INTRODUZIONE
La
guerra fredda che lo storico Luigi Salvatorelli ha definito uno
scontro "non tanto fra capitalismo e comunismo, quanto fra una
concezione liberale-democratica del mondo e una
colettivistico-autoritaria", si è conclusa. I nuovi stati,
creatisi dalla disgregazione del mondo comunista si sono avviati
sia pur con alcune difficoltà ad una crescita economica, politica e
ad un più elevato livello di democrazia. Una fase della storia si è
definitivamente chiusa, la politica dei blocchi si è dissolta, il
grande vincitore, gli Stati Uniti, hanno saputo non abusare di
questo successo, mentre altre potenze nell'Estremo Oriente, che
forse saranno all'origine di nuovi antagonismi, sembrano
emergere.
Fra
i tanti conflitti verificatesi nella storia, la guerra fredda si
caratterizza senz'altro per essere uno dei più fortemente
ideologizzati. All'indomani della fine della seconda guerra
mondiale si crearono due schieramenti rigidamente contrapposti non
sulla base di contrasti particolaristici fra stati, ma sulla base
delle dottrine politiche che i governi si erano dati, e non è stato
raro il caso che la caduta di un regime provocasse il passaggio di
uno stato da uno schieramento all'altro.
Ad
uno sguardo complessivo risulta che l'Occidente si fece portatore
dei valori di libertà, nonostante le contestazioni in Europa e
negli Stati Uniti da parte di forze politiche che si richiamavano
ad una diversa (e controversa) idea di democrazia.
Rispetto dei principi dello stato diritto e del diritto
internazionale, parità giuridica fra gli stati, tutela dei diritti
civili e politici hanno caratterizzato lo schieramento
euro-americano. Un
giudizio sulla guerra fredda al momento della sua conclusione fa
ritenere che lo scontro fra Est e Ovest sia consistito prima ancora
che nel conflitto fra capitalismo e comunismo come spesso è stato
interpretato, fra democrazia e totalitarismo, fra sistemi politici
progrediti e sistemi politici più arretrati le cui forze politiche,
in Russia come nei paesi balcanici, una volta sconfitte sono
confluite a fianco dei nazionalisti. Non esiste conflitto senza una
ragionevole dose di realismo politico e nel settore asiatico
certamente gli schieramenti persero abbondantemente di significato
ideologico, tuttavia ciò non consente in alcun caso di ritenere che
esistesse analogia fra i contendenti.
L'immagine
dell'Unione Sovietica in Occidente non era stata mai positiva (come
del resto quella della Russia zarista in precedenza), e conobbe un
ulteriore deterioramento successivamente a causa del terrore in
quegli anni di una guerra che in diversi momenti venne considerata
come imminente anche da autorevoli personaggi; tuttavia possiamo
oggi dire che gli occidentali non si fecero travolgere dalla
emotività e quando Mosca dimostrò di voler intraprendere dei passi
positivi verso la pace non venne a mancare una risposta da parte
dei governi occidentali.
La
soppressione delle libertà, le violazioni gravissime del diritto
nel mondo comunista non erano giustificate da situazioni
contingenti (come molti in passato hanno ritenuto), ma costituirono
parte essenziale della dottrina di questi stati, la cui ideologia
aveva subito un notevole processo di involuzione rispetto alle
dottrine originarie. Quando vennero a mancare le "catene" che
teneva saldo il potere, i regimi comunisti si dissolsero
rapidamente, abbattuti dall'azione pacifica delle forze
emergenti.
La
guerra fredda è stata una guerra totale sia perché ha interessato
larga parte del mondo, anche le aree più periferiche, sia perché ha
investito tutte le strutture dello stato e della società (da quelle
economiche a quelle politiche e culturali), e venne condotta anche
all'interno degli stati stessi attraverso operazioni di varia
natura che tendevano a neutralizzare i simpatizzanti del fronte
avversario. Come in una guerra combattuta i territori venivano
perduti o conquistati, ma senza ricorrere all'uso delle armi,
quando risultava evidente che una posizione non fosse più
difendibile la si abbandonava semplicemente. Tuttavia, e questa
costituì la grande differenza rispetto alle guerre tradizionali del
passato, i governi interessati agirono in maniera sempre cosciente
che lo scontro potesse degenerare in un conflitto incontrollabile
che avrebbe potuto provocare la fine dei vincitori e dei vinti e
forse dell'umanità.
