uscito dalla dissoluzione
dell'Unione Sovietica ha retto, e si sono avuti contrasti solo a
livello locale fra le repubbliche più periferiche.
Gli
ultimi avvenimenti in Unione Sovietica hanno messo in luce alcuni
fatti sconcer-tanti come la presenza non solo di ben nutriti gruppi
di nazionalisti, nostalgici dello zarismo e simpatizzanti del
nazi-fascismo, ma anche l'intesa fra questi e i comunisti che ha
dato vita negli anni del dopo URSS al Fronte di Salvezza Nazionale.
Che non si trattasse di un fatto estempora¬neo, è stato confermato
dall'appoggio dei parlamentari comunisti al vice presidente della
Russia, il generale Rutzkoi, già esponente del movimento
nazionalista del Pamjat. La Russia, di gran lunga la più grande
delle repubbliche sorte dalla fine dell'URSS, negli anni successivi
ha conosciuto gravi difficoltà sul piano economico e un certo
regresso delle forze democratiche che non ha favorito lo sviluppo
della regione, tuttavia i grandi cambiamenti non potevano essere
fermati.
LA
DISGREGAZIONE DEI REGIMI TOTALITARI
NEI
PAESI DELL'EST
Gli
importanti avvenimenti della fine degli anni '80 nell'Europa
orientale, dove i regimi comunisti con l'eccezione di quello
rumeno, si sono dissolti senza spargimenti di sangue, mettono in
luce diverse questioni. Gli insuccessi dei comunisti alle prime
elezioni libere e la mancata resistenza dei governi al potere alle
forze emergenti dimostrarono che questi regimi non godevano di
alcuna credibilità, e che la loro condizione, sebbene migliorata
rispetto al periodo staliniano, rimaneva quella di province di un
impero. In Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia negli anni della
stagnazione brezneviana era subentrata, entro limiti ben precisi
come la repressione della primavera di Praga confermò, una certa
dose di tolleranza ma ciò non era sufficiente a garantire la
stabilità.
Gli
avvenimenti recenti hanno poi confermato una evidente frattura fra
i paesi più progrediti e quelli della regione balcanica a economia
prevalentemente agricola che non hanno conosciuto nel passato
istituzioni democratiche. I primi movimenti di riscatto si ebbero
infatti in Cecoslovacchia e Polonia con la costituzione del gruppo
culturale di Charta '77 e il movimento sindacale delle industrie
del Baltico che diedero successivamente vita a Solidarnosc. La
transizione dal comunismo alla democrazia avveniva senza traumi in
Ungheria e Cecoslovacchia, mentre nei paesi a economia agricola
come Bulgaria, Romania, Serbia, Albania il passaggio avveniva con
maggiori difficoltà. Le regioni più povere e quelle più lontane
culturalmente dal resto dell'Europa sono state quelle dove il
comunismo ha mantenuto una parte dei consensi.
Sulla
caduta dei regimi comunisti in Europa orientale ci si è chiesti
quanto siano dovuti al processo di democratizzazione inaugurato da
Gorbaciov. Secondo il leader del Cremlino "Le relazioni politiche
tra i paesi socialisti devono basarsi sulla più assoluta
indipendenza. E' l'opinione condivisa dai leader di tutti i paesi
fratelli. L'indipendenza di ogni partito, il suo diritto di
decidere le questioni che si pongono per il suo paese e la
responsabilità nei confronti della sua nazione costituiscono
principi irrinunciabili... Nessun partito ha il monopolio della
verità" , tuttavia non aveva soddisfatto molti sostenitori più
radicali della democrazia. L'esponente della primavera di Praga
Jirj Pelikan in una successiva intervista ha affermato che sarebbe
"sbagliato vedere le rivoluzioni democratiche del 1989 come un
risultato voluto da Gorbaciov: Egli ha senz'altro il grande merito
storico di aver aperto la strada a questi cambiamenti, ma lui
stesso è stato prigioniero del mito della Rivoluzione d'Ottobre e
del leninismo con tutte le conseguenze che vediamo oggi
nell'URSS".
Dai
moti del 1970 che portarono alla caduta di Gomulka la Polonia ha
conosciuto una serie ininterrotta di grandi agitazioni sociali
connesse a richieste di carattere politico. I provvedimenti
economici adottati dal successore Gierek, scarsamente realistici
(riduzione dei prezzi e aumento dei salari) non migliorarono la
difficile situazione economica del paese, e nel 1976 si manifestò
una nuova ondata di agitazioni nel corso della quale si ebbero
alcuni morti e numerosi feriti. Nel 1980 si ebbe la nascita, a
fianco del Comitato di Autodifesa Sociale, promosso dallo storico
di tendenze marxiste Jacek Kuron che subì tre anni di carcere nel
1964 e nel 1981, di un grande movimento sindacale degli operai
della grande industria, Solidarnosc, che negli anni successivi
arrivò a contare una decina di milioni di iscritti. L'associazione
sotto la guida di Lech Walesa avanzò molte richieste a carattere
politico: abolizione della censura e delle persecuzioni contro i
dissidenti, tutela dei diritti della chiesa cattolica e libertà
d'espressione. Nel settembre Gierek accettò l'apertura di negoziati
con l'opposizione che si concretizzarono negli accordi di Danzica,
con i quali venne stabilito il riconoscimento dell'organizzazione
sindacale, il diritto di sciopero e alcune limitate garanzie
costituzionali, tali concessioni vennero giudicate inaccettabili da
Mosca, che iniziò a manifestare il suo disappunto verso la
situazione creatasi a Varsavia.
Al
congresso del PZPR del luglio '81 la classe dirigente del partito
venne in gran parte sostituita con elementi riformisti o almeno
moderati, Gierek abbandonò la direzione del partito e venne
sostituito da Kania al quale subentrò nel dicembre dell'anno
successivo il generale Jaruzleskj nominato con una procedura
alquanto discutibile segretario del partito e capo del consiglio
militare. Per fronteggiare la protesta operaia e prevenire un
probabile intervento armato sovietico il nuovo governo militare
proclamò lo stato d'emergenza. Solidarnosc venne sciolto e numerosi
dirigenti fra i quali lo stesso Walesa arrestati. I gravi
avvenimenti fecero seguito alle numerose pressioni da parte di
Mosca (nel corso dei primi mesi di insediamento del presidente
Reagan si erano svolte manovre militari e grandi spostamenti di
truppe ai confini della Polonia) per arrivare alla soppressione del
sindacato libero, movimento che avrebbe potuto estendersi agli
altri paesi dell'Europa orientale. La reazione dei paesi
occidentali alla ondata repressiva in Polonia fu cauta e produsse
alcuni contrasti fra Stati Uniti ed Europa. Il presidente Reagan
proibì infatti la vendita di alcuni prodotti tecnologici all'URSS
che impedirono la realizzazione di un gasdotto transiberiano che
avrebbe dovuto rifornire i paesi dell'Europa
occidentale.
