parte 2° tensione internazionale e coesistenza pacifica 1953-1962
IL
MONDO COMUNISTA E LA DESTALINIZZAZIONE
1953
- 1956
Il
sistema di potere staliniano aveva creato un regime del terrore
nella società ma anche all'interno dell'apparato politico; questo
che costituiva un motivo di forza venne anche a rappresentare un
motivo di debolezza, il sistema non poteva sopravvivere al suo
fondatore dato che non vi erano grandi personalità (e se vi fossero
state sarebbero state opportunamente eliminate) in grado di
sostituire il grande dittatore; la destalinizzazione non fu quindi
un processo di democratizzazione ma un inevitabile passaggio da una
dittatura intollerabile ad una almeno accettabile per la nuova
situazione.
La
morte di Stalin costituì nel mondo comunista un avvenimento di
eccezionale importanza. La scomparsa di uno statista che in un
altro paese avrebbe costituito un evento ordinario con la
sostituzione di un nuovo personaggio politico alla guida del paese,
divenne nell'Unione Sovietica un avvenimento tale da cambiare
radicalmente la politica del paese. Subito dopo le onoranze di rito
i massimi leader del paese Malenkov, Berja e Molotov,
rappresentanti rispettivamente il partito, la polizia e il governo,
stabilirono che la carica di segretario del partito e quella di
presidente del consiglio dei ministri, non fossero più cumulate
nella stessa persona come al tempo di Stalin, e diedero vita ad una
forma collegiale di potere e ad un profondo rivolgimento della
linea politica precedente (nella quale avevano avuto gravi
responsabilità) ritenendo di non possedere la statura e le capacità
per imporre un nuovo regime dispotico come quello del
predecessore.
Il
regime stalinista si presentava in crisi già negli ultimi anni di
vita di Stalin, gli insuccessi in politica estera (Turchia, Iran,
Berlino, Corea e la defezione di Tito), e nel campo economico, con
un paese che viveva nello stato d'emergenza come negli anni di
guerra, avevano prodotto un sotterraneo malcontento. Soprattutto lo
stato di terrore che ogni cittadino, funzionario dello stato, o
intellettuale viveva, rendeva intollerabile la situazione, e solo
le misure repressive e il sistema della delazione, che
oltrepassavano ogni limite giuridico, potevano contenere. Fra i
numerosi mali della società sovietica sicuramente il peggiore era
la totale insicurezza nei confronti del potere; un insignificante
atto di indisciplina o di scarsa efficienza nel lavoro, una
affermazione non in linea con le direttive del regime, poteva
costare gravissime condanne senza possibilità
d'appello.
Tutta
la società sovietica, il partito, l'esercito reclamavano se non la
libertà almeno una maggiore autonomia e un sistema di vita
tollerabile. I nuovi dirigenti del Cremlino non si opposero a
questa tendenza profonda della società, e nei mesi successivi alla
scomparsa del dittatore presero significative misure per migliorare
il tenore di vita della grande massa dei cittadini, mitigare la
situazione dei contadini delle aziende di stato, e promuovere una
minore tensione internazionale.
Con
il nuovo corso inaugurato dalla direzione collegiale la Russia
vennero eliminati gli aspetti più deteriori della dittatura di
Stalin, riformata parzialmente l'economia, ammessa una relativa
tolleranza, ma in nome di un pragmatismo di potere ai quali i
dirigenti sovietici non potevano opporsi. Alla morte di Stalin
d'altra parte gli stessi uomini maggiormente compromessi, come
Malenkov e Berja, ritenevano di "riformare" il regime non
risultando possibile la prosecuzione della dittatura in quella
forma. Il regime rinunciò a perseguitare gli "oppositori
potenziali" coloro cioè, che pure non avendo commesso atti contro
l'ordinamento dello stato si riteneva che per varie ragioni
culturali, etniche, religiose o di altro tipo, non fossero degli
"integrati" nel sistema politico. Fu quindi bloccata sul nascere la
persecuzione antisemita iniziata nel periodo precedente, e liberate
le nazionalità non russe deportate, ma il rispetto dei diritti
civili e politici rimase qualcosa di profondamente estraneo al
modello sovietico.
Il
periodo di Malenkov e Kruscev successivamente, si venne a
caratterizzare in tutto il mondo comunista più per la attenuazione
del regime precedente, che per il sorgere di principi innovatori.
L'Unione Sovietica di quegli anni appariva spenta, tesa a contenere
e resistere alle spinte che provenivano dalla società (senza più
l'autorevolezza del precedente regime) e avviata a quel lento
declino ideale e materiale che caratterizzò l'ultimo periodo del
comunismo sovietico. Le riforme economiche e politiche non
furono una libera scelta dei nuovi dirigenti del Cremlino per la
edificazione di un nuovo stato, ma il tentativo di smorzare una
protesta che da molte parti dell'impero si stava sollevando. Gli
internati nei grandi campi di concentramento della Siberia, i
tedeschi della Germania Orientale, gli operai della Cecoslovacchia
e della Polonia diedero vita ad una protesta, nata da motivi
economici, ma che immediatamente diveniva politica con richieste di
riforme radicali che andavano molto oltre le concessioni dall'alto
del nuovo regime.
Gli
anni fra il 1945 e il 1953 furono un anni di crescente tensione fra
i due blocchi, caratterizzati da una corsa agli armamenti senza
precedenti e da una caduta delle relazioni diplomatiche che mise in
crisi gli stessi organismi dell'ONU. Questi anni costituirono il
momento più difficile della guerra fredda, periodo nel quale si
diffuse nell'opinione pubblica sia dell'Est che dell'Ovest l'idea
che la guerra fosse praticamente inevitabile. Dopo la morte di
Stalin i dirigenti sovietici compresero che lo stato di tensione
risultava improduttivo e si fecero promotori della "distensione"
che, se non portò alla risoluzione di molti contrasti aperti negli
anni precedenti, contribuì a far prendere coscienza che il dialogo
fra le parti risultava utile ed anzi indispensabile per tutti.
Nessuno dei contendenti poteva strappare una vittoria completa
sull'altro, i due sistemi politici per quanto lontani erano
costretti a coesistere.
Sicuramente
Malenkov, braccio destro di Stalin, e Berja, il temibile ministro
degli Interni e capo della polizia, erano i personaggi più odiati e
ritenuti responsabili degli atti peggiori della dittatura. Berja
veniva considerato un personaggio scomodo e temibile da parte di
una larga parte della nomenclatura; come ministro degli interni
disponeva di un potere vastissimo, i suoi uomini erano presenti in
ogni struttura politica ed economica del paese e reparti di polizia
presidiavano tutte le sedi dove si svolgeva la vita politica del
paese. Nei giorni successivi alla morte di Stalin l'esponente
comunista prese alcune iniziative per riprendere totalmente il
controllo dei servizi di sicurezza (fra le quali la liberazione di
Abakumov) e diede ordine ai reparti speciali dipendenti dal
ministero degli interni di concentrarsi nella regione di Mosca per
garantire l'ordine pubblico e reprimere la forte criminalità, ma in
realtà come deterrente per i possibili rivali
politici.
Berja
fu anche il fautore di alcune iniziative innovative che non
incontrarono il consenso di altri grandi personaggi della
nomenclatura. Nelle settimane immediatamente successive
all'insediamento dei nuovi capi del Cremlino venne concessa
un'ampia amnistia e accordata una maggiore autonomia alle
Repubbliche, eliminando la prassi che le massime autorità delle
stesse fossero conferite ai cittadini di origine russa. Il nuovo
governo s'interessò anche degli urgenti problemi economici, venne
decretata la riduzione della pressione fiscale sugli appezzamenti
agricoli dei contadini delle aziende di stato, ridotte le consegne
obbligatorie e aumentati i prezzi pagati dallo stato per le derrate
agricole, permettendo un miglioramento delle condizioni di vita dei
lavoratori rurali e un incremento della produzione agro alimentare.
Nel campo politico venne denunciata la "congiura dei medici" voluta
da Stalin come una artificiosa montatura, (anche se non vennero
individuati i responsabili dell'intrigo), e si iniziò una revisione
di molte condanne espresse negli anni passati. La nuova politica
ebbe risvolti anche nel campo delle relazioni internazionali;
importanti segnali di disgelo si ebbero già nei giorni successivi
alla morte di Stalin, e su iniziativa dei dirigenti sovietici
vennero liberati dalle autorità coreane l'ambasciatore inglese e
altri cittadini britannici trattenuti in Corea.
Il
nuovo quadro politico non si presentava però stabile. Nel giugno
del '53 si ebbe una grave crisi ai vertici dello stato sovietico.
Il potente ministro degli interni Berja venne arrestato nel corso
di una drammatica riunione alla presenza del maresciallo Zukov. Si
ritiene che una parte notevole nella vicenda, quasi un colpo di
stato, venne svolta dall'esercito che impedì la reazione delle
truppe del ministero degli interni. Il leader comunista venne
processato insieme ai suoi principali collaboratori, accusato di
"maneggi criminali... a favore del capitale straniero e
dell'imperialismo britannico" e giustiziato. Berija, che fu
il terzo dei capi dei servizi segreti con Jagoda ed Ezov ad essere
eliminato, secondo il figlio Sergò fu ucciso il giorno stesso del
suo arresto e il successivo processo fu semplicemente una farsa .
Le epurazioni non cessarono,all'interno dello stato sovietico,
nell'anno successivo venne giustiziato Rjumin considerato il
diretto responsabile della cosiddetta congiura dei medici e
Abakumov responsabile della persecuzione dei dirigenti di
Leningrado; Il ruolo della polizia politica venne comunque
fortemente ridimensionato e quindi sottoposto al controllo del
partito.
La
morte di Stalin aveva provocato uno sconvolgimento in tutto il
mondo comunista che i provvedimenti tesi a mitigare la dittatura
non riuscirono a smorzare. Il 1° giugno si ebbero scioperi
nell'industria in Cecoslovacchia che ebbero il loro culmine
nell'assalto del municipio di Pilsen; la protesta nata per motivi
economici (la difesa del potere d'acquisto dei salari) ben presto
si trasformò in rivolta politica con la richiesta di libere
elezioni e l'allonta-namento delle truppe sovietiche. Due settimane
dopo si assistette alle manifestazioni operaie contro l'aumento di
"produttività" nel lavoro a Berlino che si estesero rapidamente
alle altre grandi città della Germania Orientale, nel corso delle
quali si verificarono assalti di commissariati e liberazione dei
prigionieri politici. Nella capitale tedesca i rivoltosi e per un
certo periodo di tempo ebbero il sopravvento sulle forze di polizia
che con scarsa volontà si impegnarono nella repressione
dell'agitazione. Contro i manifestanti che avanzavano richieste
anche a carattere politico, fra le quali le dimissioni di Ulbricht
e la riunificazione della Germania, intervennero le truppe
sovietiche di stanza nel paese che riportarono l'ordine con il
ricorso ai carri armati; al termine della repressione si contarono
500 morti. Delle difficoltà di tenere la Germania Orientale sotto
controllo i dirigenti del Cremlino ne erano ben coscienti; nel '53
dopo la morte di Stalin parlando al Presidium, Berija sostenne: "Ma
che rilevanza ha questa DDR? E' una cosa messa su dalle truppe
sovietiche, anche se la chiamano Repubblica Democratica Tedesca" ;
la provocatoria dichiarazione costituì uno dei capi d'accusa nel
suo processo poco dopo.
Non
molto tempo dopo si verificarono ribellioni nell'Asia sovietica fra
i detenuti dei grandi campi di concentramento; gli insorti
chiedevano condizioni di vita più umane e opposero una resistenza
disperata; vennero infine sopraffatti dalle truppe di rinforzo
arrivate dalle altre regioni, tuttavia il governo fu costretto a
rivedere il regime di detenzione e negli anni successivi il numero
degli internati diminuì notevolmente.
In
Ungheria, dove si era accentuata l'attività della stampa
clandestina contro il regime, venne rimosso con l'assenso del
Cremlino l'odiato Rakosi e sostituito con Imre Nagy, esponente
moderato favorevole alla democratizzazione economica del paese; il
partito fu comunque scosso da contrasti violenti e due anni dopo in
seguito alla caduta di Malenkov, il leader riformista fu costretto
ad abbandonare il governo.
Di
fronte a tali avvenimenti il governo sovietico accettò di
riconsiderare la propria politica verso i paesi satelliti; in
Germania Orientale si pose termine alle riparazioni e vennero
ridotte le spese per il mantenimento delle truppe sovietiche nel
paese, nel '54 vennero sciolte le società miste nell'Europa
orientale e in Cina, che avevano operato in maniera fortemente
scorretta in quei paesi.
Anche
negli altri paesi dell'Europa orientale dove non si erano avute
manifestazioni di protesta si ebbe una attenuazione del regime
repressivo. In Polonia nel '54 si procedette alla liberazione e
riabilitazione di numerosi esponenti perseguitati nel periodo
stalinista fra i quali lo stesso Gomulka, venne destituito Bierut e
soppresso il Ministero della Sicurezza responsabile delle
epurazioni compiute negli anni precedenti. In Bulgaria lo
stalinista Vulko Cervenkov venne sostituito dal più moderato Todor
Zhivkov; in Romania invece, il nuovo corso non produs¬se
cambiamenti significativi, e nel 1954 venne condannato
all'ergastolo Vasile Luca, esponente comunista in precedenza legato
ad Ana Pauker.
Nel
1955 si ebbe un netto miglioramento dei rapporti fra Unione
Sovietica e Jugoslavia. Kruscev riconobbe esplicitamente le colpe
del suo governo attribuendole alla politica portata avanti da
Berja. Nell'incontro a Belgrado che suggellò la riconciliazione, il
leader del Cremlino affermò che le relazioni fra i due stati
dovevano essere improntate a rispetto reciproco, nella piena
sovranità e indipendenza. Tito dimostrò di gradire i nuovi passi
dell'Unione Sovietica ma evitò di riannodare rapporti formali fra i
due stati e nel campo internazionale si fece promotore del
movimento dei paesi non allineati curando in particolare le
relazioni con l'Egitto di Nasser e l'India. La nuova politica di
Mosca verso Belgrado venne comunque criticata da diversi esponenti
politici staliniani come Molotov e dai dirigenti cinesi,
sostenitori di una linea più intransigente, come anche per ragioni
opposte dal comunista jugoslavo Gilas contrario anche a certi
indirizzi autoritari del governo; per questa sua manifestazione di
dissenso venne condannato a 18 mesi di reclusione.
La
battaglia per il potere non cessò comunque con l'eliminazione di
Berja; nel '55 venne messo sotto accusa Malenkov che dopo la
scomparsa del primo aveva perduto progressivamente larga parte del
potere. Al Comitato Centrale del partito venne duramente criticato
per aver sostenuto la necessità di sviluppare quei settori
dell'economia che contribuivano al miglioramento del tenore di vita
dei cittadini sovietici in contrasto con Kruscev favorevole a
privilegiare l'industria pesante. Nel febbraio l'ex braccio destro
di Stalin si dimise da Primo Ministro e venne sostituito dal
maresciallo Bulganin vecchio amico di Kruscev, mentre un altro
grande comandante militare, Zukov, assunse il ministero della
Difesa, più tardi tuttavia, anch’egli verrà allontanato dal potere
e accusato per l'eccessiva autonomia conferita
all'esercito.
Con
l'eliminazione di Berja e il significativo ridimensionamento di
Malenkov, la situazione politica appariva favorevole alla ascesa di
Kruscev e ad una profonda destalinizzazione dell'apparato pubblico;
in questo quadro politico si aprì il 20° congresso del PCUS a Mosca
che impresse al blocco comunista e ai partiti che perseguivano tale
aspirazione una profonda svolta. Vennero rivolte critiche
sull'operato di Berja ma che implicitamente coinvolgevano la figura
di Stalin, e venne affermato che il "culto della personalità" del
recente passato non poteva non essere in contrasto con i principi
leninisti. Nel campo della politica estera le novità furono
non minori; secondo il leader comunista esistevano paesi e forze
politiche non strettamente comuniste, ma amiche della pace con le
quali l'URSS poteva stabilire proficui rapporti di collaborazione,
e se l'umanità risultava divisa in due blocchi contrapposti,
tuttavia poteva sussistere una forma di "coesistenza e competizione
pacifica" con il mondo occidentale. Questo significava il
riconoscimento dell'impossibilità di sovvertire con l'uso della
forza l'assetto politico mondiale, ma non anche la creazione di un
ordine mondiale più equilibrato e la rinuncia all'abbattimento dei
sistemi politici occidentali. Importanti innovazioni vennero anche
affermate nel campo dei rapporti fra centro e periferia; i partiti
comunisti dell'Occidente non dovevano considerarsi rigidamente
legati a un rapporto di subordinazione e potevano seguire vie
diverse da quelle perseguite nell'Unione Sovietica; ma la parte più
significativa del congresso fu il cosiddetto rapporto segreto,
tenuto alla fine dei lavori, quando ormai i delegati si accingevano
di lasciare Mosca. Kruscev denunciò che dagli anni Trenta alla
morte di Stalin, l'Unione Sovietica aveva conosciuto gravissime
illegalità; gli organi di polizia attraverso atti di violenza, il
ricorso alla tortura, e ad ogni altro mezzo di repressione aveva
istituito il regime del terrore nel paese. La responsabilità di
tali fatti, come delle deportazioni di massa, delle epurazioni
all'interno del partito, venne addebitata a Stalin che aveva
promosso il dispotismo e il culto della propria persona. Il
dittatore venne anche considerato responsabile della impreparazione
militare e della pessima condotta della guerra che aveva provocato
milioni di morti fra soldati e civili (ma non anche accusato per il
Patto Molotov Ribbentrop). La rottura delle relazioni diplomatiche
con la Jugoslavia e numerosi altri errori politici vennero
attribuiti alla politica del predecessore, tuttavia non tutto della
prece-dente politica venne criticato. L'eliminazione di Trozcky,
Zinoviev e Bucharin, la collettivizza-zione forzata e la terribile
eliminazione dei kulaki non vennero considerati come “errori”. Le
critiche allo stalinismo furono esplicite ma le proposte di riforma
del sistema furono ben scarse né vi fu una reale richiesta di
democratizzazione dello stato.
Il
"rapporto" aveva carattere segreto, ma venne comunque ampiamente
diffuso, e facilmente pervenne in Occidente dove attraverso la
stampa raggiunse l'opinione pubblica mondiale. I partiti comunisti
francese, inglese e americano contestarono le conclusioni del
rapporto, quello cinese ed albanese espressero anch'essi disappunto
ma nei paesi dell'Est e per milioni di cittadini sovietici costituì
un eccezionale avvenimento.
Conciliare
le esigenze dell'impero con quelle di un regime non ostile alla
società fu il grande problema del regime di Kruscev. Questi oscillò
fra i due estremi senza giungere ad alcuna situazione stabile. Ad
una apertura seguiva un intervento repressivo, come nel campo delle
relazioni internazionali alla disponibilità al dialogo seguiva un
improduttivo irrigidimento. I progressi risultavano estremamente
modesti e al termine del decennio kruscoviano l'Unione Sovietica si
presentava in una situazione non migliore a quella degli anni
precedenti. Solo l'uso della forza poteva tenere in vita un sistema
che per sua natura tendeva a disgregarsi, e per adoperarla
occorreva una figura al di sopra dei "mortali" che nell'Unione
Sovietica dopo la morte di Stalin non esisteva. Il regime sovietico
non aveva conquistato il cuore della classe operaia né degli
intellettuali, e ciò si risentiva nei modesti risultati nel campo
economico e nella scarsa vitalità della classe
dirigente.
La
condanna dello stalinismo non fu sufficiente a frenare il
malcontento popolare nei paesi dell'Est. Nuovamente gli operai,
come nel '53 in Cecoslovacchia e nella Germania Orientale si fecero
protagonisti della rivolta. Nel giugno del '56 i lavoratori delle
officine automobilistiche di Poznan in Polonia diedero vita ad uno
sciopero che si estese in tutto il paese per richiedere livelli
retributivi accettabili e l'allontanamento delle truppe sovietiche
dal paese. Venne dichiarato lo stato d'assedio ma l'esercito si
rifiutò di sparare sugli operai e la rivolta, che si concluse con
almeno 38 morti, (più di 100 secondo fonti non governative), venne
fermata solo dall'intervento delle truppe speciali del ministero
degli Interni. Le proteste suscitarono comunque fermenti
all'interno del partito comunista nel quale si aprì il contrasto
fra i sostenitori dell'allineamento a Mosca e i sostenitori di una
democratizzazione del paese. Nell'ottobre si tenne il comitato
centrale del partito al quale intervennero gli stessi capi del
Cremlino; ebbero la meglio i riformisti, e Gomulka, il sostenitore
della via polacca al socialismo, poté riprendere in mano la
segreteria del partito.
L'Unione
Sovietica non poteva accettare che le truppe sovietiche fossero
estromesse dalla Polonia e che il paese si distaccasse dal blocco
comunista; vennero iniziate quindi nei giorni successivi delle
manovre che facevano ritenere imminente un'azione di forza contro
la repubblica ribelle. Gli operai all'interno delle fabbriche
iniziarono ad armarsi e a prepararsi alla resistenza contro un
intervento di Mosca ritenuto ormai probabile, ma Gomulka riuscì a
garantire la permanenza del paese nell'alleanza sovietica e a
scongiurare lo scontro. Venne allontanato l'odiato ministro della
difesa Rokossowsky (il cittadino sovietico nominato a capo
dell'esercito), migliorati a favore della Polonia i rapporti
commerciali con l'URSS, liberato il cardinale Wyszynski in carcere
da tre anni, ma l'apparato statale non venne toccato e la Polonia
si avviò verso la normalità
La
situazione in Polonia non si era ancora stabilizzata che cresceva
in Ungheria il malcontento verso il governo. Fra il giugno '53 e il
dicembre '54 si era avuto il cosiddetto "nuovo corso" sotto la
segreteria di Imre Nagy, ma la caduta di Malenkov aveva provocato
la fine dell'esperimento politico e il ritorno di Matyas Rakosi. La
reazione del vecchio leader stalinista contro gli oppositori
all'interno e all'esterno del partito fu energica, ma sotto la
pressione degli stessi dirigenti del Cremlino, che ritenevano il
leader ungherese eccessiva-mente screditato, dovette abbandonare
definitivamente il potere.
Nell'ottobre
si tennero a Budapest i funerali di Rajk e delle altre vittime
degli anni dello stalinismo che si trasformarono in una grande
manifestazione che presto infiammò tutto il paese, chiedendo
libertà politiche, il ritorno di Nagy alla guida del paese, e il
ritiro delle forze armate sovietiche. Numerosi membri della
famigerata polizia vennero fatti fuori mentre nelle fabbriche si
andava organizzando il movimento contro il regime. Il 23 sotto la
pressione della piazza Nagy ritornò al governo e quale primo
ministro assicurò una serie di riforme e invitò la popolazione alla
calma e a deporre le armi. Due giorni dopo si verificarono davanti
al Parlamento i primi scontri con le truppe sovietiche di cui la
popolazione chiedeva l'immediato allontanamento. I sovietici
sembrava comunque fossero disponibili al compro¬messo sulla base
degli accordi sottoscritti in Polonia pochi giorni prima e
accettarono la richiesta di Nagy di lasciare il paese, ma il 1°
novembre dopo consultazioni con gli altri paesi dell'Europa
orientale le truppe di Mosca invasero l'Ungheria. Il governo la
sera stessa deliberò la uscita del paese dal Patto di Varsavia e
lanciò un appello alle Nazioni Unite perché fosse garantita la
sovranità della nazione. La richiesta di soccorso venne accolto dal
Consiglio di Sicurezza dell'ONU dove venne dibattuta una mozione di
condanna che non ebbe attuazione per il prevedibile veto sovietico;
l'Assemblea Generale espresse una dura condanna all'operato
dell'Unione Sovietica ma senza poter imporre alcun provvedimento
concreto. Nei giorni successivi si vennero a formare due governi
nel paese, uno sotto la guida di Kadar sostenuto dai sovietici e un
governo di coalizione presieduto da Nagy formato da esponenti
comunisti, socialdemocratici, rappresentanti del partito dei
piccoli proprietari (il partito al potere nel '47) e del circolo
Petöfi che godeva del sostegno della popolazione.
Il 4 novembre la capitale ungherese venne bombardata e nella città
si accese una battaglia contro i carri armati sovietici; solo con
notevole sforzo l'esercito di Mosca riuscì a prendere pieno
possesso della città e i combattimenti nel paese cessarono solo
dieci giorni dopo. Al termine dei combattimenti si ebbero 25.000
morti nel paese, 15.000 cittadini ungheresi deportati in Unione
Sovietica e 160.000 che abbandonarono il paese per sfuggire
all'arresto. Nagy venne incarcerato, e rifiutatosi di riconoscersi
colpevole condannato alla pena capitale. L'ordine era ristabilito
nel paese ma il regime sovietico ne usciva profondamente
squalificato, e non poté più riprendersi dalla condanna morale
espressa dalla comunità internazionale.
I
filosofi Lukacs e il tedesco orientale Harich vennero arrestati per
aver sostenuto l'opportunità di una via autonoma al socialismo come
quella intrapresa dalla Polonia di Gomulka; nel giugno del '58
nonostante le proteste di Tito, venne eseguita la fucilazione di
Nagy e di altri tre importanti esponenti degli avvenimenti di due
anni prima. Gli americani dovettero prendere atto che non avevano
modo di favorire il distacco dei paesi dell'Europa orientale
dall'URSS e mutarono strategia nei loro confronti; negli anni
successivi concessero aiuti economici al governo Gomulka al fine di
consolidare la sua autonomia, sia pure parziale, da
Mosca.
L'Unione
Sovietica di Kruscev non aveva realizzato grandi progressi verso
gli obbiettivi del socialismo: emancipazione dei lavoratori,
democrazia, e stato di diritto, né era riuscita a dare vita ad una
associazione di stati comunisti su basi democratiche di reciproco
rispetto. Il comportamento fortemente autoritario dell'Unione
Sovietica portò ad una profonda crisi all'interno dello
schieramento comunista. I partiti comunisti italiano e francese
rifiutarono di condannare l'intervento sovietico (parlarono di
agitatori controrivoluzionari sostenuti da agenti imperialisti) ma
molti uomini di cultura come il filosofo Paul Sartre in Francia e
Pablo Picasso si allontanarono dalle organizzazioni di estrema
sinistra e in Italia i gravi fatti sancirono il distacco dei
socialisti che presero energicamente le distanze dai comunisti.
Solo successivamente Togliatti si espresse a favore delle "vie
nazionali al socialismo" definizione che non comportava comunque un
rifiuto del modello sovietico.
Anche
in altri paesi del mondo comunista si ebbero agitazioni. In seguito
al rapporto segreto in Bulgaria tramontava Cervenkov il principale
esponente comunista dopo la morte di Dimitrov. Disordini si
verificarono in Georgia, dove le tesi di Kruscev su Stalin al 20°
Congresso vennero considerate come un attacco al grande personaggio
georgiano e un tentativo di svilire l'identità nazionale della
repubblica caucasica, e a Grozny dove scoppia-rono disordini fra
Russi e Ceceni. Nel '56-'58 si ebbe il ritorno delle popolazioni
deportate negli anni dello stalinismo con l'eccezione dei tedeschi
del Volga e dei Tatari della Crimea (per evitare i risentimenti
degli Ucraini), ma la situazione non tornò alla
normalità.
Un'autentica
svolta in Unione Sovietica non si ebbe nemmeno quando vennero
allontanati dal potere gli ultimi grandi esponenti stalinisti
Molotov, Malenkov, Kaganovic. L'Unione Sovietica non andò oltre i
provvedimenti tesi ad attenuare la dittatura e migliorare le
condizioni dei lavoratori rispetto alla situazione gravissima degli
anni precedenti (divieto di licenziamento da parte dei lavoratori e
sanzioni penali contro l'assenteismo). L'economia liberata da
alcuni dei lacci che la tenevano soffocata conobbe un discreto
miglioramento, ma sul piano politico la democratizzazione rimaneva
un obbiettivo irraggiungibile, le vicende di Pasternak e di altri
numerosi letterati ne costituì la conferma.
