parte 2° tensione internazionale e coesistenza pacifica 1953-1962

 

 

 

IL MONDO COMUNISTA E LA DESTALINIZZAZIONE
 1953 - 1956
 

 

 

 Il sistema di potere staliniano aveva creato un regime del terrore nella società ma anche all'interno dell'apparato politico; questo che costituiva un motivo di forza venne anche a rappresentare un motivo di debolezza, il sistema non poteva sopravvivere al suo fondatore dato che non vi erano grandi personalità (e se vi fossero state sarebbero state opportunamente eliminate) in grado di sostituire il grande dittatore; la destalinizzazione non fu quindi un processo di democratizzazione ma un inevitabile passaggio da una dittatura intollerabile ad una almeno accettabile per la nuova situazione.
 La morte di Stalin costituì nel mondo comunista un avvenimento di eccezionale importanza. La scomparsa di uno statista che in un altro paese avrebbe costituito un evento ordinario con la sostituzione di un nuovo personaggio politico alla guida del paese, divenne nell'Unione Sovietica un avvenimento tale da cambiare radicalmente la politica del paese. Subito dopo le onoranze di rito i massimi leader del paese Malenkov, Berja e Molotov, rappresentanti rispettivamente il partito, la polizia e il governo, stabilirono che la carica di segretario del partito e quella di presidente del consiglio dei ministri, non fossero più cumulate nella stessa persona come al tempo di Stalin, e diedero vita ad una forma collegiale di potere e ad un profondo rivolgimento della linea politica precedente (nella quale avevano avuto gravi responsabilità) ritenendo di non possedere la statura e le capacità per imporre un nuovo regime dispotico come quello del predecessore.
 Il regime stalinista si presentava in crisi già negli ultimi anni di vita di Stalin, gli insuccessi in politica estera (Turchia, Iran, Berlino, Corea e la defezione di Tito), e nel campo economico, con un paese che viveva nello stato d'emergenza come negli anni di guerra, avevano prodotto un sotterraneo malcontento. Soprattutto lo stato di terrore che ogni cittadino, funzionario dello stato, o intellettuale viveva, rendeva intollerabile la situazione, e solo le misure repressive e il sistema della delazione, che oltrepassavano ogni limite giuridico, potevano contenere. Fra i numerosi mali della società sovietica sicuramente il peggiore era la totale insicurezza nei confronti del potere; un insignificante atto di indisciplina o di scarsa efficienza nel lavoro, una affermazione non in linea con le direttive del regime, poteva costare gravissime condanne senza possibilità d'appello.
 Tutta la società sovietica, il partito, l'esercito reclamavano se non la libertà almeno una maggiore autonomia e un sistema di vita tollerabile. I nuovi dirigenti del Cremlino non si opposero a questa tendenza profonda della società, e nei mesi successivi alla scomparsa del dittatore presero significative misure per migliorare il tenore di vita della grande massa dei cittadini, mitigare la situazione dei contadini delle aziende di stato, e promuovere una minore tensione internazionale.
 Con il nuovo corso inaugurato dalla direzione collegiale la Russia vennero eliminati gli aspetti più deteriori della dittatura di Stalin, riformata parzialmente l'economia, ammessa una relativa tolleranza, ma in nome di un pragmatismo di potere ai quali i dirigenti sovietici non potevano opporsi. Alla morte di Stalin d'altra parte gli stessi uomini maggiormente compromessi, come Malenkov e Berja, ritenevano di "riformare" il regime non risultando possibile la prosecuzione della dittatura in quella forma. Il regime rinunciò a perseguitare gli "oppositori potenziali" coloro cioè, che pure non avendo commesso atti contro l'ordinamento dello stato si riteneva che per varie ragioni culturali, etniche, religiose o di altro tipo, non fossero degli "integrati" nel sistema politico. Fu quindi bloccata sul nascere la persecuzione antisemita iniziata nel periodo precedente, e liberate le nazionalità non russe deportate, ma il rispetto dei diritti civili e politici rimase qualcosa di profondamente estraneo al modello sovietico.
 Il periodo di Malenkov e Kruscev successivamente, si venne a caratterizzare in tutto il mondo comunista più per la attenuazione del regime precedente, che per il sorgere di principi innovatori. L'Unione Sovietica di quegli anni appariva spenta, tesa a contenere e resistere alle spinte che provenivano dalla società (senza più l'autorevolezza del precedente regime) e avviata a quel lento declino ideale e materiale che caratterizzò l'ultimo periodo del comunismo sovietico. Le riforme economiche e politiche non furono una libera scelta dei nuovi dirigenti del Cremlino per la edificazione di un nuovo stato, ma il tentativo di smorzare una protesta che da molte parti dell'impero si stava sollevando. Gli internati nei grandi campi di concentramento della Siberia, i tedeschi della Germania Orientale, gli operai della Cecoslovacchia e della Polonia diedero vita ad una protesta, nata da motivi economici, ma che immediatamente diveniva politica con richieste di riforme radicali che andavano molto oltre le concessioni dall'alto del nuovo regime.
 Gli anni fra il 1945 e il 1953 furono un anni di crescente tensione fra i due blocchi, caratterizzati da una corsa agli armamenti senza precedenti e da una caduta delle relazioni diplomatiche che mise in crisi gli stessi organismi dell'ONU. Questi anni costituirono il momento più difficile della guerra fredda, periodo nel quale si diffuse nell'opinione pubblica sia dell'Est che dell'Ovest l'idea che la guerra fosse praticamente inevitabile. Dopo la morte di Stalin i dirigenti sovietici compresero che lo stato di tensione risultava improduttivo e si fecero promotori della "distensione" che, se non portò alla risoluzione di molti contrasti aperti negli anni precedenti, contribuì a far prendere coscienza che il dialogo fra le parti risultava utile ed anzi indispensabile per tutti. Nessuno dei contendenti poteva strappare una vittoria completa sull'altro, i due sistemi politici per quanto lontani erano costretti a coesistere.

 

 Sicuramente Malenkov, braccio destro di Stalin, e Berja, il temibile ministro degli Interni e capo della polizia, erano i personaggi più odiati e ritenuti responsabili degli atti peggiori della dittatura. Berja veniva considerato un personaggio scomodo e temibile da parte di una larga parte della nomenclatura; come ministro degli interni disponeva di un potere vastissimo, i suoi uomini erano presenti in ogni struttura politica ed economica del paese e reparti di polizia presidiavano tutte le sedi dove si svolgeva la vita politica del paese. Nei giorni successivi alla morte di Stalin l'esponente comunista prese alcune iniziative per riprendere totalmente il controllo dei servizi di sicurezza (fra le quali la liberazione di Abakumov) e diede ordine ai reparti speciali dipendenti dal ministero degli interni di concentrarsi nella regione di Mosca per garantire l'ordine pubblico e reprimere la forte criminalità, ma in realtà come deterrente per i possibili rivali politici. 
 Berja fu anche il fautore di alcune iniziative innovative che non incontrarono il consenso di altri grandi personaggi della nomenclatura. Nelle settimane immediatamente successive all'insediamento dei nuovi capi del Cremlino venne concessa un'ampia amnistia e accordata una maggiore autonomia alle Repubbliche, eliminando la prassi che le massime autorità delle stesse fossero conferite ai cittadini di origine russa. Il nuovo governo s'interessò anche degli urgenti problemi economici, venne decretata la riduzione della pressione fiscale sugli appezzamenti agricoli dei contadini delle aziende di stato, ridotte le consegne obbligatorie e aumentati i prezzi pagati dallo stato per le derrate agricole, permettendo un miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori rurali e un incremento della produzione agro alimentare. Nel campo politico venne denunciata la "congiura dei medici" voluta da Stalin come una artificiosa montatura, (anche se non vennero individuati i responsabili dell'intrigo), e si iniziò una revisione di molte condanne espresse negli anni passati. La nuova politica ebbe risvolti anche nel campo delle relazioni internazionali; importanti segnali di disgelo si ebbero già nei giorni successivi alla morte di Stalin, e su iniziativa dei dirigenti sovietici vennero liberati dalle autorità coreane l'ambasciatore inglese e altri cittadini britannici trattenuti in Corea.
 Il nuovo quadro politico non si presentava però stabile. Nel giugno del '53 si ebbe una grave crisi ai vertici dello stato sovietico. Il potente ministro degli interni Berja venne arrestato nel corso di una drammatica riunione alla presenza del maresciallo Zukov. Si ritiene che una parte notevole nella vicenda, quasi un colpo di stato, venne svolta dall'esercito che impedì la reazione delle truppe del ministero degli interni. Il leader comunista venne processato insieme ai suoi principali collaboratori, accusato di "maneggi criminali... a favore del capitale straniero e dell'imperialismo britannico"  e giustiziato. Berija, che fu il terzo dei capi dei servizi segreti con Jagoda ed Ezov ad essere eliminato, secondo il figlio Sergò fu ucciso il giorno stesso del suo arresto e il successivo processo fu semplicemente una farsa . Le epurazioni non cessarono,all'interno dello stato sovietico, nell'anno successivo venne giustiziato Rjumin considerato il diretto responsabile della cosiddetta congiura dei medici e Abakumov responsabile della persecuzione dei dirigenti di Leningrado; Il ruolo della polizia politica venne comunque fortemente ridimensionato e quindi sottoposto al controllo del partito.