La
Chiesa Cattolica che da sempre godeva di un largo seguito nel
paese, rafforzata dalla presenza di un pontefice polacco, prese le
difese sia pure con notevole prudenza delle richieste operaie. Nel
1981 il papa Woithila subì un grave attentato portato a termine da
terroristi turchi; si è ritenuto che l'azione possa essere stata
commissionata da servizi segreti dei paesi dell'Est; prove che
accertassero la responsabilità del tentato omicidio non sono state
trovate, ma secondo la spia del KGB passata in Occidente
Gordievskij il fatto potrebbe essere non impossibile e rientrerebbe
nella strategia di eliminazione del maggiore sosteni¬tore materiale
e morale dell'opposizione polacca.
Nonostante
la soppressione di ogni opposizione il nuovo governo polacco non fu
in grado di risanare la situazione economica e fu costretto invece
ad un nuovo aumento dei prezzi dei generi di prima necessità. Nel
luglio del 1983 l'intraprendente elettricista dei cantieri di
Danzica Walesa ottenne il premio Nobel per la pace, riconoscimento
che diede nuovo impulso alla ripresa del movimento di protesta. La
ripresa del dialogo fra il governo e l'opposizione subì un
raffreddamento in seguito all'uccisione nel 1984 di Popieluzko un
sacerdote molto attivo simpatizzante di Solidarnosc; l'assassinio
probabilmente non venne commissionato espressamente dal vertice
dello stato, e alcuni agenti del servizio segreto furono condannati
per tale azione, i funerali del sacerdote furono occasione comunque
per una gigantesca manifestazione alla quale parteciparono mezzo
milione di cittadini. Nell'anno successivo l'arresto di circa 400
dimostranti in occasione delle manifestazioni non ufficiali per il
1° maggio portò ad un ulteriore peggioramento della situazione
politica del paese.
Nel
1986 con il consenso del Cremlino si ebbe una importante svolta con
la liberazione di tutti i detenuti politici e il rinnovamento del
Comitato Centrale del partito nel quale fecero ingresso esponenti
riformisti. Una nuova ondata di agitazioni portò alla riapertura
dei negoziati fra il governo e Solidarnosc che si conclusero
nell'aprile del 1989 con un accordo che prevedeva il pluralismo
sindacale e politico, elezioni parzialmente libere (in una delle
due camere era comunque riservato al partito di governo un numero
predetermina¬to di seggi). Nella consultazione elettorale tenutasi
nel giugno Solidarnosc riportò un enorme successo; al Senato
otteneva 99 seggi su 100, mentre al POUP, il partito di governo
andava il 5% dei voti. Presidente del Consiglio venne eletto,
l'esponente liberal cattolico di Solidarnosc Tadeus Mazowiezkj,
mentre Walesa successivamente divenne capo dello
stato.
Il
nuovo governo completava l'opera di democratizzazione iniziata e
promuoveva una vasta riforma dell'economia in senso privatista che
tuttavia non dava i risultati sperati. Il quadro politico si
frazionava in un gran numero di gruppi politici, e sebbene ben
radicata la democrazia, negli anni successivi riprendevano il
sopravvento i sostenitori del modello economico
socialista.
Fra
i diversi paesi dell'Est, l'Ungheria fu quello dove si era avuto
una maggiore tolleranza politica e dal 1968 una riforma
dell'economia portò il paese ad un relativo benessere economico.
Nel 1986, avvenimento inconsueto per un regime comunista, venne
decisa la chiusura delle industrie improduttive, pari al 70%
dell'intero settore.
Nel
1987 si ebbero a Budapest le prime manifestazioni per la libertà di
stampa e di associazione alle quali presero parte alcune migliaia
di cittadini. L'anno successivo il vecchio segretario del partito
Kaidar fu costretto a cedere il potere all'esponente riformista
Karoly Grosz; la transizione verso un diverso sistema politico
venne realizzata senza traumi e difficoltà. Sotto la spinta
dell'opposizione il Partito Socialista Operaio Ungherese accettò la
democratizzazione della vita politica e il principio di libere
elezioni che si tennero nel marzo dell'anno successivo. Da queste
uscì vittorioso il Forum Democratico, la maggiore forza di
opposizione, con il 24% dei voti, mentre il nuovo partito
socialista non ottenne oltre l'11%.
L'Ungheria
fu il primo paese ad essere ammesso nel Consiglio d'Europa e a
richiedere l'allontanamento delle truppe sovietiche. Il passaggio
dall'economia socialista ad una di mercato è avvenuta con
gradualità in un quadro di relativa stabilità politica.
La
Cecoslovacchia è stato il paese dove l'opposizione alla dittatura
negli ambienti culturali, come nella parte più vasta della società,
ha avuto il maggiore seguito. Nel 1977 trecento uomini di cultura
sottoscrissero un manifesto, Charta '77, in cui si chiedeva il
rispetto dei diritti umani in base ai principi degli Accordi di
Helsinki, la abolizione delle alleanze militari in Europa, e quindi
il ritiro dell'Armata Rossa dal territorio cecoslovacco. Le
richieste non vennero prese in considerazione dal regime e i
promotori dell'iniziativa duramente perseguitati. Vaclav Havel,
principale esponente del movimento, venne condan¬nato a 7 mesi di
carcere nel '77 e successivamente ad altri 4 anni nel '79.
L'attività del coraggioso gruppo politico non venne comunque mai
meno negli anni successivi.
Nel
1987 Gustav Husak, segretario del partito, venne sostituito da
Milos Jakes, esponente non riformista, ma meno compromesso del
precedente nelle persecuzioni agli oppositori. Nei due anni
successivi si tennero, promosse da Forum Civico il nuovo
raggruppamento democratico fondato da Havel, diverse manifestazioni
con grande partecipazione popolare (fra le quali quella in
occasione dell'anniversario dell'invasione sovietica e della morte
di Jan Palach, alle quali presero parte oltre il drammaturgo, il
leader della primavera di Praga Alexander Dubcek) che vennero
represse con energia dalla polizia, ma che impressero una svolta
nel paese. Nel novembre dell'89 Jakes fu costretto a lasciare la
segreteria del partito a Karel Urbaneck il quale riconobbe la
legittimità di Forum Civico e abolì le norme costituzionali che
prevedevano il ruolo guida del partito comunista.