L'EVOLUZIONE
INTERNA DEI PAESI OCCIDENTALI
Le
difficoltà economiche del dopoguerra, il sorgere delle grandi
potenze extraeuro-pee e della guerra fredda, il processo di
decolonizzazione con le conseguenti maggiori difficoltà nel
garantire l'approvvigionamento di materie prime, spinsero i paesi
dell'Europa a superare il tradizionale antagonismo e a creare una
comunità di stati. L'idea già formulata da Churchill negli anni
della guerra prese corpo nel '47 con la creazione
dell'Organizzazione Economica per la Cooperazione Europea (l'OECE)
per la pianificazione degli aiuti americani previsti dall'ERP
(piano Marshall), e l'approvazione del Trattato di Bruxelles,
nell'anno successivo, fra i paesi già aderenti al BENELUX, la
Francia, e la Gran Bretagna.
Diversi
erano gli approcci alla questione europeista; quella dei
federalisti favorevoli alla creazione degli stati uniti d'Europa
come organizzazione creata dal basso attraverso una assemblea
costituente eletta dai cittadini, quella dei sostenitori di una
aggregazione graduale attraverso l'unificazione di alcune
politiche, e infine quella di coloro che proponevano una
collaborazione inter governativa fra gli stati, ma contrari in
genere a qualsiasi organismo con carattere sovranazionale. Negli
anni successivi si ebbero progressi verso una maggiore solidarietà
europea, ma in un senso diverso da quello auspicato dai sostenitori
più intransigenti dell'europeismo.
Nel
'49 per iniziativa degli stessi cinque paesi che avevano dato vita
al Trattato di Bruxelles venne istituito il Consiglio d'Europa con
finalità consultive e culturali, fra le quali la tutela dei diritti
dell'uomo, la cooperazione culturale nel campo dell'educazione e la
formazione di una coscienza europea. L'organizzazione non aveva
caratteristiche sovranazionali, il Comitato dei Ministri previsto
come massimo organo deliberava esclusivamente all'unanimità
servendosi di un'assemblea consultiva; negli anni successivi la
organizzazione venne estesa ad altri paesi fra i quali la
Repubblica Federale Tedesca, ma i risultati dell'OECE e del
Consiglio vennero giudicati comunque insufficienti dai
federalisti.
Nella
prima metà degli anni Cinquanta molto intensa fu l'attività dei
governi europei per una maggiore integrazione del continente. I
problemi ad essa connessa trovarono notevole interesse
nell'opinione pubblica e la creazione di una associazione di stati
europei incontrò il sostegno degli Stati Uniti, che nel corso della
guerra fredda ricercarono costantemente l'intesa coi governi
europei e agirono nel pieno rispetto della sovranità degli stati
del vecchio continente. Movimenti federalisti di ispirazione
cattolica e laico democratica sorsero ovunque, ma ad alcuni
successi seguirono delle battute d'arresto. Nel '51 su iniziativa
del democratico cristiano francese Schuman venne creata per
assicurare il libero scambio di due prodotti considerati altamente
strategici nell'economia industrializzata, la Comunità Europea
Carbone e Acciaio, alla quale tuttavia non aderì la Gran Bretagna.
Nell'anno successivo il progetto del movimento federalista di
organizzare una Comunità Europea di Difesa non venne portato a
termine. L'organizzazione doveva consentire alla Germania di Bonn
di contribuire alla difesa comune europea superando il problema del
riarmo tedesco. Il trattato venne firmato nel '52 dai governi di
Francia, Gran Bretagna, Italia, paesi del BENELUX e Germania
Federale ma non ebbe seguito per la mancata ratifica del parlamento
francese. In Francia infatti le forze nazionaliste e quelle
pacifiste filo sovietiche per motivi opposti si opponevano alla
partecipazione del paese a tale progetto. i gollisti ritenevano il
problema della difesa della nazione non potesse essere delegato ad
un organismo sovrana-zionale, mentre i comunisti erano contrari ad
ogni iniziativa che fosse in contrasto con la politica sovietica.
Successivamente vennero comunque firmati i trattati per
l'istituzione dell'Unione Europea Occidentale, sostanzialmente
simili ai precedenti, diversi solo sul ruolo da attribuire alla
Gran Bretagna.
Il
raffreddamento dei rapporti tra Francia e Gran Bretagna e
l'opposizione di quest'ultima a creare un organismo europeo dotato
di vasti poteri portò alla creazione di una zona di libero scambio,
l'EFTA comprendente i paesi scandinavi, il Portogallo, l'Austria e
la Svizzera, con competenze più limitate. L’organismo ebbe scarso
successo e progressivamente venne soppresso.
Nonostante
i problemi legati alla guerra fredda, tutto il mondo occidentale ha
conosciuto negli anni Cinquanta un tasso di sviluppo economico che
non ha confronti con quello di qualsiasi periodo storico. Grazie
alla liberalizzazione dei mercati, alla stabilità dei prezzi e
delle valute, alle istituzioni regolatrici del commercio
internazionale, alle innovazioni tecnologiche, i paesi dell'Europa
conobbero un incremento del reddito nazionale particolarmente
elevato, il tasso di crescita del PIL fra il 1953 e il 1973 risultò
mediamente del 4,8% contro il 2% del periodo compreso fra il 1870 e
il 1940.
I
migliori risultati vennero conseguiti dalla Germania e dal
Giappone, seguiti da Francia e Italia, mentre l'Inghilterra, pur
seguendo il trend positivo, conobbe dei miglioramenti più limitati.
Fra il 1953 e il 1962 la produzione industriale della Gran Bretagna
registrò un incremento del 30% contro la crescita del 90% della
Francia e del 100% della Germania. La difficile situazione
economica spinse nel 1963 il Premier Mac Milian a chiedere
l'ingresso della Gran Bretagna nel MEC.
Le
conseguenze del positivo andamento economico furono la stabilità
politica (con l'eccezione comunque della Francia), una maggiore
diffusione della cultura e della parteci-pazione popolare alle
scelte politiche degli stati, che consentirono un migliore sviluppo
del continente europeo.
Negli
anni Cinquanta si ebbe in Europa il superamento delle controversie
legate a questioni territoriali. La Saar venne restituita dal
governo di Parigi alla Germania, l'Alsazia Lorena, che aveva
costituito nel passato motivo di attrito (in quanto regioni di
lingua tedesca ma storicamente legate alla Francia) definitivamente
riconosciuta come territorio francese, infine il Territorio Libero
di Trieste, anche se in contrasto con la volontà delle popolazioni,
venne diviso in due zone fra Italia e Jugoslavia. L'unica questione
aperta rimaneva quella dei confini orientali della Germania con la
Polonia (che non poteva essere risolta fino alla riunificazione
tedesca) e venne definitivamente conclusa nel 1990 con la
accettazione da parte del parlamento tedesco del contestato confine
dell'Oder-Neisse.
Il
programma di austerità e i poco brillanti risultati economici
avevano provocato la caduta del governo Attle in Gran Bretagna. Il
gabinetto Churchill subentrato ai laburisti nel 1951 lasciò in
piedi buona parte delle riforme economiche attuate dai predecessori
e gestì la politica di decolonizzazione con molta prudenza,
evitando gli improduttivi irrigidimenti dei governi francesi. Il
governo conservatore, sebbene dovette affrontare una difficile
situazione economica, rimase ininterrottamente al potere per
tredici anni fino al 1964.
In
politica estera venne confermata l'alleanza più stretta con gli
Stati Uniti, mante-nendo su alcune questioni dei punti di vista
comunque diversi. Il governo inglese si oppose al progetto del
generale Mac Arthur di estendere il conflitto coreano alla Cina e
nel 1954 giunse al riconoscimento formale del governo di Pechino.
Diversamente sul Medio Oriente, per la questione del petrolio
iraniano e del Canale di Suez, questioni giudicate di notevole
interesse per la nazione britannica, il governo conservatore
sostenne sia pur con poco successo una posizione più incisiva.
L'impegno del governo conservatore nella politica estera produsse
la reazione dei gruppi pacifisti. Nel 1960 all'interno del partito
laburista la corrente ostile a Goitskell si espresse a favore del
disarmo nucleare unilaterale, e nel febbraio dello stesso anno,
40.000 cittadini presentarono una petizione al Parlamento per
chiedere l'eliminazione dell'arsenale atomico.
La
posizione inglese verso le istituzioni comunitarie è stata molto
controversa. Il governo di Londra si espresse a favore della
Comunità Europea di Difesa, non aderì alla Comunità Europea carbone
e Acciaio e all'Europa dei Sei contrappose una associazione di
libero scambio con poteri più limitati, l'EFTA. Tale posizione fu
anche il prodotto dell'opposi-zione dei paesi del Commonwealth
all'ingresso di Londra nella organizzazione economica europea, e
negli anni successivi l’Inghilterra dovette rivedere le sue
posizioni.
La
Quarta Repubblica francese fu caratterizzata da una gravissima
instabilità politica favorita anche dal sistema costituzionale che
non consentiva la formazione di vaste aggregazioni politiche e
dalla presenza di un partito comunista e un partito gollista che
non presero parte alla formazione dei governi, ma che tuttavia
erano in grado di ostacolare la normale vita politica del
paese.
Negli
anni Cinquanta la Francia conobbe un periodo di prosperità
economica, ma i problemi connessi con la decolonizzazione, ed in
particolare la questione dell'Indocina e dell'Algeria provocarono
ulteriori contrasti a livello politico. Nel 1958 il tentativo di
conciliazione del governo di Parigi verso l'Algeria provocò una
insurrezione militare in quella colonia che avrebbe potuto
facilmente estendersi al resto della nazione. Le forze politiche
per prevenire tale eventualità a larga maggioranza affidarono il
governo a De Gaulle, il quale diede vita ad un gabinetto di unione
nazionale con poteri speciali; il generale sebbene favorevole alle
richieste dei francesi d'Algeria si riteneva avrebbe potuto evitare
una più grave crisi nel paese.
Il
primo atto politico del nuovo governo fu il progetto di una nuova
costituzione che ponesse fine alla grave instabilità e rafforzasse
i poteri del Presidente; il tentativo ebbe successo e nell'estate
dello stesso anno si tenne un referendum che sancì a larga
maggioranza (80% dei voti) la nascita della Quinta
Repubblica.
La questione algerina si presentava complessa a causa dei forti
vincoli che legavano il paese arabo, nel quale erano presenti circa
un milione di francesi, a Parigi; nella prima metà degli anni
Cinquanta nessun partito, comunisti compresi, era favorevole alla
piena indipendenza della colonia. La controversia franco-algerina,
sulla quale i sovietici si astennero di intervenire, non interessò
particolarmente gli alleati occidentali; secondo l'opinione di
Kennedy la posizione degli Stati Uniti non poteva che essere quella
di "riaffermazione della nostra ovvia fiducia agli amici europei, e
al tempo stesso d'ovvia fedeltà ai principi
dell'autodeterminazione". Nel gennaio del '61 si tenne un
referendum con il quale il 75% dei francesi si espresse a favore
dell'indipendenza, seguì un nuovo tentativo di colpo di stato
militare che ebbe però scarso seguito, e non impedì la prosecuzione
della politica di pace del governo.
L'anno
successivo il governo francese sottoscrisse con i rappresentanti
del movimento algerino gli accordi che stabilirono la nascita
dell'Algeria indipendente. Il nuovo stato arabo si diede una forma
di governo autoritaria e socialisteggiante; il governo di Ben Bella
non rispettò gli impegni assunti sul rispetto dei coloni francesi e
centinaia di migliaia di francesi (i cosiddetti pied noirs) furono
costretti in condizioni tragiche ad abbandonare il
paese.
L'Italia superò bene la difficile situazione economica del dopoguerra, si avviò rapidamente verso la stabilità politica, e attraverso diverse iniziative sul piano sociale (riforma agraria, fiscale e Cassa del Mezzogiorno) pose fine alle numerose agitazioni economiche nel paese. L'economia del paese beneficiò di provvedimenti liberisti e di iniziative pubbliche come la creazione dell'ENI per lo sfruttamento delle risorse energetiche e il Piano Vanoni per la programmazione economica. Nel '53 l'approvazione di un nuovo sistema elettorale, la cosiddetta "legge truffa", creò una situazione di scontro politico che venne tuttavia presto superata. I governi centristi guidati da De Gasperi si fecero promotori dell'europeismo, e nel '54 venne risolta la questione di Trieste con l'affidamento della Zona A al governo italiano e la Zona B al governo jugoslavo.
La
Germania Federale si riprese con sorprendente rapidità dalle
distruzioni della guerra, le difficoltà economiche connesse con
l'arrivo di milioni di profughi, e le riparazioni
economiche.
Sotto
la guida di Adenauer e del liberale Erhard la Germania inaugurò una
politica economica liberistica profondamente diversa dalle tendenze
seguite dagli altri paesi europei. Grazie ad essa il paese
raggiunse un tasso di crescita economica superiore a quello degli
altri paesi del continente, superato fra i paesi industrializzati
solo dal Giappone. Le istituzioni della nuova Germania assicurarono
al paese una notevole stabilità che non venne meno anche quando
venne deciso nel '55 lo scioglimento del partito comunista e di
quello neo nazista. I democratici cristiani di Adenauer fecero
dell'integrazione della Germania nell'Europa e nel blocco dei paesi
occidentali il loro cavallo di battaglia, mentre i
socialdemocratici dell'SPD mettevano in luce i rischi gravissimi
per il paese di un confronto Est-Ovest e propendevano pertanto per
una politica neutralistica, tuttavia le posizioni non erano
inconciliabili.
Nel
1962 il partito cattolico di Strauss promosse una serie di
iniziative contro il pe-riodico Der Spiegel che aveva pubblicato
delle rivelazioni in materia militare suscitando vivaci polemiche e
la reazione dei liberali che si dissociarono dalla maggioranza.
Adenauer fu quindi costretto a cedere il cancellierato al leader
liberale Erhard ponendo fine al lungo periodo di permanenza dei
democratico cristiani al vertice del governo.
Nel '53, proprio alcune settimane prima della morte di Stalin, Eisenhower fece il suo ingresso alla Casa Bianca in seguito ad un largo successo elettorale. Il suo passato di stimato comandante militare era troppo grande perché il suo rivale democratico Stevenson, potesse impedirgli la vittoria. Ike, come veniva chiamato confidenzialmente, rappresentava agli occhi dei suoi cittadini l'immagine della persona pulita, disinteressata, semplice, sostanzialmente moderata e pragmatica, forse per questa sua eccessiva semplicità non troppo amato invece dagli intellettuali. Fiero anticomunista ma amante della pace fu lontano dagli eccessi di Mc Carthy e nonostante la presenza dell'intransigente Dulles al Dipartimento di Stato, non perse le occasioni di dialogo che si presentarono con il blocco comunista.
Il
periodo di Eisenhower fu caratterizzato da prosperità economica e
da una notevole stabilità interna, la caccia alle streghe ebbe
termine avendo potuto constatare la saldezza dello stato e la
impossibilità delle forze filo sovietiche all'interno del paese di
rappresentare una minaccia per le istituzioni; l'attacco privo di
qualsiasi fondamento del senatore Mc Carthy al presidente
Eisenhower, diede il colpo finale alla campagna di accuse nel
paese.
La
politica di Eisenhower favorì l'evoluzione economica e politica del
paese. Il governo, composto in larga parte di grandi uomini
d'affari, diede impulso all'iniziativa privata, ma lo stato sociale
realizzato dai predecessori non venne smantellato. Il presidente si
impegnò anche nella questione della segregazione razziale che
costituiva un grave aspetto negativo dell'America di quegli anni. I
diritti politici e civili, l'accesso all'istruzione per le
popolazioni di colore rappresentava ancora, specie nei paesi del
sud, un serio problema; attraverso una nuova legge sui diritti
civili e l'abolizione delle scuole riservate ai bianchi venne
favorita l'emancipazione dei negri, che comunque a partire dal 1960
iniziarono una forte agitazione.
Gli
Stati Uniti nella prima metà del secolo avevano raggiunto e
superato sul piano economico il vecchio continente, ma sul piano
della politica internazionale si presentavano ancora come una
nazione di non grande peso politico. Nel corso della seconda guerra
mondiale avevano "prestato" il proprio potenziale all'Europa
sottoposta alla minaccia tedesca, ma molto faceva ritenere che
cessato il pericolo gli Stati uniti sarebbero ritornati al loro
ruolo tradizionale. Truman, con il piano di aiuti all'Europa portò
la nazione ad un superiore livello, e si assunse grandi
responsabilità internazionali con la politica di "contenimento"
verso l'Unione Sovietica. Il Segretario di Stato della
amministrazione Eisenhower, Foster Dulles si propose un obbiettivo
ancora superiore, fare degli Stati Uniti i protagonisti della scena
internazionale e non limitarsi a sostenere l'Europa dalla minaccia
proveniente dall'Est. La battaglia contro la tirannia
cino-sovietica (il cosiddetto roll back) divenne l'obbiettivo
fondamentale della nazione americana andando oltre la politica
difensiva di "contenimento" inaugurata nel '47 dal presidente
democratico.
IL
BIENNIO DI PACIFICAZIONE
1953-1955
La
prima fase della guerra fredda ha rappresentato lo scontro fra
anglo-americani e sovietici sulle questioni internazionali legate
alla conclusione del conflitto mondiale. Negli anni successivi il
conflitto si è progressivamente ampliato a nazioni che in
precedenza non avevano preso parte alla controversia; tutte le
principali nazioni occidentali, Germania compresa, scesero in campo
a sostegno di inglesi e americani ai quali erano legati da un
patrimonio di valori in comune e dal progetto di un ordine mondiale
fondato su basi demo-cratiche. Non si trattava più come nel passato
di una contesa fra potenze con interessi contrari, ma dello scontro
fra due concezioni opposte del mondo. Nel corso degli anni
Cinquanta si è avuta inoltre una ulteriore estensione geografica
del conflitto, quando i paesi del Terzo Mondo che da poco avevano
raggiunto la piena indipendenza, compresero che l'URSS poteva
essere una valida alternativa ai paesi occidentali negli aiuti
finanziari e tecnologici. Avendo l'Unione Sovietica dimostrato la
sua forza nel campo internazionale e la sua capacità di
contrapporsi alle nazioni occidentali, molte delle nuove nazioni
afroasiatiche incominciarono a guardare a quel paese per strappare
quei vantaggi che non avrebbero potuto ottenere diversamente dai
paesi europei. L'Indonesia, l'Iran di Mossadeq, l'Egitto poterono
in tal modo imporre i propri punti vista alle nazioni europee
nonostante la loro inferiorità di forze.
Il
biennio successivo alla morte di Stalin ha fatto ritenere
all'opinione pubblica mondiale che la guerra fredda potesse essere
superata, ma se si verificarono alcuni importanti progressi, e le
contese su alcune aree geografiche vennero portate a termine, nuovi
problemi sorsero a causa dell'estendersi della scena politica
internazionale. Il conflitto comunque ne risultò fortemente
trasformato, tanto che per alcuni autori la guerra fredda si
concluse in quegli anni ed iniziava nel '53 la fase della
cosiddetta coesistenza pacifica; in realtà il conflitto da
politico-militare divenne sempre più politico-economico ed in
questo campo l'Unione Sovietica e il blocco dei paesi socialisti
non aveva alcuna possibilità a resistere ad una guerra di
logoramento con l'Occidente.
Una
particolare indagine statistica condotta dalla Fondationn Nationale
du Politiques mise in luce un fenomeno che per quanto discutibile
poteva essere ritenuto significativo; le espressioni ostili nei
confronti degli USA contenute sulla Pravda passarono dall'80% del
'52 al 20% successivamente alla morte di Stalin . Il fenomeno
indicava un minore irrigidimento ideologico nei confronti
dell'avversario capitalista che se non significava l'attenuazione
della guerra fredda poteva comunque favorirla.
Positivi
risultati sul piano della pacificazione si ebbero già nelle
settimane immedia-tamente successive alla morte di Stalin; secondo
Malenkov non vi era "questione contenziosa o irrisolta che non
possa essere sistemata con mezzi pacifici, sulla base di un
reciproco accordo con i paesi interessati". La liberazione del
giornalista americano Oatis, l'eliminazione delle restrizioni al
personale diplomatico straniero a Mosca, la ripresa delle relazioni
diplomatiche con Israele, e la rinuncia alle rivendicazioni
territoriali nei confronti della Turchia e dell'Iran, avvenuta poco
dopo, creò un clima internazionale profondamente rinnovato. La
reazione di Eisenhower e di Churchill alle iniziative russe fu
ampiamente positiva e il vecchio Premier britannico si spinse ad un
esplicito invito a riprendere gli incontri al massimo livello
interrotti nel '45 dopo la Conferenza di Potsdam.
La
prima questione affrontata fu quella della Corea ma le trattative
per la conclusione del conflitto non furono così rapide come ci si
sarebbe potuto aspettare, e fino alla vigilia dell'armistizio
cinesi e nordcoreani non rinunciarono a lanciare furibondi quanto
inutili attacchi contro le armate della Coalizione; il 27 luglio
comunque le parti raggiunsero l'intesa. L'accordo, che prevedeva il
sostanziale ritorno allo status quo ante, non costituiva un vero
trattato di pace, comunque venne eliminato un pericoloso focolaio
di guerra che in diverse occasioni aveva potuto degenerare in una
estensione del conflitto a tutto l'estremo oriente.
Il
22 giugno '53 Adenauer scrisse ai capi di stato dei paesi
occidentali una lettera con la quale si auspicava un incontro fra
le quattro grandi potenze, che tenuto conto anche delle esigenze di
sicurezza dell'Unione Sovietica, avviasse a risoluzione l'annoso
problema tedesco. La iniziativa venne rilanciata dagli Alleati a
Mosca, la quale fece conoscere che avrebbe preferito una conferenza
a cinque con la partecipazione della Cina per affrontare tutte le
questioni internazionali aperte. La controproposta sovietica non
poteva essere accettata dagli americani perché avrebbe significato
il riconoscimento del governo di Pechino come legale rappresentante
della Cina; si ritornò quindi sulla proposta originaria di un
incontro a quattro che si tenne a Berlino nel gennaio dell'anno
successivo.
La
conferenza non ebbe quasi alcun risultato. Molotov a nome del
governo di Mosca aprì l'incontro con una richiesta che rischiava
già di far naufragare i lavori: partecipazione della Cina
comunista, eliminazione delle basi militari americane all'estero e
delle armi nucleari senza alcuna forma di controllo. Sulle due
maggiori questioni europee, Austria e Germania le distanze
rimanevano incolmabili. Le nazioni occidentali ritenevano che si
dovessero tenere nello stato tedesco libere elezioni sotto
controllo internazionale, per la formazione di un'assemblea
costituente e di un governo rappresentativo con cui concludere il
definitivo trattato di pace (Piano Eden). I sovietici ritenevano
invece che il futuro governo della Germania avrebbe dovuto
costituirsi sulla base di accordi fra i governi di Bonn e Pankow
(con una influenza del partito comunista ben oltre la sua reale
consistenza quindi), non veniva rifiutato il concetto di un ritiro
degli eserciti di occupazione, ma con la riserva che il territorio
tedesco sarebbe potuto essere rioccupato da uno degli eserciti
qualora la sicurezza di un paese fosse stata minacciata. I
sovietici probabilmente non pensavano ad una Germania unita sotto
un governo comunista, dato che questo sarebbe stato un obbiettivo
difficilmente raggiungibile, ma ritenevano che quanto meno si
avesse uno stato neutralizzato scarsamente influente a livello
internazionale. Sulla proposta sovietica di un ritiro totale delle
forze armate di tutte le quattro potenze dalla Germania vi erano
numerosi pareri contrari; si sarebbe creata probabilmente una
situazione molto vicina a quella della Corea anteriore al 1950 e,
approfittando della cortina di ferro che impediva agli occidentali
di disporre di informazioni, la DDR avrebbe potuto ricostituire un
esercito per minacciare Bonn.
Anche
sulla questione austriaca non si ebbero significativi progressi. I
rappresentanti sovietici richiesero che l'Austria divenisse uno
stato neutrale e che armate delle quattro potenze fossero mantenute
fino a che non si fosse giunti ad un trattato di pace con la
Germania. Il piano rimase comunque su affermazioni generali e non
incontrò l'interesse degli occidentali. Sulla questione della
sicurezza infine, la richiesta americana per una attenua¬zione dei
segreti militari venne respinta dai sovietici.
Gli
americani intuendo il pericolo costituito dalla proliferazione
dell'atomica per usi civili e militari presentarono una proposta
per la creazione di una agenzia internazionale per l'energia
atomica con il compito di esercitare un controllo sul buon uso
della stessa da parte di tutte le nazioni. La proposta venne
accettata (anche se trovò attuazione solo diversi anni più tardi) e
questa costituì l'unico risultato positivo delle conversazioni,
oltre all'impegno di giungere entro tre mesi ad una nuovo incontro
che questa volta comprendesse anche la Cina di Pechino, i due
governi coreani, e gli stati associati alle grandi potenze, per la
risoluzione definitiva della questione coreana e
indocinese.
La
nuova conferenza si tenne a Ginevra, come previsto il 26 aprile di
quell'anno. L'incontro si aprì in un clima non favorevole agli
occidentali, alcuni giorni dopo l'apertura dei lavori si ebbe la
tragica caduta del presidio francese di Dien Bien Phu che costituì
la fine di ogni velleità colonialista in Asia. I lavori comunque
proseguirono; venne accantonato il problema della rappresentatività
della delegazione cino comunista, dal momento che sia gli
occidentali che i paesi comunisti ritenevano in quella fase il
raggiungimento della pace in quella regione di estrema importanza.
Sulla questione della sistemazione definitiva della Corea non si
ebbe alcun progresso, gli sforzi si concentrarono invece sulla
ricerca di una soluzione nel Vietnam.
Il
governo francese, come quello britannico e americano, preoccupati
che il movi-mento comunista avrebbe potuto estendersi a macchia
d’olio nella penisola indocinese ed oltre, e della debolezza
politica e militare del governo dell'imperatore Bao Dai da loro
sostenuto, accettarono alcune richieste, tuttavia si imposero
affinché le truppe del Viet Minh abbandonassero il Laos e la
Cambogia.
L'incontro
fra le delegazioni francesi e cinesi in forma separata diede i suoi
frutti; si stabilì una linea di demarcazione sul 17° parallelo che
separasse i territori del governo di Hanoi e quello di Saigon, il
ritiro delle truppe francesi e di ogni altra truppa straniera entro
10 mesi, libere elezioni sotto controllo internazionale da tenersi
entro i due anni.
Il
governo di Washington pur ritenendo che i francesi avevano
strappato ampie concessioni si dichiarò non favorevole al piano,
mentre il nuovo Premier sud vietnamita, il cattolico Ngo Dinh Diem,
che di lì a poco si sarebbe sbararazzato dell'imperatore per
stabilire un governo fortemente autoritario, si dichiarava
analogamente insoddisfatto. La guerra, che era costata la vita di
decine di migliaia di uomini, venne conclusa e negli anni
successivi la Francia si astenne da qualsiasi atto d'ingerenza
negli affari di quella regione. Un contributo significativo alla
pace aveva visto la luce, ma di lì a poco una nuova crisi,
conosciuta come la crisi dello Stretto di Formosa, tornò a
riportare la tensione nell'Estremo Oriente, questa volta fra Cina e
Stati Uniti.