 La morte di Stalin aveva provocato uno sconvolgimento in tutto il mondo comunista che i provvedimenti tesi a mitigare la dittatura non riuscirono a smorzare. Il 1° giugno si ebbero scioperi nell'industria in Cecoslovacchia che ebbero il loro culmine nell'assalto del municipio di Pilsen; la protesta nata per motivi economici (la difesa del potere d'acquisto dei salari) ben presto si trasformò in rivolta politica con la richiesta di libere elezioni e l'allonta-namento delle truppe sovietiche. Due settimane dopo si assistette alle manifestazioni operaie contro l'aumento di "produttività" nel lavoro a Berlino che si estesero rapidamente alle altre grandi città della Germania Orientale, nel corso delle quali si verificarono assalti di commissariati e liberazione dei prigionieri politici. Nella capitale tedesca i rivoltosi e per un certo periodo di tempo ebbero il sopravvento sulle forze di polizia che con scarsa volontà si impegnarono nella repressione dell'agitazione. Contro i manifestanti che avanzavano richieste anche a carattere politico, fra le quali le dimissioni di Ulbricht e la riunificazione della Germania, intervennero le truppe sovietiche di stanza nel paese che riportarono l'ordine con il ricorso ai carri armati; al termine della repressione si contarono 500 morti. Delle difficoltà di tenere la Germania Orientale sotto controllo i dirigenti del Cremlino ne erano ben coscienti; nel '53 dopo la morte di Stalin parlando al Presidium, Berija sostenne: "Ma che rilevanza ha questa DDR? E' una cosa messa su dalle truppe sovietiche, anche se la chiamano Repubblica Democratica Tedesca" ; la provocatoria dichiarazione costituì uno dei capi d'accusa nel suo processo poco dopo.
 Non molto tempo dopo si verificarono ribellioni nell'Asia sovietica fra i detenuti dei grandi campi di concentramento; gli insorti chiedevano condizioni di vita più umane e opposero una resistenza disperata; vennero infine sopraffatti dalle truppe di rinforzo arrivate dalle altre regioni, tuttavia il governo fu costretto a rivedere il regime di detenzione e negli anni successivi il numero degli internati diminuì notevolmente.
 In Ungheria, dove si era accentuata l'attività della stampa clandestina contro il regime, venne rimosso con l'assenso del Cremlino l'odiato Rakosi e sostituito con Imre Nagy, esponente moderato favorevole alla democratizzazione economica del paese; il partito fu comunque scosso da contrasti violenti e due anni dopo in seguito alla caduta di Malenkov, il leader riformista fu costretto ad abbandonare il governo.
 Di fronte a tali avvenimenti il governo sovietico accettò di riconsiderare la propria politica verso i paesi satelliti; in Germania Orientale si pose termine alle riparazioni e vennero ridotte le spese per il mantenimento delle truppe sovietiche nel paese, nel '54 vennero sciolte le società miste nell'Europa orientale e in Cina, che avevano operato in maniera fortemente scorretta in quei paesi.
 Anche negli altri paesi dell'Europa orientale dove non si erano avute manifestazioni di protesta si ebbe una attenuazione del regime repressivo. In Polonia nel '54 si procedette alla liberazione e riabilitazione di numerosi esponenti perseguitati nel periodo stalinista fra i quali lo stesso Gomulka, venne destituito Bierut e soppresso il Ministero della Sicurezza responsabile delle epurazioni compiute negli anni precedenti. In Bulgaria lo stalinista Vulko Cervenkov venne sostituito dal più moderato Todor Zhivkov; in Romania invece, il nuovo corso non produs¬se cambiamenti significativi, e nel 1954 venne condannato all'ergastolo Vasile Luca, esponente comunista in precedenza legato ad Ana Pauker.
  Nel 1955 si ebbe un netto miglioramento dei rapporti fra Unione Sovietica e Jugoslavia. Kruscev riconobbe esplicitamente le colpe del suo governo attribuendole alla politica portata avanti da Berja. Nell'incontro a Belgrado che suggellò la riconciliazione, il leader del Cremlino affermò che le relazioni fra i due stati dovevano essere improntate a rispetto reciproco, nella piena sovranità e indipendenza. Tito dimostrò di gradire i nuovi passi dell'Unione Sovietica ma evitò di riannodare rapporti formali fra i due stati e nel campo internazionale si fece promotore del movimento dei paesi non allineati curando in particolare le relazioni con l'Egitto di Nasser e l'India. La nuova politica di Mosca verso Belgrado venne comunque criticata da diversi esponenti politici staliniani come Molotov e dai dirigenti cinesi, sostenitori di una linea più intransigente, come anche per ragioni opposte dal comunista jugoslavo Gilas contrario anche a certi indirizzi autoritari del governo; per questa sua manifestazione di dissenso venne condannato a 18 mesi di reclusione.
 La battaglia per il potere non cessò comunque con l'eliminazione di Berja; nel '55 venne messo sotto accusa Malenkov che dopo la scomparsa del primo aveva perduto progressivamente larga parte del potere. Al Comitato Centrale del partito venne duramente criticato per aver sostenuto la necessità di sviluppare quei settori dell'economia che contribuivano al miglioramento del tenore di vita dei cittadini sovietici in contrasto con Kruscev favorevole a privilegiare l'industria pesante. Nel febbraio l'ex braccio destro di Stalin si dimise da Primo Ministro e venne sostituito dal maresciallo Bulganin vecchio amico di Kruscev, mentre un altro grande comandante militare, Zukov, assunse il ministero della Difesa, più tardi tuttavia, anch’egli verrà allontanato dal potere e accusato per l'eccessiva autonomia conferita all'esercito.