Nel
giugno dell'anno successivo si tennero le prime elezioni libere che
vennero vinte da Forum Civico con il 47% dei voti contro il 14% del
partito comunista riformato. L'opera di rinnovamento dello stato
veniva completata con la elezione di Havel a capo dello stato e di
Dubcek a presidente del parlamento. La Cecoslovacchia negli anni
successivi conobbe una crisi che portò alla separazione della
Slovacchia, regione prevalentemente agricola dove i comunisti
mantenevano una parte del potere; tuttavia la nuova Repubblica Ceca
si avviò insieme alla vicina Ungheria senza eccessive difficoltà
verso l'economia di mercato e il graduale inserimento nell'Europa
occidentale.
Il
malcontento popolare con alcuni mesi di ritardo si diffuse anche
nella Germania dell'Est. La Repubblica Democratica Tedesca sebbene
costituisse il paese economicamente più avanzato del blocco
sovietico, presentava una situazione non migliore degli altri
stati. Il regime comunista per poter sopravvivere aveva imposto,
anche in anni recenti, misure durissime attraverso una potentissima
polizia segreta. la Stasi disponeva di quasi 100.000 agenti e mezzo
milione di informatori, possedeva un patrimonio immobiliare di
2.000 edifici e un bilancio di 1.500 miliardi di lire; al momento
del suo scioglimento sei milioni di cittadini, oltre un terzo della
popolazione, risultava schedata nei suoi archivi. Il numero
incredibile di fughe dal paese attesta l'ostilità della popolazione
verso il regime. Solo nei primi tre giorni di apertura dei confini
con l'Ungheria nell'ottobre '89 si ebbero 15.000 cittadini che
abbandonarono il paese.
Negli
ultimi tempi un nuovo elemento era venuto ad aggiungersi alla già
difficile situazione, la avversione del governo presieduto da
Honecker alla politica riformista di Gorbaciov che portò ad un
certo raffreddamento di rapporti fra i due leader. Sulla spinta dei
grandi avvenimenti negli altri paesi socialisti, nell'ottobre del
1989 si tennero a Berlino Est e nelle altre grandi città una serie
di grandi manifestazioni dell'opposizione represse dalle forze
dell'ordine,che provocarono un certo fermento all'interno dello
stesso partito comunista. Il vecchio leader Honecker si dimise da
segretario del partito per lasciare l'importante incarico a Egon
Krenz, suo uomo di fiducia. Nei mesi successivi il gruppo di
opposizione Neues Forum costrinse il governo a due importanti
riforme: la concessione del diritto all'emigrazione e il
pluripartitismo. Anche il nuovo leader comunista, nonostante avesse
tentato di ricercare il consenso all'interno del partito e nella
società, venne rapida¬mente travolto e dovette lasciare la
segreteria del partito ai riformisti che accettarono di tenere
libere elezioni nel paese.
Il
permesso a raggiungere Berlino Ovest e la RFT produsse una grande
serie di esodi di massa (fra il 10 e l'11 novembre almeno due
milioni di cittadini della repubblica comunista superarono il
confine con l'Occidente), mentre gruppi di cittadini spontaneamente
sotto l'occhio indifferente della polizia iniziarono ad aprire
varchi nel famigerato muro che divideva la città. Negli stessi
giorni si ebbe la nomina a capo del governo dell'esponente
riformista Modrow, l'abolizione della censura e del ruolo guida del
partito, ma i tempi per la ricerca di un consenso erano ormai
esauriti.
Le
elezioni tenute nel marzo '90 sancirono la vittoria dei democratici
cristiani (presentatisi sotto il simbolo di Alleanza per la
Germania) che ottennero il 41% dei voti, mentre al partito
comunista riformato andò non più del 5%; il nuovo governo
totalmente rinnovato presieduto dal democristiano Lothar De Maziere
accelerò i tempi per la liquida¬zione del regime
totalitario.
Il
vecchio leader Honecker, accusato di una lunga serie di reati fra i
quali alto tradimento e omicidio per i numerosi tedeschi fuggiaschi
uccisi, si rifugiò a Mosca. Nei mesi successivi venne alla luce il
materiale raccolto dalla polizia politica e accertata la esistenza
di strutture riservate alla nomenclatura e club speciali per le
famiglie degli alti dirigenti che suscitarono lo sdegno della
cittadinanza.
Per
i tedeschi dell'est e dell'ovest gli avvenimenti a cavallo del 1989
e 1990 costitui-rono una grande occasione storica. Prontamente il
cancelliere della Germania Occidentale Kohl preparò un'intesa per
una rapida riunificazione del paese (ritenuta eccessivamente rapida
da alcune forze politiche) che ottenne, dietro alcuni impegni,
(riduzione delle forze armate e riconoscimento del confine
dell'Oder Neisse) l'assenso del Cremlino. Nel maggio dell'anno
successivo si tenne una conferenza internazionale con la
partecipazione dei rappresentanti dei due stati tedeschi e delle
potenze firmatarie degli Accordi di Potsdam che accettò il piano di
riunificazione (alcuni paesi europei espressero qualche riserva
sull'ecces-sivo potenziamento della Germania, ma accettarono
volentieri la nuova realtà tedesca). Il 3 ottobre avvenne la
storica riunificazione del paese.
Nelle
prime elezioni pantedesche dal 1933 i democratici cristiani di Kohl
riportarono un successo, venne avviato un programma di aiuti
economici alle regioni dell'ex DDR, il cui inserimento nella nuova
realtà tedesca risultò più difficile del previsto e costrinse il
governo ad una complessa manovra per la ricerca delle risorse
finanziarie necessarie.
In
Bulgaria e Romania, paesi poveri a economia prevalentemente
agricola, la situazione politica si presentava fortemente diversa
rispetto a quella degli altri paesi dell'Est. In queste due nazioni
le richieste di democrazia risultavano minori ed interessavano
essenzialmente il ceto medio intellettuale.
A
Sofia le prime manifestazioni contro il governo e a favore del
rispetto dei diritti umani nell'autunno dell'89 vennero represse
con numerosi arresti, tuttavia determinarono una svolta nel paese.
