parte 3° Il decennio della distensione e la ripresa dell'espansionismo sovietico 1963-1985    
 

 

 

 


L'UNIONE SOVIETICA VERSO IL DECLINO

 

 

 La posizione di Kruscev negli anni successivi alla crisi dei missili di Cuba si era indebolita nonostante i progressi nelle relazioni con gli Stati Uniti. La crisi economica aggravata dalla soppressione dei piccoli appezzamenti in concessione ai privati, le agitazioni sociali nelle grandi industrie, la nascita del dissenso intellettuale, la inconcludenza delle riforme economiche amministrative crearono nella società, come nella burocrazia civile e militare una notevole insoddisfazione. Le promesse di un superamento economico degli Stati Uniti, i millantati successi produttivistici della regione di Rjazan, l'infelice esito della prova di forza con gli Stati Uniti del '62, dopo le roboanti affermazioni degli anni precedenti rappresentarono il colpo definitivo all'immagine del leader ucraino.
 Nell'ottobre del 1964 il Presidium del Comitato Centrale si riunì nel periodo in cui Kruscev era assente (per vacanze sul Mar Nero) da Mosca; il suo rientro precipitoso nella capitale non gli consentì di rovesciare la situazione, Suslov con l'appoggio della totalità dell'assemblea denunciò una serie di errori del leader del Cremlino, il quale visto mancare l'appoggio anche dei vertici militari senza reagire accettò tutte le risoluzioni dell'organismo. Scomparivano così a distanza di un anno i due leader russo e americano che avevano dato vita alla diplomazia della distensione degli anni '63-'64. I maggiori appunti che furono mossi al compagno Nikita non erano sulla linea politica, (i successori non misero in discussione i principi della coesistenza pacifica, né tentarono un ritorno ai metodi staliniani), ma i modi eccessivamente bruschi e le discutibili impennate che risultavano intollerabili per una burocrazia desiderosa soprattutto di tranquillità.
 Il Comitato Centrale infine timoroso di un nuovo uomo forte sulla scena politica decise che la carica di segretario del C.C. e di presidente del consiglio dei ministri non potessero più essere cumulate nella stessa persona, e affidarono la prima a Leonid Breznev e la seconda a Nikolaevic Kossighyn, all'interno di una direzione collegiale.
 I successori di Kruscev annullarono alcune riforme degli anni precedenti sulla riorganizzazione del partito e sui limiti alla rieleggibilità di alcune cariche, ma mantennero invariato l'assetto politico dello stato e i principi ispiratori della politica internazionale. La preoccupazione maggiore dei nuovi dirigenti del Cremlino era di dare al paese stabilità e tranquillità dopo gli eccessi degli anni precedenti. Probabilmente all'interno della classe dirigente nessuno credeva più in un grande destino del socialismo, né aveva fiducia in un grande avvenire del paese. L'Unione Sovietica di quegli anni appariva sempre più chiusa in se stessa e timorosa di qualsiasi innovazione.
 La direzione collegiale è stato un principio ricorrente nell'Unione Sovietica, ma che non ha avuto molto seguito; in occasione della successione di Lenin, di Stalin, di Kruscev, la collegialità lasciò sempre il passo ad un nuovo accentramento dei poteri. Le prime divergen-ze politiche all'interno della nuova direzione politica avvennero fra l'apparato del partito attraverso il suo massimo rappresentante, Breznev, e il Primo Ministro Kossyghin, uno degli ultimi bolscevichi che avevano preso parte alla rivoluzione e ai fatti immediatamente successivi. Kossyghin era favorevole ad un decentramento dell'economia, ad una maggiore diffusione del benessere nel paese attra¬verso una incentivazione delle industrie di beni di consumo e ad una maggiore autonomia delle aziende di stato. Tali principi trovavano conferma nelle indicazioni di alcuni economisti come Liberman, secondo il quale occorreva conferire maggiore libertà alle imprese e adeguare la produzione (sempre rigorosamente controllata dallo stato) alle leggi della domanda e dell'offerta. Tali progetti vennero visti come una minaccia da parte dell'or¬ganizzazione politica, che temeva che l'economia del paese potesse sfuggire dal proprio controllo. Nel 1965 il primo Ministro venne messo in minoranza e da allora, fino a quando uscì definitivamente di scena anni dopo, si mantenne più defilato. La vera figura emergente di quegli anni era un personaggio che nel passato non aveva brillato per iniziative politiche; cresciuto sotto la protezione di Kruscev, Breznev anche successivamente rappresentò la figura del funzionario amante del conformismo sotto il quale la burocrazia e la corruzione, che interessò anche membri della sua famiglia, (la mafia di Dnepropetronsk), raggiunse alti livelli.
 Il 23° Congresso del partito nell'anno successivo rappresentò un'altra vittoria per Breznev, e in seguito a tale successo anche l'anziano e prestigioso Mikoyan si ritirò dalla attività politica, lasciando il posto a uomini fedeli del nuovo capo del Cremlino. Da quell'anno in poi non si verificarono più scontri politici nelle alte gerarchie sovietiche e tutta la vita politica del paese si svolse monotona in un clima di apatia, non interrotta dall'assunzione della carica di presidente del Soviet Supremo nel 1977 da parte di Breznev, cumulata con quella precedente di capo del partito (divenuta nel frattempo segretario generale anziché primo segretario).
 Non si ebbe in quegli anni un vero "culto della personalità" come ai tempi di Stalin, tuttavia si verificò una forma di scadente adulazione nei confronti del nuovo leader del Cremlino, esaltato come illustre letterato per la pubblicazione nel 1979 di alcuni suoi libri a contenuto autobiografico di scarso valore, mentre si assisteva nel paese alla consueta corsa alle onorificenze di stato, e Breznev stesso né accumulò più di Zukov, il prestigioso comandante che sconfisse il Terzo Reich.
 A partire dal 1969 si accrebbe l'influenza dei militari all'interno del governo e nonostante il processo di distensione internazionale, si ebbe un consistente aumento del bilancio della difesa, intorno al 25% all’anno; in tal modo quegli anni veniva raggiunta la parità nel campo degli armamenti nucleari con l'America e nel giro di non molto tempo il superamento degli avversari. Intorno al 1970 si ebbe una temporanea ripresa del neostalinismo, del nazionalismo e della concezione autoritaria dello stato all'interno della classe politica e dei mezzi di comunicazione. Tale tendenza non ebbe comunque molta fortuna e nel 1973 molti dirigenti di questo movimento vennero allontanati dal potere o ridimensionati all'interno della nomenclatura.
 Nel 1977 venne emanata una nuova costituzione dopo quella staliniana del 1935; quello che in un altro paese avrebbe costituito una importante innovazione rappresentò invece nel sistema sovietico un semplice aggiustamento tecnico all'ordinamento giuridico. La nuova costituzione prevedeva la restrizione dei diritti del cittadino, che non potevano essere in contrasto, nemmeno quelli inalienabili della persona, con gli interessi dello stato. La maggiore novità, ma era stata già annunciata dal Comitato Centrale del partito nel 1961, era nella definizione dell'URSS come "stato socialista di tutto il popolo" diverso quindi dalla "dittatura del proletariato" di leninista memoria. Singolarmente la costituzione precisava anche la posizione dell'Unione Sovietica nel mondo comunista e quella degli altri paesi del socialismo reale; si affermava infatti il diritto di intervento nella politica di un altro stato alleato qualora il socialismo risultasse minacciato.
 Rispetto agli anni di Kruscev nel periodo di Breznev venne dato maggiore impulso agli investimenti nell'agricoltura, conferiti miglioramenti economici ai lavoratori del settore (attraverso anche la reintroduzione degli appezzamenti agricoli a conduzione familiare), e provveduto ad un incremento nella produzione di beni di consumo, che consentì un relativo miglioramento nel tenore di vita della popolazione. I risultati furono comunque scadenti, negli anni 1971-73 la resa delle coltivazioni cerealicole era di 14,7 quintali per ettaro, pari a quella della Grecia o della Jugoslavia di 15 anni prima. Nello stesso periodo la produzione per addetto nel settore agricolo era di 4,5 t. di raccolto l'anno contro i 54,7 di un analogo lavoratore del Nord America. Rispetto ai paesi industrializzati l'URSS continuava ad avere un numero di occupati nel settore agricolo notevolmente elevato, circa il 25% della popolazione contro il 3% degli USA, e mentre il paese americano costituiva uno dei principali esportatori del settore cerealicolo, l'Unione Sovietica era costretta a continue importazioni di grano.
 Le statistiche ufficiali parlavano di incrementi della produzione industriale e del PIL notevolmente superiori a quelli dei paesi occidentali, tali da far ritenere che l'arretratezza di questo paese nei primi del '900 dovesse essere colmata, ma negli anni Settanta, e lo stesso si potrebbe dire per gli anni successivi, il divario sulla produttività, sul tenore di vita rispetto all'Europa risultava enorme , e ad eccezione del settore militare la Russia restava un paese scarsamente progredito. Il problema dell'economia sovietica non era quello della produzione industriale, sulle quali si basavano le statistiche, ma quello della qualità dei prodotti, degli stock di merci che per deficienze dell'organizzazione amministrativa non giungevano sul mercato ovvero rimanevano invenduti perché non corrispondenti alla domanda del mercato. La questione fondamentale dell'economia sovietica, e mai risolta, era di conciliare il servili-smo richiesto dal potere con quella dose di apertura e di innovazione di cui necessita un'economia ed una società per potersi sviluppare.  
 La autonomia delle imprese rispetto al potere centrale attuato in Cecoslovacchia in quegli anni aveva portato ad un relativo ridimensionamento del ruolo dell'apparato politico, fenomeno ritenuto da Mosca inconciliabile con i principi dello stato comunista, in seguito a ciò al Congresso del PCUS nel 1971 si stabilì l'abrogazione della riforma economica, già rimaneggiata in precedenza, progettata da Liberman. Il maggiore interesse nel settore economico negli anni successivi fu l'acquisto di derrate alimentari, di crediti, l'intensificazione dello scambio commerciale con l'estero, e l'innovazione tecnologica, da realizzarsi attraverso accordi con i paesi occidentali. Gli scambi con gli USA passarono da 200 milioni di dollari del 1971 a 1 miliardo nel 1974. Il debito con l'estero dell'URSS al termine dell'era di Breznev ammontava a 20 miliardi di dollari, la maggior parte nei confronti di banche europee e americane. I nuovi rapporti con l'Occidente vennero ritenuti particolarmente vantaggiosi per l'URSS, tuttavia ebbero termine alcuni anni dopo, nel 1980, con l'invasione dell'Afghanistan.
 Il tasso di crescita del reddito nazionale secondo fonti ufficiali risultava intorno al 10% annuo negli anni Cinquanta, del 6-7% negli anni Sessanta e prima metà degli anni Settanta, e del 2% nella seconda metà degli anni Settanta. Le difficoltà economiche si fecero sentire particolarmen¬te verso la fine del lungo periodo di Breznev; nel 1980 si ebbero scioperi nelle officine di Togliattigrad e in altre regioni per penuria di derrate alimentari, e in diverse occasioni lo stato ricorse per far fronte alla difficile situazione al razionamento della carne e di altri generi alimentari. Tali problemi non interes¬savano più di tanto il vertice politico; Breznev in un colloquio con il dirigente comunista italiano Berlinguer nel 1978 sostenne: "Ciò che occorre al nostro paese è... molto grano ed un armamento adeguato. Queste sono le due cose fondamentali... tutto il resto è relativo" .
 La società sovietica era molto più arretrata di quanto le istituzioni facessero ritenere in Occidente, la corruzione e l'apatia di cui aveva parlato anche lo scrittore Maksimov, era ben presente a tutti i livelli dell'organizzazione sociale; la criminalità, la prostituzione, o l'alcolismo ritenuti un tempo, un fenomeno tipicamente occidentale imperversava anche nelle grandi città sovietiche, nonostante le pesanti sanzioni contro il vagabondaggio, l'accattonaggio abituale, la promiscuità sessuale, istituiti negli anni precedenti. Molto sviluppata sebbene illegale, era anche l'economia sommersa e il cambio al nero della valuta straniera, non diversamente da quello che in tempi più recenti succedeva nella Russia di Eltsin. Nonostante i progressi sovietici nel Terzo Mondo l'Unione Sovietica negli anni Settanta procedeva verso un tragico declino economico e morale.
 La corruzione del potere non è un fenomeno recente come le vicende della Russia postcomunista potrebbero far ritenere, ma un fenomeno ampiamente diffuso e scarsamente contrastato nella società sovietica degli ultimi decenni. Importanti problemi della vita dei cittadini erano affidati a burocrati pronti ad elargire favori e raccomandazioni altrimenti non ottenibili, a chi si prestava alla illegalità; lo stesso Gromiko, l'uomo del dialogo con l'Occidente e i familiari di Breznev vennero additati come concussi per la gestione di numerosi affari di stato.
 I problemi della classe politica erano notevoli al vertice come alla base. Secondo lo storico russo Mihail Geller "Il programma della nomenclatura si può riassumere in tre punti: rafforzare il proprio potere, estendere i propri privilegi, godere in santa pace potere e privilegi medesimi" . La classe dirigente negli anni Settanta costituiva una categoria privilegiata che evitava ormai di nascondere la sua natura, nelle grandi città del paese erano presenti negozi speciali riservati alla nomenclatura dove i prezzi dei prodotti variavano con la posizione gerarchica dell'acquirente, e dove gli stessi potevano accedere a beni inavvicinabili per la grande parte della popolazione. Nelle sue memorie Richard Nixon ricorda che il capo del Cremlino non disdegnasse il lusso e fosse uno dei maggiori collezionisti di automobili di gran lusso; "...durante le mie visite in Unione Sovietica" sostenne l'ex presidente americano, "ebbi modo di pensare che l'elite comunista si avvicinava, per caratteristiche, alla descrizione della classe dominante fatta da Marx molto più di qualsiasi gruppo o consorteria di  capitalisti" . Nell'Unione Sovietica, paese dell'uguaglianza per eccellenza, molte categorie rimanevano ai margini della società, le donne in particolare, non raggiunsero mai posizioni dirigenziali elevate né in politica né nelle altre attività della società civile.
 Alla fine degli anni Settanta l'Unione Sovietica attraversava un periodo di forte stabilità politica ma la direzione dello stato appariva sempre più consolidata in una forma di geronto¬crazia che poneva gravi problemi di ricambio politico. Nel 1977 gli uomini della troika erano tutti molto anziani, Breznev aveva raggiunto i 71 anni, Kossyghin 73, Podgorny 74, l'età media degli altri membri del Politburo era lo stesso intorno ai settanta anni. l'Unione Sovietica sembrava sempre più una società chiusa e immobilizzata.