 Con l'eliminazione di Berja e il significativo ridimensionamento di Malenkov, la situazione politica appariva favorevole alla ascesa di Kruscev e ad una profonda destalinizzazione dell'apparato pubblico; in questo quadro politico si aprì il 20° congresso del PCUS a Mosca che impresse al blocco comunista e ai partiti che perseguivano tale aspirazione una profonda svolta. Vennero rivolte critiche sull'operato di Berja ma che implicitamente coinvolgevano la figura di Stalin, e venne affermato che il "culto della personalità" del recente passato non poteva non essere in contrasto con i principi leninisti.  Nel campo della politica estera le novità furono non minori; secondo il leader comunista esistevano paesi e forze politiche non strettamente comuniste, ma amiche della pace con le quali l'URSS poteva stabilire proficui rapporti di collaborazione, e se l'umanità risultava divisa in due blocchi contrapposti, tuttavia poteva sussistere una forma di "coesistenza e competizione pacifica" con il mondo occidentale. Questo significava il riconoscimento dell'impossibilità di sovvertire con l'uso della forza l'assetto politico mondiale, ma non anche la creazione di un ordine mondiale più equilibrato e la rinuncia all'abbattimento dei sistemi politici occidentali. Importanti innovazioni vennero anche affermate nel campo dei rapporti fra centro e periferia; i partiti comunisti dell'Occidente non dovevano considerarsi rigidamente legati a un rapporto di subordinazione e potevano seguire vie diverse da quelle perseguite nell'Unione Sovietica; ma la parte più significativa del congresso fu il cosiddetto rapporto segreto, tenuto alla fine dei lavori, quando ormai i delegati si accingevano di lasciare Mosca. Kruscev denunciò che dagli anni Trenta alla morte di Stalin, l'Unione Sovietica aveva conosciuto gravissime illegalità; gli organi di polizia attraverso atti di violenza, il ricorso alla tortura, e ad ogni altro mezzo di repressione aveva istituito il regime del terrore nel paese. La responsabilità di tali fatti, come delle deportazioni di massa, delle epurazioni all'interno del partito, venne addebitata a Stalin che aveva promosso il dispotismo e il culto della propria persona. Il dittatore venne anche considerato responsabile della impreparazione militare e della pessima condotta della guerra che aveva provocato milioni di morti fra soldati e civili (ma non anche accusato per il Patto Molotov Ribbentrop). La rottura delle relazioni diplomatiche con la Jugoslavia e numerosi altri errori politici vennero attribuiti alla politica del predecessore, tuttavia non tutto della prece-dente politica venne criticato. L'eliminazione di Trozcky, Zinoviev e Bucharin, la collettivizza-zione forzata e la terribile eliminazione dei kulaki non vennero considerati come “errori”. Le critiche allo stalinismo furono esplicite ma le proposte di riforma del sistema furono ben scarse né vi fu una reale richiesta di democratizzazione dello stato.
 Il "rapporto" aveva carattere segreto, ma venne comunque ampiamente diffuso, e facilmente pervenne in Occidente dove attraverso la stampa raggiunse l'opinione pubblica mondiale. I partiti comunisti francese, inglese e americano contestarono le conclusioni del rapporto, quello cinese ed albanese espressero anch'essi disappunto ma nei paesi dell'Est e per milioni di cittadini sovietici costituì un eccezionale avvenimento.
 Conciliare le esigenze dell'impero con quelle di un regime non ostile alla società fu il grande problema del regime di Kruscev. Questi oscillò fra i due estremi senza giungere ad alcuna situazione stabile. Ad una apertura seguiva un intervento repressivo, come nel campo delle relazioni internazionali alla disponibilità al dialogo seguiva un improduttivo irrigidimento. I progressi risultavano estremamente modesti e al termine del decennio kruscoviano l'Unione Sovietica si presentava in una situazione non migliore a quella degli anni precedenti. Solo l'uso della forza poteva tenere in vita un sistema che per sua natura tendeva a disgregarsi, e per adoperarla occorreva una figura al di sopra dei "mortali" che nell'Unione Sovietica dopo la morte di Stalin non esisteva. Il regime sovietico non aveva conquistato il cuore della classe operaia né degli intellettuali, e ciò si risentiva nei modesti risultati nel campo economico e nella scarsa vitalità della classe dirigente.

 La condanna dello stalinismo non fu sufficiente a frenare il malcontento popolare nei paesi dell'Est. Nuovamente gli operai, come nel '53 in Cecoslovacchia e nella Germania Orientale si fecero protagonisti della rivolta. Nel giugno del '56 i lavoratori delle officine automobilistiche di Poznan in Polonia diedero vita ad uno sciopero che si estese in tutto il paese per richiedere livelli retributivi accettabili e l'allontanamento delle truppe sovietiche dal paese. Venne dichiarato lo stato d'assedio ma l'esercito si rifiutò di sparare sugli operai e la rivolta, che si concluse con almeno 38 morti, (più di 100 secondo fonti non governative), venne fermata solo dall'intervento delle truppe speciali del ministero degli Interni. Le proteste suscitarono comunque fermenti all'interno del partito comunista nel quale si aprì il contrasto fra i sostenitori dell'allineamento a Mosca e i sostenitori di una democratizzazione del paese. Nell'ottobre si tenne il comitato centrale del partito al quale intervennero gli stessi capi del Cremlino; ebbero la meglio i riformisti, e Gomulka, il sostenitore della via polacca al socialismo, poté riprendere in mano la segreteria del partito.
  L'Unione Sovietica non poteva accettare che le truppe sovietiche fossero estromesse dalla Polonia e che il paese si distaccasse dal blocco comunista; vennero iniziate quindi nei giorni successivi delle manovre che facevano ritenere imminente un'azione di forza contro la repubblica ribelle. Gli operai all'interno delle fabbriche iniziarono ad armarsi e a prepararsi alla resistenza contro un intervento di Mosca ritenuto ormai probabile, ma Gomulka riuscì a garantire la permanenza del paese nell'alleanza sovietica e a scongiurare lo scontro. Venne allontanato l'odiato ministro della difesa Rokossowsky (il cittadino sovietico nominato a capo dell'esercito), migliorati a favore della Polonia i rapporti commerciali con l'URSS, liberato il cardinale Wyszynski in carcere da tre anni, ma l'apparato statale non venne toccato e la Polonia si avviò verso la normalità
 La situazione in Polonia non si era ancora stabilizzata che cresceva in Ungheria il malcontento verso il governo. Fra il giugno '53 e il dicembre '54 si era avuto il cosiddetto "nuovo corso" sotto la segreteria di Imre Nagy, ma la caduta di Malenkov aveva provocato la fine dell'esperimento politico e il ritorno di Matyas Rakosi. La reazione del vecchio leader stalinista contro gli oppositori all'interno e all'esterno del partito fu energica, ma sotto la pressione degli stessi dirigenti del Cremlino, che ritenevano il leader ungherese eccessiva-mente screditato, dovette abbandonare definitivamente il potere.
 Nell'ottobre si tennero a Budapest i funerali di Rajk e delle altre vittime degli anni dello stalinismo che si trasformarono in una grande manifestazione che presto infiammò tutto il paese, chiedendo libertà politiche, il ritorno di Nagy alla guida del paese, e il ritiro delle forze armate sovietiche. Numerosi membri della famigerata polizia vennero fatti fuori mentre nelle fabbriche si andava organizzando il movimento contro il regime. Il 23 sotto la pressione della piazza Nagy ritornò al governo e quale primo ministro assicurò una serie di riforme e invitò la popolazione alla calma e a deporre le armi. Due giorni dopo si verificarono davanti al Parlamento i primi scontri con le truppe sovietiche di cui la popolazione chiedeva l'immediato allontanamento. I sovietici sembrava comunque fossero disponibili al compro¬messo sulla base degli accordi sottoscritti in Polonia pochi giorni prima e accettarono la richiesta di Nagy di lasciare il paese, ma il 1° novembre dopo consultazioni con gli altri paesi dell'Europa orientale le truppe di Mosca invasero l'Ungheria. Il governo la sera stessa deliberò la uscita del paese dal Patto di Varsavia e lanciò un appello alle Nazioni Unite perché fosse garantita la sovranità della nazione. La richiesta di soccorso venne accolto dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU dove venne dibattuta una mozione di condanna che non ebbe attuazione per il prevedibile veto sovietico; l'Assemblea Generale espresse una dura condanna all'operato dell'Unione Sovietica ma senza poter imporre alcun provvedimento concreto. Nei giorni successivi si vennero a formare due governi nel paese, uno sotto la guida di Kadar sostenuto dai sovietici e un governo di coalizione presieduto da Nagy formato da esponenti comunisti, socialdemocratici, rappresentanti del partito dei piccoli proprietari (il partito al potere nel '47) e del circolo Petöfi che godeva del sostegno della popolazione.
  Il 4 novembre la capitale ungherese venne bombardata e nella città si accese una battaglia contro i carri armati sovietici; solo con notevole sforzo l'esercito di Mosca riuscì a prendere pieno possesso della città e i combattimenti nel paese cessarono solo dieci giorni dopo. Al termine dei combattimenti si ebbero 25.000 morti nel paese, 15.000 cittadini ungheresi deportati in Unione Sovietica e 160.000 che abbandonarono il paese per sfuggire all'arresto. Nagy venne incarcerato, e rifiutatosi di riconoscersi colpevole condannato alla pena capitale. L'ordine era ristabilito nel paese ma il regime sovietico ne usciva profondamente squalificato, e non poté più riprendersi dalla condanna morale espressa dalla comunità internazionale.
  I filosofi Lukacs e il tedesco orientale Harich vennero arrestati per aver sostenuto l'opportunità di una via autonoma al socialismo come quella intrapresa dalla Polonia di Gomulka; nel giugno del '58 nonostante le proteste di Tito, venne eseguita la fucilazione di Nagy e di altri tre importanti esponenti degli avvenimenti di due anni prima. Gli americani dovettero prendere atto che non avevano modo di favorire il distacco dei paesi dell'Europa orientale dall'URSS e mutarono strategia nei loro confronti; negli anni successivi concessero aiuti economici al governo Gomulka al fine di consolidare la sua autonomia, sia pure parziale, da Mosca.
 