La
guerra condotta dagli Stati Uniti non fu una operazione di profitto
capitalistico a favore di un ristretto gruppo di uomini come
sostenuto da una certa parte della sinistra, il capitalismo
internazionale fu invece in larga parte contrario alla guerra
fredda per tutta la serie di restrizioni al commercio verso paesi
che offrivano materie prime e mercati a buon prezzo, ed infatti una
consistente opposizione all'impegno degli Stati Uniti sulla scena
internazionale provenne dagli ambienti dell'alta finanza. L'azione
politica di Washington ha invece trovato il consenso di un vasto
movimento d'opinione nel paese, che con l'eccezione
forse della guerra del Vietnam, non ha fatto mancare il suo
appoggio al governo. Gli Stati Uniti che hanno sostenuto il maggior
peso della guerra con grande dignità e impegno di uomini, capitali
e mezzi non trassero beneficio della situazione politica creatasi.
Diversamente altri paesi che come il Giappone hanno evitato di
assumersi responsabilità e impegni sul piano internazionale, nel
corso degli anni hanno tratto vantaggio dagli sforzi delle altre
nazioni per la conquista dei principali mercati mondiali. Può
essere definita d'altra parte guerra per profitto capitalistico
quella del Vietnam o quella di Corea? I due stati asiatici non
presentavano mercati particolarmente appetibili, in quanto paesi
con un tenore di vita molto basso, né grandi risorse che potevano
interessare al capitalismo internazionale.
La
guerra fredda si concluse senza un vero armistizio; non appena
l'Unione Sovietica dimostrò di voler cambiare rotta con una
evoluzione interna e nei rapporti internazionali, gli Stati Uniti e
l'Europa raccolsero prontamente l'offerta e non imposero condizioni
gravosi agli sconfitti. Gli Stati Uniti non approfittarono della
loro posizione di forza e anzi dimostrarono negli anni successivi
un minore interesse per le questioni internazionali, mentre i
rapporti fra USA ed Europa rimasero all'insegna della correttezza e
del rispetto reciproco.
A
più riprese si è ritenuto che la guerra fredda potesse concludersi
attraverso un negoziato "globale", ma questa soluzione non era
credibile più di tanto, i paesi comunisti nel corso degli anni
avevano sottoscritto e non rispettato i più importanti accordi
internazionali, dalla Dichiarazione sull'Europa liberata, ai
principi espressi alla conferenza di Bandung (nel caso della Cina),
al più recente Atto Finale di Helsinki, e pertanto il conflitto fra
Occidente e Oriente si concluse soltanto quando il governo di Mosca
mise in atto una serie di atti concreti che andavano verso il
riconoscimento dei diritti dei popoli.
La
guerra fredda è stata una guerra in larga parte non combattuta,
tuttavia nel corso delle numerose guerre succedutesi dal 1945 al
1980 (non tutte ovviamente legate direttamente al contrasto
Est-Ovest) si sono avuti 25 milioni di morti, cifra inferiore ai
caduti della seconda guerra mondiale ma comunque molto
elevata.