 La separazione fra potere e società nel corso degli anni Settanta non poteva essere più totale, e il dissenso, la cosiddetta cultura clandestina, ebbe un grande sviluppo rispetto agli anni di Kruscev. Il tentativo di reprimere l'attività cosiddetta antisovietica risultò talvolta maldestro, si evitò di ricorrere ai metodi drastici del periodo staliniano, ma si presero una serie di misure, alcune delle quali, come il rifiuto di ritirare i riconoscimenti internazionali o l'impedire cure chirurgiche all'estero, scarsamente sensate.
 Nel 1966 gli scrittori Daniel e Siniawsky vennero arrestati e condannati, rispettiva-mente a 5 e 7 anni di lavori forzati per "propaganda antisovietica" (art.70 del codice penale) a causa di diverse pubblicazioni realizzate in parte attraverso editori europei e altre attraverso la stampa clandestina (fra le quali un saggio sul realismo socialista e racconti di varia natura di non interesse politico). La loro condanna non passò sotto silenzio né in Occidente, né presso gli intellettuali sovietici, che in una lettera collettiva ai vertici del partito e del Soviet Supremo, sottolinearono che il processo aveva causato un maggiore danno all'immagine dello stato che non le opere condannate in sé.
 Nell'anno successivo venne arrestato per propaganda e agitazione antisovietica Aleksander Ginzburg insieme ad altri tre letterati per aver diffuso un opuscolo sul processo Daniel-Sinjavskij; i quattro vennero condannati (dopo un poco credibile processo) a pene detentive fra gli 1 ed i 7 anni. L'azione repressiva ebbe vasta risonanza, e sostenitori dei letterati organizzarono una manifestazione di protesta in piazza Puskin a Mosca, in seguito a tale episodio le autorità sovietiche risorsero per combattere il dissenso prevalentemente all'internamento negli ospedali psichiatrici piuttosto che affrontare incredibili processi. 
 Nel 1970 Sacharov e altri eminenti uomini di cultura fondarono il Comitato per la difesa dei diritti civili e alcuni anni dopo si costituì il Gruppo di vigilanza sull'applicazione degli Accordi di Helsinki, entrambe le associazioni raggiunsero un'ampia diffusione nella Russia occidentale e nelle altre regioni più progredite del paese, e nonostante che la loro azione si svolgesse nella più rigorosa legalità, subirono pesanti repressioni.
 Il dissenso oltre a pubblicare clandestinamente le opere che non potevano accedere sulla stampa ufficiale, iniziò a denunciare sistematicamente le violazioni dei diritti umani e le persecuzioni a cui erano soggetti scrittori, artisti o semplici cittadini, per aver espresso opinioni difformi a quelle ufficiali. Sostenuti dall'opinione pubblica occidentale e negli ultimi anni dai partiti comunisti europei, le autorità sovietiche si trovarono in difficoltà a perseguitare oltre misura certi personaggi, nel timore di perdere i crediti e le agevolazioni commerciali con l'Occidente di cui la nazione aveva bisogno. Nel 1970 e nel 1975 Solgenitsin e Sacharov vennero conferiti del premio Nobel come riconoscimento alla attività culturale svolta e al coraggio con cui portarono avanti le loro idee; l'alta onorificenza fece capire al paese che non si trattava di fomentatori, come la stampa ufficiale li riteneva, ma di uomini apprezzati nel resto dell'Europa per le loro idee, e che contro di essi il regime era ricorso alla menzogna. Dato il grande rilievo di cui godevano i due eminenti uomini di cultura, furono oggetto di una limitata repressione. Solgenitsin venne inviato in esilio dove si riteneva non potesse nuocere e Sacharov confinato a Gorkj, soggetto al controllo ventiquattro ore su ventiquattro della polizia segreta.
 Tre furono le principali correnti di pensiero del dissenso: i socialisti anche marxisti, che pretendevano un maggiore pluralismo e un maggiore impegno nella lotta alla corruzione, i liberaldemocratici di cui il massimo esponente fu Sacharov e chiedevano uno stato realmente democratico sul modello occidentale, e i cristiani democratici come Solgenitsin che sentivano l'esigenza di una maggiore spiritualità negata dalle istituzioni. Numerosi furono i dissidenti "minori" come il letterato Amalrik, che in un famoso libro parlò della dissolu¬zione dell'Unione Sovietica, Vladimir Maksimov, che descrisse i mali della società sovietica, il matematico Pliusch che subì il peggiore trattamento; lo scienziato venne licenziato nel 1968 dall'Accademia delle Scienze per una lettera inviata alla Pravda contro la condanna di due dissidenti, e successivamente internato in un ospedale psichiatrico per propaganda antisovietica dove fu oggetto di trattamenti forzati a base di farmaci con gravi conseguenze sul sistema nervoso, e vittima di mezzi di correzione che costituivano autentiche torture.
 Non solo gli intellettuali si impegnarono nella contestazione del regime, sfidando apertamente la repressione, ma anche gruppi di cittadini insoddisfatti della situazione politica; nel dicembre del 1965 si tenne a Mosca una manifestazione, non grande ma spontanea, per il rispetto dei diritti costituzionali e le libertà dell'individuo, e nel 1968 in Piazza Rossa contro la soppressione del comunismo "dal volto umano" in Cecoslovacchia. Le notizie riguardanti agitazioni in Unione Sovietica sono ovviamente frammentarie e molte probabilmente non hanno mai raggiunto l'Occidente; il noto dissidente Petr Grigorenko in una lettera al Procuratore Generale dell'URSS denunciò l'aggressione poliziesca contro una pacifica manifestazione dei Tatari di Circik avvenuta nell'aprile del 1968.
 Anche se il regime non ricorse ai metodi staliniani, non mancarono alcuni casi di azione repressiva feroce o di ricorso all'illegalità; nel 1970 un piccolo gruppo di ebrei che aveva tentato di abbandonare il paese subì 9 severissime condanne detentive e 2 condanne alla pena capitale. Nel 1979 infine vennero condannati a morte tre presunti nazionalisti per l'attentato alla metropolitana di Mosca, in un processo in cui l'esigenza di mostrare il rigore dello stato passò sopra la fondatezza delle prove. Dissidenti e persone ritenute scomode dal regime vennero perseguitate anche all'estero; nel 1966 si ebbe un tentativo da parte del KGB di rapire e riportare in patria la figlia di Stalin Svetlana fuggita in precedenza dall'Unione Sovietica.
 Molto diffuso risultò poi il dissenso per motivi religiosi, specie fra i cattolici lituani, (nel 1972 un credente si diede fuoco per protesta), gli ebrei, capro espiatorio dei nazionalisti russi più intransigenti, i battisti e altri gruppi religiosi come gli islamici non allineati, mentre relativamente tollerata fu la chiesa ortodossa, in larga parte controllata dal regime. Il dissenso sovietico ha costituito un significativo evento nel mondo comunista e in Occidente, l'opera di Solgenitsin in particolare, ha costituito un grande avvenimento culturale del nostro secolo e ha dato un contribuito alla caduta del comunismo in maniera notevolmente superiore a quanto generalmente si può ritenere.