 L'Unione Sovietica di Kruscev non aveva realizzato grandi progressi verso gli obbiettivi del socialismo: emancipazione dei lavoratori, democrazia, e stato di diritto, né era riuscita a dare vita ad una associazione di stati comunisti su basi democratiche di reciproco rispetto. Il comportamento fortemente autoritario dell'Unione Sovietica portò ad una profonda crisi all'interno dello schieramento comunista. I partiti comunisti italiano e francese rifiutarono di condannare l'intervento sovietico (parlarono di agitatori controrivoluzionari sostenuti da agenti imperialisti) ma molti uomini di cultura come il filosofo Paul Sartre in Francia e Pablo Picasso si allontanarono dalle organizzazioni di estrema sinistra e in Italia i gravi fatti sancirono il distacco dei socialisti che presero energicamente le distanze dai comunisti. Solo successivamente Togliatti si espresse a favore delle "vie nazionali al socialismo" definizione che non comportava comunque un rifiuto del modello sovietico.
 Anche in altri paesi del mondo comunista si ebbero agitazioni. In seguito al rapporto segreto in Bulgaria tramontava Cervenkov il principale esponente comunista dopo la morte di Dimitrov. Disordini si verificarono in Georgia, dove le tesi di Kruscev su Stalin al 20° Congresso vennero considerate come un attacco al grande personaggio georgiano e un tentativo di svilire l'identità nazionale della repubblica caucasica, e a Grozny dove scoppia-rono disordini fra Russi e Ceceni. Nel '56-'58 si ebbe il ritorno delle popolazioni deportate negli anni dello stalinismo con l'eccezione dei tedeschi del Volga e dei Tatari della Crimea (per evitare i risentimenti degli Ucraini), ma la situazione non tornò alla normalità.
 Un'autentica svolta in Unione Sovietica non si ebbe nemmeno quando vennero allontanati dal potere gli ultimi grandi esponenti stalinisti Molotov, Malenkov, Kaganovic. L'Unione Sovietica non andò oltre i provvedimenti tesi ad attenuare la dittatura e migliorare le condizioni dei lavoratori rispetto alla situazione gravissima degli anni precedenti (divieto di licenziamento da parte dei lavoratori e sanzioni penali contro l'assenteismo). L'economia liberata da alcuni dei lacci che la tenevano soffocata conobbe un discreto miglioramento, ma sul piano politico la democratizzazione rimaneva un obbiettivo irraggiungibile, le vicende di Pasternak e di altri numerosi letterati ne costituì la conferma.
 

 


L'EVOLUZIONE INTERNA DEI PAESI OCCIDENTALI

 

 


 Le difficoltà economiche del dopoguerra, il sorgere delle grandi potenze extraeuro-pee e della guerra fredda, il processo di decolonizzazione con le conseguenti maggiori difficoltà nel garantire l'approvvigionamento di materie prime, spinsero i paesi dell'Europa a superare il tradizionale antagonismo e a creare una comunità di stati. L'idea già formulata da Churchill negli anni della guerra prese corpo nel '47 con la creazione dell'Organizzazione Economica per la Cooperazione Europea (l'OECE) per la pianificazione degli aiuti americani previsti dall'ERP (piano Marshall), e l'approvazione del Trattato di Bruxelles, nell'anno successivo, fra i paesi già aderenti al BENELUX, la Francia, e la Gran Bretagna.
 Diversi erano gli approcci alla questione europeista; quella dei federalisti favorevoli alla creazione degli stati uniti d'Europa come organizzazione creata dal basso attraverso una assemblea costituente eletta dai cittadini, quella dei sostenitori di una aggregazione graduale attraverso l'unificazione di alcune politiche, e infine quella di coloro che proponevano una collaborazione inter governativa fra gli stati, ma contrari in genere a qualsiasi organismo con carattere sovranazionale. Negli anni successivi si ebbero progressi verso una maggiore solidarietà europea, ma in un senso diverso da quello auspicato dai sostenitori più intransigenti dell'europeismo.
 Nel '49 per iniziativa degli stessi cinque paesi che avevano dato vita al Trattato di Bruxelles venne istituito il Consiglio d'Europa con finalità consultive e culturali, fra le quali la tutela dei diritti dell'uomo, la cooperazione culturale nel campo dell'educazione e la formazione di una coscienza europea. L'organizzazione non aveva caratteristiche sovranazionali, il Comitato dei Ministri previsto come massimo organo deliberava esclusivamente all'unanimità servendosi di un'assemblea consultiva; negli anni successivi la organizzazione venne estesa ad altri paesi fra i quali la Repubblica Federale Tedesca, ma i risultati dell'OECE e del Consiglio vennero giudicati comunque insufficienti dai federalisti.
 Nella prima metà degli anni Cinquanta molto intensa fu l'attività dei governi europei per una maggiore integrazione del continente. I problemi ad essa connessa trovarono notevole interesse nell'opinione pubblica e la creazione di una associazione di stati europei incontrò il sostegno degli Stati Uniti, che nel corso della guerra fredda ricercarono costantemente l'intesa coi governi europei e agirono nel pieno rispetto della sovranità degli stati del vecchio continente. Movimenti federalisti di ispirazione cattolica e laico democratica sorsero ovunque, ma ad alcuni successi seguirono delle battute d'arresto. Nel '51 su iniziativa del democratico cristiano francese Schuman venne creata per assicurare il libero scambio di due prodotti considerati altamente strategici nell'economia industrializzata, la Comunità Europea Carbone e Acciaio, alla quale tuttavia non aderì la Gran Bretagna. Nell'anno successivo il progetto del movimento federalista di organizzare una Comunità Europea di Difesa non venne portato a termine. L'organizzazione doveva consentire alla Germania di Bonn di contribuire alla difesa comune europea superando il problema del riarmo tedesco. Il trattato venne firmato nel '52 dai governi di Francia, Gran Bretagna, Italia, paesi del BENELUX e Germania Federale ma non ebbe seguito per la mancata ratifica del parlamento francese. In Francia infatti le forze nazionaliste e quelle pacifiste filo sovietiche per motivi opposti si opponevano alla partecipazione del paese a tale progetto. i gollisti ritenevano il problema della difesa della nazione non potesse essere delegato ad un organismo sovrana-zionale, mentre i comunisti erano contrari ad ogni iniziativa che fosse in contrasto con la politica sovietica. Successivamente vennero comunque firmati i trattati per l'istituzione dell'Unione Europea Occidentale, sostanzialmente simili ai precedenti, diversi solo sul ruolo da attribuire alla Gran Bretagna.
 Il raffreddamento dei rapporti tra Francia e Gran Bretagna e l'opposizione di quest'ultima a creare un organismo europeo dotato di vasti poteri portò alla creazione di una zona di libero scambio, l'EFTA comprendente i paesi scandinavi, il Portogallo, l'Austria e la Svizzera, con competenze più limitate. L’organismo ebbe scarso successo e progressivamente venne soppresso.
 Nonostante i problemi legati alla guerra fredda, tutto il mondo occidentale ha conosciuto negli anni Cinquanta un tasso di sviluppo economico che non ha confronti con quello di qualsiasi periodo storico. Grazie alla liberalizzazione dei mercati, alla stabilità dei prezzi e delle valute, alle istituzioni regolatrici del commercio internazionale, alle innovazioni tecnologiche, i paesi dell'Europa conobbero un incremento del reddito nazionale particolarmente elevato, il tasso di crescita del PIL fra il 1953 e il 1973 risultò mediamente del 4,8% contro il 2% del periodo compreso fra il 1870 e il 1940.
 I migliori risultati vennero conseguiti dalla Germania e dal Giappone, seguiti da Francia e Italia, mentre l'Inghilterra, pur seguendo il trend positivo, conobbe dei miglioramenti più limitati. Fra il 1953 e il 1962 la produzione industriale della Gran Bretagna registrò un incremento del 30% contro la crescita del 90% della Francia e del 100% della Germania. La difficile situazione economica spinse nel 1963 il Premier Mac Milian a chiedere l'ingresso della Gran Bretagna nel MEC.
 Le conseguenze del positivo andamento economico furono la stabilità politica (con l'eccezione comunque della Francia), una maggiore diffusione della cultura e della parteci-pazione popolare alle scelte politiche degli stati, che consentirono un migliore sviluppo del continente europeo.
 Negli anni Cinquanta si ebbe in Europa il superamento delle controversie legate a questioni territoriali. La Saar venne restituita dal governo di Parigi alla Germania, l'Alsazia Lorena, che aveva costituito nel passato motivo di attrito (in quanto regioni di lingua tedesca ma storicamente legate alla Francia) definitivamente riconosciuta come territorio francese, infine il Territorio Libero di Trieste, anche se in contrasto con la volontà delle popolazioni, venne diviso in due zone fra Italia e Jugoslavia. L'unica questione aperta rimaneva quella dei confini orientali della Germania con la Polonia (che non poteva essere risolta fino alla riunificazione tedesca) e venne definitivamente conclusa nel 1990 con la accettazione da parte del parlamento tedesco del contestato confine dell'Oder-Neisse.