All'interno del partito comunista l'ala riformista si rafforzò e
costrinse alle dimissioni il vecchio leader Todor Zhivkov, al
vertice del partito da 35 anni. Le proteste nel paese comunque non
cessarono, e il regime dovette accettare il rispetto delle libertà
fondamentali, il pluripartitismo e libere elezioni. Queste si
tennero nel giugno del 1990 (con un procedimento ritenuto
irregolare dall'opposizione) e vennero vinte sia pure di misura dal
partito socialista, la nuova formazione politica nata dalla
trasformazione del vecchio partito di governo. Nei mesi successivi
tuttavia il partito socialista si spaccò fra conservatori e
progressisti e ciò consentì all'opposizione di entrare al
governo.
Il
nuovo governo ha intrapreso alcuni importanti provvedimenti come la
restituzione ai vecchi proprietari delle terre sottratte con la
collettivizzazione e la liberalizzazione dell'economia, iniziative
che hanno favorito un moderato ingresso degli investimenti
stranieri. Il vecchio dittatore Zhivkov, accusato di abuso di
potere, storno di denaro pubblico per un valore di un milione di
dollari, venne processato e condannato a 7 anni di
carcere.
La
Romania è stato il paese nel quale il processo di democratizzazione
si è svolto con spargimento di sangue e ha dato risultati molto
limitati. La dittatura in Romania presentava dei caratteri che non
avevano uguali negli altri paesi dell'Est, e che poteva essere
confrontata solo con la repubblica albanese di Hoxha. Il paese era
gestito da Nicolae Ceausescu e dalla moglie Elena (una ex domestica
che la stampa ufficiale le attribuiva il titolo di scienziato) con
metodi brutali e il ricorso ad una polizia segreta, la Securitate
che si ritiene abbia commesso dal 1965, anno in cui salì al potere
il dittatore, al 1989 oltre 60.000 omicidi.
Nel
corso degli anni '80 il paese conobbe un sensibile peggioramento
economico al quale il regime fece fronte con misure drastiche come
la distruzione di alcune migliaia di villaggi agricoli per favorire
un incerto programma di modernizzazione economica. Fra la
popolazione, ridotta ad uno stato di sottoalimentazione, cresceva
la protesta, tuttavia fino al dicembre 1989 il potere rimaneva ben
saldo nelle mani del regime. Nel corso di quel mese scoppiò nella
città di Timisoara nella Transilvania una sollevazione popolare in
seguito alla deportazione di un pastore protestante dissidente.
Sull'episodio esistono interpretazioni contrastanti, comunque i
reparti della Securitate repressero con durezza l'agitazione
provocando numerosi morti (un centinaio secondo fonti ufficiali,
alcune migliaia secondo altre fonti), e la protesta si diffuse nel
resto del paese. Il giorno 21 Ceausescu venne contestato dalla
folla sotto il palazzo del governo e non più protetto dai suoi
pretoriani fu costretto alla fuga. L'esercito si schierò con la
popolazione e per alcuni giorni continuarono gli scontri con la
polizia segreta fedele al dittatore, finche progressivamente gli
insorti ebbero la meglio, ma la direzione della protesta venne
assunta da alcuni uomini del passato regime che attuarono solo una
parziale democratizzazione del paese. Nelle successive elezioni il
Fronte di Salvezza Nazionale presieduto da Jon Iliescu riportò la
maggioranza assoluta e il suo leader venne eletto presidente della
repubblica con l'85% dei voti in una consultazione sulla quale
furono espresse numerose riserve.
I
moti del 1989 non riguardarono solo i paesi socialisti appartenenti
al blocco sovietico, ma anche i due stati comunisti balcanici che
da lungo tempo si erano distaccati parteciparono agli
eventi.
L'Albania
nel suo totale isolamento politico ed economico da quando nel 1978
aveva rotto i rapporti con la Cina Popolare, costituiva lo stato
più povero d'Europa e uno dei più poveri del mondo. Nel 1985 con la
morte del vecchio dittatore Hoxha, padre padrone del piccolo stato,
il potere passava a Ramiz Alia, personaggio di modesta statura
incapace di proseguire l'opera del predecessore; sotto il nuovo
regime venne comunque introdotta una relativa attenuazione della
dittatura, ma il nuovo governo si dimostrò incapace di avviare il
paese ad un cambiamento costruttivo.
Sotto
la spinta di grandi agitazioni popolari (represse con durezza
dall'esercito) il governo fu costretto ad indire elezioni, le prime
nella storia del paese, che si tennero nel marzo '91. Il voto
confermava una tendenza già manifestatasi in altre nazioni povere
dell'Est: la popolazione urbana si esprimeva a favore
dell'opposizione democratica, mentre quella rurale abituata ad una
condizione servile confermava il consenso per il partito comunista
rinnovato. Il partito democratico, la principale forza
d'opposizione, denunciò l'irregolarità delle elezioni, mentre le
forze di governo si dimostrarono incapaci di controllare la
situazione e nelle nuove elezioni tenute sotto il controllo del
Consiglio d'Europa all'ex partito comunista andò il 25% dei voti e
l'opposizione ottenne la maggioranza assoluta. Il nuovo governo
diede vita ad un ampio programma di privatizzazioni nel campo
agricolo e industriale che ha consentito un limitato miglioramento
della situazione economica e il reinserimento del paese nel
contesto europeo.
Caratteristiche
del tutto a sé ha avuto il processo di dissoluzione del comunismo
in Jugoslavia, dove le questioni nazionali e religiose hanno preso
il sopravvento su quelle strettamente politiche ideologiche. Lo
stato jugoslavo, comprendente diverse etnie e diversi gruppi
religiosi, (cristiano ortodossi, cattolici, mussulmani, che
rappresentavano rispettivamente il 41%, il 32% e l'11% della
popolazione) non aveva sviluppato solidi legami fra le repubbliche
e dopo la morte di Tito la sua stabilità risultava molto
precaria.
A
più riprese gli albanesi del Kossovo manifestarono segni di
insofferenza verso il potere centrale. A seguito di queste
agitazioni nel febbraio del 1989 il governo di Belgrado dichiarò lo
stato d'emergenza nella regione e sciolse autoritariamente
l'Assemblea legislativa locale che aveva votato per la creazione di
una repubblica federata. Nel gennaio dell'anno successivo si ebbero
le maggiori manifestazioni di protesta che vennero duramente
represse dall'esercito e si conclusero con una trentina di
morti.