 

 Un'evidente frattura si è manifestata in seno ai paesi dell'Est fra i paesi relativamente industrializzati, Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia, che hanno sperimentato, particolarmente quest'ultima, nel periodo fra le due guerre istituzioni democratiche e i paesi slavi del sud, nei quali più forti è stata la rassegnazione verso la dittatura.
 La Bulgaria è stato il paese dove minori sono state le proteste interne contro il regime; successivamente alla destituzione di Chervenkov il paese si è affrancato dallo stalinismo, senza comunque modificare di molto la sua politica e rimanendo l'alleato più fedele dell'URSS. Il regime ricorse anche qui ai peggiori sistemi di potere, e nel 1978 il noto dissidente lgaro Markov venne ucciso all'estero ad opera di agenti al servizio del KGB, con l'uso di sofisticati mezzi di morte.
 La Romania, il paese più povero dei paesi satelliti dell'URSS, con oltre un terzo della popolazione impegnata nell'agricoltura, non ha conosciuto un vasto fenomeno del dissenso, tuttavia il paese è stato protagonista di una imponente svolta. Nel 1958 il governo di Gheorghiu Dej richiese e ottenne il ritiro delle forze d'occupazione sovietiche, la cui permanenza non era giustificata da questioni internazionali. La nuova linea politica venne confermata dal successore Ceausescu, che prese posizioni divergenti rispetto al paese guida e sviluppò relazioni di amicizia con la Jugoslavia. Il governo di Bucarest si mantenne estraneo alla polemica cino-sovietica, migliorò i rapporti commerciali con l'Occidente, stabilì autonome relazioni diplomatiche con la Germania di Bonn, e rifiutò di partecipare con proprie truppe all'invasione della Cecoslovacchia. Nel 1964 il Comitato Centrale del PC romeno affermò con intransigenza il principio di non ingerenza di un paese socialista nei confronti di un paese alleato. Gli avvenimenti di quegli anni ebbero però un significato profondamente diverso da quelli cecoslovacchi; all'interno del paese venne mantenuto un rigido sistema repressivo, e a causa della disastrata situazione economica del paese vennero imposte pesanti misure economiche, abolizione del salario minimo, riduzione del potere d'acquisto dei redditi reali, razionamento alimentare, che portarono il paese vicino al collasso.