 Il programma di austerità e i poco brillanti risultati economici avevano provocato la caduta del governo Attle in Gran Bretagna. Il gabinetto Churchill subentrato ai laburisti nel 1951 lasciò in piedi buona parte delle riforme economiche attuate dai predecessori e gestì la politica di decolonizzazione con molta prudenza, evitando gli improduttivi irrigidimenti dei governi francesi. Il governo conservatore, sebbene dovette affrontare una difficile situazione economica, rimase ininterrottamente al potere per tredici anni fino al 1964.
 In politica estera venne confermata l'alleanza più stretta con gli Stati Uniti, mante-nendo su alcune questioni dei punti di vista comunque diversi. Il governo inglese si oppose al progetto del generale Mac Arthur di estendere il conflitto coreano alla Cina e nel 1954 giunse al riconoscimento formale del governo di Pechino. Diversamente sul Medio Oriente, per la questione del petrolio iraniano e del Canale di Suez, questioni giudicate di notevole interesse per la nazione britannica, il governo conservatore sostenne sia pur con poco successo una posizione più incisiva. L'impegno del governo conservatore nella politica estera produsse la reazione dei gruppi pacifisti. Nel 1960 all'interno del partito laburista la corrente ostile a Goitskell si espresse a favore del disarmo nucleare unilaterale, e nel febbraio dello stesso anno, 40.000 cittadini presentarono una petizione al Parlamento per chiedere l'eliminazione dell'arsenale atomico.
 La posizione inglese verso le istituzioni comunitarie è stata molto controversa. Il governo di Londra si espresse a favore della Comunità Europea di Difesa, non aderì alla Comunità Europea carbone e Acciaio e all'Europa dei Sei contrappose una associazione di libero scambio con poteri più limitati, l'EFTA. Tale posizione fu anche il prodotto dell'opposi-zione dei paesi del Commonwealth all'ingresso di Londra nella organizzazione economica europea, e negli anni successivi l’Inghilterra dovette rivedere le sue posizioni.

 

 La Quarta Repubblica francese fu caratterizzata da una gravissima instabilità politica favorita anche dal sistema costituzionale che non consentiva la formazione di vaste aggregazioni politiche e dalla presenza di un partito comunista e un partito gollista che non presero parte alla formazione dei governi, ma che tuttavia erano in grado di ostacolare la normale vita politica del paese.
 Negli anni Cinquanta la Francia conobbe un periodo di prosperità economica, ma i problemi connessi con la decolonizzazione, ed in particolare la questione dell'Indocina e dell'Algeria provocarono ulteriori contrasti a livello politico. Nel 1958 il tentativo di conciliazione del governo di Parigi verso l'Algeria provocò una insurrezione militare in quella colonia che avrebbe potuto facilmente estendersi al resto della nazione. Le forze politiche per prevenire tale eventualità a larga maggioranza affidarono il governo a De Gaulle, il quale diede vita ad un gabinetto di unione nazionale con poteri speciali; il generale sebbene favorevole alle richieste dei francesi d'Algeria si riteneva avrebbe potuto evitare una più grave crisi nel paese.
 Il primo atto politico del nuovo governo fu il progetto di una nuova costituzione che ponesse fine alla grave instabilità e rafforzasse i poteri del Presidente; il tentativo ebbe successo e nell'estate dello stesso anno si tenne un referendum che sancì a larga maggioranza (80% dei voti) la nascita della Quinta Repubblica.
  La questione algerina si presentava complessa a causa dei forti vincoli che legavano il paese arabo, nel quale erano presenti circa un milione di francesi, a Parigi; nella prima metà degli anni Cinquanta nessun partito, comunisti compresi, era favorevole alla piena indipendenza della colonia. La controversia franco-algerina, sulla quale i sovietici si astennero di intervenire, non interessò particolarmente gli alleati occidentali; secondo l'opinione di Kennedy la posizione degli Stati Uniti non poteva che essere quella di "riaffermazione della nostra ovvia fiducia agli amici europei, e al tempo stesso d'ovvia fedeltà ai principi dell'autodeterminazione". Nel gennaio del '61 si tenne un referendum con il quale il 75% dei francesi si espresse a favore dell'indipendenza, seguì un nuovo tentativo di colpo di stato militare che ebbe però scarso seguito, e non impedì la prosecuzione della politica di pace del governo.
 L'anno successivo il governo francese sottoscrisse con i rappresentanti del movimento algerino gli accordi che stabilirono la nascita dell'Algeria indipendente. Il nuovo stato arabo si diede una forma di governo autoritaria e socialisteggiante; il governo di Ben Bella non rispettò gli impegni assunti sul rispetto dei coloni francesi e centinaia di migliaia di francesi (i cosiddetti pied noirs) furono costretti in condizioni tragiche ad abbandonare il paese.