Nei
mesi successivi la contestazione contro il potere centrale e quindi
l'egemonia della Serbia all'interno della struttura federale si
estese alle altre repubbliche. Nell'aprile 1990 si tennero le
elezioni in Slovenia dove si affermò il gruppo democratico di Demos
e quello comunista riformista diretto da Milan Kucan, mentre in
Croazia ottenne la maggioranza l'Unione Democratica di Tudjiman.
Entrambe attraverso un referendum vinto a larga maggioranza si
espressero a favore dell'indipendenza; il distacco da Belgrado
tuttavia venne successivamente sospeso su richiesta della Comunità
Europea.
La
Serbia, nonostante numerose manifestazioni di protesta contro il
regime, è stato il paese che ha mantenuto maggiormente le strutture
di potere comunista. Il governo di Belgrado si dichiarò contrario
sia allo scioglimento della Jugoslavia, sia al passaggio della
presidenza (secondo le regole costituzionali) al rappresentante
croato Stipe Mesic. Nel giugno del 1991 l'esercito federale
jugoslavo, di fatto controllato dai serbi, tentò di prendere
posizione contro la Slovenia, ma fu costretto rapidamente a
ritirarsi. Più difficile fu la situazione della Croazia, dove la
presenza di una minoranza serba (circa il 12% della popolazione,
concentrata soprattutto nella Krajina) ha dato luogo ad una
durissima guerra, alla quale ha preso parte l'esercito serbo e le
milizie irregolari dei cetnici; i tragici eventi hanno provocato
grandi distruzioni nel paese e numerosi morti.
Nel
dicembre '91 la Germania procedeva al riconoscimento delle due
repubbliche secessioniste, seguita dagli altri paesi della CEE (che
avevano preferito d'accordo con gli Stati Uniti di tenere un
atteggiamento più attendista) e dal resto della comunità
internaziona¬le. Le numerose proposte di pace presentate dalla CEE
e dall'ONU vennero respinte, e solo dopo l'embargo decretato
dall'ONU nel settembre il governo serbo ha accettato, senza
arrivare ad una definitiva formula di pace, la cessazione dei
combattimenti. Nei mesi successivi anche la Macedonia e la Bosnia
hanno proclamato l'indipendenza suscitando nuove reazioni. Contro
la Bosnia (paese nel quale sono presenti oltre ai mussulmani, serbi
e croati che costituiscono rispettivamente il 31 e il 17% della
popolazione) sono intervenute l'esercito e le milizie irregolari
serbe dando luogo ad una guerra più cruenta di quella combattuta
nella stessa Croazia. Si sono avute decine di migliaia di morti, e
centinaia di migliaia di profughi (il totale di rifugiati dalla ex
Jugoslavia nei primi mesi del '93 raggiungeva i 2 milioni) una
parte dei quali mussulmani costretti con la forza ad abbandonare le
loro terre. Gli orrori della guerra in Bosnia, con la violenza
sulle donne e i campi di concentramento che ricordavano i
famigerati lager della seconda guerra mondiale, hanno scosso
duramente l'opinione pubblica mondiale.
LA CINA NAZIONAL - COMUNISTA
Ben
prima della scomparsa di Mao lo stato cinese aveva dato segni di
sostenere un comunismo diverso da quello degli anni precedenti e di
evolvere verso un regime autoritario nazionali¬sta. Nel campo della
politica internazionale il regime maoista degli ultimi anni
condusse una politica di equilibrio fra le potenze (considerando in
questa categoria anche l'Europa e il Giappone) al di fuori di
qualsiasi "causa" ideale, politica che ha portato la Cina a
sostenere posizioni singolari per un governo comunista, e il
potente Primo Ministro Ciu En Lai a dichiarare che la Cina
"sostiene la lotta dei paesi occidentali contro le minacce e le
vessazioni delle superpotenze".
Nel
1973 dopo la liquidazione di Lin Piao e dei massimi esponenti della
Rivoluzione Culturale (Chen Po Ta e Ka Cheng) si tenne il 10°
Congresso del PCC che segnò un'impor-tante successo della linea
pragmatica di Ciu En Lai; l'anziano Primo Ministro tenne una lunga
requisitoria contro gli eccessi degli anni precedenti, e sostenne
la necessità di un compromesso con le potenze capitaliste. Venne
rafforzato il ruolo guida del partito (limitato in precedenza
dall'esercito) e sancito che occorreva avere "fiducia nelle
masse... creare una situazione politica in cui esistano sia il
centralismo, sia la democrazia, sia la disciplina, sia la libertà,
l'apertura, e la vivacità dello spirito" e che "il partito
comunista cinese assume come base teorica che guida il suo
pensiero, il marxismo leninismo e il pensiero di Mao Tse Tung". Le
conclusioni del Congresso vennero confermate dal Parlamento che da
dieci anni non veniva più convocato. Come nell'Unione Sovietica,
anche in Cina si poneva un problema di ricambio generazionale, data
l'età media molto elevata della classe dirigente. Con la vittoria
dei moderati vennero riabilitati numerosi alti dirigenti caduti in
disgrazia nel periodo della Rivoluzione Culturale, fra i quali Deng
Tsiao Ping e Hua Kuo Feng, che furono i protagonisti degli
avvenimenti successivi.
I
rapporti con l'Unione Sovietica rimasero tesi; una nuova proposta
di pacificazione da parte del Cremlino venne respinta e nel gennaio
del 1974 cinque diplomatici sovietici vennero espulsi. Nei mesi
successivi venne catturato un elicotterista sovietico in "missione
spionistica"; il governo di Mosca replicò a tali iniziative con
l'interdizione delle navigazione sulle acque dei fiumi Amur e
Ussuri, teatro di scontri negli anni precedenti. Nello stesso anno
si ebbero scontri fra cinesi e sud vietnamiti per il possesso delle
isole Paracel nel Mar Cinese meridionale che si conclusero con un
nulla di fatto. Nonostante questi avvenimenti i progressi nelle
relazioni fra USA e Cina, soprattutto per la questione di Taiwan,
procedevano lentamente e solo nel 1979 si ebbe l'apertura di
un'ambasciata statunitense a Pechino.