 Delle diverse vicende dell'Unione Sovietica, e dell'intero blocco comunista, l'invasione della Cecoslovacchia, condotta da parte di tutti i paesi del Patto di Varsavia con l’eccezione della Romania, rappresentò l'avvenimento più grave. Nella Cecoslovacchia del '68 vi era un movimento che non intendeva minacciare l'assetto del blocco comunista o portare il paese fuori dall'alleanza sovietica, (diversamente dall'Ungheria del '56), ma realizzare una nuova forma di socialismo.
 Ci sarebbe da chiedersi perché la "primavera di Praga" sia stata repressa con brutalità, perché furono Gomulka e Ulbricht i maggiori sostenitori dell'intervento armato, e perché la Romania, che aveva compiuto scelte di politica estera e militare che andavano ben oltre quelle del governo di Praga, non abbia subito la stessa sorte. Il quesito dovrebbe far ritenere che i dirigenti comunisti ritenessero la libertà di stampa, la più importante delle riforme di Dubcek, più temibile dell'uscita di fatto dall'alleanza militare del governo di Ceausescu; dobbiamo infatti ricordare che nei regimi contrari al nuovo corso socialista la corruzione e il privilegio della classe al potere avevano molto da temere da una stampa non controllata. Secondo il noto dissidente Anatoli Marcenko la causa dell'invasione era da ricercarsi nel timore della diffusione dei principi della primavera di Praga a tutto il mondo comunista, "I nostri dirigenti" sostenne "non sono soltanto preoccupati, sono spaventati, e questo non perché l'evoluzione della Cecoslovacchia minacci lo sviluppo del socialismo o la sicurezza delle nazioni del Patto di Varsavia, ma perché rischia di troncare l'autorità dei dirigenti di questi paesi e di gettare il discredito sui principi e sui metodi stessi di governo che regnano oggi nel campo socialista" .
 La Cecoslovacchia con un reddito nazionale pro capite di oltre 5.000 dollari l'anno, risorse minerarie notevoli e affermate industrie, costituiva il paese più progredito dell'Europa orientale, e quello dove maggiormente era sentito il disagio per la dittatura. In seguito ad una situazione di diffuso malcontento, popolare e intellettuale, inasprito dalle difficoltà economiche del paese, nel gennaio del 1968 il segretario del partito, il conservatore ed ex stalinista Novotny, venne sostituito dal giovane dirigente slovacco, già alto esponente della resistenza antinazista, Alexander Dubcek che introdusse nel corso di sei mesi alcune importanti riforme economiche e politiche.
 In quel periodo che passò alla storia come la "primavera di Praga", venne abolita la censura e consentita la libertà di stampa, denunciati i responsabili delle gravi persecuzioni degli anni precedenti, introdotto il diritto di sciopero e la facoltà del cittadino di spostarsi anche fuori dal paese senza restrizioni, liberati infine coloro che avevano subito condanne per reati politici, innovazioni che consentirono all'opposizione di far sentire la propria voce. La più importante iniziativa di questa fu la pubblicazione di un appello, il "Manifesto delle 2000 parole" sottoscritto da decine di migliaia di cittadini in cui si affermava che il partito comunista "da partito politico e organizzazione di idee, era diventato un organo di potere e una forza d'attrazione per egoisti ambiziosi, pusillanimi, e gente dalla coscienza sporca" . Nei mesi successivi Dubcek promosse una riforma dell'organizzazione interna del partito che consentiva un maggiore dibattito e un rinnovamento del programma favorevole ad un maggiore pluralismo e alla distensione nel campo internazionale.
 Nel corso dei mesi di giugno e luglio divenne intensa l'attività diplomatica all'interno del mondo comunista e le manovre militari del Patto di Varsavia ai confini della repubblica dissidente. Dubcek venne convocato dai dirigenti di Mosca ai quali assicurò che le riforme avevano un carattere puramente interno, che la Cecoslovacchia manteneva intatti i suoi impegni nel COMECON e nel Patto di Varsavia, ed escludeva che si arrivasse, come in Ungheria nel '56, ad una contestazione aperta del comunismo e dei sovietici. All'interno del mondo comunista Tito e Ceausescu fecero conoscere il loro punto di vista favorevole alle riforme cecoslovacche che comunque non poté influenzare gli avvenimenti successivi. Nel luglio l'intero Politburo dell'URSS si recò a Praga dove venne intimata una inversione di rotta che non fu accettata da nessuno dei dirigenti di Praga. Nella notte fra il 20 e il 21 agosto iniziò l'invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe di Unione Sovietica, Polonia, Ungheria, Bulgaria avvenuta senza incontrare resistenza da parte dell'esercito cecoslovacco per espresso ordine del governo. Cechi e Slovacchi evitarono che la tragedia sfociasse in un bagno di sangue e si limitarono ad una resistenza passiva non collaborando con gli invasori. L'occupazione del paese fu un operazione non difficile, ma reclutare chi fosse disposto a collaborare alla amministrazione del paese secondo le direttive di Mosca non fu altrettanto facile. Dubcek e altri dirigenti del partito già dalle prime ore vennero arrestati e condotti a Mosca ma il capo dello stato Ludvik Svoboda, e il Comitato Centrale del partito si rifiutarono di collaborare con gli invasori e di annullare le riforme dei mesi precedenti. Per i sovietici esisteva la minaccia che la Cecoslovacchia scivolasse verso il disordine e il capitalismo; secondo il ministro degli esteri Gromiko "Le forze legate al vecchio sistema" ritenevano di "attuare un colpo di stato avvalendosi a questo fine di persone infiltrate nell'apparato dello stato. Ovviamente i nemici della nuova Cecoslovacchia avevano anche ricevuto aiuti dall'esterno, così come era successo in Ungheria nel 1956" .
 I sovietici furono quindi costretti a negoziare con Dubcek (che venne rilasciato il 27 agosto) e si giunse ad un parziale annullamento delle riforme, ma per diversi mesi la situazione rimase estremamente confusa. Successivamente il dirigente comunista cecoslovacco Gustav Husak, che in precedenza aveva contribuito alle riforme, si dimostrò disponi-bile alle richieste sovietiche e alla normalizzazione imposto dai sovietici; progressivamente i dirigenti riformisti vennero esautorati, e la Cecoslovacchia rientrò nell'alveo politico tracciato da Mosca. Epilogo dei drammatici eventi fu il suicidio in piazza Venceslao, nel cuore di Praga, di un giovane universitario, Jan Palach, come protesta per la repressione sovietica, i funerali diventarono l'occasione per una protesta di massa con la partecipazione di mezzo milione di cittadini; nella primavera dell'anno successivo si ebbero nuove imponenti manifestazioni, scioperi e occupazioni di università; ad esse il nuovo regime rispose con l'espulsione di oltre 300.000 iscritti dal PC cecoslovacco perché ritenuti sostenitori di Dubcek, e negli anni successivi venne dato seguito a numerosi processi contro i principali esponenti della primavera di Praga.

 Nel '58 quando la situazione era ormai tornata alla normalità in Ungheria si ebbe la fucilazione di Imre Nagy, il generale Malater e altri esponenti minori degli avvenimenti del '56; le esecuzioni considerate inopportune, portarono ad un peggioramento dei rapporti con la Jugoslavia; comunque nel 1962 venne definitivamente allontanato dal potere il vecchio stalinista Rakosi, e una relativa tolleranza politica si diffuse progressivamente nel paese, soprattutto dal 1968, che consentì una discreta prosperità economica.
 Negli anni Sessanta in Polonia si ebbero alcune importanti riforme economiche e politiche; la collettivizzazione dell'agricoltura venne abbandonata, vennero intensificati i rapporti con l'estero e ricercata una intesa con la chiesa cattolica che nel paese godeva di un grande ascendente. Nel 1968 parallelamente al movimento riformistico nella vicina Cecoslovacchia, si ebbero numerose manifestazioni studentesche dirette contro il regime che vennero represse duramente, e costarono la vita a diversi manifestanti. Nel 1970 in seguito alla crisi econo¬mica, alla scarsità e all'aumento dei prezzi dei generi alimentari, si verificarono scioperi e manifestazioni operaie a Danzica e nelle altre grandi città industriali; le agitazioni vennero soffocate nel sangue (il numero delle vittime è sconosciuto), ma la protesta provocò comunque la caduta di Gomulka. L'anziano esponente venne sostituito alla guida del partito da Gierek che attuò alcune misure di liberalizzazione e dei provvedimenti favorevoli agli operai, (blocco dei prezzi dei principali beni di consumo, riduzione dell'orario di lavoro), che non contribuirono comunque alla ripresa produttiva e al miglioramento dell'economia. Da quell'anno in poi la Polonia venne investita da ricorrenti agitazioni sociali, alle quali il governo rispose con diversi provvedimenti sul contenimento dei prezzi, l'intensificazione degli scambi con l'Occidente, e una maggiore autonomia alle imprese, iniziative che tuttavia si rivelarono inefficaci e non portarono ad un risanamento dell'economia.
 