 L'Italia superò bene la difficile situazione economica del dopoguerra, si avviò rapidamente verso la stabilità politica, e attraverso diverse iniziative sul piano sociale (riforma agraria, fiscale e Cassa del Mezzogiorno) pose fine alle numerose agitazioni economiche nel paese. L'economia del paese beneficiò di provvedimenti liberisti e di iniziative pubbliche come la creazione dell'ENI per lo sfruttamento delle risorse energetiche e il Piano Vanoni per la programmazione economica. Nel '53 l'approvazione di un nuovo sistema elettorale, la cosiddetta "legge truffa", creò una situazione di scontro politico che venne tuttavia presto superata. I governi centristi guidati da De Gasperi si fecero promotori dell'europeismo, e nel '54 venne risolta la questione di Trieste con l'affidamento della Zona A al governo italiano e la Zona B al governo jugoslavo.

 La Germania Federale si riprese con sorprendente rapidità dalle distruzioni della guerra, le difficoltà economiche connesse con l'arrivo di milioni di profughi, e le riparazioni economiche.
 Sotto la guida di Adenauer e del liberale Erhard la Germania inaugurò una politica economica liberistica profondamente diversa dalle tendenze seguite dagli altri paesi europei. Grazie ad essa il paese raggiunse un tasso di crescita economica superiore a quello degli altri paesi del continente, superato fra i paesi industrializzati solo dal Giappone. Le istituzioni della nuova Germania assicurarono al paese una notevole stabilità che non venne meno anche quando venne deciso nel '55 lo scioglimento del partito comunista e di quello neo nazista. I democratici cristiani di Adenauer fecero dell'integrazione della Germania nell'Europa e nel blocco dei paesi occidentali il loro cavallo di battaglia, mentre i socialdemocratici dell'SPD mettevano in luce i rischi gravissimi per il paese di un confronto Est-Ovest e propendevano pertanto per una politica neutralistica, tuttavia le posizioni non erano inconciliabili.
 Nel 1962 il partito cattolico di Strauss promosse una serie di iniziative contro il pe-riodico Der Spiegel che aveva pubblicato delle rivelazioni in materia militare suscitando vivaci polemiche e la reazione dei liberali che si dissociarono dalla maggioranza. Adenauer fu quindi costretto a cedere il cancellierato al leader liberale Erhard ponendo fine al lungo periodo di permanenza dei democratico cristiani al vertice del governo.

 Nel '53, proprio alcune settimane prima della morte di Stalin, Eisenhower fece il suo ingresso alla Casa Bianca in seguito ad un largo successo elettorale. Il suo passato di stimato comandante militare era troppo grande perché il suo rivale democratico Stevenson, potesse impedirgli la vittoria. Ike, come veniva chiamato confidenzialmente, rappresentava agli occhi dei suoi cittadini l'immagine della persona pulita, disinteressata, semplice, sostanzialmente moderata e pragmatica, forse per questa sua eccessiva semplicità non troppo amato invece dagli intellettuali. Fiero anticomunista ma amante della pace fu lontano dagli eccessi di Mc Carthy e nonostante la presenza dell'intransigente Dulles al Dipartimento di Stato, non perse le occasioni di dialogo che si presentarono con il blocco comunista.


  Il periodo di Eisenhower fu caratterizzato da prosperità economica e da una notevole stabilità interna, la caccia alle streghe ebbe termine avendo potuto constatare la saldezza dello stato e la impossibilità delle forze filo sovietiche all'interno del paese di rappresentare una minaccia per le istituzioni; l'attacco privo di qualsiasi fondamento del senatore Mc Carthy al presidente Eisenhower, diede il colpo finale alla campagna di accuse nel paese.
 La politica di Eisenhower favorì l'evoluzione economica e politica del paese. Il governo, composto in larga parte di grandi uomini d'affari, diede impulso all'iniziativa privata, ma lo stato sociale realizzato dai predecessori non venne smantellato. Il presidente si impegnò anche nella questione della segregazione razziale che costituiva un grave aspetto negativo dell'America di quegli anni. I diritti politici e civili, l'accesso all'istruzione per le popolazioni di colore rappresentava ancora, specie nei paesi del sud, un serio problema; attraverso una nuova legge sui diritti civili e l'abolizione delle scuole riservate ai bianchi venne favorita l'emancipazione dei negri, che comunque a partire dal 1960 iniziarono una forte agitazione.
 Gli Stati Uniti nella prima metà del secolo avevano raggiunto e superato sul piano economico il vecchio continente, ma sul piano della politica internazionale si presentavano ancora come una nazione di non grande peso politico. Nel corso della seconda guerra mondiale avevano "prestato" il proprio potenziale all'Europa sottoposta alla minaccia tedesca, ma molto faceva ritenere che cessato il pericolo gli Stati uniti sarebbero ritornati al loro ruolo tradizionale. Truman, con il piano di aiuti all'Europa portò la nazione ad un superiore livello, e si assunse grandi responsabilità internazionali con la politica di "contenimento" verso l'Unione Sovietica. Il Segretario di Stato della amministrazione Eisenhower, Foster Dulles si propose un obbiettivo ancora superiore, fare degli Stati Uniti i protagonisti della scena internazionale e non limitarsi a sostenere l'Europa dalla minaccia proveniente dall'Est. La battaglia contro la tirannia cino-sovietica (il cosiddetto roll back) divenne l'obbiettivo fondamentale della nazione americana andando oltre la politica difensiva di "contenimento" inaugurata nel '47 dal presidente democratico.

 

 


IL BIENNIO DI PACIFICAZIONE
1953-1955

 

 


 La prima fase della guerra fredda ha rappresentato lo scontro fra anglo-americani e sovietici sulle questioni internazionali legate alla conclusione del conflitto mondiale. Negli anni successivi il conflitto si è progressivamente ampliato a nazioni che in precedenza non avevano preso parte alla controversia; tutte le principali nazioni occidentali, Germania compresa, scesero in campo a sostegno di inglesi e americani ai quali erano legati da un patrimonio di valori in comune e dal progetto di un ordine mondiale fondato su basi demo-cratiche. Non si trattava più come nel passato di una contesa fra potenze con interessi contrari, ma dello scontro fra due concezioni opposte del mondo. Nel corso degli anni Cinquanta si è avuta inoltre una ulteriore estensione geografica del conflitto, quando i paesi del Terzo Mondo che da poco avevano raggiunto la piena indipendenza, compresero che l'URSS poteva essere una valida alternativa ai paesi occidentali negli aiuti finanziari e tecnologici. Avendo l'Unione Sovietica dimostrato la sua forza nel campo internazionale e la sua capacità di contrapporsi alle nazioni occidentali, molte delle nuove nazioni afroasiatiche incominciarono a guardare a quel paese per strappare quei vantaggi che non avrebbero potuto ottenere diversamente dai paesi europei. L'Indonesia, l'Iran di Mossadeq, l'Egitto poterono in tal modo imporre i propri punti vista alle nazioni europee nonostante la loro inferiorità di forze.
 Il biennio successivo alla morte di Stalin ha fatto ritenere all'opinione pubblica mondiale che la guerra fredda potesse essere superata, ma se si verificarono alcuni importanti progressi, e le contese su alcune aree geografiche vennero portate a termine, nuovi problemi sorsero a causa dell'estendersi della scena politica internazionale. Il conflitto comunque ne risultò fortemente trasformato, tanto che per alcuni autori la guerra fredda si concluse in quegli anni ed iniziava nel '53 la fase della cosiddetta coesistenza pacifica; in realtà il conflitto da politico-militare divenne sempre più politico-economico ed in questo campo l'Unione Sovietica e il blocco dei paesi socialisti non aveva alcuna possibilità a resistere ad una guerra di logoramento con l'Occidente.