Fallita
la Conferenza di Berlino sulla Germania, dove l'URSS si era opposta
alla restaurazione di uno stato tedesco pienamente sovrano, gli
Alleati si convinsero della necessità di inserire la repubblica di
Bonn nella coalizione militare europea in tempi rapidi. Già nel
gennaio '51 i sovietici avevano messo in guardia i paesi
occidentali da tale tentativo, ma al tempo stesso non avevano
compiuto passi in avanti per normalizzare la situazione. La
ratifica degli accordi sulla creazione della Comunità Europea di
Difesa incontrò alcune difficoltà in Francia e Italia. In Francia
dove forte era il timore delle conseguenze del riarmo tedesco,
l'accordo venne osteggiato da comunisti e gollisti, quest'ultimi
contrari in assoluto al principio di sottrarre forze nazionali da
destinare alla difesa comune. La resistenza italiana e francese al
trattato provocò la reazione americana, contraria a che il peso
della questione militare dovesse ricadere eccessivamente sul
proprio paese. Dulles avvertì i due governi europei che gli aiuti
ai rispettivi paesi sarebbero cessati e avrebbero rivisto la loro
politica e la loro presenza in Europa se il progetto di difesa
collettiva non fosse stato approvato. Il Segretario di Stato
americano non ottenne i risultati che si prefiggeva, il parlamento
di Parigi nell'agosto del '54 respinse il trattato e gli americani
dovettero rinunciare a iniziative di ritorsione che sarebbero
andate contro gli interessi di tutti.
Nell'ottobre
del '54 vennero comunque sottoscritti gli Accordi di Parigi che
prevedevano la costituzione dell'Unione Europea Occidentale con una
diversa posizione della Gran Bretagna rispetto al progetto
precedente, l'ingresso della Repubblica Federale Tedesca nella NATO
con l'impegno tuttavia di non produrre armi atomiche, e un piano di
riarmo controllato.
Il
blocco sovietico, nel tentativo di impedire la ratifica degli
accordi UEO, propose alle nazioni occidentali una conferenza sulla
sicurezza europea, che venne respinta come pretestuosa. L'Unione
Sovietica fece quindi conoscere che l'ingresso della Germania
Federale nel sistema militare occidentale avrebbe impedito la
prosecuzione delle trattative sulla questione tedesca e che non
sarebbero mancate opportune contromisure.
Cinque
mesi dopo l'URSS denunciò i trattati di amicizia con Francia e Gran
Bretagna sottoscritti nell'immediato dopoguerra, che d'altra parte
avevano perso sostanzialmente ogni valore, e venne annunciata la
costituzione dell'organizzazione militare dei paesi socialisti, il
Patto di Varsavia, iniziativa che non destò comunque eccessivo
allarme dato che di fatto già esisteva un blocco militare comunista
sotto forma di numerosi accordi di reciproca assi-stenza. Al tempo
stesso però le trattative sulla questione tedesca non vennero
interrotte come era stato minacciato, e il giorno successivo alla
firma del trattato che istituiva l'alleanza militare comunista,
venne sottoscritto il trattato di pace con l'Austria. L'accordo di
pace segnò un importante passo verso la distensione; dopo il ritiro
delle truppe sovietiche dall'Azerbagian iraniano nel '46 questo
costituiva il primo caso in cui i sovietici spontanea-mente
abbandonavano importanti posizioni. La rapida conclusione del
trattato con l'Austria dopo anni di estenuanti trattative si
spiegava probabilmente col timore da parte di Mosca che le province
austriache controllate dagli occidentali fossero integrate nella
NATO. In anni successivi l'URSS ai sensi del trattato sottoscritto
si dichiarò contraria all'ingresso di Vienna nel MEC.
Si
ritenne che il positivo esito della questione austriaca avrebbe
favorito il raggiungi-mento di un accordo sulla Germania, e che i
tedeschi si sarebbero dimostrati ben disponibili ad accettare uno
stato di neutralità permanente come contropartita della possibile
unifica-zione, ma ciò non avvenne, Adenauer rispettosamente ma
risolutamente si oppose ad un accordo del genere e confermò la sua
adesione piena all'alleanza occidentale.
Nell'estate
di quell'anno si ebbero altre due importanti iniziative per la
pace, la Conferenza di Ginevra e il viaggio di Adenauer a Mosca,
avvenuti dopo la positiva chiusura nel maggio della crisi dello
Stretto di Formosa fra le due Cine.
La
Conferenza di Ginevra nella quale vennero discussi i problemi del
disarmo, della sicurezza in Europa e la questione tedesca, la cui
riunificazione sarebbe dovuta avvenire compatibilmente con le
esigenze di sicurezza dell'Unione Sovietica, si svolse in un clima
di aperto ottimismo, i rappresentanti delle quattro potenze
esposero i principi su cui si sarebbe dovuta basare la convivenza
fra i due blocchi, tutti improntati al rispetto reciproco, ma
progressi reali furono molto limitati e vennero in luce i limiti
della nuova fase politica internazionale: quando dai principi si
doveva arrivare a delle conclusioni di ordine pratico le posizioni
rimanevano distanti. Negli ultimi giorni della conferenza
Eisenhower propose alla controparte lo scambio dei piani militari e
la istituzione di un sistema di sorveglianza aerea degli impianti
militari dei due contendenti; l'Unione Sovietica respinse la
proposta immedia-tamente, il piano, conosciuto come "cieli aperti"
altro non era per essi che "la legalizzazione dello spionaggio
aereo che gli americani da tempo già effettuavano grazie alla loro
superiorità tecnologica". Unico risultato positivo della Conferenza
fu il miglioramento delle comunicazioni e dei
commerci.
La
missione del cancelliere tedesco in Unione Sovietica nel settembre
consentì la apertura di formali relazioni diplomatiche fra i due
paesi e la restituzione dei prigionieri di guerra ancora trattenuti
in Russia, ma sulla questione della riunificazione della Germania
non vi furono progressi come era da aspettarsi.
A
ottobre si tenne l'incontro a livello di ministri degli esteri fra
le quattro potenze che avrebbe dovuto concretizzare i principi
esposti nella precedente Conferenza di Ginevra; i colloqui si
risolsero in un aperto fallimento e la idea di una conclusione
consensuale e pacifica della guerra fredda accennata in precedenza
anche da Churchill svanì. Molotov era espressamente contrario alla
convocazione di elezioni per la risoluzione della questione
tedesca, e riteneva una indebita ingerenza negli affari interni
dell'Unione Sovietica qualsiasi piano di controllo in materia di
armamenti. L'impressione dei rappresentanti occidentali e della
stampa era che i sovietici non avevano una reale volontà di
trattare, che ricorressero ad una rappresentazione della realtà
alterata e in nessun caso intendevano arrivare ad una intesa sulla
base del rispetto dei diritti dei popoli. Molotov definì come "non
pratiche, non costruttive e artificiali" le proposte occidentali e
Kruscev da Mosca ribadiva che il piano di pace presentato dagli
occidentali era in realtà "un piano di guerra fredda. Infatti il
vero autore di queste proposte, non è presente alla Conferenza, ma
la sua ombra, l'ombra di Adenauer, plana su Ginevra".
Tre
incontri al massimo livello in un biennio erano stati un grande
risultato, era però evidente che i due contendenti non erano
disponibili a cedimenti, ritenendo ognuno che avrebbe rimesso più
dell'altro; la tensione internazionale non venne eliminata,
tuttavia se non la pace, un tacito modus vivendi provvisorio e
precario era stato posto e lo scontro fra i due blocchi prese
caratteristiche diverse. La guerra fredda dopo il biennio '53-'55
assunse sempre più i connotati di una guerra di logoramento; come
la prima guerra mondiale non si ebbero che piccoli spostamenti del
fronte, laddove uno dei contendenti riteneva che l'avversario fosse
più debole, e come la grande guerra si concluse per esaurimento
dell'avversario e non sotto l'incalzare di un attacco
massiccio.
Nell'anno
successivo la proposta sovietica agli USA di un patto di non
aggressione e le missioni ufficiali a Mosca del primo ministro
francese e del ministro degli esteri britannico analogamente non
diedero risultati.
L'UNIONE SOVIETICA DI KRUSCEV
Gli
anni compresi fra il 1958 e il 1964 furono gli anni in cui si
affermò come leader incontrastato dell'Unione Sovietica il
battagliero Nikita Kruscev, l'ucraino che aveva denunciato i
crimini di Stalin. Kruscev era un uomo di origini semplici, di
modesta cultura, i cui modi rozzi trapelavano le origini contadine,
dotato però di un attivismo e di un temperamento energico che
mancava nei successori di Stalin. Non era un uomo di grandi ideali,
era però non privo di buon senso e di un forte pragmatismo che gli
risultò utile nella scalata al potere. Negli anni dello stalinismo
si rese responsabile di persecuzioni nei confronti di ucraini e
polacchi, ma verrà ricordato come l'uomo del disgelo e di numerose
riforme. Diversamente dal passato Kruscev governò comunque con il
consenso del partito, che a differenza degli anni precedenti, poté
tenere regolarmente le sue assemblee.
Gli
anni fra il 1953 e il 1958 furono positivi per l'economia
sovietica, tuttavia la questione agricola presentò numerosi
problemi e dovettero essere assunte diverse iniziative per il
miglioramento del settore. Nel 1954 venne decisa una minore
pressione fiscale sui contadini colcosiani e la riduzione delle
consegne obbligatorie di prodotti agricoli allo stato. I risultati
tuttavia vennero giudicati non eccellenti e negli stessi anni si
diede il via ad un progetto grandioso di sfruttamento delle terre
semidisabitate dell'Asia centrale, le cosiddette terre vergini. Nel
1956 oltre 300.000 kmq, una superficie pari all'Italia, erano state
dissodate, ma con grande improvvisazione e disorganizzazione e
soprattutto con scarsi criteri scientifici; il danno ecologico fu
gravissimo, le terre eccessivamente impoverite vennero erose dal
vento, mentre la grande riserva d'acqua del Lago di Aral, già
provata negli anni precedenti, arrivò vicino al collasso. Non è
chiaro quali ragioni spinsero alla grande iniziativa; le
tradizionali regioni agricole sovietiche, l'Ucraina, la Russia
occidentale e la Bielorussia non risultavano certamente
sovraffollate ed un migliore utilizzo delle medesime (lo stesso
Kruscev ammise che la resa per ettaro in quelle regioni era molto
bassa) sarebbe risultato forse più razionale. Un altro importante
esperimento condotto negli anni Cinquanta fu la coltivazione su
larga scala del mais, che avrebbe dovuto garantire migliori
risultati; l'innovazione forzata risultò anch'essa molto deludente
e inferiore alle aspettative. Si giunse così all'acquisto del grano
dall'estero per evitare una nuova carestia nel paese, a cui si
provvide con vendite di grandi stock di oro. Negli stessi anni
venne consentito alle aziende agricole di disporre dei macchinari
agricoli che in precedenza erano di esclusiva proprietà statale (in
base all'asserto marxista della proprietà dei mezzi di produzione
da parte dello stato) in tal modo le aziende agricole acquistavano
una certa autonomia e divenivano più simili a delle cooperative di
stato.
Nel
1956 vennero abolite le leggi del periodo staliniano che avevano
istituito una sorta di disciplina militare all'interno delle
fabbriche, provvedimento che consentì un sensibile miglioramento
delle condizioni sociali ed economiche degli operai. Vennero
introdotte comunque alcune norme di lavoro anche molto inusuali,
come l'obbligo da parte del personale più qualificato di prestare
servizio in opere di manovalanza, iniziativa che produsse
disorientamento e una minore attività di tecnici e scienziati. Un
grosso ostacolo al benessere economico del paese venne inoltre
dalla politica industriale, che come nel passato privilegiava il
settore dell'industria pesante su quello della produzione di beni
destinati al consumo delle famiglie, conseguenza anche degli
impegni militari e degli aiuti tecnologici ai paesi afroasiatici
alleati.
Nel
1957 venne avviata una riforma che avrebbe potuto portare a
risultati interessanti, il decentramento economico a favore delle
Repubbliche con l'introduzione dei Consigli Economici Regionali. La
istituzione, che venne successivamente ampiamente rimaneggiata,
creò ulteriore disordine nella pianificazione e mise in difficoltà
lo stesso capo del Cremlino. Nel mese di giugno il Presidium votò
la destituzione di Kruscev da segretario del partito;
immediatamente venne convocato il Comitato Centrale, e con
l'appoggio dell'esercito nella persona di Zukov la crisi venne
superata. In conseguenza di ciò il vecchio gruppo stalinista, il
cosiddetto "gruppo antipartito", che faceva capo a Molotov,
Malenkov e Kaganovic venne definitivamente esautorato.
L'eliminazione
degli oppositori alla politica di Kruscev non favorì una piena
stabilità politica e nell'ottobre dello stesso anno il vecchio
generale Zukov, accusato di aver attribuito eccessiva autonomia
all'esercito, venne rimosso da tutti i suoi incarichi. L'alto
prestigio di cui godeva in patria, faceva ritenere che potesse
costituire un personaggio troppo ingombrante per un paese come la
Russia. L'anno successivo Kruscev cumulò nelle sue mani oltre alla
carica di segretario di partito quella di capo del governo,
raggiungendo, almeno sul piano formale, la medesima autorità che
aveva raggiunto Stalin.
Le
riforme cruscioviane confermarono un dato, controllo politico della
società e sviluppo economico del paese costituivano due obbiettivi
antitetici; se si privilegiava il primo si aveva una società
maggiormente disciplinata ma si impediva l'emergere delle risorse
umane migliori nei settori vitali dell'economia, se invece si
poneva l'accento sul miglioramento economico la dittatura poteva
trovarsi degli uomini non allineati in posizioni chiave. Un sistema
politico economico dove sono improbabili gratificazioni per chi
realizza innovazioni e prevede forti sanzioni per chi non esegue le
direttive degli organi superiori, difficilmente può evolversi
positivamente, e tale fattore ha pesato fortemente anche nelle
vicende successiva.
Al
21° congresso del partito nel 1959 non si ebbero significative
novità politiche; Kruscev nella sua relazione sostenne che l'Unione
Sovietica avrebbe superato gli Stati Uniti nella produzione
agricola e industriale pro capite entro il 1970; l'azzardata
affermazione gli si ritorse contro successivamente, come anche il
preteso successo economico della regione di Rjazan propagandato dal
regime come modello di sviluppo che si risolse in un falso
clamoroso; il sistema delle promesse e delle affermazioni
irrealistiche voluto dal vertice sovietico poteva dare frutti
nell'immediato ma non poteva reggere
indefinitivamente.
Nella
seconda metà degli anni Cinquanta si ebbero alcune importanti
innovazioni nel campo delle relazioni fra il centro e la periferia
del mondo comunista; il COMECON, creato nel '49 divenne
un'organizzazione più autonoma di cui beneficiarono i paesi
satelliti, ma le novità più importanti riguardarono la Polonia dove
si ebbe una riduzione del sistema collettivistico nel settore
agricolo, riforma che anni prima sarebbe stata inconcepibile.
Tuttavia il miglioramento delle relazioni con i paesi satelliti
dell'URSS non impedì alcuni contrasti e il ritiro nel 1958 delle
forze armate sovietiche dalla Romania, su richiesta del governo di
Bucarest.
Nel
successivo congresso del partito del 1961 non si andò molto oltre
la conferma delle accuse allo stalinismo (questa volta
pubblicamente e non attraverso rapporti segreti) ma senza proposte
di democratizzazione o comunque innovazioni significative. Poco
dopo la conclusione dei lavori Kruscev propose comunque una diversa
organizzazione interna del partito, che non aveva precedenti e che
sarebbe risultata alquanto singolare per qualsiasi associazione
politica come normalmente viene intesa. La struttura del partito
doveva organizzarsi non su sezioni a base territoriale (cittadine,
provinciali ecc.), ma su settori produttivi diversi e quindi diviso
in due fra area agricola e industriale. Le finalità di questo
progetto non sono mai state rese note; l'iniziativa venne criticata
e fu una delle prime riforme ad essere cancellate dai successori di
Kruscev.
Le
riforme kruscioviane tendevano ad un miglioramento delle condizioni
economiche e sociali del paese, ma la richiesta di un rinnovamento
etico politico del paese rimaneva inappagata. Nel giugno del '63 si
tenne un Plenum del Comitato Centrale dedicato alla questione
ideologica, non vi furono innovazioni significative, né una
maggiore apertura verso la società. Il partito, al di là della
personalità del suo capo, come del resto la società sovietica
sembrava investita da quello stato d'apatia descritto da Maksimov
dal quale la Russia non riusciva a riprendersi.
Decine
di anni repressioni, di conformismo, di interventi dirigistici
nella cultura non avevano però distrutto lo spirito russo e nel
corso degli anni Sessanta si assistette al rifiorire della
letteratura e al risorgere della protesta morale contro la
situazione del paese. Numerosi furono i movimenti spontanei
giovanili che chiedevano un superamento dei limitati orizzonti
delle istituzioni, il più conosciuto fra questi fu quello che
iniziò a riunirsi nel '58 presso il monumento di Majakowskj a
Mosca; la letteratura, la poesia e l'arte erano le attività
preferite da questi giovani, ma da qui il passo a considerazioni
sulla realtà sovietica era breve. I giovani subirono numerose
vessazioni da parte della polizia, e nell'aprile del '61
intervennero le unità del KGB, che dopo aver dato vita a
provocazioni, procedette all'arresto di numerosi partecipanti. Ma i
gruppi giovanili e i circoli culturali di protesta o comunque al di
fuori dell'ortodossia rimanevano un grande problema per le
istituzioni sovietiche, soppresso un movimento ne sorgeva un altro
non meno agguerrito; dall'Ucraina ai paesi baltici, in tutte le
regioni più avanzate dell'Unione Sovietica, la voce del dissenso
non poteva essere messa a tacere.
Il
controllo della società da parte delle istituzioni sebbene ridotto
negli anni Cinquanta non venne meno, letterati e artisti vennero
perseguitati come "parassiti" o nel migliore dei casi come
"sfaccendati", campagne moralizzatrici contro presunti mali della
società vennero organizzate pretestuosamente per colpire chi non si
adeguava ai modelli imposti dall'alto. A Mosca e nelle altre
principali città sovietiche manifestazioni artistiche e letterarie
clandestine furono represse e denigrate dalla stampa ufficiale come
opere d'arte degenerata o immorale. Negli stessi anni iniziarono a
circolare i "samizdat" (in italiano autoedizione) attraverso i
quali vennero pubblicate opere letterarie non ammesse dal regime e
la denunce di crimini commessi dalle autorità contro gli
oppositori.
L'episodio
di malcontento intellettuale più importante e che maggiormente
interessò l'opinione pubblica fu il caso del poeta e romanziere
Boris Pasternak, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel
1958. L'opera principale dell'autore, "Il Dottor Zivago",
ripercorreva la storia dei primi anni della rivoluzione sovietica,
contrapponendo allo spirito di disciplina dei bolscevichi l'estro
creativo del protagonista; il lavoro venne giudicato contrario ai
canoni della letteratura ufficiale e boicottato dalla
organizzazione ufficiale degli scrittori. L'opera venne tradotta in
24 lingue, ma non poté essere pubblicata in patria; al grande
letterato venne impedito di ritirare il riconoscimento
internazionale e subì gli attacchi di numerose organismi, ma
ricevette la solidarietà di tantissimi intellettuali e gente
comune.
Nel
1961, poco dopo la conclusione del 22° Congresso, il generale e
stimato accademico Grigorenko, denunciò pubblicamente a Mosca i
mali della burocrazia e il diffondersi di privilegi a favore degli
uomini d'apparato; venne immediatamente allontanato dall'accademia
militare di cui faceva parte e inviato in un piccolo centro
dell'estremo oriente. Il pluridecorato ufficiale non si rassegnò al
silenzio e condannò le dure repressioni delle rivolte popolari
avvenute in quegli anni a causa di problemi alimentari. Venne
espulso dall'esercito, e successivamente inviato in un manicomio.
Questo tipo di misure si diffuse negli anni successivi per colpire
quegli oppositori troppo noti, contro i quali non potevano
sussistere gli estremi di reato (anche del generico "propaganda
antisovietica").
Nel
1962 apparse sulla rivista "Novy Mir", che raccoglieva il meglio
della cultura russa, il romanzo di Solgenitsin "Una giornata di
Ivan Denissovic", l'opera poté superare la censura perché ritenuta
diretta esclusivamente contro lo stalinismo. Il grande autore
russo, che aveva conosciuto anni prima l'internamento in Siberia a
causa di un'allusione contenuta in una sua corrispondenza,
descriveva nel romanzo lo squallore di quel mondo e il dramma
esistenziale dei prigionieri politici; l'opera costituì un pesante
colpo morale al regime ed una condanna dalla quale non poté più
riprendersi. Sulle opere successive del grande letterato, le
autorità sovietiche agirono con maggiore circospezione, e i romanzi
"Reparto C" e "Ultimo Cerchio" non poterono essere
pubblicati.
La
protesta intellettuale non era l'unica che investiva il paese, a
causa della crisi economica e del peggioramento della situazione
alimentare, negli anni 1962 e 1963 si ebbero diverse agitazioni
operaie alcune delle quali finite tragicamente. Il più grave degli
scioperi si ritiene (riportato anche da Solgenitsin) sia quello
verificatosi, nel giugno 1962 nelle grandi fabbriche di
Novocerkassk in Ucraina, dove operai e studenti scesero in piazza
per protestare contro la crisi alimentare e le dure condizioni di
vita. La città venne immedia-tamente messa in stato d'assedio, la
polizia e l'esercito caricarono la folla e aprirono il fuoco
provocando numerosi morti, alcune decine o alcune centinaia secondo
le fonti. La rivolta si concluse con nove condanne a morte nei
confronti dei manifestanti ritenuti maggiormente responsabili,
diverse pene detentive e l'invio degli altri agitatori nei campi di
lavoro. Altre manifestazioni e incidenti si verificarono a
Keremovo, Krivoy Rog, Grozny dove vi erano stati in precedenza
scontri fra etnie diverse, Krasnodar, Jaroslavl, Murom, ma anche in
alcune grandi città come Doneck, Gorkij e a Mosca nelle industrie
automobilistiche Moskvic.
Le
promesse irrealistiche, l'insuccesso di Cuba, e un peggiora¬mento
economico negli ultimi anni furono fatali al leader ucraino. I
successori di Kruscev mantennero comunque in vita molto degli anni
precedenti, la coesistenza pacifica, il rifiuto del culto della
personalità, l'eliminazione delle persecuzioni di massa, insieme ad
una minore irreggimentazione della società rispetto al periodo
staliniano e una certa tolleranza verso i paesi dell'Est; rimase
infine immutato il contrasto con la Cina.
LA
MONDIALIZZAZIONE DEL CONFLITTO
Con la
decolonizzazione negli anni Cinquanta i paesi afroasiatici non
hanno conosciuto il decollo economico o un significativo progresso
civile. La linea politica maggiormente seguita da questo gruppo di
paesi in campo economico e politico fu di tipo nazionalista
socialista.Tale indirizzo politico ha portato a durissimi scontri
fra paesi vicini e all’interno dei singoli stati fra gruppi etnici
e religiosi diversi. Inoltre la politica seguita da tali governi ha
portato ad una forte chiusura verso il mondo esterno, ad un diffuso
stato d’illegalità, al dilagare della corruzione, e ad una
concentrazione di ricchezze che non ha favorito la circolazione dei
beni. Attribuire la responsabilità di questa situazione alle regole
del commercio internazionale o al cosiddetto "neocolonialismo" come
talvolta è stato fatto, appare riduttivo, paesi ricchi come quelli
dell'OPEC, (e paesi isolazionisti che rifiutano i circuiti
economici dell'economia mondiale), non godono di una migliore
situazione. Oggi i paesi in via di sviluppo sembrano necessitare
più di democratizzazione, di certezza del diritto e di uno sviluppo
della coscienza civile che di sostegni finanziari o tecnologici che
in questi anni hanno prodotto in alcuni casi più scompensi che
benefici.
La
prima metà degli anni Cinquanta furono gli anni della riscossa del
Terzo Mondo contro l'Occidente. Ovunque si vennero a formare
movimenti nazionalistici intransigenti che intendevano affrancare i
paesi afroasiatici dal dominio straniero e modificare i rapporti
economici esistenti. Nel '55, Nehru in India, i socialisti birmano
U Nu e l'indonesiano Sukarno furono i promotori della Conferenza di
Bandung fra tutti i paesi afroasiatici (con l'eccezione del Sud
Africa di Israele e dei governi scarsamente rappresentativi della
Corea). I principali risultati della conferenza furono solidarietà
e cooperazione fra i paesi in via di sviluppo, non ingerenza e
uguaglianza fra tutti i membri, lotta al colonialismo in tutte le
sue forme, appoggio alla causa araba contro Israele, nonché
iniziative per la pace mondiale e contro il ricorso alle armi
atomiche. La conferenza ebbe un altro significativo risultato dando
impulso alla creazione del movimento dei paesi non allineati.
Tuttavia non ebbe conseguenze sul piano pratico, e i paesi del
Terzo Mondo mantennero pessimi rapporti al loro
interno.
I
paesi afroasiatici che da poco avevano raggiunto l'indipendenza
tennero un comportamento intransigente verso il mondo occidentale;
le prese di posizione contro la comunità israelitica, la cacciata
dei cittadini francesi in Algeria, le nazionalizzazioni di piccole
e grandi proprietà straniere, il non riconoscimento della libertà
di navigazione sul Canale di Suez, produssero un deterioramento dei
rapporti con l'Europa e l'America. Parecchie crisi internazionali
(fra le quali quella iraniana del '51, quella di Suez del '56 e
quella cubana successivamente) furono infatti innescate da
provvedimenti di confisca di beni e aziende di nazioni straniere;
molti di questi provvedimenti vennero assunti arbitrariamente,
senza nessun tentativo di negoziazione con la controparte,
costituirono una grave violazione del diritto internazionale, e
risultarono infine molto meno utili di quanto ritenuto ai governi
che le avevano promosse.
I
sovietici, secondo la nuova politica enunciata da Kruscev,
ricercarono l'intesa con paesi anche non comunisti ma che per
ragioni diverse fossero in contrasto con i paesi occidentali. Gli
anni Cinquanta furono anni favorevoli all'espansionismo comunista
fra i paesi del Terzo Mondo e le potenze occidentali dovettero
faticare non poco per cercare di contenere la avanzata dei paesi
ostili al capitalismo e difendere i paesi amici che come "tessere
del domino", secondo una nota espressione americana, cadevano uno
appresso all'altro; tuttavia le conquiste del blocco socialista non
furono durevoli e non potevano nascondere la grave crisi interna
che il mondo comunista stava maturando. Per Kennedy la strategia
del comunismo mondiale era finalizzata "a guadagnarsi l'Europa
seguendo la via più lunga attraendo nella propria sfera una
vasta zona esterna, produttrice di materie prime e si giova
inoltre delle numerose rivoluzioni simultanee che van scoppiando in
quella zona... le grandi parole d'ordine che un tempo noi
proponemmo al mondo: parole d'ordine della libertà personale e
nazionale, dell'eguaglianza naturale di tutte le anime, della
dignità del lavoro, della larga partecipazione allo sviluppo
economico. Eppure noi abbiamo permesso che i comunisti ci
sloggiassero dal posto che ci spetterebbe di diritto, alla testa di
questa rivoluzione dal respiro mondiale. Ci hanno presentati quali
difensori dello status quo".
Lo
scontro fra paesi industrializzati e paesi ex coloniali presenta
caratteristiche molto particolari. Per i secondi non disporre di
grandi forze militari non costituisce un problema insuperabile; è
sufficiente rendere la guerra costosa come risorse e uomini,
stancare l'opinione pubblica del paese avversario per raggiungere
il fine perseguito. Questa tattica venne adoperata con successo dai
paesi afroasiatici, e ben presto sovietici e cinesi compresero che
questo doveva diventare il terreno di scontro privilegiato con gli
occidentali.