 

L'OCCIDENTE IN CRISI

 

 


 Crisi di valori e crisi economica furono la caratteristica principale dell'Europa e dell'America nel periodo che va della fine degli anni Sessanta all'inizio degli '80. La fine di un ventennio di crescita economica come mai la storia aveva conosciuto, aggravato dall'improvviso balzo del prezzo del petrolio e delle materie prime di cui le economie occidentali necessitavano, fu all'origine della stagnazione economica, dell'aumento della disoccupazio¬ne e dell'inflazione, ma anche di una perdita di fiducia in numerosi ideali in Europa come in Nord America, che diede origine alla contestazione giovanile.
 Il 1968 fu l'anno della agitazione studentesca in tutto il mondo occidentale, protesta che tuttavia ha avuto nei due continenti ispirazioni politiche e obbiettivi diversi; mentre in Europa sono prevalsi movimenti politici che richiedevano una revisione radicale dell'assetto sociale, in America, ma anche in Inghilterra, la protesta ha avuto obbiettivi e finalità più concrete che toccavano i diritti fondamentali dell'uomo, più che gli aspetti economici dello stato.
 In diversi paesi europei si è avuta la nascita di movimenti marxisti che iniziarono a contestare non solo le forze tradizionali del potere, ma anche le organizzazioni ufficiali del movimento comunista e operaio, per la loro disciplina partitica, il loro centralismo decisionale, la loro politica troppo legata al mondo comunista dell'Est, mondo che non rappresentava più un mito per gli ambienti giovanili. Molti di questi movimenti ripudiavano il modello democratico occidentale ma contestavano o ignoravano, nel migliore dei casi il modello sovietico; l'intervento militare sovietico a Praga avvenuto nello stesso anno era un avveni-mento troppo grave e troppo sentito perché potesse passare sotto silenzio. I gruppi extraparlamentari di sinistra nati in quel periodo, si richiamavano quindi alla Cina della Rivoluzione Culturale con il suo presunto spontaneismo di massa, ai movimenti marxisti guerriglieri dell'America Latina, simpatizzavano in altri casi per il Terzo Mondo e per i movimenti neutralistici dei paesi non allineati. Riprendendo un asserto maoista si riteneva che il concetto di lotta di classe tradizionale, che in quegli anni entrava in crisi per i progressi economici del proletariato, dovesse essere trasferito nell'antagonismo fra nazioni povere e nazioni ricche.
 La diffusione del benessere, la redistribuzione del reddito, e i fenomeni sociali dell'inurbamento e dell'industrializzazione, furono alla base di quella che venne chiamata la società dei consumi, che insieme ad alcune innovazioni nella vita quotidiana portò con sé una serie di miti e di status symbol ritenuti meno felici. Da qui la nacque la critica nei confronti di una società opulenta, consumistica dedita prevalentemente al profitto, (anche se la vita relativamente sobria degli uomini di finanza europei e nordamericani rispetto a certi magnati arabi o latino americani farebbe pensare diversamente), ma la critica trovava largo consenso anche fra diversi intellettuali come Marcuse, che aveva messo in luce i limiti della società industrializzata sulla creatività umana, e Sartre, il filosofo della libertà e della coscienza umana. Erich Fromm un altro stimato autore di quegli anni, sosteneva: "Nello sviluppo, sia del capitalismo sia del comunismo come possiamo prevederlo nei prossimi 50 o 100 anni il processo di automizzazione e di alienazione continuerà. Entrambi i sistemi stanno sviluppandosi in società manageriali i cui abitanti, ben nutriti, ben vestiti vedono soddisfatti i loro desideri e non hanno desideri che non possano essere soddisfatti, automi che seguono senza essere forzati, che sono guidati senza capi, che fabbricano macchine che si comportano come uomini, e producono uomini che si comportano come macchine; uomini la cui ragione decade mentre aumenta l'intelligenza creando così la situazione di dotare l'uomo dei più grandi poteri materiali senza la sapienza per usarli... L'uomo di oggi è posto di fronte alla scelta più decisiva: non quella fra capitalismo e comunismo, ma quella tra robotismo (sia del tipo capitalistico sia di quello comunista) o socialismo umanistico comunitario".
 Altri temi dibattuti in quegli anni erano la questione ecologica, il degrado delle metropoli, l'alienazione del lavoro moderno, il problema dei paesi in via di sviluppo e dei rapporti con i paesi cosiddetti avanzati. Non mancarono movimenti di contestazione a sfondo religioso che si richiamavano a numerosi gruppi confessionali ispirati a ideali di uguaglianza, pacifismo, fratellanza; comunità piccole e grandi che si ponevano al di fuori della società e delle sue regole, interessati a creare una nuova forma di convivenza sociale.
 Una componente dei movimenti giovanili nati dalla contestazione fu il fideismo, e tale tendenza portò in un periodo successivo ad atti di violenza, all'idea che si potesse e si dovesse fare giustizia da soli degli avversari politici. Questo fenomeno, che interessò comunque solo una parte del movimento, costituì la causa dell'esaurirsi della protesta, del riflusso, e del successivo ritorno nel "privato" degli anni '80.
 I gruppi di contestazione hanno notevolmente influenzato la politica estera dei paesi europei e del Nord America. Il pacifismo e il problema dei rapporti nord-sud ebbero grande importanza, ma il tema maggiormente dibattuto fu quello del Vietnam che suscitò notevoli manifestazioni al di qua e al di là dell'Oceano. Contro l'intervento americano in Indocina si ebbero grandi dimostrazioni in Francia, Gran Bretagna, Italia, Germania e particolarmente numerose negli Stati Uniti. Alcuni contestavano l'intervento in nome del pacifismo e contro la guerra in sé, altri in Europa specialmente, perché ritenevano che quello americano costituisse un atto di imperialismo e una minaccia per il mondo.

 Negli anni Cinquanta e '60 gli stati europei, grazie anche alla creazione del Mercato Comune, avevano presentato un tasso di sviluppo economico elevato, superiore a quello degli Stati Uniti. Nel 1955 l'economia USA rappresentava il 33% della ricchezza mondiale mentre l'Europa e il Giappone il 28%, nel 1970 la prima rappresentava il 26% ed i secondi il 36% La crescita economica dei paesi europei non aveva precedenti nella storia, il tasso di crescita del PIL annuo fra il 1953 e il 1973 per i 14 paesi europei era stato del 4,8% contro una media del 2% degli anni precedenti la guerra. Sebbene alla fine degli anni Sessanta la crescita economica fosse stata leggermente inferiore a quella del decennio precedente, l'economia europea godeva di un ottima salute, mentre gli Stati Uniti avevano avuto alcuni problemi. Il paese nordamericano presentava un deficit commerciale notevole, e nell'estate del 1971 il governo decise a causa di tale situazione, di sospendere la convertibilità del dollaro in oro, di svalutare la propria moneta, e di porre alcuni misure per frenare le importazioni, provocando la fine degli accordi di Bretton Woods e la fine del regime di cambi fissi fra le valute, già messo in crisi da precedenti misure adottate dalle autorità di Bonn relative al marco. Con tali misure gli Stati Uniti rinunciavano al ruolo di centro dell'economia mondiale, fortemente contestato negli anni precedenti dal governo De Gaulle, ma ottenevano una significativa riduzione del disavanzo commerciale con l'estero. La situazione conosceva una improvvisa svolta in tutto il mondo occidentale nel '73 a seguito della guerra arabo-israeliana che provocava una ritorsione di estrema gravità contro i paesi europei, gli Stati Unti e il Giappone.