Nel
1976 con la scomparsa a distanza di brevissimo tempo di Ciu En Lai
e Mao Tse Tung, la Cina ha conosciuto un'importante svolta. Deng
Tsiao Ping, ritenuto il successore di Ciu, fu oggetto di aspre
critiche (ma anche di manifestazioni a suo favore) e nel luglio
dell'anno successivo riotteneva tutte le cariche delle quali era
stato privato in precedenza, situazione che gli consentiva di
divenire la vera figura emergente del dopo Mao, e di imprimere un
nuovo corso al paese. Nello stesso periodo si ebbe lo scontro, che
costituì la maggiore battaglia politica di quel periodo, contro la
cosiddetta "banda dei quattro" di cui faceva parte la vedova di Mao
e altri leader di tendenze estremiste. Il gruppo venne accusato di
una serie di delitti nel periodo delle terribili repressioni della
Rivoluzione Culturale della quale furono ritenuti i maggiori
responsabili. Il loro arresto e la loro successiva esecuzione
rappresentò una rottura col passato rivoluzionario e l'avvio di un
processo di liberalizzazione economica (ma non politica) del
paese.
Le
riforme promosse da Deng nell'anno successivo consentirono la
nascita dell'attività economica privata, minori restrizioni negli
scambi commerciali, una maggiore efficienza dell'apparato statale,
e il rinnovamento dell'insegnamento, fino allora soffocato dal
dottrinarismo, ma non anche una democrazia politica come i fatti
successivi confermarono. Fra le riforme promosse dall'anziano
statista è da segnalare anche l'approvazione di una nuova
costituzione che prevedeva il rispetto dei diritti umani
(affermazione priva di qualsiasi seguito come i fatti successivi
dimostrarono) e di incentivi alla produzione. Si ebbe la
riabilitazione di alcune decine di milioni di vittime di precedenti
purghe, ed infine una apertura verso l'organizzazione comunista
jugoslava ed eurocomunista.
La
liberalizzazione economica con la creazione di alcune province
dotate di ampia autonomia, ha portato ad un grande sviluppo
industriale, tuttavia tale fenomeno ha messo in luce alcuni gravi
problemi del paese. Corruzione, nepotismo, autoritarismo, fenomeni
fortemente tollerati dalle istituzioni, costituivano e
costituiscono i grandi mali della società cinese che impedirono una
vera evoluzione del paese.
Negoziati
concreti fra l'Unione Sovietica e la Cina si aprirono solo nel 1986
dopo l'avvento di Gorbaciov, ed hanno portato alla normalizzazione
dei rapporti fra le due potenze senza portare comunque ad un vero
riavvicinamento. La maggiore moderazione della Cina in campo
internazionale, l'intensificazione dei rapporti con l'Iran, la
pacificazione con l'India, non si tradusse in un miglioramento dei
rapporti con le popolazioni non cinesi all'interno del paese. Nel
1988 si ebbe una nuova rivolta dei tibetani, repressa duramente
dall'esercito, e due anni dopo una sollevazione delle popolazioni
di origine turca del Sinkiang, definita da Pechino una "ribellione
armata controri¬voluzionaria" che si concluse con almeno 22
morti.
Il
maggiore sintomo del malcontento contro il regime venne tuttavia
dalla protesta studentesca. Le manifestazioni giovanili presero
l'avvio dai funerali di Hu Yaobang nell'aprile dell'89, il capo del
partito allontanato l'anno precedente da Deng. Gli studenti
reclamavano democrazia, rispetto dei diritti umani e lotta alla
corruzione dilagante all'interno della burocrazia che aveva creato
gravi situazioni di discriminazione all'interno della società. Zhao
Ziyang, segretario del partito si dimostrò sensibile alle richieste
degli studenti e per un certo periodo si creò una frattura
all'interno della classe dirigente fra sostenitori del dialogo e
fautori della linea dura. La visita di Gorbaciov riaccese gli
animi; il 18 maggio una colossale manifestazione alla quale prese
parte un milione di cittadini, la più imponente dai tempi della
Rivoluzione Culturale, bloccò la capitale, mentre sempre più
numerosi furono gli studenti che iniziavano lo sciopero della fame.
Zhao fu costretto, in una riunione segreta decisa dai vertici dello
stato alle dimissioni. Il 20 maggio venne proclamata la legge
marziale, e dopo aver allontanato i giornalisti, venne deciso di
reprimere la protesta giovanile in piazza Tien An Men. Secondo
fonti giornalistiche l'azione militare fu un gesto inutile; la
massa degli studenti avrebbe forse spontaneamente abbandonato la
grande piazza per stanchezza e per le difficoltà relative ad una
permanenza prolungata. Nella note del 3 giugno i carri armati
attaccarono gli studenti sparando ad altezza d'uomo; secondo le
fonti ufficiali i morti furono 300, ma secondo la Croce Rossa
furono oltre 2.000. Nei giorni successivi venero eseguite diverse
condanne a morte e migliaia furono gli arresti.
I
raccapriccianti avvenimenti di piazza Tien An Men scossero
l'opinione pubblica mondiale, e lo stato cinese venne sottoposto ad
un isolamento internazionale durato un paio d'anni, interrotto solo
dall'assenso del governo di Pechino in sede ONU alle misure
interna-ziona¬li contro l'Irak.
LA FINE DELLA GUERRA FREDDA
La
politica espansionistica dell'Unione Sovietica avevano mostrato i
suoi punti deboli. Tale politica richiedeva uno sforzo prolungato
nel tempo, un'autentica guerra di logoramento che l'Unione
Sovietica, con un reddito nazionale notevolmente inferiore a quello
dell'Occidente non poteva reggere a tempo indefinito. Andrei
Gromiko parlando della politica degli Stati Uniti nelle sue memorie
afferma: "Più armi! Più armi. Dietro tutto questo c'è chiaramente
il calcolo che l'URSS esaurirà prima degli USA le proprie risorse
materiali, e sarà quindi costretta ad arrendersi" . Gorbaciov e gli
uomini del nuovo vertice politico compresero questa realtà e
diedero allo stato sovietico una decisa svolta. L'approccio di
Gorbaciov al problema della sicurezza nazionale era profondamente
diverso da quello dei suoi predecessori "La natura degli armamenti"
ha affermato nel febbraio del 1986 " non lascia ad alcuno stato la
speranza di difendersi usando soltanto mezzi tecnico-militari... La
tutela della sicurezza sta diventando sempre più un compito
politico e può essere realizzata soltanto con mezzi pacifici" .
Anche la stampa sovietica iniziò a occuparsi del problema "Un
maggiore fardello di spese in politica estera e di difesa" ha
sostenuto il giornale sovietico Affari Internazionali
"danneggerebbe l'economia civile e metterebbe in pericolo il
programma di modernizzazione... sarebbe utile abbandonare
gradualmente la nostra rivalità con gli USA e sospendere il costoso
sostegno a impopolari regimi" .