Il
periodo compreso fra la morte di Stalin e l'inizio degli anni
Sessanta furono caratterizzati dalla figura di Kruscev. Le
personalità dei due statisti non potevano essere più diverse,
freddo e calcolatore il dittatore georgiano, che mai lasciava
trasparire segni di emotività di fronte agli interlocutori, pieno
di irruenza il secondo, pronto ad alternare inviti al dialogo con
improvvisi irrigidimenti, abile nel mostrare i muscoli ma incapace
di mantenere un comportamento coerente. Questa sua caratteristica
risultò molto proficua in un primo periodo, ma alla lunga divenne
evidente il ricorso al bluff e alla minacce senza seguito, e tale
tattica gli si ritorse contro, contribuendo alla sua fine politica.
Così nel '56, in occasione della crisi di Suez, il suo monito ai
governi di Londra e Parigi sortì effetto, nonostante che per
ragioni oggettive non disponeva della possibilità di intervenire
militarmente a favore dell'Egitto, ma nel '62 Kennedy poté
azzardare sulla questione dei missili a Cuba e l'Unione Sovietica
fu costretta ad un'ingloriosa ritirata.
La
nuova situazione politica internazionale imponeva una nuova
strategia. Il "Roll back" che Eisenhower (ma anche Dulles, massimo
sostenitore) si guardarono bene dal portare alle estreme
conseguenze, appariva come una esigenza fisiologica. Una guerra
anche a carattere non aggressivo, non può consistere solamente nel
respingere i colpi dell'avversario, ma deve prevedere, quando il
conflitto supera un certo limite, di assumere l'iniziativa contro
il rivale, politica che gli Stati Uniti si apprestarono a mettere
in atto in Medio Oriente alla fine degli anni Cinquanta. Secondo
Dulles "L'arte che oggi serve è quella di saper giungere al punto
limite [della guerra] senza varcarlo. Se non si sa usarla si
finisce inevitabilmente in guerra... Siamo arrivati sull'orlo
dell'abisso e conosciamo il pericolo" .
In
quegli anni sorse una polemica negli Stati Uniti sui settori nei
quali dovesse maggiormente impegnarsi la difesa. I conservatori
ritenevano che si dovesse privilegiare il fronte asiatico
orientale, tradizionale area di interesse degli Stati Uniti,
rispetto a quello europeo, ma l'opinione non era condivisa dal
Segretario di Stato Dulles, il sostenitore del "l'equilibrio
sull'orlo della guerra", che riteneva i due fronti di pari
importanza. Su alcune questioni internazionali tuttavia americani e
alleati europei hanno avuto in alcuni casi opinioni diverse, la
politica di Francia e Inghilterra era più moderata sulla questione
cinese e in genere dimostravano minore interesse per le questioni
del Pacifico, mentre gli Stati Uniti seguirono una politica più
moderata verso Iran ed Egitto, anche se successivamente (come
enunciato nella "dottrina Eisenhower") presero maggiore interesse
per le questioni medio orientali.
La
strategia americana che negli anni Cinquanta mostrò tutti i suoi
limiti e venne radicalmente rivista successivamente, si fondava
sulla cosiddetta "rappresaglia massiccia", ovvero sulla ritorsione
con armi nucleari contro un attacco sovietico anche limitato. Per
Dulles "La difesa locale conserverà sempre la sua importanza; non
vi è però difesa locale che possa da sola arrestare le
potenti armate di terra del mondo comunista. Le difese locali
devono essere rafforzate dal potere di dissuasione di una forza di
rappresaglia massiccia. L'eventuale aggressore deve sapere che non
può imporre le condizioni del conflitto che gli conviene di più...
Il mondo libero potrà scoraggiare l'aggressione solo se è disposto
ed in grado di contrattaccare vigorosamente nei luoghi e con i
mezzi di sua scelta".
La
corsa agli armamenti generò un notevole panico fra le popolazioni
europee ed americane; secondo Kennedy "Nel 1957 l'Occidente aveva
senza dubbio una superiorità nel campo delle armi strategiche
nucleari. Oggi l'Occidente ha ancora la superiorità, ma ciascuna
parte è in grado d'infliggere all'altra una distruzione tale
che mai prima nella storia umana è stata possibile o immaginabile".
La apprensione per il futuro dell'umanità favorì in quegli anni la
nascita del movi¬mento pacifista; manifestazioni del movimento
contro la "morte atomica" si tennero in Germania nel 1958 e nello
stesso periodo in Inghilterra venne lanciata la campagna per il
disarmo nucleare condotta dal filosofo Bertrand Russell. Tali
movimenti non convincevano tutti, per lo storico Luigi Salvatorelli
"L'ipotesi di una Europa neutrale e sottratta al rischio della
guerra e della tirannide è altrettanto priva di realtà quanto
quella di un America insulare, che può esistere tranquillamente
alla caduta dell'Europa libera".
Il
Medio Oriente per molti anni aveva costituito una regione di non
particolare importanza dal punto di vista politico, che si era
affrancata dal dominio dell'impero ottomano, ma aveva conosciuto
successivamente la colonizzazione franco britannica. Fino agli anni
Cinquanta la regione era soggetta a numerose autorità tradizionali,
prevalentemente sceiccati, che sebbene agitati da contrasti interni
ed avessero manifestato qualche segno d'insofferenza, accettavano
di buon grado il dominio dei paesi europei. La situazione venne a
cambiare quando con la crescita della domanda internazionale del
petrolio, conseguenza del boom economico di quegli anni, il Medio
Oriente divenne una delle regioni strategiche del nuovo assetto
mondiale. Paesi che per lungo tempo erano stati considerati ai
margini dello scenario internazionale conobbero un grandissimo
interesse sul piano mondiale, anche se ciò ha contribuito solo in
parte al loro sviluppo politico ed economico.
Due
fatti in particolare portarono il Medio Oriente ad una situazione
di fermento, la creazione dello stato ebraico in Palestina, e la
nascita di un acceso nazionalismo fortemente antieuropeista che
ebbe notevoli riflessi sulla autorità delle fragili monarchie
locali.
Su
un piano giuridico la posizione inglese e francese nei confronti
dell'Iran di Mossadeq e dell'Egitto successivamente, non era
contestabile, le concessioni di sfruttamen-to a favore di società
occidentali fatte da un paese che dispone di risorse (petrolio o il
controllo di una importante via marittima) ma non di tecnologie per
utilizzarle, andavano rispettate e il comportamento dei paesi medio
orientali non poteva essere definito che arbitrario e contrario
alle regole di diritto internazionale . D'altra parte mancò ai
governi occidentali la lungimiranza di comprendere gli aspetti
politici della questione e il risentimento delle nazioni povere
verso i governi ex colonialisti.
Il
contrasto fra Iran e Gran Bretagna sulla questione del petrolio e
il successivo conflitto fra lo Scià e il suo Primo Ministro
Mossadeq nei primi anni degli anni Cinquanta non costituirebbero di
norma due avvenimenti della guerra fredda, ma piuttosto episodi
legati all'affrancamento del continente asiatico dall'influenza
europea; la vicinanza dell'Unione Sovietica e la presenza di un
forte partito comunista, che ebbe un ruolo attivo nelle vicende,
diede alla questione iraniana comunque una grande importanza
internazionale e costrinse gli Stati Uniti, che avevano tenuto una
posizione autonoma e divergente dal governo di Londra, ad agire con
maggiore determinazione.
Nel
1949 il rinnovo dell'accordo sullo sfruttamento delle risorse
petrolifere fra Iran e Gran Bretagna (che prevedeva condizioni
migliori per il primo, inferiori comunque a quelle ottenute da
altri paesi produttori di petrolio) venne respinto dal Parlamento e
fu la causa di agitazioni da parte di nazionalisti e comunisti nel
paese.
Nell'aprile
del '51 il Primo Ministro Razmara venne assassinato e sostituito
con il voto del Parlamento, da Mohammed Mossadeq, leader populista
di tendenze nazionaliste. Fra i primi atti del nuovo governo vi fu
la nazionalizzazione dell'Anglo Iranian Oil Company, la società con
capitale britannico che deteneva il monopolio dell'industria
petrolifera, che suscitò gravi proteste degli inglesi che ricorsero
alla Corte Internazionale di Giustizia. La Gran Bretagna con
l'astensione del servizio del personale britannico e il
boicottaggio del trasporto marittimo ottennero il blocco delle
esportazioni iraniane, ma nonostante l'invio di un incrociatore al
largo di Abadan, non poté evitare l'occupazione degli impianti
petroliferi da parte delle truppe iraniane.
Gli
Stati Uniti mantennero una posizione molto prudente e tentarono la
via della mediazione, ritenendo che una situazione di instabilità
avrebbe potuto favorire i comunisti e consentire all'Unione
Sovietica di intervenire. In base al trattato sovietico-iraniano
del 1921, sottoscritto ai tempi di Lenin quindi, le truppe
sovietiche avevano infatti il diritto di ingresso in Iran nel caso
di aggressione di un paese terzo.
Nel
1953, anche a causa del collasso economico provocato dal blocco
britannico, la situazione precipitò; Mossadeq forte del vastissimo
appoggio popolare, iniziò una vasta politica di riforme nel paese
incontrando però l'opposizione dello Scià e dell'esercito, e fu
costretto a ricercare il costante sostegno del Tudeh, il partito
comunista locale, che si accingeva a entrare nel governo. Di fronte
a tale situazione lo Scià fece destituire l'intransigente primo
ministro, ma fu costretto ad abbandonare il paese sollevatosi
contro di lui. L’esilio comunque risulterà brevissimo, il sovrano
rientrerà alcuni giorni dopo, acclamato dalle folle, grazie
all'intervento dell'esercito (e della CIA secondo alcune fonti),
mentre veniva deposto l'intransigente Mossadeq. La situazione
ritornò alla calma, i diritti britannici sullo sfruttamento delle
risorse petrolifere non vennero ripristinati, tuttavia in un clima
di piena riconciliazione con gli inglesi, venne raggiunto un
accordo su tale materia. l'anno seguente. Negli anni successivi il
paese aderì al patto di Bagdad e si allineò alla politica
occidentale, le riforme in materia economica, sociale e religiosa
vennero portate avanti, ma l'opposizione alla politica autoritaria
del monarca non venne meno.
La
nascita dello stato d'Israele e i contrasti fra ebrei e arabi in
quella regione negli anni dell’immediato dopoguerra hanno avuto
scarso rilievo sulle vicende della guerra fredda e hanno costituito
una delle tante guerre locali del Medio Oriente. Il governo
britannico, interessato a mantenere buoni rapporti con gli arabi,
tentò di frenare l'immigrazione e la formazione di uno stato
ebraico nella Palestina, tuttavia forti dell'aiuto delle comunità
ebraiche di tutto il mondo, gli israeliani raggiunsero il loro
obbiettivo. Gli immigrati ebrei provenivano principalmente
dall'Europa orientale e centrale, e superiori culturalmente ed
economicamente agli arabi, diedero vita ad una fiorente comunità.
Lo stato ebraico costituiva però una specie di isola circondata
interamente da popoli arabi mussulmani ostili; le comunità
israelite, già dagli anni '20 in contrasto con gli
arabo-palestinesi, si sentirono perciò costrette ad una politica
militare fortemente attiva.
La
decisione dell'Assemblea Generale dell'ONU di creare due distinti
stati, uno ebraico ed uno mussulmano (oltre alla città di
Gerusalemme sotto amministrazione internazionale) non incontrò il
favore degli arabi, che essendo numericamente superiori, ritenevano
che in un unico stato avrebbero potuto disporre della maggioranza e
quindi di pieni poteri nei confronti degli sgraditi vicini. Al
ritiro delle truppe britanniche, gli ebrei proclamarono la nascita
dello stato di Israele ma vennero attaccati dai palestinesi
sostenuti da una grande coalizione di stati arabi. Per quanto
superiori numericamente, questi non riuscirono a prevalere e gli
israeliani riportarono alcune vittorie, limitate solo dalla
minaccia di intervento da parte del governo britannico. La capacità
di resistenza degli ebrei non sarebbe stata certamente sufficiente
a fronteggiare l'aggressione se le comunità ebraiche mondiali e i
paesi comunisti , interessati a contrastare l'influenza inglese
nella regione, non avessero contribuito con l'invio di aiuti
militari. Le conseguenze del conflitto furono particolarmente gravi
per gli arabi. Lo stato palestinese venne a sparire; una parte
conquistato dagli israeliani, il territorio della Cisgiordania
assorbito dal Regno hascemita della Transgiordania (che diede
vita allo stato di Giordania) e il territori a sud di Gaza occupato
dagli Egiziani. Oltre 700.000 palestinesi furono costretti a
trovare rifugio in Siria, Giordania e Libano in miseri campi
profughi, non integrati con le popolazioni locali.
La
comune cultura europea del popolo ebraico e le tendenze più
marcatamente nazionaliste successivamente manifestatesi dagli
arabi, portarono ad un rovesciamento delle alleanze. Francesi e
inglesi si impegnarono nel sostegno d'Israele, mentre gli arabi
iniziarono a guardare altrove. In quegli anni nel Medio Oriente
sorsero nuovi movimenti politici e l'esercito assunse un ruolo di
sempre maggiore importanza, favorendo i gruppi politici di tendenze
panarabiste e laiciste.
La
infelice conclusione del conflitto per il mondo arabo portò ad una
situazione d'instabilità interna di quei paesi, di cui ne fecero le
spese soprattutto le monarchie filo occidentali. Nel 1951
l'ambizioso re Abdullah di Giordania, fedele alleato della corona
britannica, che durante gli anni della guerra aveva represso la
rivolta araba a favore dell'Asse, venne assassinato. Al trono salì
il giovane monarca Hussein che dovette costan¬temente bilanciare
nel corso del suo regno la sua propensione verso l'Occidente con le
spinte panarabiste di una parte della popolazione.
Nello
stesso anno il governo egiziano di Nahas Pascià denunciò gli
accordi anglo-egiziani del '36 riguardanti il presidio del Canale
di Suez da parte di truppe britanniche e il condominio comune sul
Sudan (sul quale l'Egitto mirava ad esercitare un controllo
esclu-sivo). Nel paese scoppiarono numerosi incidenti (culminati
negli scontri fra manifestanti e truppe britanniche ad Ismailia)
che portarono al rovesciamento della monarchia da parte
dell'esercito sotto la guida del generale Neguib e successivamente
del più radicale Nasser. Instaurata la repubblica, il nuovo leader
arabo si fece promotore di una vasta riforma agraria nel paese, di
un programma di industrializzazione, e in politica estera di un
forte panarabi¬smo che puntava a creare una leadership egiziana sul
mondo arabo. Nel '54 venne sottoscritto un nuovo accordo fra il
governo del Cairo e quello di Londra; in base al quale le truppe
britanniche lasciavano il Canale, mentre l'Egitto si impegnava a
rispettare la libertà di navigazione e a consentire l'uso di basi
nel caso di aggressione (ma non proveniente da Israele) ai paesi
della Lega Araba o alla Turchia.
L'Egitto
di Nasser divenne in breve tempo il primo e più importante alleato
dell'Unione Sovietica, tuttavia non venne meno nel nuovo governo
del Cairo il forte senso di indipendenza, e l'alleanza non impedì
la persecuzione del locale partito comunista. Diversamente dai
paesi europei, gli americani ritennero pertanto di tenere un
atteggiamento non ostile; secondo il segretario di stato americano
Dulles non era possibile una piena adesione del Rais al blocco
sovietico ed infatti nel giro di alcuni anni si verificò l'atteso
raffreddamento dei rapporti fra il Cairo e Mosca.
Anche
nei confronti degli altri paesi arabi la Francia mantenne una
politica restrittiva. In Tunisia il governo di Parigi sotto la
pressione delle agitazioni delle popolazioni locali e del governo
americano dovette accettare una serie di compromessi con
l'opposizione araba sempre più vasti fino alla piena indipendenza
del paese (marzo '56). Bourghiba, leader del movimento
indipendentista, diede vita ad uno stato fortemente laicista,
modernizzatore e vagamente socialista, che mantenne comunque una
politica estera lontana dall'estremismo. Nel 1958 l'aviazione
francese bombardò un villaggio tunisino ai confini con l'Algeria
che costituiva una base d'appoggio dei guerriglieri del FLN;
l'azione venne condannata e il governo di Tunisi ricorse all'ONU.
Le relazioni con il governo francese rimasero pessime anche negli
anni successivi e nel 1961 la base di Biserta ceduta ai francesi
venne arbitrariamente sgomberata con la forza dal governo tunisino;
ulteriori contrasti fra Parigi e Tunisi si ebbero per la
nazionalizzazione delle proprietà straniere.
Anche
nel Marocco la Francia fu costretta a rinunciare alle sue
prerogative. Nel '53 il governo di Parigi depose il sultano
Mohammed V, ma proteste e sollevazioni di capi religiosi e politici
due anni più tardi, riportarono sul trono il sultano avversato dai
francesi e avviarono il paese verso l'indipendenza. Nell'anno
succes¬sivo veniva abolita l'amministrazione internazionale di
Tangeri e il Marocco si avviava verso una monarchia costituzionale,
lontana comunque dalle posizioni intransigenti degli altri paesi
arabi.
Nel
1955 la diplomazia britannica mise a punto un importante successo
con la realizzazione di un trattato di alleanza fra Turchia
(l'antica potenza dominatrice della regione) e Iraq, a cui seguì in
tempi brevi l'adesione del Pakistan (suscitando le proteste
dell'India) e dell'Iran. La nuova alleanza, conosciuta come Patto
di Bagdad o CENTO, che costituì l'ultimo importante atto della Gran
Bretagna come grande potenza, ebbe il pieno appoggio della Francia
e sia pur con alcune riserve degli Stati Uniti. L'ingresso dei
paesi mediorientali nell'alleanza occidentale costituì l'ultimo
anello di quella catena di stati che doveva circondare il blocco
sovietico dalla Norvegia al Giappone. Diversi stati arabi tuttavia
guardavano con sospetto alle mire espansionistiche dell'Iraq nella
regione e si organizzarono prontamente in una controalleanza
comprendente Siria, Egitto, Arabia Saudita e
Yemen.
Il
rapporto fra i paesi dell'America Latina e gli Stati Uniti si
presentava non molto diverso da quello degli stati africani verso
la CEE. I due gruppi di paesi sono legati commercialmente alle due
potenze che costituiscono i principali acquirenti delle loro
materie prime e i maggiori fornitori di tecnologie e finanziamenti.
In alcuni paesi del Centro America società statunitensi erano
proprietarie di larga parte delle piantagioni agricole e dei
principali sistemi di comunicazione, mentre le popolazioni locali
non erano in grado di valorizzare le loro risorse data la mancanza
di capitali e di tecnologie per la commercializzazione dei prodotti
agricoli e minerari delle loro terre. I paesi poveri del continente
americano avevano tutto il diritto di associarsi e di pretendere
degli accordi economici più favorevoli, ma la politica delle
nazionalizzazioni delle proprietà straniere perseguita da alcuni
governi risultava scarsamente redditizia per entrambe le
parti.
Nel
1951 il governo del Guatemala presieduto dal colonnello Arbenz
Guzman promosse una profonda riforma agraria che prevedeva la
nazionalizzazione delle terre in contrasto con la compagnia
americana United Fruit che controllava una larga parte della
produzione agricola del paese. Il governo degli Stati Uniti
riteneva che il governo potesse essere soggetto all'influenza dei
comunisti, sospetto confermato alcuni mesi dopo dall'ac-quisto da
parte delle autorità guatemalteche di armi dalla Polonia, forse
dirette alla costituzione di una milizia. Nel giugno del '54 un
esercito di fuoriusciti proveniente da Nicaragua e Honduras con il
sostegno statunitense rovesciò il governo di Guzman, sciolsero il
partito comunista e annullarono la riforma agraria.
Anche
nella ricca isola di Cuba dove era al potere un dittatore che in
anni precedenti aveva chiamato al potere esponenti comunisti, si
ebbero agitazioni e manifestazioni di protesta. Nel 1953 Fidel
Castro alla testa di 200 uomini tentò senza successo l'assalto di
una caserma in una regione periferica di Cuba, il leader
rivoluzionario venne arrestato, ma due anni dopo venne
singolarmente rimesso in libertà.
Grandi
fermenti si ebbero anche in Argentina negli anni del governo Peron,
i rapporti con gli Stati Uniti furono contrastanti, e secondo
alcune fonti il governo americano contribuì alla caduta del
regime.
Chiusa
la questione coreana e indocinese l'Estremo Oriente non si avviò
comunque verso la stabilità; una crisi, con numerosi fasi alterne,
si venne a creare per la contesa di alcune isolette di scarso
interesse nello Stretto di Formosa. Le isole in questione si
trovavano lontano dall'isola principale dei nazionalisti cinesi, a
non più di una ventina di chilometri di distanza dalle coste
continentali cinesi, e si presentavano pertanto facilmente
attaccabili dall'esercito di Pechino.
L'aspirazione
del governo comunista di Pechino di eliminare il governo
nazionalista arroccato sull'isola di Taiwan ma ancora potente e in
grado di sferrare colpi sul continente non venne mai meno. Il
giorno stesso dell'intervento americano in Corea il presidente
Truman decise che la VII° Flotta presidiasse lo Stretto di Formosa
per impedire attacchi contro il governo di Chiang ma anche per
evitare improduttive ritorsioni di questa contro il governo
comunista. Nel febbraio del '53 Eisenhower annullò l'ordine del
predecessore di tenere "separati" i due contendenti ritenendo in
tal maniera di distogliere delle forze comuniste impegnate nella
guerra di Corea.
L'accordo
dell'ottobre '54 con il quale i sovietici si impegnavano a
restituire Port Arthur alla Cina prevedeva anche il sostegno
sovietico alla eliminazione del governo nazionalista. Anche gli
americani avevano preso impegni per garantire la sovranità di
Taiwan, limitatamente però alla difesa dell'isola principale e
delle vicine isole Pescadores e non anche a quelle costiere la cui
difesa sarebbe risultata eccessivamente gravosa.
Il
3 settembre 1954 la Cina popolare iniziò il bombardamento delle
isole di Quemoy e Matsu, che seguiva agli sporadici scontri
aeronavali dei mesi precedenti. L'intenso cannoneggiamento faceva
ritenere che fosse imminente la invasione delle isole. La tensione
venne accresciuta da alcune dichiarazioni da parte
dell'intransigente Segretario di Stato americano Dulles
sull'opportunità che anche le piccole isole costiere fossero
incluse nel piano di difesa di Taiwan che suscitò polemiche anche
all'interno della NATO.
La
condanna ai lavori forzati di tredici aviatori americani dispersi
in Corea e l'attacco comunista all'isola di Ykiangschan nel gruppo
delle isole costiere delle Tachen, prontamente evacuate, riportò
nei mesi successivi la tensione nella regione, dando luogo ad un
confronto che avrebbe potuto provocare uno scontro diretto fra
Stati Uniti e Cina comunista di non minore gravità di quello
avvenuto nella guerra di Corea da poco conclusa. Nel maggio del '55
i cinesi, che già alla Conferenza di Bandung si erano espressi a
favore della pace, in maniera abbastanza improvvisa interromperono
le operazioni militari senza contropartita; le cause di questo
diverso comportamento dei cinocomunisti non sono note, comunque la
contesa era, con beneficio per tutta la regione, temporaneamente
sospesa.
Nel
'55 si ebbe un importante svolta nelle relazioni diplomatiche
sovietiche inaugurata da due missioni coronate da esito positivo,
l'incontro con Tito a Belgrado e il viaggio di Kruscev e Bulganin
nei paesi asiatici (India, Birmania e Afghanistan) che diedero
l'avvio alla nuova politica di Mosca verso i paesi neutrali.
Ovunque venne cercato il miglioramento delle relazioni commerciali
e l'apertura di crediti a favore delle giovani economie dei paesi
afroasiatici. La corsa alla ricerca dei consensi nei paesi del
Terzo Mondo era iniziata, e i sovietici negli anni successivi con
la realizzazione della diga di Assuan in Egitto dimostrarono
capacità superiori alle aspettative. Kruscev nei colloqui con i
dirigenti jugoslavi apertamente riconobbe la responsabilità della
controversia fra i due paesi ai precedenti dirigenti sovietici ed
esplicitamente a Berja, e auspicò un riavvicinamento fra i due
stati all'insegna dell'indi-pendenza e del rispetto reciproco, ma
la risposta di Tito non fu particolarmente entusiasta, pur
soddisfatto del miglioramento nelle relazioni, non intendeva
reintegrarsi nel sistema sovietico, e negli anni successivi rifiutò
la partecipazione alla conferenza dei partiti comunisti a Mosca del
'57 e del '60, e sviluppò invece rapporti di collaborazione con la
Romania che si avviava a seguire una strada a sé rispetto agli
altri paesi dell'Est.
Nell'aprile
del '56, in un periodo di relazioni internazionali particolarmente
distese si ebbe il primo degli incontri bilaterali dei capi del
Cremlino con i capi di governo occidentali del dopoguerra. Kruscev
si incontrò con il Premier britannico Eden; i colloqui, nel corso
dei quali i sovietici annunciarono la produzione di un missile a
testata nucleare, risultarono scarsamente fruttuosi, tuttavia
contribuirono al miglioramento del clima politico
internazionale.
Il
fallimento delle trattative fra USA ed Egitto per il finanziamento
della costruzione della diga di Assuan (che avrebbe aumentato di un
terzo le terre coltivabili e raddoppiato la produzione di energia
elettrica), l'acquisto di armi dalla Cecoslovacchia, e la
conclusione del Patto di Bagdad avevano fortemente deteriorato i
rapporti fra Egitto e mondo occidentale, anche se nulla poteva far
pensare ad una rapida escalation nella regione. Fu l'aperto
appoggio del governo di Nasser ai movimenti indipendentistici
algerini, confermati dalla scoperta di un carico di armi egiziane
dirette in Algeria, e soprattutto la confisca della Compagnia del
Canale di Suez con capitale franco-britannico a provocare la
definitiva rottura. Il 13 giugno del '56 l'ultimo soldato inglese
aveva abbandonato il suolo egiziano, come previsto dall'accordo del
'54, e a poco più di distanza di un mese, il 26 luglio il Rais
annunciava la nazionalizzazione del Canale di Suez. L'iniziativa
che mise in difficoltà i paesi europei e l'Inghilterra, soprattutto
per i rifornimenti di petrolio, venne immediatamente contestata ma
non si poté impedire l'attuazione del grave provvedimento. Nasser
non soddisfatto dell'arbitraria confisca, senza nemmeno un
tentativo di rinegoziare l'accordo sullo sfruttamento della via
d'acqua, si spinse a respingere quei principi del diritto
internazionale che prevedevano la libertà di transito per le vie
marittime di interesse internazionale. La situazione venne
ulteriormente aggravata dall'attività di guerriglia dei greco
ciprioti che mise in difficoltà la importante base aero navale
britannica nell'isola di Cipro che garantiva la presenza europea
nel bacino del Mediterraneo orientale.
Gli
Stati Uniti, si dichiararono per una gestione del Canale da parte
di una associa-zione dei principali paesi che usufruivano della
importante via marittima. Tale proposta venne approvata da una
conferenza internazionale, ma venne respinta dal governo egiziano
che ne impedì l'attuazione.
La
impossibilità di procedere secondo le decisioni della comunità
internazionale spinse i governi di Francia e Inghilterra ad agire
diversamente. Il governo socialista Mollet fu il principale
sostenitore di un'azione contro l'Egitto; vennero presi accordi con
il governo israeliano per un'iniziativa comune, confidando sul
fatto che i sovietici non avrebbero avuto modo d'intervenire per
motivi logistici nel Mediterraneo. Israele d'altra parte
preoccupata per i continui attacchi di fedayin dalla zona
palestinese presidiata dagli Egiziani e dal blocco degli Stretti di
Tiran da parte degli stessi che impedivano l'accesso all'unico
sbocco israeliano sul Mar Rosso, non aspettavano altra occasione
per intervenire.