  Nel 1973 si verificò il più importante tentativo da parte di paesi extraeuropei di costringere i paesi industrializzati ad un radicale mutamento negli scambi commerciali. In quell'autunno i paesi dell'OPEC, la cui maggioranza era formata da paesi arabi mediorientali, stabilivano il loro diktat sui paesi industrializzati e sui paesi poveri di risorse petrolifere portando il prezzo del petrolio da 3 a oltre 11 dollari il barile, e adottando altre misure di ritorsione contro i paesi che ritenevano filo israeliani. I paesi produttori di petrolio decretarono l'embargo nei confronti di Stati Uniti, Olanda, Portogallo, Sudafrica, Rhodesia, e la riduzione progressiva delle vendite contro gli altri paesi europei, Francia esclusa; in realtà i paesi europei avevano tenuto una posizione sostanzialmente moderata nel conflitto arabo-israeliano, e avevano contribuito a ridurre l'umiliante disfatta militare dell'Egitto.
 Il petrolio ha costituito il tallone d'Achille dei paesi industrializzati, e a differenza di altri prodotti come il carbone, la sua distribuzione si presenta concentrata in poche zone geografiche (quella mediorientale rappresenta circa un terzo della produzione mondiale di greggio) e i paesi riuniti nel cartello dell'OPEC si sono serviti di tale situazione con grande abilità per strappare prezzi sempre più elevati; il prezzo del greggio è così passato dai 16,67 dollari al barile nel '74, agli oltre 40 nel 1980, per poi stabilizzarsi a 34-38 dollari nel periodo successivo.
 Alla conferenza di Algeri del movimento dei paesi non allineati dell'aprile 1974, su istanza del presidente algerino Boumedienne, venne stabilito un altro principio in contrasto con lo spirito di collaborazione internazionale, il diritto alla nazionalizzazione delle società straniere, anche senza accordo con i paesi industrializzati, e il diritto di stabilire autonomamente l'ammontare dell'indennizzo. Politica che non ha portato significativi vantaggi per quei paesi, ma ha provocato invece una riduzione degli investimenti stranieri nei paesi afroasiatici.
 La crisi economica provocata dal rialzo dei prezzi delle materie prime si fece sentire soprattutto in Europa e in Giappone (ma anche nei paesi poveri del Terzo Mondo) nei quali il tasso di crescita del PIL subì una sensibile battuta d'arresto. Nei paesi della CEE il petrolio che rappresentava nel 1950 il 10% delle fonti di energia, nel 1973 arrivava a costituire il 64% del fabbisogno interno. Di fronte alla iniziativa dei paesi produttori di petrolio la reazione europea fu debole e inefficace. Gli Stati Uniti proposero, su iniziativa del Segretario di Stato Henry Kissinger, di costituire un fronte unico dei paesi consumatori di petrolio da contrapporre all'OPEC, ma l'iniziativa non trovò l'appoggio di Francia e Giappone. Nonostante alcune misure di risparmio energetico e di diversificazione delle fonti energetiche (che introdussero un nuovo elemento nel dibattito politico culturale di quegli anni) la crisi fece sentire i suoi effetti attraverso l'inflazione, l'aumento della disoccupazione e il calo produttivo delle industrie del settore automobilistico e chimico, crisi dalla quale l'Europa ne uscì con difficoltà anche dopo la cessazione delle cause.
 Il rialzo dei prezzi delle materie prime non favorì l'economia dei paesi produttori. I paesi dell'OPEC non furono in grado di utilizzare la grande massa di ricchezza accumulata (i cosiddetti petrodollari) né per favorire lo sviluppo interno né per acquistare un ruolo superiore nel sistema economico mondiale. Gli acquisti di partecipazioni azionarie nelle grandi compagnie industriali e finanziarie mondiali non furono organizzate con oculatezza e le redini del capitalismo internazionale rimasero nelle mani di europei e americani. Un'altra parte rilevante dei petrodollari vennero destinati per l'acquisto di armi e di beni destinati all'esclu-sivo beneficio di poche categorie privilegiate, gli sceicchi e i dittatori mediorientali, mentre le popolazioni e l'economia di quei paesi non risentirono del grande afflusso di capitali. Si è così avuto il paradosso di paesi del Terzo Mondo con arretrate strutture economiche ed elevato tasso analfabetismo, che presentano un PIL non diverso da quello dei paesi afroasiatici “ricchi”.
 Nel corso degli anni Settanta un nuovo elemento veniva a contribuire alla crisi economica esistente, l'aumento del costo del lavoro; in seguito alle agitazioni sociali di quegli anni e la legislazione sociale eccessivamente rigida rispetto alle fluttuazioni del mercato, si aveva un incremento della disoccupazione e della crescita incontrollata della spesa pubblica. Questi fattori mettevano in crisi la stabilità monetaria internazionale e davano vita ad un periodo estremamente agitato con significativi risvolti sul piano politico.
 La crisi economica e la crisi di valori innescata dal movimento sessantottesco, contribuivano non poco allo sviluppo delle vicende successive, ad una politica più attenta alle esigenze sociali, al maggiore ruolo dello stato nell'economia, e nel campo della politica estera, a iniziative di distensione internazionale. 

 

 Una grande prova attendeva la Francia gollista nel 1968, con una serie di grandi agitazioni studentesche e operaie, che passarono alla storia come il "maggio francese"; tali avvenimenti misero in difficoltà il governo De Gaulle, ma successivamente le forze golliste ne uscirono fuori con successo senza eccessive difficoltà. Gli scontri fra studenti universitari parigini e forze dell'ordine nella primavera di quell'anno si intensificarono progressivamente finché nel mese di maggio il Quartiere Latino nella capitale francese si trasformava in un campo di battaglia; in un primo momento i partiti della sinistra mantennero un atteggiamento di indifferenza se non di latente ostilità di fronte alle richieste di un movimento poco controllabile, ma successivamente quando il fenomeno raggiunse grandi proporzioni dovettero modificare il loro atteggiamento. Il 12 maggio si tenne nel centro di Parigi una colossale manifestazione con la partecipazione di oltre 600.000 fra studenti e cittadini che protestavano contro la riforma dell'università presentata dal governo gollista e per una maggiore libertà in generale nelle istituzioni del paese. Nei giorni succes¬sivi la protesta si allargò al mondo del lavoro con scioperi, manifestazioni e occupazioni di fabbriche alle quali parteciparono circa 10 milioni di lavoratori. La Francia si avviava verso una situazione preinsurrezionale, quando il 30 maggio, dopo consultazioni con i militari per motivi di ordine pubblico, De Gaulle annunciava le elezioni anticipate e veniva organizzata ai Champs Elises una grande contromanifestazione di sostenitori del governo gollista per il ritorno all'ordine. Le elezioni rappresentarono una vittoria senza precedenti dei gollisti e della cosiddetta "maggioranza silenziosa", l'Unione gollista con il 47% dei voti ottenne la maggioranza assoluta mentre i partiti di sinistra che avevano sostenuto le agitazioni conseguirono un sensibile ridimensionamento. Un anno dopo tuttavia i gollisti persero un referendum sulla riforma del Senato e l'ordinamento regionale, De Gaulle diede le dimissioni (anche se non dovute) e si tennero nuove elezioni presidenziali, che videro l'affermazione di Pompidou, già primo ministro sotto l'anziano generale.
 Il successore di De Gaulle fu soprattutto un moderato che tentò di ricucire i numerosi strappi prodotti negli anni passati. Venne consentito alla Gran Bretagna l'ingresso nella CEE, e approvata la svalutazione del franco che già da tempo risultava in difficoltà, provvedimento che permise una ripresa delle esportazioni, e il rilancio di tutto il settore industriale. Il nuovo governo promosse infine un maggiore decentramento amministrativo, alcune riforme a favore delle categorie economiche più deboli e per una maggiore partecipazione dei lavoratori alla vita aziendale.
 Nel campo della politica estera, la politica di grandeur della Francia non aveva dato grandi risultati né aveva favorito l'economia. Pompidou si impegnò per una diversa politica, fu il primo capo di stato dell'Europa a incontrare in visita ufficiale i capi di Pechino, con i quali venne concluso un trattato di collaborazione, ad aprire alla Libia di Gheddafi (con la quale venne sottoscritto un accordo per la vendita di armi), e ad adoperarsi per l'intensificazione degli scambi con l'Unione Sovietica. Scomparso improvvisamente il capo dello stato nel '74, gli succedette il centrista liberale Giscard, che intraprese alcune significative riforme in materia di divorzio, aborto, sistema scolastico, ecologia. Sul piano internazionale, gli obbiettivi fondamentali di quegli anni furono il riavvici¬namento alla politica atlantista, la collaborazione con la Germania, un maggiore europeismo; le difficoltà nei rapporti con i gollisti, ed alcuni scandali di governo nell'81, provocarono un cambiamento politico e  consentirono per la prima volta nella storia del dopoguerra la vittoria delle sinistre.