 Una particolare indagine statistica condotta dalla Fondationn Nationale du Politiques mise in luce un fenomeno che per quanto discutibile poteva essere ritenuto significativo; le espressioni ostili nei confronti degli USA contenute sulla Pravda passarono dall'80% del '52 al 20% successivamente alla morte di Stalin . Il fenomeno indicava un minore irrigidimento ideologico nei confronti dell'avversario capitalista che se non significava l'attenuazione della guerra fredda poteva comunque favorirla.
 Positivi risultati sul piano della pacificazione si ebbero già nelle settimane immedia-tamente successive alla morte di Stalin; secondo Malenkov non vi era "questione contenziosa o irrisolta che non possa essere sistemata con mezzi pacifici, sulla base di un reciproco accordo con i paesi interessati". La liberazione del giornalista americano Oatis, l'eliminazione delle restrizioni al personale diplomatico straniero a Mosca, la ripresa delle relazioni diplomatiche con Israele, e la rinuncia alle rivendicazioni territoriali nei confronti della Turchia e dell'Iran, avvenuta poco dopo, creò un clima internazionale profondamente rinnovato. La reazione di Eisenhower e di Churchill alle iniziative russe fu ampiamente positiva e il vecchio Premier britannico si spinse ad un esplicito invito a riprendere gli incontri al massimo livello interrotti nel '45 dopo la Conferenza di Potsdam.
 La prima questione affrontata fu quella della Corea ma le trattative per la conclusione del conflitto non furono così rapide come ci si sarebbe potuto aspettare, e fino alla vigilia dell'armistizio cinesi e nordcoreani non rinunciarono a lanciare furibondi quanto inutili attacchi contro le armate della Coalizione; il 27 luglio comunque le parti raggiunsero l'intesa. L'accordo, che prevedeva il sostanziale ritorno allo status quo ante, non costituiva un vero trattato di pace, comunque venne eliminato un pericoloso focolaio di guerra che in diverse occasioni aveva potuto degenerare in una estensione del conflitto a tutto l'estremo oriente.
 Il 22 giugno '53 Adenauer scrisse ai capi di stato dei paesi occidentali una lettera con la quale si auspicava un incontro fra le quattro grandi potenze, che tenuto conto anche delle esigenze di sicurezza dell'Unione Sovietica, avviasse a risoluzione l'annoso problema tedesco. La iniziativa venne rilanciata dagli Alleati a Mosca, la quale fece conoscere che avrebbe preferito una conferenza a cinque con la partecipazione della Cina per affrontare tutte le questioni internazionali aperte. La controproposta sovietica non poteva essere accettata dagli americani perché avrebbe significato il riconoscimento del governo di Pechino come legale rappresentante della Cina; si ritornò quindi sulla proposta originaria di un incontro a quattro che si tenne a Berlino nel gennaio dell'anno successivo.  

 La conferenza non ebbe quasi alcun risultato. Molotov a nome del governo di Mosca aprì l'incontro con una richiesta che rischiava già di far naufragare i lavori: partecipazione della Cina comunista, eliminazione delle basi militari americane all'estero e delle armi nucleari senza alcuna forma di controllo. Sulle due maggiori questioni europee, Austria e Germania le distanze rimanevano incolmabili. Le nazioni occidentali ritenevano che si dovessero tenere nello stato tedesco libere elezioni sotto controllo internazionale, per la formazione di un'assemblea costituente e di un governo rappresentativo con cui concludere il definitivo trattato di pace (Piano Eden). I sovietici ritenevano invece che il futuro governo della Germania avrebbe dovuto costituirsi sulla base di accordi fra i governi di Bonn e Pankow (con una influenza del partito comunista ben oltre la sua reale consistenza quindi), non veniva rifiutato il concetto di un ritiro degli eserciti di occupazione, ma con la riserva che il territorio tedesco sarebbe potuto essere rioccupato da uno degli eserciti qualora la sicurezza di un paese fosse stata minacciata. I sovietici probabilmente non pensavano ad una Germania unita sotto un governo comunista, dato che questo sarebbe stato un obbiettivo difficilmente raggiungibile, ma ritenevano che quanto meno si avesse uno stato neutralizzato scarsamente influente a livello internazionale. Sulla proposta sovietica di un ritiro totale delle forze armate di tutte le quattro potenze dalla Germania vi erano numerosi pareri contrari; si sarebbe creata probabilmente una situazione molto vicina a quella della Corea anteriore al 1950 e, approfittando della cortina di ferro che impediva agli occidentali di disporre di informazioni, la DDR avrebbe potuto ricostituire un esercito per minacciare Bonn.
 Anche sulla questione austriaca non si ebbero significativi progressi. I rappresentanti sovietici richiesero che l'Austria divenisse uno stato neutrale e che armate delle quattro potenze fossero mantenute fino a che non si fosse giunti ad un trattato di pace con la Germania. Il piano rimase comunque su affermazioni generali e non incontrò l'interesse degli occidentali. Sulla questione della sicurezza infine, la richiesta americana per una attenua¬zione dei segreti militari venne respinta dai sovietici.
 Gli americani intuendo il pericolo costituito dalla proliferazione dell'atomica per usi civili e militari presentarono una proposta per la creazione di una agenzia internazionale per l'energia atomica con il compito di esercitare un controllo sul buon uso della stessa da parte di tutte le nazioni. La proposta venne accettata (anche se trovò attuazione solo diversi anni più tardi) e questa costituì l'unico risultato positivo delle conversazioni, oltre all'impegno di giungere entro tre mesi ad una nuovo incontro che questa volta comprendesse anche la Cina di Pechino, i due governi coreani, e gli stati associati alle grandi potenze, per la risoluzione definitiva della questione coreana e indocinese.
 La nuova conferenza si tenne a Ginevra, come previsto il 26 aprile di quell'anno. L'incontro si aprì in un clima non favorevole agli occidentali, alcuni giorni dopo l'apertura dei lavori si ebbe la tragica caduta del presidio francese di Dien Bien Phu che costituì la fine di ogni velleità colonialista in Asia. I lavori comunque proseguirono; venne accantonato il problema della rappresentatività della delegazione cino comunista, dal momento che sia gli occidentali che i paesi comunisti ritenevano in quella fase il raggiungimento della pace in quella regione di estrema importanza. Sulla questione della sistemazione definitiva della Corea non si ebbe alcun progresso, gli sforzi si concentrarono invece sulla ricerca di una soluzione nel Vietnam.
  Il governo francese, come quello britannico e americano, preoccupati che il movi-mento comunista avrebbe potuto estendersi a macchia d’olio nella penisola indocinese ed oltre, e della debolezza politica e militare del governo dell'imperatore Bao Dai da loro sostenuto, accettarono alcune richieste, tuttavia si imposero affinché le truppe del Viet Minh abbandonassero il Laos e la Cambogia.
 L'incontro fra le delegazioni francesi e cinesi in forma separata diede i suoi frutti; si stabilì una linea di demarcazione sul 17° parallelo che separasse i territori del governo di Hanoi e quello di Saigon, il ritiro delle truppe francesi e di ogni altra truppa straniera entro 10 mesi, libere elezioni sotto controllo internazionale da tenersi entro i due anni.
 Il governo di Washington pur ritenendo che i francesi avevano strappato ampie concessioni si dichiarò non favorevole al piano, mentre il nuovo Premier sud vietnamita, il cattolico Ngo Dinh Diem, che di lì a poco si sarebbe sbararazzato dell'imperatore per stabilire un governo fortemente autoritario, si dichiarava analogamente insoddisfatto. La guerra, che era costata la vita di decine di migliaia di uomini, venne conclusa e negli anni successivi la Francia si astenne da qualsiasi atto d'ingerenza negli affari di quella regione. Un contributo significativo alla pace aveva visto la luce, ma di lì a poco una nuova crisi, conosciuta come la crisi dello Stretto di Formosa, tornò a riportare la tensione nell'Estremo Oriente, questa volta fra Cina e Stati Uniti.