Il
governo francese e britannico si accordarono sul piano d'azione
contro il Cairo, senza informare gli Stati Uniti e gli altri
partner della NATO; il giorno 29 ottobre le truppe israeliane
attaccarono l'Egitto penetrando in profondità nel Sinai. Mentre la
nazione araba si preparava ad inviare rinforzi oltre il Canale, in
quella che si riteneva una delle tante scara-mucce di confine,
Francia e Gran Bretagna, il giorno successivo, lanciarono come
previsto dai precedenti accordi, un ultimatum ai due contendenti
affinché le loro truppe si allontanas-sero dalla importante via
d'acqua; il governo israeliano accettò la richiesta (avendo
raggiunto il proprio obbiettivo), ma gli Egiziani, che avrebbero in
tal modo dovuto rinunciare ad una parte del proprio territorio,
respinsero la richiesta.
Il
giorno 30 si tenne la convocazione del Consiglio di Sicurezza su
richiesta del governo americano che già aveva inviato un messaggio
a Israele chiedendo la cessazione dei combattimenti e il ritiro
delle truppe. Vennero discusse due risoluzioni presentate da
americani e sovietici dove si chiedeva il ritiro immediato delle
truppe israeliane e il divieto di prestare aiuto allo stato
ebraico, che non ebbe attuazione a causa del veto franco-britannico
che indirettamente costituivano una sanzione al loro
comportamento.
Scaduto
il perentorio ultimatum presentato dai due governi europei, il 31
ottobre iniziarono i bombardamenti sugli aeroporti egiziani da
parte dell'aviazione francese e britannica di stanza a Cipro e da
alcune portaerei al largo del Mediterraneo, che sconvolsero le
difese egiziane.
Alcuni
hanno visto nella presa di distanza americana dall'iniziativa
franco britannica un'azione scorretta alle spalle di quest'ultimi
intrapresa per ribadire la supremazia degli Stati Uniti sul vecchio
continente. Lo scambio di note fra i governi occidentali fa invece
ritenere che si sia trattato di un gesto di buon senso del
presidente americano, impegnato negli stessi giorni dalle elezioni
presidenziali, contrario ad un possibile allargamento del
conflitto, d'altra parte francesi e inglesi avevano messo di fronte
al fatto compiuto gli americani, e non ebbero la solidarietà
nemmeno dei partner europei della NATO, molto interessati alla
questione del libero accesso al Canale.
L'Egitto ruppe le relazioni diplomatiche con Parigi e Londra,
ordinò la mobilitazione generale, e ricorse ad una misura che si
rivelò estremamente efficace, il blocco del Canale, che insieme
alla chiusura degli oleodotti in Siria provocò gravi conseguenze
all'approvvigionamento di petrolio da parte dei paesi europei. Gli
altri stati arabi evitarono tuttavia interve¬nire contro
l'aggressione israeliana e gli egiziani furono pertanto costretti
ad abbandonare precipitosamente il Sinai per evitare
l'accerchiamento dell'esercito.
Nelle
rispettive sedi parlamentari, non mancarono critiche ai due capi di
governo francese ed inglese, che comunque con un certo sforzo
riuscirono ad ottenere l'approvazione della loro politica (270 voti
contro 218 a Londra ed una maggioranza ancora più ampia a Parigi,
366 voti contro 182).
Il
4 novembre l'Assemblea Generale dell'ONU approvò una risoluzione
presentata dal Canada in cui si chiedeva la costituzione di una
forza di pace delle Nazioni Unite che sembrò non trovare la
disapprovazione degli inglesi, più disponibili al negoziato dei
loro colleghi di Parigi, ma che non impedì agli stessi e ai
francesi di continuare il piano d'azione intrapreso. Il giorno
seguente, come previsto, i paracadutisti francesi occuparono Porto
Fuad, all'estremità nord del Canale e gli inglesi Porto Said sul
lato opposto.
Nella
seduta del Consiglio di Sicurezza dell'ONU del giorno stesso il
rappresentante sovietico propose un intervento comune con gli Stati
Uniti per far cessare l'intervento franco-britannico, ottenendo il
deciso rifiuto del delegato americano, il quale sostenne che era
completamente fuori luogo un'azione comune contro le nazioni
europee specie nel momento in cui le divisioni sovietiche stavano
portando a termine l'aggressione contro l'Ungheria.
Contemporaneamente l'Unione Sovietica, bruciando le tappe, inviò un
messaggio di eccezionale gravità ai governi di Francia, Gran
Bretagna e Israele in cui si portava a conoscenza
che la
situazione era tale da provocare lo scoppio di una terza guerra
mondiale, ed esplicitamente prospettava la possibilità di ricorrere
ad attacchi missilistici contro i paesi europei.
Gli Stati Uniti con i quali i governi francese ed inglese
immediatamente si consulta-rono, espressero ad essi la loro
solidarietà sia pure senza prendere impegni sull'azione che
avrebbero condotto nel caso di aggressione o di una flotta russa
che avesse portato soccorso all'Egitto.
L'Unione Sovietica, dove vi era stata la formazione di gruppi di
"volontari" pronti ad intervenire a difesa dello stato egiziano
analogamente a quanto successo in Cina durante la guerra di Corea,
informò il governo turco che la flotta avrebbe attraversato gli
Stretti, contemporaneamente gli Stati Uniti decisero lo stato
d'allerta delle forze americane. Il giorno successivo, le truppe
franco britanniche sbarcavano nella zona del Canale nelle zone già
presidiate dai paracadutisti, con il supporto massiccio (il primo
nella storia) di truppe eli-trasportate e rapidamente dilagavano su
tutto il Canale. Al tempo stesso però, sotto la pressione del suo
stesso partito, il premier britannico Eden fu costretto a cedere e
informava di essere disponibile alla sostituzione delle sue truppe
da parte di quelle dell'ONU, alla notizia anche i francesi, sia
pure con maggiore riluttanza, si adeguavano alla decisione. Israele
accettò di ritirarsi dal Sinai non senza l'assicurazione che truppe
dell'ONU presidiassero gli Stretti di Tiran e i campi palestinesi
di Gaza, e nel dicembre i franco britannici completavano lo
sgombero del Canale.
Eden
fu costretto alle dimissioni di lì a poco, e per la Gran Bretagna
come per la Francia la faccenda costituì un grave scacco, avendo
perso il sostegno di numerosi paesi afroasiatici e al tempo stesso
dimostrando di non disporre della forza per una iniziativa
internazionale autonoma. Guy Mollet commentando successivamente gli
avvenimenti di fronte alle camere sostenne che "Tra un'America che
a volte è troppo impulsiva e a volte troppo lenta a comprendere la
dimensione del pericolo e un'Unione Sovietica inquietante e
talvolta ancora minacciosa nel proprio atteggiamento, abbiamo
sperato in un'Europa unita, attiva, quale forza mondiale, non
neutrale ma indipendente".
L'insuccesso
di Francia e Gran Bretagna nella crisi di Suez segnò una svolta in
Medio Oriente. Numerose furono le aziende e le proprietà
nazionalizzate, mentre la regione venne investita da un grande
fermento che minacciava di spazzare via tutti i regimi filo
occidentali.
Il
5 gennaio del 1957 a due settimane di distanza dal ritiro delle
truppe franco britanniche dal Canale di Suez il presidente
Eisenhower chiese al Congresso (piano d'azione che passò alla
storia come "dottrina Eisenhower") la autorizzazione ad intervenire
con sostegni economici ed aiuti militari ai paesi arabi che fossero
aggrediti o sottoposti alla pressione anche indiretta di Mosca. A
tale iniziativa i sovietici contrapposero una iniziativa di pace
consistente nella neutralizzazione del Medio Oriente attraverso
l'eliminazione delle basi militari, il ritiro di truppe straniere,
e il divieto di fornire armamenti a quei paesi. La proposta venne
respinta; i sovietici in quel momento non disponevano di basi
militari in quella regione e quindi lo sgombero avrebbe riguardato
esclusivamente le forze occidentali inoltre la neutralizzazione
della regione avrebbe consentito a Nasser, all'apice della sua
potenza, di assumere il ruolo di leader incontrastato del popolo
arabo.
I
paesi già aderenti al Patto di Bagdad, la Libia, il Libano, la
Tunisia , il Marocco, e l'Afghanistan accettarono la "tutela"
americana; il re Saud di Arabia, in contrasto con l'Irak non
accettò, tuttavia sottoscrisse un'importante accordo (rinnovo della
concessione di basi militari e forniture militari) con gli Stati
Uniti.
La
Giordania conobbe in quegli anni una delle sue numerose crisi,
sotto l'impulso della piazza il sovrano fu costretto a ritirare i
suoi propositi di adesione al Patto di Bagdad, e nel '57 un governo
formato da nasseriani, palestinesi ed alcuni esponenti comunisti,
arrivò alla denuncia del trattato di alleanza con l'Inghilterra.
Nell'aprile il governo ritenuto una minaccia alle istituzioni,
venne rovesciato dal re che instaurò la legge marziale nel paese.
L'Irak dichiarò di essere pronta ad intervenire qualora re Hussein,
cugino di secondo grado di Feisal, fosse stato in pericolo; gli
Stati Uniti offrirono aiuti economici al piccolo stato, e la VI°
Flotta venne inviata a presidiare il Mediterraneo orientale;
nonostante i moti di piazza la corona riuscì a resistere ed il
paese ritornava successivamente verso la normalità.
In
Siria dopo i numerosi colpi di stato susseguitesi dal '49, nel '54
si instaurò un governo militare filo nasseriano sotto la guida del
generale Kuatli che nei mesi successivi si rivolse all'Unione
Sovietica per aiuti economici e militari. Nell'estate del '57
mentre i comunisti iniziavano la loro scalata al potere in Siria,
il governo di Damasco espulse tre diplomatici americani accusati di
complotto, mentre un clima di tensione si instaurò con la Giordania
per gli aiuti militari forniti ad essa dagli Stati Uniti, e con la
vicina Turchia per questioni di confine.
In
seguito ad alcuni incidenti di frontiera fra Ankara e Damasco, il 9
ottobre di quell'anno Kruscev accusò gli Stati Uniti di voler
aggredire lo stato siriano attraverso l'alleato turco, e con una
nota diplomatica estremamente pesante, in cui si rammentava il
pericolo di una vasta guerra (non diversamente da quanto aveva
fatto nell'ottobre precedente in occasione della crisi di Suez)
intimò di astenersi da azioni di interferenza verso lo stato
siriano, nel quale erano già presenti milizie egiziane.
Gli
americani non accettarono l'intimidazione e richiesero che fosse
costituita una commissione di inchiesta internazionale per
accertare eventuali violazioni alla frontiera turco-siriana, e con
l'intervento dell'ONU si giunse ad una mediazione.
Nello
stesso periodo si svolsero importanti trattative fra Siria ed
Egitto che diedero vita, nel febbraio del 1958, alla Repubblica
Araba Unita che di fatto costituiva una annessione del fragile
stato siriano da parte del governo egiziano; ad essa seguì non
molto tempo dopo l'adesione del regno yemenita, ma numerosi furono
i segnali contraddittori. In Siria il locale partito comunista
venne perseguitato, ma al tempo stesso Nasser con un viaggio a
Mosca, sanciva la solidarietà fra i due stati, e raccolse un
importante risultato, il finanzia¬mento da parte dei russi della
diga di Assuan, che aveva costituito uno dei grandi obbiettivi del
leader arabo.
A
poche settimane di distanza dalla creazione del RAU, i monarchi di
Giordania e Irak diedero vita ad un'Unione Araba fra i due stati,
ma a Bagdad, la situazione da tempo già turbolenta, sfociò in una
rivolta popolare e nel colpo di stato da parte di elementi
nasseriani dell'esercito seguita dall'assassinio di Feisal.
L'Unione prevedeva che qualora a Bagdad venisse a mancare il
sovrano, Hussein venisse a subentrare a questi, ma non disponendo
della forza necessaria per imporre tale situazione, il giovane re
preferì scindere l'Unione e chiedere immediatamente l'intervento
delle truppe britanniche, che inviarono un contingente di 2.500
uomini ad Amman. Il nuovo governo irakeno evitò comunque posizioni
eccessivamente radicali, il partito comunista venne tenuto lontano
dal potere e vennero mantenuti buoni rapporti con Gran Bretagna e
Stati Uniti.
La
situazione nel mondo arabo mussulmano era già molto complessa
quando si profilò nel vicino Libano una nuova crisi. Il piccolo
stato arabo si reggeva su un difficile equilibrio fra le varie
comunità esistenti; in base alla costituzione la presidenza della
repubblica spettava ad un cristiano, la presidenza del governo ad
un sunnita, mentre la presidenza del parlamento spettava ad uno
sciita. I cristiani maroniti, che costituivano la comunità più
forte dal punto di vista economico, propendevano ad una politica di
buoni rapporti con l'Occidente, mentre i mussulmani erano
favorevoli al panarabismo e guardavano con interesse al
nazionalismo egiziano. Nel maggio del 1958 la situazione
precipitò; gravi scontri si verificarono a Beirut e a Tripoli
provocati dai drusi, il principale gruppo sunnita, e dalle altre
comunità mussulmane, contro il presidente cristiano Chamun, il
quale denunciò attività illecite contro lo stato da parte di Siria
ed Egitto. Su richiesta dello stesso presidente nel giugno gli
Stati Uniti inviarono truppe nel Libano, che tuttavia non si
impegnarono direttamente nel conflitto. L'intervento ebbe
ovviamente riflessi sul piano diplomatico; gli americani, che
ritenevano la questione libanese non particolarmente degna di
interesse, chiesero l'invio di caschi blu a sostituire il proprio
contingente, richiesta che venne respinta dai sovietici, i quali in
un messaggio inviato ai governi di Stati Uniti, Francia, Gran
Bretagna, e India affermavano che l'intervento americano e quello
analogo britannico in Giordania avrebbe potuto produrre un
aggravamento della tensione nella regione e gravissime conseguenze
nel mondo; la nota si concludeva comunque con la richiesta di un
incontro dei cinque governi insieme al segretario
dell'ONU.
Il
governo De Gaulle prese le distanza dall'iniziativa americana,
dando inizio a quella serie di contrasti con il governo degli Stati
Uniti che caratterizzò il periodo successivo, mentre i paesi della
Lega Araba richiesero all'ONU che le potenze occidentali e quelle
comuniste si astenessero da azioni in Medio Oriente; richiesta che
venne approvata dall'Assemblea Generale all'unanimità, Israele
compresa. Nel settembre si raggiunse un accordo fra le fazioni
libanesi e le truppe americane poterono lasciare il
paese.
Dopo
lo sconvolgimento operato da Nasser, l'Unione Sovietica migliorava
notevol-mente le sue posizioni, l'Europa perdeva le sue ultime zone
d'influenza nel Medio Oriente, solo in parte sostituite da quelle
americane, mentre il mondo arabo si avviava a quella situazione di
instabilità politica che ha caratterizzato gli ultimi anni di
quella regione.
Nel
giugno 1961 si ebbero due importanti eventi, il tentativo dell'Irak
di mettere le mani sul piccolo ma ricchissimo stato del Kuwait, che
da pochi giorni aveva raggiunto la piena indipendenza, (impedito
dall'intervento di truppe britanniche, e da un contingente della
Lega Araba), e la rottura del RAU. Il governo siriano resosi conto
che l'unione con il Cairo significava la sottomissione al Rais
egiziano, che intendeva imporre uomini di propria fiducia alle
massime cariche dello stato, decise di rompere l'accordo. Nasser
lanciò una serie di minacce contro Damasco ma non si sentì di
inviare truppe egiziane a reprimere la rivolta e dovette accettare
il fatto compiuto; poco dopo anche il governo yemenita decideva di
denunciare l'accordo con il Cairo ponendo fine all'opera politica
del Rais.
Il
1963 rappresentò tuttavia un anno di grande ripresa per il
movimento nasseriano. Un colpo di stato militare in Irak impose al
paese un governo socialista e fortemente filo egiziano, seguito
poco dopo da un analogo atto di forza a Damasco da parte del
partito Baas, che se non mise fine all'instabilità politica del
paese, diede una svolta in senso radicale al governo dello stato.
Egitto, Irak, e Siria diedero vita nell'aprile ad una nuova unione
nazionale, che risultò tuttavia non più stabile della precedente.
Contemporaneamente truppe egiziane intervenivano con scarso
successo nello Yemen, dove si combatteva una lunga e sanguinosa
guerra civile.
In
quegli anni l'Unione Sovietica registrò alcuni importanti successi.
Nell'ottobre del '57 si ebbe una notizia che fece scalpore
nell'opinione pubblica americana e mondiale, l'Unione Sovietica
aveva messo in orbita il primo satellite artificiale, lo Sputnik (e
nel '61 il brillante risultato venne confermato con il lancio del
primo uomo nello spazio). Già nei mesi precedenti la stampa
sovietica aveva parlato della realizzazione di un missile
intercontinen¬tale ma non essendo stata possibile alcuna verifica
si era ritenuto che si trattasse di una di quelle uscite clamorose
prive di fondamento degli anni dello stalinismo. La notizia era
sconvolgente per almeno due motivi, il primo che la tecnologia di
un paese comunista aveva scavalcato (ma negli anni successivi si
comprese che si trattava di un successo isolato) quella dei paesi
liberi, il secondo motivo di apprensione era che se i sovietici
disponevano di un vettore capace di mettere in orbita nello spazio
un satellite disponevano anche di un mezzo per colpire il
continente americano, fino allora ritenuto quasi
invulnerabile.
Parlando
dei recenti successi sovietici Kennedy con notevole allarmismo
scrisse: "Ci stiamo rapidamente avvicinando a quel pericoloso
periodo... in cui le nostre possibilità offensive e difensive
mediante i missili avranno un tale distacco rispetto a quelle
sovietiche da porci in condizioni di grave pericolo" e non
molto tempo dopo in un congresso del partito democratico sostenne
che: "I russi ci battono nella gara spaziale... Mezza Indocina è
sparita oltre il sipario di ferro. Il Tibet e l'Ungheria sono
rimasti schiacciati. Per la prima volta nella sua storia la Russia
ha realizzato quel che cercava da secoli, di metter piede nel Medio
Oriente... E intanto siamo costretti ad abbandonare il Patto di
Bagdad, a mandare i marines in Libano, la flotta a
Formosa".
Una
svolta nelle relazioni fra mondo occidentale e Unione Sovietica non
si ebbe nemmeno quando, eliminato Molotov e gli altri esponenti
stalinisti del cosiddetto "gruppo antipartito" e cumulate nella
stessa persona di Kruscev le massime cariche dello stato, sembrava
che la nazione sovietica avesse rotto i legami col passato. In
occasione del 40° anniversario della Rivoluzione d'ottobre si tenne
a Mosca una grande conferenza dei rappresentanti di 64 partiti
comunisti. Venne formulato un appello per la pace, che più che un
invito ai popoli di stabilire giuste e pacifiche relazioni
significava la richiesta di resa senza condizione da parte
dell'Occidente. La Cina anche intervenne al dibattito, Mao in
quella occasione affermò che una guerra nucleare sarebbe stata
un'eventualità non del tutto negativa, una metà dell'umanità
sarebbe sparita ma lo scontro si sarebbe concluso con
l'ineluttabile vittoria del socialismo.
Alla
fine del '57 il ministro degli esteri polacco Rapacki presentò
un'importante proposta sul disarmo: la creazione di una vasta zona
denuclearizzata comprendente le due Germanie, la Polonia e la
Cecoslovacchia, che costituivano in quel momento il territorio
europeo con più alta concentrazione di armamenti, e dove si
riteneva che un eventuale scontro fra le massime potenze avesse più
possibilità di verificarsi. Vi furono delle trattative, ma con
scarsi risultati, i paesi della NATO, che in fatto di armamenti
convenzionali dispone-vano di una forza inferiore al Patto di
Varsavia, ritenevano che l'eliminazione delle armi atomiche avrebbe
favorito maggiormente la controparte; gli occidentali
condizionarono quindi il problema del disarmo con quello della
riunificazione tedesca e sollevarono il problema oggettivamente
spinoso dei reciproci controlli; l'iniziativa polacca per quanto
non priva di un certo interesse, non ebbe pertanto alcun
seguito.
Le
spese per gli armamenti per la non florida economia sovietica
rappresentava un problema considerevole. Non solo il Cremlino
doveva destinare una parte non irrilevante del reddito nazionale
(il 17% secondo fonti della CIA contro il 6% degli USA) per il
bilancio della difesa, ma si vedeva costretta ad impegnare larga
parte delle sue migliori risorse, anche intellettuali, nel campo
militare a discapito dei settori economici produttivi. Nell'agosto
del '55 l'URSS decise una riduzione degli effettivi di 640.000
unità, seguita da un ulteriore riduzione nel maggio dell'anno
successivo di 1.200.000 uomini portando quindi le forze armate da
5,8 milioni di effettivi a circa 4 milioni. Dopo alcuni anni, dal
momento che l'esercito di massa non aveva più ragione d'esistere,
venne stabilito che gli uomini impegnati nelle forze armate non
dovesse superare i 2,4 milioni di uomini ma tale progetto venne
sospeso nell'estate del 1961 in seguito al riaccendersi della
questione di Berlino.
La
situazione nel campo delle forze convenzionali non era comunque
molto migliorata rispetto agli anni precedenti; nel 1960 la NATO
disponeva di 21 divisioni contro le 175 dell'URSS pari a 2 milioni
e mezzo di soldati.
Di
fronte ai successi sovietici nel dicembre del '57 Eisenhower
propose agli alleati europei la creazione di un arsenale atomico a
disposizione dell'alleanza stessa con il cosiddetto sistema della
"doppia chiave", e l'installazione di missili con testata nucleare
(Jupiter e Thor) in Europa; Gran Bretagna, Italia e Turchia
accettarono la proposta mentre Francia, Danimarca e Norvegia
rifiutarono la presenza di armi nucleari sul proprio
territorio.
Nei
primi anni Sessanta gli americani compirono ulteriori progressi con
la realizzazione dei missili Atlas (a più lunga gittata e meno
vulnerabili dei precedenti) e i Polaris, in grado di essere
lanciati da sottomarini in immersione; nel '62 gli Stati Uniti
avevano colmato il distacco sul piano missilistico e si erano
portati in una situazione di vantaggio almeno qualitativo rispetto
all'URSS.
Nel
marzo dell'anno successivo l'Unione Sovietica, accogliendo una
richiesta di numerosi scienziati da tutto il mondo, decise la
sospensione degli esperimenti nucleari, con la condizione che le
altre potenze si associassero all'iniziativa. Gran Bretagna e Stati
Uniti accettarono immediatamente, ma non altrettanto fece il
governo gollista francese, che intendeva perseguire una politica
autonoma. A fine anno si aprì comunque la conferenza sulla
cessazione degli esperimenti nucleari fra le potenze che avevano
accettato l'accordo di massima, ma non si ebbero risultati, mentre
due nuove crisi (Formosa e Berlino) si aprivano all'orizzonte
riportando la tensione internazionale a livelli molto alti. Nel
novembre si tenne la conferenza sulla prevenzione degli attacchi di
sorpresa (le nuove armi richiedeva¬no tempi di intervento
brevissimi), Kruscev in quella sede lanciò una proposta per un
patto di non aggressione fra la NATO e il Patto di Varsavia, la
creazione di una zona demilitarizzata nell'Europa centrale, e il
ritiro delle truppe straniere in Europa, accordo sostanzialmente
più sfavorevole alle forze occidentali. Il fallimento delle
trattative sul disarmo e sulla creazione di zone denuclearizzate,
avveniva invariabilmente sulla questione dei controlli; l'unica
forma ammessa di controllo da parte dei sovietici era quella
autorizzata dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU, dove i medesimi
disponendo del diritto di veto, erano in grado di eliminare
iniziative non gradite. La "coesistenza pacifica" così come venne
presentata dai nuovi dirigenti di Mosca del resto non convinceva
eccessivamente gli americani; secondo il Foster Dulles "Quando lui
[Kruscev] parla di pacifica competizione intende parlare di una
competizione che deve interamente svolgersi nel nostro campo,
lasciando intatto il suo. La coesistenza pacifica che lui vuole
significa pace nelle nazioni a regime comunista e disordine nelle
altre".
Il
22 agosto 1958 improvvisamente si riaccesero le ostilità fra la
Cina maoista e quella nazionalista dopo tre anni di precaria
tranquillità. L'artiglieria comunista aprì il fuoco sulla
contestata isola di Quemoy, che i nazionalisti ostinatamente
intendevano conservare nonostante che non avesse grande interesse
per la difesa di Taiwan.
La
solidarietà sovietica all'alleato cinese fu particolarmente ampia
anche se da lì a poco le relazioni fra i due paesi iniziarono a
deteriorarsi. Kruscev chiese il ritiro delle forze armate americane
dall'isola, e affermò che un attacco contro la Cina sarebbe stato
considerato equivalente ad un attacco contro l'Unione Sovietica,
anche se in realtà nulla faceva pensare ad un contrattacco degli
Stati Uniti contro Pechino. Nei giorni successivi un nuovo
messaggio dai toni ancora più duri e contenente espressioni al
limite dell'ingiurioso, venne inoltrato a Washington, che lo
respinse come inaccettabile. Nelle sue memorie Gromiko riferisce di
un colloquio con Mao del '58 nel corso del quale il Grande
Timoniere esprimeva la propria propensione (o almeno disponibilità)
ad arrivare ad una guerra diretta con gli Stati Uniti; tale
proposta non venne però accettata favorevolmente dai dirigenti
sovietici .
Chiang
Kay Shek non aveva mai nascosto al sua volontà di rimettere piede
sul continente e l'anno precedente aveva deciso l'installazione di
missili balistici che minaccia-vano seriamente l'altra Cina. La
posizione americana fu invece prudente, Dulles che negli anni
precedenti aveva affermato che la difesa dell'Asia dal comunismo
era uno degli obbiettivi principali del proprio governo, si limitò
a sostenere che gli Stati Uniti si riservavano di assumere alcune
iniziative contro l'aggressore ma solo a carattere difensivo.
All'interno del partito democratico le opinioni non erano diverse,
lo stesso Kennedy riteneva utile a certe condizioni la difesa delle
due isole, sebbene non strettamente necessarie alla difesa di
Formosa. Gli alleati europei suggerivano soluzioni più prudenti, e
il governo britannico dichiarò espressamente di non sentirsi
impegnato alla disputa sulle isole in questione.
La
tensione internazionale salì nei giorni successivi quando i
cino-comunisti aprirono il fuoco contro un convoglio diretto a
Quemoy scortato da navi della VII° Flotta, ma il governo americano
evitò ritorsioni e fece anzi conoscere di essere disponibile a
negoziati e a ridurre la propria presenza militare a Quemoy,
qualora i comunisti cessassero il cannoneggiamento
dell'isola.
Nelle
settimane successive i bombardamenti contro l'isola diminuirono
d'intensità, e il 23 ottobre, dopo un incontro con il segretario di
stato americano, il governo di Taiwan dichiarò di non rinunciare
alla missione di liberare la Cina dal comunismo, ma di non
ricorrere all'uso di mezzi aggressivi a tale fine (ciò che in
sostanza i cino-comunisti si attende¬vano) e di essere disponibile
a ridurre le proprie forze presenti a Quemoy qualora la controparte
cessasse l'aggressione contro l'isola. Venne stabilita una fragile
tregua che comunque riuscì a reggere; la Cina comunista non
riuscirà a eliminare questa spina nel fianco e nel '59 e nel '62 si
ebbero nuovi sporadici scontri a Quemoy.