 Nonostante la riduzione degli impegni internazionali la situazione economica della Gran Bretagna rimaneva difficile, e ciò spinse il governo laburista di Wilson a una nuova svalutazione della sterlina, e al rinnovo della richiesta di ingresso nella CEE. La questione dell'adesione alla CEE era molto sentita in patria e all'estero; per i paesi dell'EFTA e del Commonwealth rappresentava la perdita del maggiore partner, ma per l'economia inglese risultava impossibile sostenere l'esclusione dalla rete di scambi commerciali del continente, anche se ciò significò un minore ruolo internazionale.

  Il governo Wilson promosse alcune importanti riforme in materia di diritti civili fra le quali l'abolizione della pena di morte, e la legge contro le discriminazioni razziali; in campo di politica estera venne decisa la soppressione delle basi militari a oriente di Suez ma vennero mantenuti inalterati gli impegni all'interno dell'alleanza atlantica. Dopo un breve ritorno al potere dei conservatori con Edward Heath nel 1970, contrassegnato da un duro braccio di ferro con i minatori in sciopero, si ebbe nel 1974 un nuovo governo laburista presieduto da Wilson. Il periodo successivo fu contrassegnato da ulteriori difficoltà economiche (l'inflazione raggiunse il 27% nel '75), nonché da problemi razziali per l'aumento degli immigrati di colore, dal riaccendersi della questione irlandese  e del terrorismo che da alcuni anni aveva ripreso a sconvolgere il paese.

 Il progressivo distacco dei socialisti dal partito comunista consentì nel 1962 la costituzione del primo dei governi di centrosinistra in Italia. Vennero attuate nel corso degli anni successivi diverse riforme, nazionalizzazione dell'energia elettrica, legge sul divorzio (che costituì il primo grande insuccesso della Democrazia Cristiana), realizzazione del decentramento amministrativo con la istituzione delle regioni, e infine intensificata la presenza dello stato nell'economia attraverso le partecipazioni statali e un maggiore controllo sull'attività economica, che comunque non impedirono un rallentamento nella crescita del reddito nazionale.
 Mentre l'ondata di agitazioni del '68 nel resto del continente europeo si avviava a spegnersi, nel nostro paese gli scioperi e le manifestazioni continuarono per buona parte degli anni Settanta, portando all'Italia alcune innovazioni legislative a favore dei lavoratori, ma anche al primato in Europa per ore lavorative perdute e aumento del costo del lavoro, che furono all'origine della ripresa dell'inflazione e della stagnazione economica.
 La forte e costante avanzata elettorale del partito comunista, e il prevalere delle correnti più democratiche all'interno di esso, favorì negli anni compresi fra il 1976 e il 1980 la partecipazione al potere dei comunisti; l'ingresso di questi in alcuni importanti posti di potere produsse una certa diffidenza da parte della borghesia moderata, ma anche una disaffezione dell'elettorato tradizionale operaio nei confronti del rinnovato PCI. L'Italia degli anni Settanta era sempre più un paese dei ceti medi, e questo venne compreso dalla nuova generazione comunista che cercò di rinnovare il programma di governo e rassicurare l'elettorato conservatore, come anche gli alleati occidentali; l'esperienza di governo si chiuse comunque dopo pochi anni, una gestione poco innovativa negli organi locali, e l'allontanamento del partito socialista su posizioni più moderate, riportò ad un relativo isolamento del PCI.
 La grande novità a metà degli anni '70 fu il rinnovamento del programma politico dei partiti comunisti dell'Europa occidentale, particolarmente di quelli italiano, francese e spagnolo, i quali allentarono i loro rapporti con il mondo sovietico e diedero vita al cosiddetto eurocomunismo. Molti comunisti erano sinceramente convinti della validità di un comunismo pluralista e non contrario ai principi dell'economia di mercato, e in molti casi non mancarono esplicite disapprovazioni del comunismo sovietico come nel caso dell'invasione dell'Afghanistan (anche se non venne condannata dal PCF), tuttavia rimaneva una certa ambiguità. Il nuovo comunismo, non più rigidamente leninista, si accontentava di alcune riforme del modello comunista senza respingere in forma piena il regime totalitario affermatosi in URSS, come invece fecero in quegli anni un gruppo di intellettuali francesi che negli anni precedenti avevano militato nella sinistra, i noveaux philosopes.

 Il periodo compreso fra la fine degli anni Sessanta e la metà degli anni Settanta, costituì un periodo particolarmente importante per la Germania, con grandi ripercussioni per gli altri paesi europei e la politica mondiale. Concluso nel '66 il breve cancellierato di Erhard, per la prima volta i socialdemocratici parteciparono al potere, in accordo coi democratico cristiani, dando vita alla cosiddetta Grande Coalizione.
 La Germania Federale dalle sue origini si considerava come l'unica rappresentante legittima del popolo tedesco, in base a tale principio, sostenuto anche dagli altri paesi occidentali, il governo di Bonn aveva stabilito (la cosiddetta dottrina Hallstein) che non vi fossero relazioni diplomatiche con quelle nazioni che avessero riconosciuto il governo di Pankow. Il nuovo governo presieduto da Kiesinger e con il socialdemocratico Brandt al ministero degli esteri, diede vita ad una diversa politica avviando intese diplomatiche e commerciali con alcuni paesi dell'Est (la Romania in particolare) con i quali in precedenza non aveva alcun genere di rapporto. Un minore impegno atlantista d'altra parte era stato accettato anche dai democratico cristiani, che nel '63 avevano sottoscritto il trattato di cooperazione con il governo francese De Gaulle.
   Il partito socialdemocratico tedesco, profondamente rinnovato dopo l'approvazione del programma di Bad Godesberg (1959), che prevedeva una rinuncia a larga parte dell'impostazione marxista, riportò una vittoria, sia pure di misura, alle elezioni del 1969, risultato che consentì la costituzione di un governo composto da socialdemocratici e liberali presieduto da Willy Brandt. La politica di apertura verso i paesi dell'Est, la cosiddetta Östpolitik, rappre¬sentò la principale caratteristica di questo governo. Attraverso incontri con il governo russo, quello polacco, e colloqui diretti con i capi della DDR, si giunse ad un nuovo status della Germania e di quello di Berlino che consentì significativi progressi sulla via della distensione internazionale. Vi furono quindi numerose obiezioni nel paese, i cristiano democratici e alcuni liberali non condivisero la scelta di Brandt, ma la mozione di sfiducia presentata in parlamento nell'aprile del '72 contro il cancelliere per pochi voti non ottenne la maggioranza. Alle elezioni del novembre dello stesso anno i socialdemocratici migliorarono inoltre il precedente risultato elettorale passando dal 43% al 46% dei voti.
 Sul piano della politica interna il governo Brandt si mosse con molta prudenza, si fece sostenitore della cogestione nelle fabbriche e di numerose riforme che vennero attuate tuttavia con molta moderazione. La politica del governo socialdemocratico tedesco ottenne numeroso riconoscimenti internazionali, e lo stesso Brandt nel 1971 venne insignito del premio Nobel per la pace, tuttavia tre anni dopo fu costretto alle dimissioni per gli atti di spionaggio di un suo stretto collaboratore. Helmut Schmidt Il nuovo cancelliere, esponente dell'ala moderata dell'SPD, dovette affrontare il problema del terrorismo, la nascita a sinistra del gruppo dei Verdi, e una situazione internazionale divenuta difficile. Negli anni successivi alla caduta del governo Brandt il dialogo e la cooperazione economica fra le due Germanie non venne meno. Questa politica risultò proficua per la DDR (che necessitava di tecnologie occidentali) ma non determinò alcun cambiamento nella politica interna del paese tedesco orientale. All'interno della DDR continuava la politica di repressione nei confronti degli oppositori; nel '67 lo scienziato tedesco orientale Robert Havemann venne espulso dall'Accademia di Scienze e privato dell'insegnamento per le critiche espresse al regime; nel '76 venne allontanato dall'associazione degli scrittori Reiner Kunze a causa della pubblicazione di un romanzo ritenuto poco in sintonia con il regime e privato della cittadinanza il poeta Wolf Biermann per le sue posizioni; in seguito a tali episodi numerosi artisti e scrittori che non intendevano conformarsi alle direttive del regime abbandonarono il paese.
 Nel 1982 la coalizione socialdemocratico-liberale entrava in crisi, Schmidt fu costretto alle dimissioni e sostituito dal leader democratico cristiano moderato Kohl, le elezioni successive confermarono tale tendenza politica.