Il
periodo storico che tanto ha agitato l'opinione pubblica in ogni
parte del mondo, deve essere ancora approfondito e rivisto alla
luce delle nuove realtà createsi. Ritengo comunque con questo
lavoro di aver dato un contributo come storico e come uomo che
sente profondamente i problemi del suo tempo.
parte
1° dalla conclusione della 2° guerra mondiale alla morte di Stalin
1945-1953
IL NUOVO ASSETTO DELL'EUROPA
Nella
sistemazione dell'Europa e del resto del mondo, due concezioni
politiche si affrontarono: quella che intendeva la pace come una
sistemazione tra le grandi potenze, e quindi come spartizione dei
continenti, e quella che riteneva che i vincitori dovessero
limitarsi alla ricostituzione degli stati secondo le realtà
politiche e storico culturali esistenti, avviarle a libere
istituzioni ma astenersi da ingerenze negli affari interni di
queste. Prevalse, soprattutto da parte sovietica, il primo tipo di
soluzione, e le grandi potenze non si limitarono ad aggiustamenti e
rettifiche di confine, ma si accordarono su quali governi
riconoscere, quali forze politiche sostenere, e persino sulla
gestione dei loro primi atti politici.
Con
la conclusione del conflitto mondiale contro la Germania nazista
l'Unione Sovietica ritenne di potersi assicurare alcune importanti
posizioni nella scena internazionale. Lo stato comunista avanzò
pretese su alcune regioni di confine senza che sussistessero
ragioni giuridiche o politiche per procedere in tal senso. Le
nazioni dell'Europa Orientale liberate dall'Armata Rossa divennero
area di influenza sovietica; la violazione dei diritti civili e
politici e le epurazioni condotte in questi paesi suscitarono
l'ostilità dei governi dei paesi occidentali e una diffusa
avversione dell'opinione pubblica, che in un primo tempo aveva
visto anche con simpatia il grande stato eurasiatico.
Alla
fine del conflitto mondiale infatti molti uomini anche di governo,
in Europa e in America, avevano maturato un sentimento di
riconoscenza verso l'Unione Sovietica per il suo grandioso impegno
nella lotta al nazismo. All'interno dello schieramento occidentale,
in Italia e in Francia particolarmente, si ebbero forze politiche
non contrarie all'Unione Sovietica che ritenevano che la mancata
realizzazione della democrazia in quello stato dipendesse da cause
contingenti non intrinseche ai principi comunisti, tuttavia molti
di questi furono costretti successivamente a ricredersi; una serie
di gravissimi fatti gettavano delle ombre sul comportamento di
Stalin, come il Patto Molotov-Ribbentrop, il massacro dei polacchi
a Katyn, la mancata partecipazione dei partiti comunisti alla
resistenza fino alla aggressione tedesca all'URSS nel giugno
'41.
La
seconda guerra mondiale mise in luce l'esigenza per l'Unione
Sovietica di confini più sicuri verso la Germania e un più libero
accesso ai mari che le consentisse di garantire rifornimenti
necessari. Con gli acquisti territoriali dalla Polonia e dalle
altre nazioni confinanti tale obbiettivo poteva ritenersi
sufficientemente raggiunto ed in ogni caso tale necessità non
giustificava in alcun modo gli eventi successivi in Europa
orientale. L'Unione Sovietica poteva richiedere l'uso di basi
militari in Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria e Romania ma non
poteva tenere anche soggiogati i rispettivi popoli e imporgli
trattati fortemente sperequati come avvenne nel corso degli anni
Cinquanta. D'altra parte le richieste sovietiche sulle ex colonie
italiane, o sull'Armenia e l'Azerbagian, all'indomani della fine
del conflitto, (o la restaurazione degli antichi diritti in Cina),
poco avevano a che vedere con le necessità di frontiere sicure.
"Alla fine della guerra" ha sostenuto lo storico italiano Luigi
Salvatorelli "Stalin avrebbe potuto realizzare una solida sicurezza
dell'URSS, insieme con l'equilibrio e l'equa coesistenza con gli
alleati occidentali, solo che avesse lasciato ai paesi liberati
dell'oriente europeo la stessa libertà che gli Stati Uniti e la
Gran Bretagna lasciarono a quelli dell'Occidente. Egli invece
preferì creare, in una zona vastissima tra il Baltico e il Mar
Nero, l'Egeo e l'Adriatico, una serie di stati satelliti,
attraverso le occupazioni militari e i governi totalitari
comunistici" .