Chiusa
la questione dell'Estremo Oriente con un sostanziale nulla di
fatto, si riapriva la più grave questione sul futuro della nazione
tedesca. I sovietici si erano opposti al principio che la Germania
fosse retta da un governo sorto sulla base di libere elezioni e
ritenevano invece che il futuro della nazione dovesse essere
stabilito da accordi fra il governo di Bonn e quello di Pankow. E'
evidente che la soluzione prospettata dai sovietici non poteva
avere che due tipi di sviluppo, o una soluzione democratica, che
avrebbe portato quindi alla sparizione dell'impopolare governo
comunista, oppure un generico accordo di normalizzazione fra i due
governi e il mantenimento dello stato di fatto. All'interno della
questione tedesca si presen¬ava il problema drammatico di Berlino.
Le due parti della città avevano avuto uno sviluppo profondamente
diverso; la parte ovest si era ripresa in maniera brillante dalle
rovine della guerra, presentava tutti i caratteri della fiorente
città industriale tedesca, mentre la parte incorporata nel mondo
comunista si presentava arretrata e decisamente più povera. La ex
capitale costituiva comunque, nonostante le restrizioni della
polizia comunista, una facile via di fuga per quei cittadini
tedeschi che intendevano sottrarsi al regime comunista. Il numero
di fughe in Occidente era stato molto alto, dal 1949 al 1961 oltre
due milione e mezzo di cittadini, circa il 15% della popolazione,
avevano raggiunto la Germania Occidentale. Il fenomeno provocava
serie difficoltà al regime tedesco orientale, dal momento che erano
proprio i giovani e i cittadini con più elevate capacità
professionali ad abbandonare il paese.
Nel
novembre del 1958 Kruscev fece un annuncio che suscitò sgomento fra
i tedeschi e in tutto il mondo occidentale. Il capo del Cremlino
comunicò ai paesi firmatari degli accordi di Potsdam che la città
di Berlino sarebbe diventata una città libera, smilitariz-zata, e
svincolata dalla autorità dei due stati tedeschi, riguardo alle
comunicazioni, e questo costituiva il passaggio chiave, la nuova
amministrazione della città doveva prendere contatti con la
Repubblica Democratica Tedesca. Alla futura "città libera" di
Berlino veniva richiesto inoltre, di astenersi da attività che
potessero recare pregiudizio alla repubblica comunista; in pratica
attività, come quelle di una radio che svolgesse propaganda
ritenuta antisovietica, avrebbe dato diritto di intervento alle
autorità della DDR. I sovietici affermarono infine che se entro sei
mesi non si fosse giunti ad un accordo fra le quattro potenze,
Mosca avrebbe unilateralmente trasferito i suoi diritti sulla parte
orientale della città alle autorità di Pankow.
Il
gradimento dei cittadini di Berlino Ovest alla proposta presentata
da Mosca venne messo in luce dai risultati delle elezioni
amministrative tenute nei giorni successivi, dove il partito
comunista riportò l'1,9% dei voti contro il 2,7 % delle
consultazioni elettorali precedenti.
La
risposta dei paesi occidentali non poteva essere che un deciso
rifiuto, accompa-gnato comunque dall'invito a riprendere le
conversazioni sulla questione tedesca (che costituiva la sede più
idonea per discutere del destino di Berlino) e la sicurezza
europea. Lo stesso Kennedy, allora senatore, metteva in guardia
sulla situazione: "Io credo sia possibile giungere coi russi a un
modus vivendi, specialmente se essi si convincono che un attacco a
fondo contro le nostre posizioni a Berlino significherebbe la
guerra... Sin dal 1945 la Germania occidentale è stata un grande
obbiettivo della politica russa. Se i russi mettessero in pericolo
le nostre posizioni in quella zona, io ritengo che ciò sfocerebbe
nell'azione militare, perché sono convinto che noi ci batteremo" .
Il comandante della NATO si espresse per forzare un eventuale
blocco con l'invio di unità corazzate, ma vennero cercate altre
soluzioni. Il premier britannico Mac Millan a tale scopo nel
febbraio si recava a Mosca per ricercare una soluzione al
conflitto; l'incontro si concluse con la convocazione di un nuovo
incontro a quattro.
Nel
mesi successivi, anche in seguito all'incontro informale del
ministro russo Mikoyan, con esponenti del governo americano, Mosca
precisò la sua posizione; ammise implicitamente che non vi fossero
scadenze perentorie, si dichiarava disponibile a negoziati sulla
questione tedesca, anche se su una base scarsamente accettabile per
tedeschi e occidentali. Secondo il Cremlino la futura Germania
doveva rinunciare ad entrare in alleanze militari, rinunciare ad
armamenti pesanti, (proposta fin qui plausibile), ma doveva anche
accettare come definitivo i confine orientale sull'Oder-Neisse
(confine ritenuto espressamente inaccettabile da Bonn) mentre il
nuovo stato doveva sorgere da colloqui diretti fra i due governi, e
fintanto che l'unificazione non fosse stata raggiunta, Berlino
doveva considerarsi città libera (che significava sottoposta ad un
controllo di fatto da parte della DDR in materia di comunicazioni).
Per gli occidentali, poi giungere ad un trattato di pace non con il
nuovo governo tedesco, ma attraverso trattative con i due governi
separati, come richiesto dall'URSS, rappresentava un autentico
regresso rispetto alle posizioni precedenti. Il comportamento dei
sovietici agli occhi dell'opinione pubblica mondiale, in quella che
sarà chiamata la seconda crisi di Berlino, metteva in luce ciò che
essi intendevano per rispetto dei diritti dei popoli e democrazia,
disarmo e distensione internazionale.
Una
esposizione di prodotti americani a Mosca diede l'occasione di un
incontro informale fra l'allora vice presidente Nixon e il capo del
Cremlino. In quello che passò alla storia come "il dibattito della
cucina" (i due tennero un colloquio all'interno di uno stand di
arredamento per la casa) non si ebbero progressi e in quella
occasione Kruscev si lasciò andare ad una serie di atti poco
protocollari di collera per i quali rimase famoso.
A
maggio si aprì la nuova conferenza di Ginevra, dove gli occidentali
presentarono un complesso piano di pace che costituiva una sintesi
fra le posizioni occidentali e quelle sovietiche, e prevedeva
contatti bilaterali fra i due governi tedeschi, garanzie a favore
dell'Europa orientale in materia di sicurezza, limitazioni del
potenziale bellico tedesco, ma anche elezioni pantedesche che
costituivano il consueto punto (e di non piccola importanza) di
attrito fra i due blocchi.
I
sovietici presentarono delle proposte relativamente innovative:
riconoscimento dei due governi tedeschi, ritiro di tutte le truppe
straniere, divieto per la futura Germania riunificata di far parte
di alleanze militari, ma senza esporre elementi precisi su come
arrivare all'unificazione. Gli occidentali avevano ragione di
credere che Mosca intendesse attuare solo la prima fase,
riconoscimento dei due governi e non anche arrivare ad una
soluzione completa del problema. Il compromesso non fu quindi
raggiungibile, per i sovietici le elezioni significavano la totale
eliminazione dei comunisti dallo scenario tedesco, e richiedevano
un disarmo totale e non parziale della Germania; prolungatasi fino
all'estate, la conferenza si concluse con un aggiornamento sine
die. Comunque la riunione si chiuse con almeno una nota positiva,
l'offerta da parte di Eisenhower di un incontro a Washington con il
leader sovietico con la promessa di restituire la visita quanto
prima.
I
leader sovietici conoscevano poco le lingue, avevano viaggiato
pochissimo e i rapporti sull'Occidente erano spesso viziati dal
servilismo dei funzionari di grado inferiore, il viaggio di Kruscev
negli States nel settembre di quell'anno, il primo di un capo di
stato sovietico, costituì una grande novità, tuttavia diede
risultati modesti. Come nelle numerose occasioni diplomatiche che
si successero negli anni della guerra fredda, si parlò di relazioni
pacifiche, di spirito di collaborazione, che non ebbero alcun
risultato sul piano concreto se non un generico impegno a risolvere
le questioni internazionali senza ricorrere all'uso della forza.
Commentando il viaggio di Kruscev che aveva dato vita a numerosi
episodi curiosi, il senatore Kennedy sostenne che "Fino a quando
Kruscev sarà convinto che l'equilibrio delle forze pende dalla
parte sua, non si lascerà indurre al negoziato né dal sorriso né
dal cipiglio, né dai discorsi di Camp David né dalle
dissertazioni culinarie... Noi dobbiamo ricostruire la nostra
forza, e la forza del mondo libero; dimostrare ai sovietici che il
tempo e la storia non lavorano per loro, che l'equilibrio delle
forze non si sposta a loro vantaggio; e che quindi un accordo
pacifico è indispensabile per la sopravvivenza nostra e loro" .
Nonostante le numerose difficoltà nel dicembre venne firmato il
trattato sullo sfruttamento dell'Antartico e l'uso pacifico dello
spazio, che rappresentava un piccolo passo sulla strada della
distensione.
La
scarsa conoscenza di quanto avveniva nei paesi d'oltre cortina, e
delle potenziali-tà belliche dell'Unione Sovietica, anche dopo le
riforme del periodo successivo a Stalin costituì uno degli elementi
che impedirono progressi in materia di disarmo e relazioni
pacifiche. La necessità di controllo del territorio nemico, spinse
gli americani ad istituire un sistema di sorveglianza, che venne
affidato a veloci aeroplani, gli U2 in grado di volare ad una quota
di 24.00 metri, e pertanto difficilmente intercettabili dai
sovietici.
Il
1° maggio del 1960 i sovietici riuscirono ad abbattere uno degli
aerei-spia, a catturare il pilota e a recuperare il rottame
dell'aereo; presentarono l'accaduto alla stampa internazionale e
denunciarono gli Stati Uniti per la grave violazione commessa. Una
volta messi alle strette gli americani dovettero ammettere
l'episodio di spionaggio ed Eisenhower, nonostante pressioni in
senso contrario, si assunse la responsabilità della missione
giustificando l'episodio come un metodo per prevenire attacchi di
sorpresa da parte dei sovietici. Kruscev a nome dello stato
sovietico pretendeva scuse formali da parte degli americani e
l'impegno che avrebbero rinunciato nel futuro al compimento di
analoghe missioni; all'apertura del vertice dei quattro che si
tenne a Parigi il 16 maggio pose tale richiesta come condizione per
l'apertura dei lavori. Eisenhower promise soltanto che nel futuro
sarebbero state annullate le missioni spionistiche ma ovviamente
non ritenne di porgere le scuse e la conferenza si chiuse
immediatamente; comunque diversi fattori facevano ritenere che le
trattative sarebbero riprese nel giro di alcuni mesi.
Nei
mesi successivi il Cremlino mantenne alta la polemica contro gli
Stati Uniti “nemici della pace”, campagna ritenuta probabilmente
utile in vista delle imminenti elezioni presidenziali americane. Il
1° luglio dello stesso anno venne abbattuto un aereo americano (non
in missione spionistica) sul mar di Barents in acque internazionali
per gli americani. A settembre Kruscev in un intervento
all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in una seduta speciale
dove erano presenti numerosi capi di stato, denunciava il governo
degli Stati Uniti di banditismo, e chiese che l'ufficio di
segretario generale dell'ONU venisse sostituito da un organo
collegiale composto da rappresentanti dei gruppi di stati
occidentali, comunisti, e neutrali. Il leader sovietico poi si
lanciò in pesanti accuse al segretario dell'ONU, del quale non
riconosceva la legittimità; per il capo del Cremlino il norvegese
Hammarskioeld si era posto al servizio delle potenze coloniali in
Congo, e nel febbraio dell'anno successivo arrivò a denunciarlo
come complice dell'assassinio del leader africano Patrice Lumumba.
Il veemen-te leader sovietico esporrà poi le sue idee in fatto di
decolonizzazione, e disarmo completo di tutti gli stati, senza
comunque raccogliere adesioni da parte dei rappresentanti dei paesi
afroasiatici presenti. Nel giorno successivo, nella stessa sede si
verificherà il famoso episodio della scarpa sul tavolo, ben
rappresentativo della personalità del leader
sovietico.
Rispetto
al biennio '53-'55, gli anni più propriamente dominati dalla figura
di Kruscev, dal '58 al '64, non hanno segnato notevoli progressi
verso la distensione nonostante il moltiplicarsi degli incontri
internazionali. In Occidente comunque, i nuovi sviluppi della
guerra fredda e le possibilità offerte dalla coesistenza pacifica,
favorirono un grande dibattito politico culturale. Molti
sostenitori del pacifismo insistevano sulla necessità della ricerca
del compromesso e del superamento della guerra fredda. Costoro in
tal modo sacrificavano, almeno involontariamente, la causa della
democrazia a quella della pace, e non tenevano presente i rischi di
una politica eccessivamente moderata. In molti casi una ricerca
eccessiva del dialogo significa incoraggiare l'avversario a
pretendere di più (non mancherebbero gli esempi storici su questo
argomento) e una pace non fondata su principi di giustizia non ha
molto modo di reggersi.
L'Africa
subsahariana fino al 1960 in larga parte sottoposta alla
dominazione coloniale, per un lungo periodo di tempo rimase
estranea al contrasto Est-Ovest. Gli stati africani di nuova
formazione presentavano tutti i tipici mali dei paesi del Terzo
Mondo: frontiere inadeguate - artificiosa eredità del periodo
colonialistico - contrasti tribali, corruzione e personalizzazione
dei poteri della pubblica amministrazione, mancanza di una
coscienza nazionale, iniqua distribuzione del reddito interno.
Rapidamente i paesi africani affrancatisi dal regime coloniale
diedero vita a regimi totalitari - civili o militari - alcuni dei
quali dilaniati da scontri etnici, rivolte e colpi di
stato.
Fra
i paesi che avevano raggiunto l'indipendenza si diffuse in quegli
anni una concezione abbastanza particolare di socialismo, la
cosiddetta "via africana al socialismo", che per molti aspetti si
allontanava radicalmente dal socialismo "ufficiale" dei paesi
avanzati. Questa tendenza di pensiero riprendeva da numerose fonti
che andavano dalle dottrine dei socialisti europei dell'800 alle
tradizioni tribali in materia di eguaglianza, religiosità,
comuni-tarietà, privilegiando gli aspetti solidaristici su quelli
espressamente di lotta di classe. Nella realtà tuttavia, i regimi
socialisti tendevano alla creazione di una oligarchia di poteri, ad
un arbitrario dirigismo economico, al culto della
personalità.
L'Africa
occidentale, ed in particolare i piccoli ma densamente popolati
paesi del golfo di Guinea, vennero comunque prima degli altri a
trovarsi investiti dai grandi contrasti internazionali. Il Ghana,
ex colonia inglese con il nome di Costa d'Oro, divenne indipendente
nel 1957 sotto la guida di Nkrumah, che diede vita ad una spietata
dittatura di tendenze socialiste filo cinesi e forte impulso ai
movimenti indipendentistici e antieuropei del continente africano.
Nkrumah, che venne insignito del titolo di Osagyefo (redentore) nel
1965 ruppe le relazioni diplomatiche con il Regno Unito, ma
successivamen¬te venne rovesciato da un colpo di stato militare e
il paese si avviò a migliori rapporti con l'Occidente.
La
Guinea, ex colonia francese, divenne una repubblica indipendente
nel 1958 sotto la guida di Sekou Tourè: strinse intense relazioni
commerciali con l'Unione Sovietica e successivamente con la Cina.
Negli anni successivi appoggiò apertamente i movimenti
indipendentistici nella vicina Guinea Portoghese e giunse ad uno
stato di tensione con i paesi vicini e con la Francia, con la quale
nel 1965 ruppe le relazioni diplomatiche. In seguito alle numerose
repressioni, 2 milioni di cittadini (su un paese con meno di 5
milioni di abitanti) si rifugiarono nel vicino Costa d'Avorio, e
poterono rientrare nel paese solo nel 1975, quando si ebbe una
svolta moderata, e si arrivò alla normalizzazione dei rapporti con
la Francia.
Il
Senegal, ex colonia francese, raggiunse l'indipendenza nel 1958
sotto la guida del poeta e africanista Senghor, uno dei massimi
leader del continente. Per un certo periodo lo stato africano si
presentò come modello di paese socialista non totalitario e capace
di tenere rapporti pacifici con gli altri paesi del continente e
con le precedenti potenze coloniali. Una effimera federazione venne
creata nell'aprile del '59 con il mussulmano Mali, che si era
avviato ad un regime totalitario socialista legato ad Unione
Sovietica e alla Cina rovesciato comunque nel 1968.
La
Cina, che diede ampio appoggio ai giovani paesi africani, e per un
certo periodo di tempo sembrò avere creato nel continente una sua
zona d'influenza superiore a quella dell'Unione Sovietica, diede
sostegno a numerosi movimenti guerriglieri, dalle forze ribelli del
Camerun, ai nazionalisti angolani alle milizie di Lumumba in Congo.
Nel '63-'64 il ministro Ciu En Lai svolse una lunga missione nel
continente africano, nel corso della quale vennero conclusi una
serie di accordi di collaborazione con numerosi governi, ma negli
anni successivi la Cina non poté fare fronte agli impegni, e tali
accordi vennero abbastanza rapidamente accantonati dalle nazioni
africane.
La
crisi del Congo negli anni Sessanta costituì una di quelle crisi
africane dove questioni tribali, economiche e politiche, si
sovrapposero in maniera tale da impedire la formazione di
schieramenti ben definiti. Il paese africano, dal quale i belgi si
erano allontanati senza un adeguato periodo di transizione, visto
il crescere dei disordini, si presentava come uno dei più arretrati
paesi del continente, privo di una classe dirigente degna di tale
nome; tuttavia il paese costituiva una grande riserva di diamanti e
altri minerali preziosi che non poteva non suscitare gli appetiti
di numerose potenze.
Il
30 giugno del 1960 venne proclamata l'indipendenza del Congo con
capo dello stato Joseph Kasavubu, leader dei Bakongo, etnia della
regione della capitale, e capo del governo Patrice Lumumba, leader
del Movimento Nazionale Congolese. L'autorità dello stato dello
stato non andava molto oltre la capitale Leopoldville, e nei giorni
successivi si ebbe una grave crisi che provocò il collasso della
giovane repubblica. Nella ricca regione del Katanga, sotto la guida
di Ciombè e l'appoggio della società belga che gestiva le grandi
miniere, l'Union Minière, venne proclamata la secessione, mentre le
forze armate del governo centrale si disgregavano e si diffondeva
la violenza nel paese. Furono proprio i numerosi casi di violenza
contro i cittadini di razza bianca, (oltre 13.000 lasciarono il
paese nelle prime due settimane), a spingere il Belgio ad inviare
paracadutisti in quei territori, che si limitarono comunque a
tutelare l'incolumità degli europei senza interferire nella vita
politica del paese. Non molto tempo dopo, anche la provincia del
Kasai nel sud del paese proclamò l'indipen-denza, e di fronte alla
disgregazione dello stato Lumumba richiese l'intervento di truppe
dell'ONU e l'allontanamento dell'esercito belga dal
paese.
L'intervento
dei caschi blu dell'ONU, diretto a riportare la calma nel paese e
non anche a reprimere le spinte secessionistiche, non venne
giudicato soddisfacente dal leader africano, il quale lanciò un
appello per richiedere il sostegno dell'Unione Sovietica, che
infatti non tarderà a mancare. Il 20 agosto il Cremlino chiese che
si ponesse termine allo smem-bramento dello stato africano,
annunciando che diversamente sarebbero state prese opportune
contromisure, e il 2 settembre iniziarono ad arrivare i primi
"tecnici" incaricati di prestare assistenza all'esercito di
Lumumba, che controllava ormai solo il nord del paese.
Kasavubu,
che fino ad allora aveva tenuto una posizione incerta,
successivamente all'intervento sovietico destituì Lumumba che nelle
settimane successive venne arrestato, ma la situazione a
Leopoldville rimaneva incerta. Il capo delle forze armate Mobutu,
già collaboratore del deposto capo di governo, il 14 settembre
assunse il potere nella capitale, mentre Kasavubu chiese ed ottenne
il ritiro delle delegazioni diplomatiche sovietiche e cecoslovacche
per l'intervento operato nel paese. Il nuovo governo ottenne il
riconoscimento da parte dell'ONU, ma nell'est del paese la regione
di Stanleyville e il Kivu rimanevano sotto il controllo di Gizenga,
uomo di fiducia di Lumumba, e di Kashamura su posizioni vicine,
mentre il sud era controllato da Ciombè ed altri esponenti
locali.
L'intervento
dell'ONU venne criticato da numerosi governi; Jugoslavia, Ceylon,
Egitto, Marocco, e Guinea ritirarono i propri contingenti, Kruscev
accusò Hammarskioeld di complicità nell'assassinio di Lumumba,
avvenuto nel Katanga, alle cui autorità era stato consegnato in
precedenza, e venne chiesto che venissero ritirati i caschi blu da
tutto il paese africano.
Dopo
alcuni tentativi di riconciliazione fra le parti, con il
conferimento della carica di capo del governo al sindacalista
socialista Adoula, nel settembre del 1961 si riaccesero i
contrasti. Il segretario delle Nazioni Unite, con l'appoggio degli
Stati Uniti e il parere contrario di Francia, Belgio e Gran
Bretagna, diede ordine di intervenire nel Katanga, sebbene questo
presidiato da milizie locali e da mercenari bianchi, fosse in grado
di opporre una notevole resistenza. Nello stesso mese si ebbe un
nuovo motivo di apprensione, Hammarskioeld trovava la morte in
Africa vittima di un incidente misterioso, che contribuì
all'aggravamento della situazione. Nel paese tornava a dilagare la
violenza e numerosi furono i casi di gravi efferatezze, fra i quali
il massacro di 13 aviatori italiani a Kindu nell'autunno del '61 da
parte di bande "lumumbiste". I ribelli della regione orientale del
paese non ebbero successo e nel gennaio '62 venne catturato lo
stesso Gizenga. Nel dicembre del 1962 Ciombè fu costretto a cedere
e ad abbandonare il continente africano; il paese sembrò avviato ad
un periodo di relativa stabilità ma l'equilibrio rimaneva
precario.
Una
nuova vasta rivolta fra il 1963 e il 1964 nelle regioni orientali
già controllate da Gizenga e nel Kwilu, non lontano da
Leopoldville, con il sostegno del governo cinese e di quello di
Brazzaville, minacciava il governo centrale e arrivò a controllare
una parte del Katanga. Il presidente Kasavubu si trovò costretto di
fronte al pericolo di richiamare il suo vecchio avversario Ciombè e
a nominarlo primo ministro, il quale con l'intervento dei suoi
mercenari poté frenare l'avanzata dei ribelli. Ma l'ostilità di una
larga parte dei governi africani verso quello che veniva
considerato l'esponente politico al servizio del capitalismo
europeo, spinse il presidente della repubblica a disfarsi del nuovo
alleato. Ciombè venne definitiva-mente allontanato dal potere e nel
novembre del 1965 il generale Mobutu con un nuovo colpo di stato
depose lo stesso Kasavubu e assunse i pieni poteri.
Negli
anni successivi rivolte locali e azioni di mercenari provenienti
dalla vicina Angola continuarono, ma il potere era ormai
consolidato nelle mani del generale. Venne dato avvio ad un
programma di nazionalizzazioni, fra le quali quella della potente
Union Minière, e di “africanizzazione” del paese, ma venne
successivamente trovato comunque un accordo con i governi
occidentali per lo sfruttamento delle grandi risorse
minerarie.
Il
governo sull'altra sponda del grande fiume Congo anche destò
problemi ai governi occidentali, nel 1958 la colonia francese
proclamò l'indipendenza sotto un governo modera-to, ma nel 1963 un
gruppo di ufficiali dell'esercito diede vita ad un regime
monopartitico socialista, fortemente legato alla Cina; per diversi
anni vi fu tensione con il governo di Leopoldville finché nel 1968
il regime comunista venne rovesciato da un nuovo colpo di stato
militare.
IL CONFLITTO CINO - SOVIETICO
Il
comunismo cinese ha dato vita ad un regime diverso da quello
sovietico, comunque non meno lontano dagli ideali democratici: la
difesa dello stalinismo anche negli successivi alla
destalinizzazione, i campi di rieducazione, la politica di
ingerenza nei paesi vicini, non potevano che essere in contrasto
con il sistema di valori dell'Occidente, anche se per un certo
periodo di tempo il fenomeno cinese suscitò l'interesse di diversi
intellettuali in Europa e in America. Rispetto al tradizionale
comunismo sovietico il maoismo accentuava il suo intransigente
fideismo e si caratterizzava per una maggiore invadenza nel campo
della sfera privata dell'individuo.
Il
comunismo cinese ha assunto i caratteri di un manicheismo
intransigente. Le comuni e le altre istituzioni sociali erano più
un luogo di indottrinamento che di dibattito politico, se a ciò si
aggiunge il disprezzo per il diritto, i processi di piazza, la
persecuzione del mondo della cultura, l'asservimento delle vaste
categorie dei contadini attraverso il sistema fiscale e la
collettivizzazione, ed infine l'istituzione dei campi di lavoro
forzato si ha un quadro poco felice, in contrasto con l'immagine
che il regime intendeva accreditare in Occidente.
La
repubblica di Mao, come i regimi comunisti precedenti, si
caratterizzava per la realizzazione di un regime fortemente
antidemocratico, di un ordinamento giuridico che non offriva alcuna
garanzia per l'individuo, che anche dopo l'eliminazione dei nemici
di classe attraverso la riforma agraria non cessò il suo carattere
brutale. Il potere al popolo in Cina, al di fuori di ogni prassi
giuridica, ha significato l'intervento di una massa analfabeta
incapace di esprimere una volontà autonoma diretta contro quei
corpi intermedi dello stato che non simpatizzavano per la politica
di Mao. Secondo la maggioranza degli storici si ebbero nel periodo
compreso fra la costituzione della repubblica e il 1951, oltre tre
milioni di morti, in prevalenza proprietari terrieri eliminati al
termine di processi sommari , e 830.000 furono comunque le vittime
ammesse dalle fonti ufficiali del regime e per esplicita ammissione
di Ciu En Lai.
I
primi anni della Repubblica Popolare Cinese si caratterizzarono per
un consolidamento graduale del regime; molte delle autorità locali,
a causa anche della grave carenza di quadri qualificati all'interno
del PCC, erano tenute da non comunisti, attività economiche come
l'industria e il commercio gestite da privati vennero tollerate e
continuarono indisturbate la loro esistenza. Venne combattuta
l'inflazione, ma anche attraverso severe misure coercitive, la
prostituzione e la criminalità. La giovane repubblica cinese per
potersi risollevare dalle grandi distruzioni del periodo
dell'occupazione giapponese e della successiva guerra civile, e
avviare verso un rapido sviluppo, necessitava di aiuti dall'esterno
che vennero ricercati nella grande vicina sovietica. Il trattato di
alleanza sottoscritto con l'URSS nel 1950 aveva costituito una
forma d'ingerenza di questa attraverso la creazione di società
miste cino-sovietiche, mentre i crediti concessi per un paese di
800 milioni di abitanti risultavano insufficienti, ma la situazione
internazionale non consentiva alternative.
Nel
1950 la Cina Popolare intervenne nella guerra di Corea nel momento
in cui l'avanzata delle truppe americane oltre il 38° parallelo e
la conquista di larga parte del territorio della Corea del nord,
sembrava aver posto termine alla disputa nella penisola. La Cina
venne accusata per questa azione dall'Assemblea Generale dell'ONU
di aggressione di un paese sovrano, comunque aveva salvato la
situazione per conto dell'Unione Sovietica, e aveva dimostrato le
sue grandi potenzialità nella scena internazionale. Nello stesso
periodo procedette all'occupazione del Tibet senza incontrare
eccessiva resistenza data l'arretratezza del regno buddista, e
degli altri territori del centro Asia già soggetti agli imperatori
cinesi.
Negli
anni '52-'53 avvenne la prima svolta nel paese; la grande riforma
agraria del 1950 aveva prodotto una eccessiva frammentazione dei
terreni coltivabili e non aveva consentito la introduzione di nuove
tecnologie e l'industrializzazione dell'agricoltura. Venne pertanto
avviata la creazione di un sistema di cooperative sempre più ampie,
volontarie ma anche obbligatorie, sottoposte comunque a
requisizioni forzate e ad un prelievo fiscale estremamente elevato.