 Fallita la Conferenza di Berlino sulla Germania, dove l'URSS si era opposta alla restaurazione di uno stato tedesco pienamente sovrano, gli Alleati si convinsero della necessità di inserire la repubblica di Bonn nella coalizione militare europea in tempi rapidi. Già nel gennaio '51 i sovietici avevano messo in guardia i paesi occidentali da tale tentativo, ma al tempo stesso non avevano compiuto passi in avanti per normalizzare la situazione.  La ratifica degli accordi sulla creazione della Comunità Europea di Difesa incontrò alcune difficoltà in Francia e Italia. In Francia dove forte era il timore delle conseguenze del riarmo tedesco, l'accordo venne osteggiato da comunisti e gollisti, quest'ultimi contrari in assoluto al principio di sottrarre forze nazionali da destinare alla difesa comune. La resistenza italiana e francese al trattato provocò la reazione americana, contraria a che il peso della questione militare dovesse ricadere eccessivamente sul proprio paese. Dulles avvertì i due governi europei che gli aiuti ai rispettivi paesi sarebbero cessati e avrebbero rivisto la loro politica e la loro presenza in Europa se il progetto di difesa collettiva non fosse stato approvato. Il Segretario di Stato americano non ottenne i risultati che si prefiggeva, il parlamento di Parigi nell'agosto del '54 respinse il trattato e gli americani dovettero rinunciare a iniziative di ritorsione che sarebbero andate contro gli interessi di tutti.
 Nell'ottobre del '54 vennero comunque sottoscritti gli Accordi di Parigi che prevedevano la costituzione dell'Unione Europea Occidentale con una diversa posizione della Gran Bretagna rispetto al progetto precedente, l'ingresso della Repubblica Federale Tedesca nella NATO con l'impegno tuttavia di non produrre armi atomiche, e un piano di riarmo controllato.
 Il blocco sovietico, nel tentativo di impedire la ratifica degli accordi UEO, propose alle nazioni occidentali una conferenza sulla sicurezza europea, che venne respinta come pretestuosa. L'Unione Sovietica fece quindi conoscere che l'ingresso della Germania Federale nel sistema militare occidentale avrebbe impedito la prosecuzione delle trattative sulla questione tedesca e che non sarebbero mancate opportune contromisure.
 Cinque mesi dopo l'URSS denunciò i trattati di amicizia con Francia e Gran Bretagna sottoscritti nell'immediato dopoguerra, che d'altra parte avevano perso sostanzialmente ogni valore, e venne annunciata la costituzione dell'organizzazione militare dei paesi socialisti, il Patto di Varsavia, iniziativa che non destò comunque eccessivo allarme dato che di fatto già esisteva un blocco militare comunista sotto forma di numerosi accordi di reciproca assi-stenza. Al tempo stesso però le trattative sulla questione tedesca non vennero interrotte come era stato minacciato, e il giorno successivo alla firma del trattato che istituiva l'alleanza militare comunista, venne sottoscritto il trattato di pace con l'Austria. L'accordo di pace segnò un importante passo verso la distensione; dopo il ritiro delle truppe sovietiche dall'Azerbagian iraniano nel '46 questo costituiva il primo caso in cui i sovietici spontanea-mente abbandonavano importanti posizioni. La rapida conclusione del trattato con l'Austria dopo anni di estenuanti trattative si spiegava probabilmente col timore da parte di Mosca che le province austriache controllate dagli occidentali fossero integrate nella NATO. In anni successivi l'URSS ai sensi del trattato sottoscritto si dichiarò contraria all'ingresso di Vienna nel MEC.

 Si ritenne che il positivo esito della questione austriaca avrebbe favorito il raggiungi-mento di un accordo sulla Germania, e che i tedeschi si sarebbero dimostrati ben disponibili ad accettare uno stato di neutralità permanente come contropartita della possibile unifica-zione, ma ciò non avvenne, Adenauer rispettosamente ma risolutamente si oppose ad un accordo del genere e confermò la sua adesione piena all'alleanza occidentale.
 Nell'estate di quell'anno si ebbero altre due importanti iniziative per la pace, la Conferenza di Ginevra e il viaggio di Adenauer a Mosca, avvenuti dopo la positiva chiusura nel maggio della crisi dello Stretto di Formosa fra le due Cine.

La Conferenza di Ginevra nella quale vennero discussi i problemi del disarmo, della sicurezza in Europa e la questione tedesca, la cui riunificazione sarebbe dovuta avvenire compatibilmente con le esigenze di sicurezza dell'Unione Sovietica, si svolse in un clima di aperto ottimismo, i rappresentanti delle quattro potenze esposero i principi su cui si sarebbe dovuta basare la convivenza fra i due blocchi, tutti improntati al rispetto reciproco, ma progressi reali furono molto limitati e vennero in luce i limiti della nuova fase politica internazionale: quando dai principi si doveva arrivare a delle conclusioni di ordine pratico le posizioni rimanevano distanti. Negli ultimi giorni della conferenza Eisenhower propose alla controparte lo scambio dei piani militari e la istituzione di un sistema di sorveglianza aerea degli impianti militari dei due contendenti; l'Unione Sovietica respinse la proposta immedia-tamente, il piano, conosciuto come "cieli aperti" altro non era per essi che "la legalizzazione dello spionaggio aereo che gli americani da tempo già effettuavano grazie alla loro superiorità tecnologica". Unico risultato positivo della Conferenza fu il miglioramento delle comunicazioni e dei commerci.
 La missione del cancelliere tedesco in Unione Sovietica nel settembre consentì la apertura di formali relazioni diplomatiche fra i due paesi e la restituzione dei prigionieri di guerra ancora trattenuti in Russia, ma sulla questione della riunificazione della Germania non vi furono progressi come era da aspettarsi.
 A ottobre si tenne l'incontro a livello di ministri degli esteri fra le quattro potenze che avrebbe dovuto concretizzare i principi esposti nella precedente Conferenza di Ginevra; i colloqui si risolsero in un aperto fallimento e la idea di una conclusione consensuale e pacifica della guerra fredda accennata in precedenza anche da Churchill svanì. Molotov era espressamente contrario alla convocazione di elezioni per la risoluzione della questione tedesca, e riteneva una indebita ingerenza negli affari interni dell'Unione Sovietica qualsiasi piano di controllo in materia di armamenti. L'impressione dei rappresentanti occidentali e della stampa era che i sovietici non avevano una reale volontà di trattare, che ricorressero ad una rappresentazione della realtà alterata e in nessun caso intendevano arrivare ad una intesa sulla base del rispetto dei diritti dei popoli. Molotov definì come "non pratiche, non costruttive e artificiali" le proposte occidentali e Kruscev da Mosca ribadiva che il piano di pace presentato dagli occidentali era in realtà "un piano di guerra fredda. Infatti il vero autore di queste proposte, non è presente alla Conferenza, ma la sua ombra, l'ombra di Adenauer, plana su Ginevra".
 Tre incontri al massimo livello in un biennio erano stati un grande risultato, era però evidente che i due contendenti non erano disponibili a cedimenti, ritenendo ognuno che avrebbe rimesso più dell'altro; la tensione internazionale non venne eliminata, tuttavia se non la pace, un tacito modus vivendi provvisorio e precario era stato posto e lo scontro fra i due blocchi prese caratteristiche diverse. La guerra fredda dopo il biennio '53-'55 assunse sempre più i connotati di una guerra di logoramento; come la prima guerra mondiale non si ebbero che piccoli spostamenti del fronte, laddove uno dei contendenti riteneva che l'avversario fosse più debole, e come la grande guerra si concluse per esaurimento dell'avversario e non sotto l'incalzare di un attacco massiccio.
 Nell'anno successivo la proposta sovietica agli USA di un patto di non aggressione e le missioni ufficiali a Mosca del primo ministro francese e del ministro degli esteri britannico analogamente non diedero risultati.