 Il Belgio e l'Olanda presentavano una vita politica non particolarmente intensa rispetto ad altri paesi europei. Nei due paesi si sono alternati al potere partiti conservatori e socialdemocratici, che hanno espresso comunque sempre tendenze moderate. In Belgio anche dopo la conclusione della questione istituzionale non mancava un certo contrasto fra la comunità vallone (francofona) e quella fiamminga relativamente più progredita. In anni recenti è stato accentuato il carattere federale dello stato, tuttavia questo non ha consentito il superamento di tutti i problemi.

 

 Gli Stati Uniti negli anni Sessanta incontrarono una serie di problemi economici e sociali che favorirono una seria crisi dei valori su cui lo stato si fondava. Lyndon Johnson subentrato a Kennedy, dovette affrontare il grave problema sociale del paese con una serie di provvedimenti economici a favore delle categorie più deboli e delle popolazioni di colore (revisione della legge sui diritti civili, assistenza medica pubblica, contributi federali agli stati più arretrati) che non impedirono tuttavia il verificarsi fra il '64 e il '70 violenti disordini razziali in numerose città. La protesta dei neri assunse caratteri profondamente diversi, da una parte l'azione condotta dal reverendo Martin Luther King, alla quale parteciparono anche cittadini bianchi, non violenta e legalitaria, dall'altra l'azione di varie associazioni come il Black Power, il movimento dei Mussulmani Neri e quello delle Pantere Nere favorevoli alla violenza, contrarie all'integrazione coi bianchi, quando non anche professanti una forma di latente razzismo; alcune di queste organizzazioni cercarono infine di creare un collegamento con i principali movimenti rivoluzionari del Terzo Mondo.
 Nel '67 si ebbero le prime grandi manifestazioni contro la guerra del Vietnam e una serie di agitazioni all'interno delle università, che sfociarono in gravi scontri con le forze dell'ordine; tale protesta culminò nella grande manifestazione a Washington nel novembre del '69 per la pace con la partecipazione di oltre 200.000 cittadini, che costrinse il governo ad una revisione della sua politica in Asia. La contestazione del '68 e degli anni successivi venne considerata grave, in quanto non si limitava a contestare le direttive di politica estera del governo, ma metteva in dubbio i valori fondamentali della società americana, e produsse profondo sconcerto nel paese.
 Nel 1968 si verificarono due assassinii che produssero sgomento nell'opinione pubblica americana e mondiale, l'uccisione di Martin Luther King da parte di un pregiudicato, al quale seguirono violenze e saccheggi nel paese che si conclusero con 46 morti; e l'uccisione di Robert Kennedy durante la campagna elettorale da parte di un estremista arabo antiisraeliano.
 Nel corso degli anni Sessanta l'economia americana aveva perduto terreno nei confronti dell'Europa e del Giappone, e si vide costretta durante gli anni della presidenza Nixon alla svalutazione del dollaro, la prima dopo gli anni della Grande Crisi del '29, alla riduzione degli impegni internazionali e al contenimento della spesa pubblica; contemporaneamente venne deciso il blocco di prezzi e salari e una limitazione alle importazioni dall'estero, in contrasto con la politica liberista precedente. La manovra economica diede effetti positivi, la bilancia commerciale e quella dei pagamenti con l'estero tornarono in attivo e l'economia americana poté superare il difficile momento. La politica internazionale di quegli anni fu particolarmente moderata; la nuova amministrazione repubblicana si oppose all'intervento dell'esercito americano in operazioni all'estero, e cercò di conseguire risultati positivi ricercando soprat¬tutto nuove alleanze. Sotto la direzione del grande diplomatico Henry Kissinger, il governo di Washington arrivò alla conciliazione con la Cina comunista e ad una nuova politica verso i cosiddetti paesi arabi moderati che favorì la pacificazione in Medio Oriente. Nel '72 Richard Nixon venne trionfalmente rieletto con il 61% dei voti, ma la crisi morale del paese era lontana dall'essere risolta e le vicende di cui fu al centro la Casa Bianca e il partito repubblicano nel 1973, lo scandalo Watergate, provocarono un'ulteriore perdita di fiducia nelle istituzioni e nei principi fondamentali della nazione. Gli atti di cui furono accusati i collaboratori del presidente, le intercettazioni telefoniche a danno del Partito Democratico, non costituivano un fatto molto grave in sé, ma scosse comunque la attendibilità delle autorità del paese. Nel 1974 Nixon sotto la minaccia di una procedura di impeachment fu costretto alle dimissioni, sostituito dal vice presidente Gerard Ford, che non venne comunque confermato nelle elezioni del '76.
 La elezione di Jimmy Carter, uomo semplice e di autentici valori democratici, se non contribuì a dare vigore alla nazione, consentì la restaurazione di una credibilità nelle istituzioni minacciata dai numerosi fatti precedenti. Carter si impegnò nel sostenere all'estero solo paesi che dessero garanzie di una certa democraticità e i cui governi godessero di un sufficiente consenso, ma la ripresa dell'espansionismo sovietico, la superiorità militare raggiunta dai paesi del Patto di Varsavia, il terrorismo internazionale di fronte al quale l'Occidente sembrava impotente, non contribuirono al prestigio internazionale dell'America, e gli anni di Carter vennero ricordati come un periodo particolarmente difficile per l'Occidente, che si riteneva avviato ad un processo di lenta ma irreversibile decadenza di fronte alle nuove nazioni emergenti.
 Sebbene propenso a risolvere le controversie internazionali attraverso negoziati, Carter assunse alcune iniziative nel campo militare,  fra le quali il dispiegamento del potente missile strategico MX, il collocamento in Europa dei missili Cruise, la costituzione di una "forza di rapido intervento" in grado di intervenire nel giro di 24 ore in qualsiasi parte della terra dove si avesse una crisi. Sebbene il presidente americano sia passato alla storia come un moderato, per il sostegno prestato ai dissidenti sovietici venne fortemente criticato da Mosca, secondo Gromiko "Con l'avvento della presidenza Jimmy Carter fu riesumato il mito della minaccia sovietica, mentre la politica estera americana riassumeva un carattere inconsistente e contraddittorio. Nella sua permanenza in carica, Carter scivolò sempre più verso la politica del confronto" .
 Nell'elezioni presidenziali dell'80, tenutesi successivamente al sequestro degli ostaggi americani in Iran, Carter venne duramente sconfitto. La vittoria di Ronald Reagan segnò l'inizio di un periodo fortemente innovativo per l'America.