La innovazione economica provocò l'impoverimento degli agricoltori
e suscitò una vivace reazione nelle campagne. Allo stesso tempo
venne iniziata la statalizza-zione dell'industria, a quei tempi
pochissimo sviluppata, e dato l'avvio al primo piano quinquennale,
che prevedeva incrementi di produzione agricola e industriale
assolutamente irrealistici, che seguendo l'esempio sovietico, era
finalizzato a privilegiare lo sviluppo dell'industria
pesante.
Nel
1951-1952 si ebbero le campagne cosiddette dei "tre anti" e dei
"cinque anti" contro la corruzione, lo spreco, lo spirito
burocratico, diretta soprattutto verso i quadri intermedi del
partito poco graditi; si concluse con una nuova ondata di
repressioni ed efferatezze che provocò la morte di circa mezzo
milione di persone.
La
successiva "campagna dei cento fiori" lanciata nel 1956 non si
accompagnò ad una reale liberalizzazione della società e si
concluse nel maggio dell'anno successivo, non appena gli
intellettuali iniziarono a criticare il regime comunista e a
denunciare le vessazioni alle quali erano soggetti con un nuovo
giro di vite nei confronti di insegnanti e studenti ("campagna
contro i deviazionisti"), che nel migliore dei casi vennero
allontanati e inviati ai lavori agricoli nelle regioni più povere
del paese.
Il
1958 segnò un anno di svolta per lo stato maoista; venne lanciata
l'iniziativa delle "Comuni popolari" che avrebbero dovuto
consentire al paese "il grande balzo in avanti" sulla strada del
progresso. Le nuove realtà economiche, comprendenti aggregazioni di
alcune decine di migliaia di individui, dovevano garantire
un'attività in ogni settore da quello della produzione agricola e
industriale, ai servizi igienici, alla cultura, all'organizzazione
militare. Ogni residuo di proprietà privata e di iniziativa
economica autonoma (come i piccoli appezzamenti di terra lasciati
ai contadini nel sistema sovietico dei kolchoz) venne rigorosamente
eliminato; la nuova organizzazione si dava una struttura capillare,
non tralasciando ogni aspetto anche della vita privata. Dal punto
di vista economico costituirono un sistema economico estremamente
rozzo, che non prendeva in considerazione le obbiettive risorse
fisiche e umane, le aspirazioni dei singoli, le esigenze del
mercato e della società. Per la creazione di tali strutture i
contadini vennero sradicati dai propri villaggi e dalle famiglie
per essere raggruppati in grandi unità collettive dove ogni forma
di organizzazione sociale precedente era stravolta. La vita dei
componenti della Comune era rigidamente inquadrata e scandita da
un'organizzazione paramilitare del lavoro, con grandi dormitori e
refettori comuni, indottrinamento forzato durante le pause del
lavoro, asili obbligatori per eliminare ogni forma di influenza
familiare fra le nuove generazioni. Il progetto si estese
prontamente in tutta la nazione, ma il fallimento dello stesso fu
altrettanto rapido, e successivamente le comuni vennero eliminate
per evitare il collasso economico del paese.
Al
tempo stesso vennero lanciate fantasiose quanto improduttive
iniziative nel campo economico: gli altiforni per la produzione di
ghisa e acciaio a livello familiare o di villaggio senza personale
competente, e la lotta al passero distruttore di raccolti, che
produssero un grave danno ambientale e alla produzione agricola.
Nei primi anni della rivoluzione vennero realizzate importanti
opere idrauliche, ricorrendo anche al lavoro obbligatorio, per
difendere le grandi pianure dalla minaccia dello straripamento dei
fiumi, ma alcune di queste realizzazioni portate a termine con
tecniche decisamente rudimentali, non ebbero successo. Il piano
nazionale di sviluppo dell'acciaio che si poneva traguardi
estremamente ambiziosi si risolse in un grande fallimento;
sottraendo manodopera al lavoro dei campi si ebbe negli anni
1959-60 una carestia che provocò la morte di 15-30 milioni di
persone.
In
Cina come negli anni dello stalinismo in Russia si ebbe un grande
ricorso al lavoro coatto; una legge del 1957 assimilava agli
"oziosi" chiunque non disponesse dei mezzi di sussistenza, ovvero
tutti coloro che "non si conformano alle disposizioni prese per il
loro lavoro, e per la destinazione ad un altro compito... oppure
che non migliorano a dispetto degli sforzi ripetuti che vengono
fatti per rieducarli" tali individui andavano assoggettati ad "un
regime a pieno tempo di formazione attraverso il lavoro". Anche la
Cina ebbe la sua "Berlino"; per molti anni nei periodi peggiori
della dittatura, molti cinesi, intellettuali soprattutto, hanno
trovato la via di fuga verso l'Occidente superando la cortina di
ferro sul continente che fronteggiava l'isola britannica di Hong
Kong.
In seguito alla situazione politica precaria venutasi a creare con
il grave insuccesso economico, nell'anno successivo alla creazione
delle comuni Mao Tse Tung fu costretto a lasciare la carica di
presi¬dente della repubblica, (conservando quella di segretario del
partito) e abbandonare anche la stessa capitale; per un certo
periodo sembrò che il regime fosse interessato ad uno sviluppo
economico del paese più equilibrato, ma negli anni successivi il
maoismo intransigente riprese piede.
Il
distacco della Cina, come quello della Jugoslavia, della Romania e
dell'Albania, dimostrarono che l'impero sovietico, minato da
numerose forze centrifughe, non poteva reggersi che sulla forza, e
dove non fossero presenti armate sovietiche gli stati "associati"
tendevano ad uscire dal blocco comunista, quando non mettevano
addirittura in discussione la stessa dottrina al
potere.
L'Unione
Sovietica, con la sua presenza in Europa e il suo arsenale atomico,
aveva argomenti con cui trattare a livello paritario con i paesi
occidentali, mentre la Cina Popolare, che non disponeva nemmeno di
una rappresentanza all'ONU, non era in grado di condiziona-re nella
stessa misura la politica mondiale e pertanto riteneva poco utile
la strategia fondata sulla coesistenza pacifica. Lin Piao riteneva
che secondo le teorie dei sovietici "...chi non ha le armi nucleari
è destinato ad essere malmenato, umiliato e annientato, che deve
capitolare dinanzi alle armi nucleari del nemico, oppure porsi
sotto la protezione di una potenza nucleare e obbedirle" e
pertanto concludeva sulla necessità per la Cina di porsi alla testa
di un movimento di paesi poveri contro le grandi
potenze.
Mao
Tse Tung, che aveva fatto del culto della personalità, anche se
legato a costumi di vita semplici, uno dei pilastri del regime, non
poteva accettare le conclusioni del XX° Congresso del PC sovietico,
e d'altra parte vedeva nella coesistenza pacifica il pericolo di un
riavvicinamento fra Unione Sovietica e Stati Uniti che certamente
non favoriva il proprio paese. Contro Kruscev, e a favore di un
autonomia dei comunisti dell'Asia, i maoisti non disdegnarono di
rivalutare la figura di Stalin, e il principio della subordinazione
della periferia al centro. I principi maoisti riguardo alla lotta
fra le nazioni deboli e oppresse contro l'imperia-lismo, non gli
impedirono comunque di esprimersi a favore dell'invasione
dell'Ungheria.
La
controversia cino-sovietica si estese dal campo politico a quello
culturale, i dirigenti cinesi contestavano la purezza leninista o
marxista leninista dei compagni russi, e la disputa suscitò un
ampio dibattito culturale anche in Occidente fra ruolo del partito
e delle masse, fra cultura europea e quella emergente afroasiatica,
sul rapporto città e campagna, spesso confondendo l'uso delle masse
analfabete contro esponenti politici emergenti, con forme di
democrazia diretta dove tutto doveva essere messo in
discussione.
Nell'ottobre
del 1954 Kruscev si incontrò a Pechino con i dirigenti cinesi
sottoscrivendo un nuovo accordo con il quale venivano soppresse le
società miste cino-sovietiche imposte da Mosca nel 1950, e dato il
via alla concessione di crediti superiori a quelli ottenuti negli
anni precedenti. Venne inoltre stabilita la liquidazione delle basi
sovietiche a Dairen e Port Arthur, che costituivano una forma di
controllo sull'accesso marittimo di Pechino, e l'impegno a favore
dell'eliminazione delle isole costiere controllate dai cino
nazionalisti (che infatti vennero investite successivamente
dall'attacco comunista). Il nuovo trattato, decisamente migliore
per i cinesi rispetto a quello firmato a Mosca subito dopo la
costituzione della Repubblica Popolare Cinese, non impedì tuttavia
che nel giro di pochi anni sorgesse un grave contrasto fra le due
potenze comuniste.
La
Conferenza di Mosca del 1957, dopo i gravi fatti dell'anno
precedente che avevano fortemente scosso la saldezza del blocco
sovietico, mise in luce dissensi profondi nel mondo comunista. Il
rappresentante jugoslavo non prese parte a tutti i lavori e non
firmò il documento dei dodici. Togliatti a nome del partito
comunista italiano si espresse a favore del "policentrismo"
all'interno del movimento comunista e di una maggiore autonomia dei
PC locali, subendo le critiche del rappresentante francese e
soprattutto dei cinesi che difendevano il principio dirigista. Mao
nella sua relazione espresse radicalmente il suo punto di vista
sullo scontro con l'imperialismo e la coesistenza pacifica; non si
doveva temere la "tigre di carta", secondo l'esponente cinese "in
caso di guerra atomica... sarebbe stata annientata la metà della
popolazione del globo, ma l'altra metà sarebbe sopravvissuta. In
tal caso l'imperialismo sarebbe stato liquidato ed il mondo sarebbe
diventato socialista" . Il documento conclusivo della conferenza
non poté che registrare le numerose opinioni espresse, e risultò
estremamente generico e contraddittorio.
Nel
1959 l'Unione Sovietica denunciò l'accordo segreto sottoscritto due
anni prima sulla cessione delle armi atomiche alla Cina, iniziativa
che costituì la causa fondamentale del contrasto fra le due potenze
comuniste. L'incontro a Pechino di Kruscev con i dirigenti cinesi
al ritorno dal viaggio negli Stati Uniti, non contribuì alla
pacificazione dei rapporti fra Unione Sovietica e Cina, in
quell'occasione anzi, il leader russo diffidò i cinesi da mettere
in atto provocazioni contro l'Occidente.
Nell'aprile
del 1960 la stampa cinese espresse con chiarezza la sua sfiducia in
una vittoria del socialismo attraverso sistemi pacifici confidando
sulla forza delle idee, suscitando la reazione dei sovietici. Alla
Conferenza di Bucarest nel giugno, Kruscev attaccò senza esitazioni
le posizioni dei comunisti cinesi, attribuendo la responsabilità
della rottura espressamente a Mao. Ad essa seguì il ritiro dei
tecnici sovietici, e la fine di numerosi accordi commerciali che
produssero serie difficoltà all'economia cinese.
Nel
novembre dello stesso anno venne indetta una nuova conferenza dei
partiti comunisti a Mosca (81 delegazioni in totale) alla quale non
partecipò il rappresentante jugoslavo. Venne salvata l'unità di
facciata, ma i contrasti non vennero meno; fu in quell'oc-casione
che vennero codificati i termini politici della polemica nel mondo
comunista, "revisionisti" i sostenitori del pragmatismo
kruscioviano e "dogmatici" i cinesi favorevoli ad una sorta di
rivoluzione permanente contro l'imperialismo capitalista; quando le
polemiche superavano certi limiti, quasi per tacito accordo, i
sovietici lanciavano accuse agli albanesi e i cinesi agli
jugoslavi. Nonostante lo stato di tensione, che degenerò in scontri
di confine negli anni successivi, non vi fu mai una condanna
esplicita dei comunisti cinesi come era avvenuto nei confronti
degli jugoslavi nel 1948.
Nel
1952 due anni dopo l'invasione del Tibet, iniziò una campagna di
cinesizzazione forzata e di distruzione sistematica dei monasteri
lamaistici, che per il teocratico regno rappresentavano il fulcro
della nazione. Nel '59 iniziò la rivolta su vasta scala contro
l'occupazione cinese che venne repressa con durezza dopo alcune
settimane di combatti-menti con il ricorso dell'esercito e
dell'aviazione. Come già nel 1950 il Tibet non poté fare altro che
appellarsi all'ONU. Una commissione internazionale di giuristi nel
giugno accusò il governo di Pechino di genocidio culturale per le
efferatezze commesse, senza che tuttavia la condanna avesse un
seguito.
Il
governo indiano sosteneva con molta moderazione la causa tibetana
(negli anni precedenti aveva riconosciuto che il Tibet fosse
territorio esclusivo della Repubblica cinese, nonostante che avesse
ereditato dalla Gran Bretagna alcune prerogative amministrative),
tuttavia ciò non impedì verso la fine degli anni Cinquanta l'inizio
di scontri di pattuglie cinesi e indiane lungo tutto il confine
comune himalayano. Il governo cinese non riconosceva il confine Mac
Mahon, tracciato nel 1914 seguendo i crinali himalayani, e
rivendicava le valli meridionali dell'Himalaya nella zona del
Kashmir e dell'Assam. La richiesta non aveva alcuna giustificazione
(se non forse per una piccola zona dove passava una strada che
collegava il capoluogo del Tibet con il Sinkiang) dal momento che
si tratta di territori tibetani (sui quali gli invasori cinesi non
avevano alcun diritto) e il confine proposto da Pechino nella parte
est, molto al di sotto dello spartiacque montano, non aveva alcuna
logica.
I rapporti fra Nuova Delhi e Pechino si erano già deteriorati nel
1957 con l'insediamento di un go¬verno comunista nella regione del
Kerala nella parte meridionale dell'India, quando nel 1962 la Cina
diede luogo ad un massiccio attacco nella zona himalayana,
insufficiente¬mente presidiata dall'esercito indiano, che in poche
settimane fu costretto a ritirarsi. L'attacco cinese, che
precedette di due giorni la messa in quarantena di Cuba da parte
degli Stati Uniti, nel settore est raggiunse la pianura da dove le
truppe cinesi avrebbero potuto con facilità dilagare per tutto il
paese, ma evitarono di proseguire l'avanzata. Il governo cinese
decise il ritiro dal territorio indiano (ad eccezione comunque
della regione dell'Aksai Chin), in seguito all'invio di truppe
aviotrasportate americane in appoggio all'esercito dell'India, ma
anche per la protesta da parte dell'Unione Sovietica, intenzionata
a mantenere buoni rapporti con l'India. D'altra parte la Cina non
poteva reggere uno scontro prolungato con l'India, una nuova
rivolta nel Tibet, avrebbe infatti potuto interrompere le vie di
rifornimento dell'invasore. La breve crisi fece comunque 6.000
morti. Nella primavera dello stesso anno si ebbe la rivolta nel
Sinkiang delle popolazioni di origine turca che in massa
abbandonarono il paese e superarono il confine con
l'URSS.
Anche
la stagione di buoni rapporti con i paesi afroasiatici, iniziata
con la Conferenza di Bandung nel 1955, non fu di lunga durata, e
diversi stati vicini divennero oggetto dell'espansionismo cinese;
nel '56 le truppe maoiste penetrarono nelle zone di confine della
Birmania, e nel corso degli anni successivi Pechino sostenne la
guerriglia nel nord del paese contro il governo di Rangoon. Nel
1967 la tensione fra Birmania e Cina portò vicino ad una situazione
di scontro aperto fra i due stati. I principi maoisti della
solidarietà dei paesi del sud del mondo contro l'imperialismo,
vennero in tal modo ridimensionati.
Nel
giugno del 1963 i comunisti cinesi risposero all'invito di colloqui
da parte sovietica con accuse ed espressioni di particolare
gravità, contemporaneamente venne lanciato un programma di
strategia politica, conosciuto come "i 25 punti", in cui si
affermava che i partiti comunisti dovevano non limitarsi ad una
azione politica nella legalità, e che non si dovevano porre limiti
all'uso della forza nelle controversie internazionali, si affermava
inoltre, che per i cinesi "Sollevare il problema di combattere il
culto della personalità equivale in realtà a contrapporre i
dirigenti alle masse, ad insidiare la direzione unitaria del
partito, basata sull'accentra¬mento democratico, annullarne la
forza combattiva e disintegrarne i ranghi"; la polemica si concluse
con l'espulsione di due cittadini e tre diplomatici cinesi. Di lì a
poche settimane venne concluso il trattato sulla cessazione degli
esperimenti nucleari di superficie che per la Cina che si
apprestava a fare il suo ingresso nel club nucleare costituiva un
serio ostacolo. Nell'anno successivo la stampa cinse confermò le
accuse ai dirigenti sovietici; secondo il Quotidiano del Popolo
l'Unione Sovietica era ormai "in collusione con l'imperialismo
statunitense, con i reazionari di vari paesi, con la cricca del
rinnegato Tito e con l'ala destra dei socialdemocratici in una
partnership contro i paesi socialisti fratelli" .
KENNEDY
E LA CONCLUSIONE DEL PERIODO CRUCIALE
DELLA
GUERRA FREDDA
Per
anni il generale Eisenhower aveva rappresentato il buon servitore
dello stato, pragmatico e di semplici costumi, l'America sentiva
ora il bisogno di un uomo che desse un nuovo indirizzo nei valori
dello stato, e quest'uomo venne visto nella persona di Kennedy. Il
rilancio di principi, come la solidarietà, la giustizia, la pari
dignità fra i popoli, fu il programma del nuovo presidente, che
comunque non implicava, come infatti dimostrò, un minore impegno
nella guerra fredda.
L'8
novembre 1960 John Kennedy, candidato del partito democratico
vinceva le elezioni presidenziali con un esiguo margine di voti
rispetto al candidato repubblicano Richard Nixon. Kennedy
rappresentava una novità per l'America per essere il più giovane
dei presidenti nella storia degli Stati Uniti e per essere il primo
presidente di fede cattolica, religione per un certo periodo di
tempo non particolarmente apprezzata nel paese. Proveniva da una
delle famiglie più ricche degli States (famiglia che fu anche negli
anni successivi molto chiacchierata) nella quale il padre Joseph
aveva ricoperto alti incarichi nelle precedenti amministrazioni.
Come ogni buon americano non era mai stato un privilegiato e
partecipò all'ultima guerra come ufficiale di marina dove si
distinse nel corso di combattimenti.
La
sua non lunga presidenza si caratterizzò per diverse innovazioni
nel campo economico e sociale, e per un rinnovamento dei valori che
erano alla base dello stato americano. Il suo programma politico,
che passò alla storia come "la nuova frontiera", si fondava sulla
lotta a quelli che erano considerati come i mali della società in
quegli anni: la miseria, l'ignoranza, i pregiudizi razziali, e a
favore "di quei diritti umani che questa nazione ha sempre
sostenuto e che noi ci impegnamo a sostenere in patria e in tutto
il mondo" . Nel suo discorso d'insediamento alla Casa Bianca
espresse con chiarezza gli obbiettivi della nuova amministrazione:
"Lasciate che ogni nazione sappia, che si auguri la buona o la
cattiva sorte, che siamo pronti a pagare qualsiasi prezzo, portare
qualsiasi fardello, affrontare ogni difficoltà, appoggiare
qualsiasi amico, opporre resistenza agli avversari per assicurare
la sopravvivenza e il trionfo della libertà" . Particolare cura
venne attribuita al sostegno dei paesi emergenti, alla diffusione
del benessere e la democrazia, fondamento per una pace giusta e
stabile nel mondo. La presenza di affermati intellettuali e valenti
giovani professionisti nel gabinetto presidenziale venne
considerata una conferma del nuovo modo di procedere
dell'amministrazione ameri¬cana. L'impegno per i diritti civili e
contro la segregazione, fortemente sentito in quegli anni e
sostenuto dall'amministrazione, trovò attuazione in un notevole
impegno legislativo, e venne suggellato da una colossale
manifestazione che si tenne a Washington tre mesi prima della morte
del presidente con circa 200.000 partecipanti.
Nel
campo della politica estera i rapporti fra Stati Uniti e America
Latina, che nel passato avevano trovato fondamento nel Good
Neighboor Policy (politica di buon vicinato), e nell'Organizzazione
degli Stati Americani del 1948, vennero rivisti a favore dei paesi
latino americani. Nel periodo di Eisenhower vennero approvate due
dichiarazioni significative delle tendenze politiche di quegli
anni, la "Dichiarazione per la conservazione dell'integrità
politica degli stati americani" e la "Dichiarazione sui diritti
dell'uomo e sul rafforzamento dei regimi democratici del
continente", finalizzate soprattutto a contrastare la penetrazione
del comunismo nel continente. La nuova politica di aiuto ai paesi
in via di sviluppo formulata da Kennedy trovò una concreta
attuazione nella cosiddetta "Alleanza per il Progresso" programma
di aiuti per 20 miliardi di dollari (superiore quindi al Piano
Marshall) col quale si riteneva di migliorare le condizioni
economiche e sociali dell'America Latina; il piano prevedeva anche
l'attuazione di alcune importanti riforme interne, come una
politica fiscale più severa verso i ceti abbienti, ed una riforma
agraria che realizzasse una maggiore giustizia sociale ed un
incremento della produzione agricola, sottoscritto da tutti i paesi
aderenti all'Organizzazione degli Stati Americani, con l'eccezione
di Cuba. Una strategia analoga si riteneva dovesse essere estesa
anche agli altri paesi poveri del mondo. Kennedy si rese conto che
per vincere la difficile battaglia con il comunismo occorreva
stabilire delle buone relazioni con i paesi emergenti, e che gli
Stati Uniti "e non la Russia o la Cina sono in grado di aiutare gli
altri paesi a darsi stabilità e sviluppo" , a tal fine prima ancora
della sua elezione a presidente, nel '59 propose la costituzione di
un Fondo prestiti per le Aree Sottosviluppate.
Innovazioni
significative si ebbero anche nei rapporti con gli altri stati
industrializzati, attraverso soprattutto una riforma del commercio
internazionale. Gli Stati Uniti promossero una riduzione
generalizzata delle tariffe doganali fra gli stati, che fino ad
allora erano regolate da accordi sostanzialmente bilaterali,
iniziativa che favorì lo sviluppo degli scambi di beni e
tecnologie.
L'assassinio
di John Kennedy nel 1963 ha costituito uno dei più grandi enigmi
della guerra fredda e del secolo. Anche dopo la recente
pubblicazione nell'estate '93 di documenti della CIA già
classificati come segreti, non vi sono stati passi avanti sul
tragico evento. Il misterioso Oswald autore del delitto, che in
precedenza aveva chiesto asilo in URSS (per rientrare in patria non
molto tempo dopo) e aveva preso, in circostanze poco chiare, il
visto per Cuba, secondo la Commissione Governativa Warren agì non
su commissione di altri, ma per iniziativa personale, tuttavia
numerose sono state le ipotesi diverse, che si sono scontrate con
l'opera di mitomani e depistatori. Sulla vicenda si possono fare
molte osservazioni, si può comunque ritenere che i sovietici
avessero poco interesse ad eliminare il presidente degli Stati
Uniti (morto Kennedy subentrava Johnson che non era certamente
arrendevole verso il mondo comunista), mentre il governo di Castro
a Cuba, aveva invece poco da perdere in un aggravamento della
tensione internazionale.
La
mondializzazione del conflitto poneva dei problemi militari nuovi
sia per lo schieramento occidentale che per quello sovietico. La
minaccia sovietica in occasione della crisi di Suez aveva messo in
luce i limiti della forza dell'Unione Sovietica: la insufficienza
della flotta di superficie, di bombardieri strategici a lunga
autonomia, oltre alle consuete difficoltà oggettive, quali il
superamento degli stretti del Mar Nero, che avevano reso quasi
irrealizzabile l'invio di un potente contingente a sostegno
dell'Egitto.
Nel
periodo staliniano l'Unione Sovietica coi suoi alleati presentava
dal punto di vista militare una situazione non diversa da quella
degli Imperi Centrali durante la prima guerra mondiale, formando
una aggregazione di stati geograficamente molto compatta, senza
quindi problemi per le linee di comunicazione interne. La strategia
sovietica si fondava pertanto su grandi masse di fanteria e di
divisioni corazzate, mentre quasi superflua risultava una marina da
guerra per la scorta ai convogli marittimi, portaerei, e
un'aviazione in grado di percorrere migliaia di chilometri. Venne
invece sviluppata la flotta di sommergibili tradizionali e a
propulsione atomica (in grado di permanere per lungo periodo in
mare senza rientrare per rifornimenti), che avrebbero dovuto
mettere in difficoltà i collegamenti marittimi fra l'Europa e
l'America, e in ogni altra parte del mondo. In questo campo i
sovietici superarono rapidamente gli americani con 473 unità contro
i 190 degli americani nel 1958 . Negli anni successivi data la
diversa situazione mondiale i sovietici realizzarono alcune
importanti innovazioni; la flotta sovietica raggiunse proporzioni
notevolmente superiori che nel passato, vennero create basi navali
in Libia nel Mediterraneo e nello Yemen a controllo dell'Oceano
Indiano, oltre a una serie di basi militari in Siria, Egitto, Irak,
Algeria, dove nel 1962 Ben Bella aveva portato al potere i
comunisti. Sul piano delle forze terrestri il grande vantaggio
sovietico venne però ridimensionato dalla nuova necessità di
disperdere una grande parte del gigantesco esercito a difesa del
confine cino-sovietico.
La
strategia della NATO era molto più basata sulla mobilità, con
un'efficace struttura per il trasporto di grandi masse di uomini e
mezzi, ma negli anni di Eisenhower era stato privilegiato in
maniera eccessiva l'armamento nucleare su quello convenzionale. Il
deterrente nucleare era utile al fine di fronteggiare un attacco su
vasta scala in zone vitali dello schieramento atlantico, ma era del
tutto inutile per fronteggiare quello che sarebbe stato il tipo di
guerra negli anni successivi, movimenti di guerriglia e azioni
militari limitate.
Nel
biennio 1957-1958 si ebbe lo sviluppo dell'arma missilistica,
tecnologia sulla quale i sovietici risultarono più avanzati degli
americani. I sovietici realizzarono il primo grande bombardiere
strategico il Tupolev TU-20 in grado di percorrere 12.000 km senza
rifornimenti e una serie di missili dalle caratteristiche poco
conosciute ma di elevato livello. Gli Stati Uniti misero a punto i
primi missili a medio e lungo raggio (Jupiter e Atlas), montati su
rampe di superficie e quindi vulnerabili; il controllo di queste
armi, in base agli accordi, spettava in esclusiva agli Stati Uniti
che tuttavia avrebbero dovuto prendere in considerazione le
esigenze degli alleati europei.
Un
passo ulteriore nella sfida russo-americana, fu l'armamento dei
sommergibili con missili a testata nucleare. Il sommergibile per
sua natura è un'arma quasi invulnerabile nei grandi spazi aperti;
questi mezzi costituivano la garanzia che se anche un attacco
missilistico di sorpresa avesse portato alla distruzione delle
difese a terra, si sarebbe comunque avuta una terribile
rappresaglia contro il nemico. Il presidente americano Eisenhower
con soddisfazione annunciò al popolo americano nel gennaio del 1960
che "Un crescente numero di sottoma¬rini a propulsione nucleare
entrerà a far parte del nostro servizio attivo, e alcuni di essi
saranno dotati di missili Polaris. Queste eccezionali armi e unità
navali di pattuglia per gli oceani, saranno in grado di colpire con
la massima precisione un bersaglio virtualmente in qualsiasi parte
della terra. Poiché è impossibile distruggerle mediante un attacco
di sorpresa, esse diventeranno uno dei nostri più efficaci presidi
per la pace" .