La
conclusione della guerra fredda fu un fenomeno relativamente
rapido; quando l'Unione Sovietica diede segni di voler cambiare la
propria politica interna, consentendo un certo grado di libertà
d'espressione, e in politica estera rinunciando al principio della
legittimità di intervento nei paesi stranieri (secondo la dottrina
della sovranità limitata di Breznev) il dialogo fra Est e Ovest
ebbe una intensa accelerazione.
I
due incontri al massimo livello fra Unione Sovietica e Stati Uniti
nel biennio 1985-1986 tenutisi a Ginevra e a Reykjavik, preceduti
dalla presentazione di un piano per il disarmo generale entro il
2000 da parte di Gorbaciov, non ebbero risultati immediati ma
posero le basi per nuove iniziative. Nell'incontro in Islanda
nell'ottobre dell'86 l'accordo sulla riduzione degli euromissili
non ebbe esito felice a causa della richiesta sovietica di bloccare
gli esperimenti del SDI, il sistema di difesa antimissile, campo
nel quale comunque anche i sovietici svolgevano ricerche. Tuttavia
nel dicembre dell'anno successivo venne firmato a Washington il
trattato INF sulla abolizione dei missili a media gittata
(euromissili) che nella sostanza corrispondeva alla "opzione zero"
americana, e nella stessa sede venne concordato il ritiro delle
truppe sovietiche dall'Afghanistan. Il trattato conteneva due
importanti novità sulle quali i sovietici per molti anni si erano
opposti: riduzioni asimmetriche al fine di arrivare ad una
situazione di parità negli armamenti, e ispezioni reciproche sul
territorio, definite fino a non molto tempo prima, atti di
spionaggio legalizzato.
Quando
negli anni successivi l'Unione Sovietica manifestò di non opporsi
alla creazione di regimi pluripartitici nei paesi dell'Est e alla
riunificazione della Germania, venne a decadere la maggiore ragione
di contrasto che aveva turbato la politica mondiale dopo la seconda
guerra mondiale. L'Unione Sovietica dimostrava in termini reali di
rinunciare ad una politica fondata sulla forza e di accettare
quelle regole di convivenza fra i popoli che per lungo tempo aveva
contrastato.
Nell'ottobre
del 1989 i paesi membri del Patto di Varsavia condannarono
l'intervento militare contro la Cecoslovacchia del '68, e
stabilirono il loro diritto di distaccarsi dall'alleanza, fatto che
avvenne nel 1991, e decretò la fine dell'organizzazione militare
stessa. Il governo di Mosca rinunciò anche a buona parte dei legami
con i regimi comunisti del Terzo Mondo divenuti ormai un peso
economico insostenibile; cessarono quindi gli aiuti al governo di
Castro, l'unico governo a dichiararsi apertamente contrario alla
perestroika, a quello sandinista, ai paesi socialisti africani e
assunsero un atteggiamento costruttivo per una politica di
pacificazione nel Medio Oriente.
L'incontro
con Kohl nel luglio 1990 e il "nulla osta" alla riunificazione
tedesca in cambio di aiuti economici, e il contenimento della spesa
militare del nuovo stato tedesco segnarono un altro importante
traguardo, al quale si aggiunse la conclusione di un trattato per
la riduzione dei missili a corto raggio, a differenza degli
euromissili, impiegati direttamente sul fronte in
battaglia.
Nel
biennio 1989-90 si ebbero altri due importanti risultati con il
trattato sulla eliminazione delle armi chimiche (divieto di
produzione e distruzione di quelle già esistenti) e negoziati sulla
riduzione delle forze convenzionali presenti sul continente europeo
(CFE). Con tale accordo il governo di Mosca accettò una sostanziosa
riduzione degli effettivi e delle divisioni corazzate presenti in
Europa tali da eliminare la minaccia di aggressione che per anni
aveva gravato sui paesi europei.
Nel
novembre '90 si tenne un vertice straordinario della CSCE, la
Conferenza per la Sicurezza Collettiva in Europa, nel quale venne
firmato un patto d'amicizia fra NATO e Patto di Varsavia, e una
storica dichiarazione con la quale si considerava definitivamente
concluso il periodo di confronto fra le due potenze e inaugurato un
nuovo periodo di pace e di collaborazione.
Nel
1991 poté quindi essere firmato il più importante trattato sul
disarmo che prevedeva la riduzione, e non semplicemente la
limitazione, delle armi nucleari. Il Strategic Arms Reduction
Treaty (START) prevedeva l'abbassamento del numero delle testate
nucleari, del 29% per gli Stati Uniti e del 36% per l'Unione
Sovietica, e la riduzione dei vettori con base a terra e su
sommergibili, del 40% per gli USA e del 48% per l'URSS; con tale
decisione si creava una situazione di equilibrio fra le due
superpotenze tale da rendere una guerra non remunerativa per
nessuna delle due parti. Nel 1993 questi limiti furono
ulteriormente abbassati.
I
trattati firmati successivamente al 1987 insieme al venire meno
delle contese fra Est e Ovest hanno significato l'eliminazione
della minaccia di una catastrofe nucleare che da decenni sembrava
incombere sull'umanità. Tuttavia la dissoluzione dell'URSS ed il
conse-guente smembramento dell'arsenale sovietico fra Russia,
Ucraina e Kazakistan, paesi dove regnava una certa instabilità e
sussisteva il pericolo che potesse venire meno il controllo sulle
micidiali armi da parte dei governi, non ha fugato tutte le paure
che minacciavano l'umanità.
La
caduta dei regimi dell'Est, la riunificazione tedesca, la
disgregazione dell'Unione Sovietica hanno sorpreso l'umanità per la
rapidità con la quale sono avvenuti. Se vediamo la storia delle
dittature del secolo da poco concluso, notiamo che il fenomeno è
meno straordinario di quello che sembra. I regimi totalitari nella
maggior parte dei casi cercavano di darsi un'immagine di solidità e
compattezza che in realtà non avevano. La sconfitta in Afghanistan,
la crisi economica, l'azione di rottura dei dissidenti, anche se in
maniera non visibile, misero in grave difficoltà il governo
sovietico, e quando questi fattori superano certi limiti la
dissoluzione del sistema politico avvenne improvvisa in tempi
relativamente ridotti.
Una
delle caratteristiche salienti di un regime totalitario è la
concentrazione del potere nelle mani di un partito politico e il
controllo di questo da parte di un leader al quale sono
riconosciute qualità particolari, in grado di dare un'immagine di
sé e dello stato fuori dall'ordinario. Successivamente alla morte
di Stalin nessuno fra i massimi leader disponeva di capacità tali
da proseguire la figura del capo scomparso e, come lo stesso Berija
comprese, il vecchio sistema di potere non era più proponibile. Il
regime sovietico ha quindi cessato di imporre modelli alla società
e si è posto sulla difensiva accettando progressivamente
compromessi sempre più ampi con il paese reale. La storia
dell'Unione Sovietica dopo Stalin è un'alternarsi di misure
repressive e di atti tesi a ridurre la coercizione, che tuttavia
non assicurarono la risoluzione dei problemi del paese e la
stabilità. Kruscev con le sue affermazioni prive di seguito e le
sue minacce cadute nel vuoto non poteva proseguire l'opera del
dittatore georgiano, né Breznev un vecchio circondato di
altrettanti vecchi.
Se
il comunismo fosse crollato sotto i colpi dell'Occidente e di
Ronald Reagan, si potrebbe parlare di un sistema politico caduto in
piedi; invece la fine del comunismo è stata una fine ingloriosa
avvenuta a causa di quelle stesse forze che riteneva di
rappresentare, le forze del progresso, della cultura, così come di
quelle categorie che attendevano l'emancipazione politica ed
economica. Si concludeva così nel 1991 l'esperienza di uno stato
sorto da un fermento rivoluzionario, ma non anche democratico, che
irrigidito nelle sue strutture totalitarie è progressivamente
degenerato in stato autoritario, conservatore e nazionalista. Ogni
reale progresso della storia si fonda sulla libertà e la coscienza
dei cittadini, questo è l'insegnamento del fallimento del comunismo
in Europa come nei paesi del Terzo Mondo. Dalla dittatura
tranquilla di Breznev a quella feroce di Ceausescu e Hoxha, tutto
dimostra che non esiste apparato repressivo che possa fermare la
storia.
L'involuzione
delle rivoluzioni sovietica e cinese non può sorprenderci in
maniera eccessiva; quando una rivoluzione non poggia, o non poggia
più, sull'adesione spontanea della società ma diviene una
oligarchia chiusa e inaccessibile (pericolo insito nella stessa
teoria leninista e non solo nei suoi sviluppi successivi), quando i
modelli di società vengono imposti dall'alto e non esiste più un
mutuo scambio fra i vertici e la base, la rivoluzione inizia la sua
degenerazione, il livello qualitativo del sistema politico decade
progressivamente e al fermento rivoluzionario subentra il
conformismo e l'apatia.
La
realtà sovietica ha dimostrato che non esiste un socialismo
modernista e un liberalismo storicamente superato, come in passato
si è ritenuto, ma un socialismo autoritario, contrario
all'innovazione, estraneo alla società moderna, ed un socialismo
democratico aperto e progressista, in grado di fornire un suo
contributo ideale alla storia dell'umanità. Lo stato sovietico, e
più tardi la Rivoluzione Culturale e le esperienze del comunismo
terzomondista, hanno acceso gli animi di molti giovani e di molti
intellettuali che credevano fosse l'inizio di un mondo nuovo.
Progressivamente hanno mostrato un diverso volto sempre più tragico
e hanno messo in luce che gli eccessi e gli "errori" come venivano
chiamati dai vecchi comunisti, non erano incidenti di percorso, ma
parte intrinseca di quei sistemi potere.
Decenni
di storia del comunismo hanno rivelato che controllo dell'economia
da parte del potere centrale e sviluppo costituiscono obbiettivi
inconciliabili. L'individuo infatti reclama un suo ruolo e non può
accettare di divenire un soggetto passivo di un progetto
economico.
Il
socialismo marxista attraversa probabilmente il maggiore periodo di
ristagno dalla sua nascita nell’Ottocento. Anche se può essere
discutibile che i regimi affermatisi nell'Europa orientale
rappresentassero l'attuazione puntuale delle teorie marxiste,
risulta fortemente in crisi nell'Europa occidentale la dottrina di
Marx sia a livello intellettuale che di organizzazioni di massa.
Oltre che per il fallimento del comunismo nei paesi dell'Est, la
dottrina marxista incontra maggiori difficoltà in società avviate
verso la formazione di un vasto ceto medio, non facilmente
inquadrabile nel concetto di lotta di classe.
Dall'annuncio
della dottrina Truman nel '47 gli Stati Uniti hanno sostenuto un
peso superiore (come risorse ma anche come vite umane) a qualsiasi
altro paese per contenere l'espansionismo sovietico e garantire la
sicurezza e la democrazia nel mondo. Per alcuni l'impegno
internazionale di questa grande potenza dissimulava un disegno
imperialista, ma i fatti lo smentiscono. La politica degli Stati
Uniti ha rappresentato una grande novità nel mondo mettendo fine
alle lotte per l'egemonia, e favorendo una organizzazione degli
stati fondata sul principio della pari dignità delle nazioni, che
si è concretata nella creazione dell'ONU, del Fondo Monetario
Internazionale e negli accordi sul futuro dell'Europa. Gli Stati
Uniti nel nostro secolo si sono impegnati in due conflitti mondiali
e successivamente nella guerra fredda, non a torto considerata la
3° guerra mondiale, senza riportare profitto, ma con l'obbiettivo
principale di estendere il proprio sistema di valori sul resto del
mondo. L'antiamericanismo ha fornito l'immagine di un paese solo
formalmente democratico, dominato dalle lobby, aggressivo nei
rapporti con gli altri paesi del continente americano, ma questa
concezione presenta delle incongruenze. La guerra delle Falkland,
l'aggiramento dell'embargo commerciale contro l'URSS da parte
dell'Argentina e molti altri episodi confermano che gli Stati Uniti
non disponevano di quel potere di coercizione verso i paesi
dell'America Latina che gli veniva attribuito. Gli Stati Uniti,
come gli altri paesi anglosassoni hanno risentito di un sistema
politico pragmatico e scarsamente ideologizzato, ma che ha
garantito una democrazia più stabile che in altri paesi europei e
anche nei momenti difficili non ha impedito le garanzie
costituzionali fondamentali.
Con
il Piano Marshall e la Dottrina Truman, gli Stati Uniti hanno dato
un sostegno politico, militare ed economico alla lotta
all'imperialismo, e scritto una delle maggiori pagine di storia del
nostro secolo. Nonostante che gli Stati Uniti costituiscano una
repubblica giovane con minore patrimonio storico rispetto al
vecchio continente, hanno dimostrato in questi anni di essere in
grado di assumere il ruolo di grande nazione portatrice di grandi
valori etico politici.