Kennedy,
che negli anni precedenti aveva criticato l'amministrazione
Eisenhower per lo scarso sviluppo del settore militare e il
bilancio eccessivamente ristretto destinato alla difesa, si rese
conto che la difesa dell'Occidente non poteva basarsi sulla sola
minaccia di guerra catastrofica con le armi nucleari, secondo la
strategia della "rappresaglia massiccia" adoperata negli anni
precedenti, ma che si doveva contrastare tutta quella serie di
piccole guerre locali estremamente insidiose, con mezzi di minore
distruzione ma più idonei. Il presidente americano diede perciò
vita ad una strategia che verrà conosciuta come "risposta
flessibile"; vennero rivalutate le forze convenzionali e creati i
primi corpi speciali destinati alla controguerriglia capace di
operare negli ambienti naturali più difficili. Secondo il giovane
presidente ameri¬cano "La nostra potenza nucleare di dissuasione
non basta. Non può bloccare una aggres¬sione comunista troppo
limitata per giustificare una guerra mondiale... noi ci siamo
bloccati in un angolo, dove non abbiamo scelta: o l'inazione o la
distruzione del mondo" . Basandosi sulla esperienza dell'intervento
in Libano, Kennedy sostenne che le forze convenzionali non avessero
la rapidità necessaria nell'essere mobilitate. Gli stessi concetti
vennero ripresi da Henry Kissinger, che nel saggio Nuclear Weapons
and Foreign Policy del 1957 mise in luce i limiti della strategia
fondata sulla rappresaglia massiccia.
Durante
gli anni di Kennedy si ebbero aumenti delle spese militari per
miliardi di dollari, realizzati i MIRV (i missili a testata
multipla), l'ABM, il missile anti-missile (successivamente
abbandonato per comune accordo con i sovietici) eliminate le rampe
per ICBM di superficie, facilmente individuabili e sostituite con
silos interrati dispersi nelle aree desertiche del continente
americano. Vennero messi in servizio armi convenzionali più potenti
come il C5 A Galaxy con capacità di trasporto 4 volte superiore al
B36, varata la portaerei Enterprise a propulsione nucleare,
autentica fortezza mobile nel mare, create brigate aerotrasportate
ed eliotrasportate in grado di raggiungere punti lontani della
terra in breve tempo, capaci di soffocare sul nascere qualsiasi
tentativo insurrezionale.
Nel
maggio 1961 Kennedy si espresse per una maggiore partecipazione dei
partner della NATO alla difesa nucleare e propose di mettere a
disposizione della organizzazione atlantica un certo numero di
sottomarini armati di missili Polaris, ma la questione non venne
ben accolta dal governo francese e suscitò una serie di
polemiche.
Nel
sud-est asiatico come era prevedibile gli Accordi di Ginevra del
1954 non vennero rispettati e le forze del Viet Minh iniziarono
subito la loro opera di penetrazione nella parte nord orientale del
Laos dove diedero man forte al Pathet Lao, il movimento filo
comunista fondato dal principe Sufanuvang.
Nel
1956 dopo anni di guerra civile strisciante, si svolsero trattative
fra Sufanuvang e il fratellastro Suvanna Fuma (di tendenze
neutraliste), che portarono ad un governo di coalizione che
tuttavia risultò di breve durata; il paese ricadde nella guerra
civile, dilaniato fra forze filo occidentali, neutraliste e
comuniste
Dopo
una serie di contatti fra i governi britannico, sovietico e
americano, venne deciso nel marzo del 1961 di riaprire la
Conferenza di Ginevra sull'Indocina. Vi era un accordo di massima
sulla proposta di Kennedy di fare del Laos uno stato libero e
indipen¬dente da ingerenze straniere, ma le numerose violazioni
della tregua non favorirono l'accordo, e le trattative languivano.
Nel maggio del 1962 in seguito ad un attacco del Pathet Lao gli
Stati Uniti decisero di inviare una flotta nel Golfo del Siam e
2.000 soldati in Thailandia, ma venne evitata la partecipazione
diretta degli Stati Uniti al conflitto; nello stesso anno il
principe Bun Um, sostenuto dagli americani, e Sufanuvang
accettarono di costituire un governo di coalizione presieduto da
Suvanna Fuma, accordo che venne confermato dalla Conferenza di
Ginevra, sulla base della più rigorosa neutralità del Laos. Anche
il nuovo accordo non aveva grandi possibilità di tenuta e nell'anno
successivo ripresero i combatti¬menti; i neutralisti di Suvanna
Fuma si distaccarono definitivamente dal Pathet Lao e denunciarono
l'invasione sempre più massiccia del nord del paese da parte delle
forze di Hanoi appoggiate da piccole unità cinesi.
La
guerra fredda estesasi a macchia d'olio nella seconda parte degli
anni Cinquanta non risparmiava nemmeno la tradizionale zona
d'influenza degli Stati Uniti, l'America Latina. Nel '53-'54 si
ebbe il breve governo filo comunista, (o comunque ritenuto vicino a
tali posizioni) di Arbenz in Guatemala, e negli anni successivi si
ebbe una diffusione di movimenti comunisti in tutta l'America
centrale che non lasciò indenne anche la parte insulare della
regione. L'isola di Cuba costituiva infatti una terra
particolarmente felice per clima e risorse agricole, con un reddito
pro capite relativamente elevato, soggetta però ad una infelice
dittatura e ad un sistema politico corrotto che non incontrava
gradimento nel grande vicino nord americano. Il prodotto di gran
lunga più importante del paese era rappresentato dalla canna di
zucchero, solo il 45% delle terre era però di proprietà di
cittadini cubani, e l'economia dell'isola dipendeva eccessivamente
dal prezzo internazionale di questo prodotto che costituiva la
principale fonte di reddito.
Il
regime del dittatore Fulgencio Batista, criticato apertamente dallo
stesso Kennedy, allora senatore, incominciò a trovare numerose
resistenze. Nel 1957 Castro con un piccolo manipolo di uomini si
insediò sulle montagne della zona orientale dell'isola, e da lì
portò avanti una attiva guerriglia che non ebbe l'appoggio dei
comunisti, ma che incontrò il consenso delle popolazioni contadine
locali. Nel gennaio del 1959, il dittatore, al quale gli Stati
Uniti rifiutarono l'invio di armi, senza opporre eccessiva
resistenza fuggì dalla capitale e si costituì un governo
rivoluzionario. Il nuovo regime venne immediatamente riconosciuto
da Washington, e lo stesso Castro venne ricevuto alla Casa Bianca,
ma allo stesso tempo si verificarono alcuni importanti avvenimenti
interni.
La
rivoluzione "umanitaria" come era stata definita aveva vinto,
tuttavia Castro, il leader dei "barbudos", i guerriglieri delle
campagne, non mantenne la promessa di indire libere elezioni, ruppe
con l'altra parte del movimento rivoluzionario delle città, e
strinse una coalizione con il partito comunista rimasto estraneo al
fenomeno rivoluzionario. Josè Miro Cardona capo del governo, e poco
dopo anche il presidente della repubblica Urrutia, il coraggioso
magistrato da sempre oppositore del precedente regime, furono
costretti alle dimissioni, e nel paese si abbatté una ondata di
arresti (20.000 prigionieri politici nel 1965 secondo le stesse
fonti ufficiali) con centinaia di fucilazioni. I rivoluzionari
della vecchia guardia vennero bruscamente allontanati dal potere;
nell'estate del '59 il generale Huber Matos, uno dei primi ad
aderire alla guerriglia sui monti della Sierra Maestra, venne
condannato a venti anni di reclusione, e Camillo Cienfuegos, il più
popolare dei capi guerriglieri cubani, che si rifiutò di deporre
contro l'ex compagno, morì poco dopo in un incidente aereo sul
quale il regime impedì di aprire un'indagine e si ritiene che
anche il comandante della torre di controllo testimone
dell'accaduto sia morto in circostanze misteriose. Negli anni
succes¬sivi anche lo stesso Che Guevara si trovò in contrasto con
il regime e decise di abbandonare l'isola, mentre numerosi
comunisti vennero ad occupare importanti cariche.
Nel
giugno del medesimo anno venne promossa una ampia riforma agraria,
condotta con metodi arbitrari, che danneggiò gravemente gli
interessi dei numerosi proprietari nordamericani, seguita poco dopo
dalla nazionalizzazione delle raffinerie di zucchero e di petrolio.
Contemporaneamente si verificò una intensificazione dei rapporti
politici e degli scambi commerciali con l'Unione Sovietica
culminata con la visita del ministro russo Mikoyan a Cuba. Gli
Stati Uniti si astennero da una reazione immediata e proposero una
rinegoziazione degli accordi commerciali, ma il 6 luglio dell'anno
successivo, dopo alcune pesanti accuse di Cuba al governo di
Washington, Eisenhower stabilì una drastica riduzione degli scambi
commerciali con L'Avana; nel gennaio dell'anno successivo dopo che
il governo castrista aveva deciso la riduzione del personale
diplomatico americano nell'isola, si arrivò alla rottura dei
rapporti diplomatici fra i due paesi.
Con
la nuova amministrazione Kennedy i rapporti fra i due paesi non
migliorarono, anzi venne accordato un sempre maggiore sostegno alle
organizzazioni dei numerosissimi cittadini cubani (molti dei quali
ex rivoluzionari) che avevano abbandonato l'isola e intende-vano
abbattere il regime castrista; secondo alcune indiscrezioni
inoltre, la CIA, su iniziativa di Robert Kennedy, mise in atto o
progettò alcuni tentativi per eliminare Fidel Castro. La posizione
americana rispetto al nuovo governo di Cuba venne espressa dal
presidente Kennedy nel suo discorso sullo Stato dell'Unione del 26
gennaio 1961. "Nell'America Latina, agenti comunisti che cercano di
sfruttare la pacifica rivoluzione della speranza in quella regione
hanno stabilito una base a Cuba a sole 90 miglia di distanza dai
nostri confini. Quello che rimproveriamo a Cuba non riguarda certo
l'aspirazione della popolazione ad una vita migliore, bensì il
fatto che essa subisca la dominazione di tirannidi straniere ed
interne" . L'Unione Sovietica fece capire che Cuba era da
considerarsi sotto l'ombrello protettivo sovietico, e anche la
condanna del regime castrista da parte di tutti gli stati americani
aderenti all'OSA, non ridusse la determinazione del combattivo
lider maximo.
Nell'aprile
del 1961 Kennedy, nonostante l'opposizione di diversi suoi
collaboratori, decise di sostenere il piano dei cubani
anticastristi di raggiungere l'isola e di tentare una sollevazione
generale contro il regime; il progetto era meno irrealistico di
quanto si potesse credere, a Cuba erano infatti attivi numerosi
movimenti di contestazione al regime. Si riteneva inoltre che
un'occasione del genere difficilmente si sarebbe rappresen¬tata,
dato che in quelle settimane una quantità impressionante di arresti
si stava abbattendo sull'opposizione, e avrebbe impedito una
successiva insurrezione. Il giorno 17 circa 1.600 esuli, addestrati
ed equipaggiati dalla CIA, raggiunsero Cuba (preso la cosiddetta
Baia dei Porci), ma il governo castrista aveva avuto modo di
conoscere i piani sullo sbarco e venne a mancare l'effetto
sorpresa. Dopo alcuni giorni di combattimento l'esercito regolare
ebbe la meglio; gran parte dei rivoltosi non ebbero modo nemmeno di
reimbarcarsi e furono fatti prigionieri. L'azione provocò la dura
protesta dell'Unione Sovietica, che come in precedenti altre crisi
ricordò che una guerra locale poteva trasformarsi in confronto
armato totale, e il progettato incontro fra Kennedy e Kruscev venne
rinviato di alcuni mesi.
L'incontro
di Vienna fra Kruscev e il giovane presidente americano non segnò
alcun progresso sulla via della distensione. Venne confermato
quanto sottoscritto nella precedente conferenza di Ginevra sulla
neutralità del Laos, ma la proposta americana in materia di
sospensione degli esperimenti nucleari con un sistema meno rigoroso
di controlli reciproci, come richiesto dai sovietici, non risultò
di gradimento alla controparte, e sulla questione di Berlino si
arrivò alla spaccatura. Il capo del Cremlino confermò che entro la
fine dell'anno sarebbe stato firmato l'accordo di pace con il
governo di Pankow e che quindi, senza fornire alcuna garanzia circa
i collegamenti della città con il mondo occidentale, avrebbe avuto
termine il regime di occupazione di Berlino. Kennedy rispose con
fermezza ribadendo che gli Stati Uniti non avrebbero sgombrato la
ex capitale tedesca, e che si sarebbero impegnati per il
mantenimento dello status quo; nella sua relazione al Congresso
affermò: "Ho chiaramente detto al signor Krusciov che la sicurezza
dell'Europa occidentale, e pertanto la nostra stessa sicurezza,
sono profondamente legate alla nostra presenza e ai nostri diritti
d'accesso a Berlino: che tali diritti sono basati sulla legalità e
non sulla sopportazione e che siamo decisi a mantenere tali diritti
a costo di ogni rischio e pertanto a mantenere i nostri impegni nei
confronti della popolazione di Berlino ed il suo diritto di
scegliere il proprio futuro" . Nelle settimane successive Mosca
decise di sospendere la programmata riduzione degli effettivi
militari decisa in precedenza, e venne decretato inoltre un
maggiore stanziamento per la difesa; analoghi provvedimenti vennero
presi negli Stati Uniti dove fu stabilito di aumentare le forze
armate di 217.000 uomini, con un aumento delle spese per la difesa
di quasi 3 miliardi e mezzo di dollari, ed inoltre il rafforzamento
del contingente americano presente a Berlino Ovest, il richiamo dei
riservisti e un giro di consultazioni con gli alleati. I governi
europei condividevano pienamente la posizione americana, e De
Gaulle stesso si fece sostenitore di un'azione di forza per
sbloccare la situazione.
In
tutto il mondo era diffusa l'opinione che fosse imminente un duro
confronto fra i due blocchi e in Germania la tensione ebbe
particolare drammaticità. Durante l'estate le fughe dalla DDR
divennero particolarmente numerose (nonostante che una legge del
'57 prevedesse dure sanzioni per chi prestasse aiuto a fuggiaschi)
da far pensare se non ad uno spopolamento di quello stato, ad una
riduzione della forza lavoro qualificata tale da provocare una
crisi delle principali attività produttive.
Il
25 luglio Kennedy espose gli obbiettivi irrinunciabili per gli
Stati Uniti sul problema Berlino: tutela della libertà per i
cittadini di Berlino Ovest, garanzie nei collegamenti fra la ex
capitale tedesca e la Germania Occidentale, presenza militare
occidentale nella città per assicurare il rispetto dei diritti dei
berlinesi. Nello stesso periodo Kruscev annunciò che le truppe del
Patto di Varsavia erano pronte ad ammassarsi ai confini della
Germania Orientale.
Nella
notte del 13 agosto le autorità di Pankow decisero di stendere
lungo tutto il confine che delimitava il settore ovest di Berlino
dal resto della Germania comunista reticolati e filo spinato e
quindi di chiudere tutti i passaggi fra le due parti della città.
Il giorno successivo si tenne una grande manifestazione spontanea
di cittadini di Berlino Ovest che tentarono di forzare lo
sbarramento, che aveva provocato la separazione anche di numerose
famiglie, ma sia la cittadinanza sia il governo di Bonn non
poterono fare altro che presentare una serie di proteste. Il giorno
21 dietro ai reticolati venne eretto un muro, che diverrà il triste
simbolo della guerra fredda, e sgomberati i palazzi che si
affacciavano sul confine, mentre altri provvedimenti rendevano la
situazione ancora più drammatica. L'aeroporto di Schoenefeld della
ex capitale tedesca venne affidato alle autorità della Germania
Orientale e i sovietici pretesero che coloro che intendevano
entrare a Berlino Est presentassero i documenti come se si
trattasse di un passaggio da uno stato ad un altro. Le
comunicazioni aeree e terrestri verso Berlino vennero disturbate
ripetutamente, imposto il divieto per i cittadini di Berlino Est di
recarsi al lavoro nel settore ovest, venne dato l'ordine di sparare
a vista sui fuggiaschi, infine vennero ripresi gli esperimenti
nucleari da parte dei sovietici.
Nel
mese di ottobre in seguito alle misure prese dal governo della
Germania Orientale verso gli stranieri diretti a Berlino Est, sorse
un grave incidente nella città, truppe americane e sovietiche
mossero verso la Friedrichstrasse per presidiare il posto di blocco
e poterono essere ritirate solo due giorni dopo.
Come
in diverse altre occasioni precedenti i sovietici dopo aver
provocato abbondan¬temente gli occidentali portandoli alla soglia
dello scontro diretto, avanzarono la proposta di aprire trattative
convinti che, di fronte allo spettro di una crisi con conseguenze
gravissime, avrebbero finito per cedere. Tale iniziativa non venne
invece accolta con particolare consen¬so, e lo stesso De Gaulle
ritenne l'iniziativa espressamente da respingere. In occasione del
22° congresso del PCUS i dirigenti sovietici sostennero che il
trattato di pace con la Germania di Pankow fosse da considerarsi
non urgente, e ciò consentì di evitare il degenerare della
situazione e più gravi conseguenze per l'intero continente. Negli
anni successivi numerose furono le provocazioni sovietiche contro
Berlino Ovest, e nel corso di 27 anni, 251 sono stati i morti fra
coloro che hanno tentato di oltrepassare il confine fra le due
Germanie. La affermazione dei sovietici che il muro di Berlino
servisse "Al fine di contrastare le misure di Bonn e dei suoi
protettori su Berlino Est" , come sostenuto da Andrej Gromiko e
quindi a proteggere il mondo comunista da una aggressione
occidentale non è mai risultata convincente; Berlino ha sempre
rappresentato il punto debole dello schieramento occidentale e non
certo il punto dove si poteva condurre un aggressione al blocco
sovietico. La realizzazione del muro di Berlino risultò utile alla
Germania Orientale ad arrestare la grave emorragia di cittadini che
preferivano vivere in Occidente, ma sotto altri punti di vista le
conseguenze furono gravi. Un sistema politico che per continuare a
sopravvivere doveva chiudere i propri confini e costringere i
cittadini ad una permanenza forzata nello stato, non poteva godere
di credibilità, e dopo i fatti del '56, gli avvenimenti di Berlino
segnarono una condanna morale del comunismo dalla quale non si
sarebbe più ripreso.
Nell'ottobre
del 1962 si aprì quella che venne considerata la più grave crisi
della guerra fredda, la crisi dei missili a Cuba. Attraverso
ispezioni aeree, condotte dai già noti U2, gli americani avevano
accertato che nell'isola di Cuba erano stati installati all'interno
di basi in avanzata fase di completamento, missili terra-terra in
grado di colpire gli Stati Uniti, realizzata una serie di aeroporti
che ospitavano bombardieri a lungo raggio e verificata la presenza
di circa 20.000 soldati sovietici. In quegli anni i paesi della
NATO e quelli del Patto di Varsavia avevano già installato numerosi
missili balistici a lunga gittata in ogni parte del mondo, ma
questi venivano considerati particolarmente pericolosi da parte
americana per più di un motivo. La grande vicinanza di Cuba alle
coste texane consentiva ai sovietici di colpire con particolare
rapidità permettendo di portare a termine un attacco nucleare di
sorpresa (il cosiddetto first strike) in grado di distruggere gli
impianti missilistici per una successiva rappresaglia. Ed inoltre
Cuba godendo della protezione fornita dalle micidiali armi avrebbe
potuto esportare la sua rivoluzione verso i paesi dell'America
Latina con maggiore facilità.
Kennedy,
dopo una serie di avvertimenti espliciti ai sovietici, i quali
avevano affermato formalmente che non vi erano armi offensive a
Cuba, e un pronunciamento del Congresso, decise di convocare il
National Security Council. Il massimo organo di sicurezza prese in
considerazione varie ipotesi di contromisure da adottare: azione di
guerra contro Cuba, distruzione dei missili attraverso un
bombardamento aereo, blocco navale dell'isola, ed infine, ma la
proposta non ebbe successo, un baratto con Mosca, il ritiro dei
missili Jupiter dalla Turchia contro lo smantellamento degli
impianti missilistici a Cuba. Il timore principale degli americani
era costituito dal fatto che l'Unione Sovietica avrebbe potuto
rispondere con degli atti di ritorsione contro quello che veniva
considerato l'anello debole del fronte occidentale, la città di
Berlino, e quindi si sarebbe potuta innescare una pericolosa
escalation. Alla fine Kennedy su insistenza del fratello Robert,
ministro di giustizia, decise di imporre all'isola una
"quarantena", espressione un po' meno grave per indicare il blocco
navale, al fine di porre l'embargo di forniture militari contro
Cuba. Il giorno 22 avvenne lo storico annuncio; Kennedy alla
televisione comunicò ai cittadini le risoluzioni che l'America si
apprestava a prendere: intercettazione delle navi dirette a Cuba
che trasportassero materiale militare offensivo, rafforzamento
della base militare di Guantanamo (contro la quale vi erano stati
azioni di sabotaggio), intensificazione della sorveglianza
sull'isola, e azione di guerra contro la stessa, qualora i lavori
per la realizzazione delle basi missilistiche fossero stati portati
a conclusione. Il messaggio del presidente concludeva con
l'affermazione che un attacco missilistico da parte di Cuba sarebbe
stato considerato come una aggressione condotta dall'Unione
Sovietica e richiedeva quindi lo smantellamento e il ritiro delle
armi offensive sotto controllo dell'ONU. Il giorno successivo venne
decretata la limitazione degli scambi nei confronti di 18 paesi
comunisti e verso qualsiasi nazione che avesse prestato aiuto
militare a Cuba.
Il
giorno 24 le navi della 2° Flotta raggiunsero il Mar dei Caraibi e
contemporanea-mente vennero messi in allarme l'esercito e
l'aviazione. I paesi della NATO e quelli dell'Organizzazione degli
Stati Americani espressero piena solidarietà all'azione americana,
ma l'opinione pubblica mondiale si chiedeva se i sovietici avessero
consentito l'ispezione delle proprie navi, se avessero cercato di
proseguire la navigazione, ovvero se avessero ordinato alla flotta
di superficie e a quella sottomarina di scortarla. L'Unione
Sovietica reagì all'iniziativa americana mettendo in allarme le
proprie forze convenzionali e nucleari, e attraverso la TASS il
Cremlino protestava conto la iniziativa americana, lanciava pesanti
accuse, anche se si asteneva dal rivolgere minacce concrete. Anche
Cuba rese nota la sua protesta, ma non poté fare molto di più che
rivolgere una serie di ingiurie al governo di
Washington.
La
crisi di Cuba non poteva degenerare in un conflitto locale come
quello della Corea, i sovietici non erano in grado di condurre una
guerra disponendo di basi lontanissime e con una marina che avrebbe
dovuto superare quegli stretti, che nel corso dei secoli erano
stati un ostacolo gravissimo per il controllo dei mari. Anche l'uso
dei sommergibili atomici sarebbe risultato poco efficace, tale
genere di armi infatti risulta facilmente individuabile e
vulnerabile quando deve agire in spazi di mare non molto
ampi.
Il
segretario generale delle Nazioni Unite U Thant tentò una forma di
mediazione invitando le parti a tenere dei colloqui diretti, a
sospendere il blocco contro Cuba e contem-poraneamente l'invio di
navi verso la stessa, ma la proposta venne considerata più un mezzo
teso a guadagnare tempo che una soluzione utile a risolvere la
grave crisi. Nell'Oceano Atlantico intanto, diversi mercantili
sovietici invertivano la rotta, solo una petroliera, che per le sue
caratteristiche non risultava idonea al trasporto di armi pesanti,
continuò la navigazione e dopo una perlustrazione dall'alto da
parte dell'aviazione americana, poté giungere a destina-zione. Il
giorno successivo invece, un cargo preso a nolo dall'URSS
attraversò la zona di mare interdetta e senza opporre resistenza
venne ispezionato dalla marina ameri¬cana. La marina sovietica non
rimase inoperativa, sommergibili e navi da guerra si tennero
relativamente vicine alla zona calda pur evitando qualsiasi atto di
provocazione.
Il
giorno 25 si tenne la seduta del Consiglio di Sicurezza dell'ONU,
che risultò forte-mente improduttiva, tra il rappresentante
americano e quello sovietico avvenne un serrato scontro che fece
ritenere che non vi fosse alcuna possibilità di conciliazione fra
le parti. In quegli stessi giorni le ricognizioni americane su
Cuba, durante le quali un U2 venne abbattuto, accertarono che i
lavori per l'ultimazione delle basi missilistiche erano stati
portati praticamente a termine, situazione che avrebbe dovuto
portare a più pesanti misure da parte americana, ma intanto si
ebbero alcuni segnali. Fra il giorno 26 e il giorno 27 pervennero a
Washington due importanti messaggi da Mosca dal contenuto
apertamente contraddittorio. Nella prima lettera si accettavano
larga parte delle richieste americane: eliminazione dei missili
sotto controllo internazionale, dietro il generico impegno (già
formulato dagli Stati Uniti, peraltro) di non compiere atti di
aggressione contro il regime castrista; nella seconda lettera, dal
contenuto più aggressivo, si proponeva invece una forma di scambio,
smantella¬mento dei missili a Cuba, contro la eliminazione dei
missili americani in Turchia. L'arrivo dei due messaggi, che lasciò
sconcertata l'amministrazione americana, fece ritenere che nei
vertici dell'URSS ci fossero confusione e contrasti, Robert Kennedy
comunque, con molta oculatezza ritenne di rispondere al primo
messaggio e ignorare il secondo, suggerimento che venne accolto dal
presidente.
Il
28 si arrivò all'accordo fra le parti sulla base della prima
proposta; le proteste di Cuba e il divieto di questa all'ingresso
di osservatori dell'ONU sull'isola, poté essere facilmente
superato, attraverso l'ispezione aerea delle navi sovietiche che
riportavano in patria i missili.
L'Unione
Sovietica usciva profondamente scottata dalla vicenda, la quale
successi-vamente costituì una delle cause della caduta politica di
Kruscev. Tutta la politica internazio-nale dell'URSS e delle altre
potenze comuniste ne uscì profondamente mutata; mai più l'Unione
Sovietica e la Cina tentarono di sfidare apertamente il gigante
americano, e anche il linguaggio aggressivo tenuto dalle due
potenze fino allora, venne rivisto. I cinesi criticarono di fronte
al mondo comunista il comportamento pavido dei sovietici, ma
anch'essi compresero che non si potevano lanciare minacce se non si
era in grado di far seguire ad esse dei fatti
concreti.
Il
primo segnale della diversa politica comunista avvenne nelle
settimane immedia-tamente successive alla grande crisi. Il 21
novembre le truppe cinesi inaspettatamente si ritirarono dalle zone
himalayane dell'India che avevano occupato nelle settimane
precedenti, nello stesso periodo Kruscev in un incontro con
Ulbricht faceva presente che la firma del trattato di pace separato
doveva essere rimandata nel tempo e che dovevano cessare le azioni
di disturbo alle vie di comunicazione dell'ex capitale
tedesca.
Il
periodo cruciale della guerra fredda terminò nel '62, non in virtù
di un incontro ad alto livello fra le parti contendenti, ma
successivamente alla crisi dei missili a Cuba che aveva segnato
un'inequivocabile sconfitta per l'Unione Sovietica. L'aggravarsi
del conflitto con la Cina, e le difficoltà interne del comunismo
anche dopo la repressione dell'insurrezione ungherese, completavano
il quadro. Breznev e Kossighin, nel loro lungo periodo al vertice
dello stato, evitarono ogni prova di forza, e il mondo comunista
arriverà progressivamente a chiudersi in se stesso.
La
crisi del '62 fu l'ultima delle grandi crisi della guerra fredda, e
la paura nell'opi¬nione pubblica di una guerra a carattere mondiale
si ridusse notevolmente nei decenni successivi.