Neanche
la debolezza economica dell'Unione Sovietica può essere considerata
come la causa dell'insorgere dei contrasti fra Est e Ovest; perché
Mosca rifiutò il Piano Marshall che difficilmente avrebbe potuto
costituire una forma di ingerenza in un paese con un potere
politico così fortemente concentrato? Una potenza che ritiene
di essere in stato di inferiorità ricerca l'appoggio delle altre
nazioni vicine, la Russia non fu in grado di mantenere buone
relazioni nemmeno con paesi come la Francia, che all'indomani del
conflitto mondiale si trovava in una posizione di antagonismo con
gli anglo-americani. Nel corso della guerra si erano avuti infatti
diversi contrasti tra francesi ed anglo-americani; uno dei più
significativi, riportato anche da Truman nelle sue memorie, fu
l'occupazione della Val d'Aosta da parte dell'esercito gollista in
aperto contrasto con le direttive del Comando Alleato, e
l'intervento francese in Siria e Libano che inglesi e americani (e
le NU) consideravano stati sovrani.
Secondo
altri autori il possesso esclusivo della bomba atomica da parte
degli USA fu la causa della guerra fredda; ma allora ci si può
chiedere perché l'URSS non tentò un riavvicinamento con i paesi
europei che nel dopoguerra si erano spostati a sinistra? Le
violazioni degli Accordi di Yalta sull'Europa orientale e
l'opposizione al Piano Baruch sullo sfruttamento dell'energia
nucleare non potevano certo favorire lo sviluppo di rapporti
pacifici.
La
tesi sostenuta dal senatore americano Mc Namara in "Il disgelo" che
l'Unione Sovietica prostrata dalle distruzioni della guerra e dalla
carestia, non poteva pensare ad una aggressione all'Europa sembra
una deduzione applicabile ad un paese occidentale e non tiene conto
della realtà sovietica. Un regime che alla vigilia della guerra
decapitò la grande parte delle gerarchie militari non avrebbe
rinunciato ad un piano del genere per le pur pressanti questioni
agricole. E' invece da ritenere che Stalin pensasse ad un'azione
contro l'Europa non comunista attraverso piccoli passi. Molti
osservatori politici nel periodo più drammatico della guerra fredda
ritenevano che l'URSS puntasse a rovesciare i governi di Grecia e
Turchia, mettere in crisi la Germania, e quindi attraverso i forti
partiti comunisti locali mettere le mani su Italia e Francia,
arrivando in breve tempo a controllare tutta l'Europa
continentale.
L'Unione
Sovietica negli anni successivi alla seconda guerra mondiale aveva
ragione a sentire la sua sovranità minacciata? Il "cordone
sanitario" realizzato negli anni '20 da governi ostili alla Russia
era decaduto e sostituito da paesi satelliti che ne garantivano le
frontiere, l'esercito americano smobilitato e le industrie belliche
occidentali riconvertite rapidamente alla produ¬zione civile; nel
'44 poi il governo De Gaulle aveva sottoscritto un trattato
d'amicizia con la Russia e negli stessi anni si ebbe un analogo
trattato di alleanza russo-britannico. Tutte queste ragioni
dovrebbero far pensare che l'Unione Sovietica non avesse molto da
temere e che non esisteva una ostilità pregiudizievole nei suoi
confronti. Gli Accordi di Yalta prevedevano d'altra parte
significative garanzie (come la revisione dello statuto degli
stretti del Mar Nero), mentre fra gli Alleati i rapporti non erano
sempre così cordiali come si potrebbe pensare. Nel '44 gli Accordi
di Bretton Woods sull'economia mondiale e il sostegno americano
alle aspirazioni indipendentistiche dei popoli asiatici
costituivano motivi di attrito fra USA e le potenze
europee.
All'origine
della guerra fredda vi fu sicuramente il problema delle zone
d'influenza sulle quali esistevano concezioni molto diverse. Per i
sovietici il concetto di zona d'influenza implicava il diritto di
intervento negli affari interni dello stato, mentre per gli
occidentali doveva essere garantito il ritorno alla legalità. Così
nella Grecia sotto l'influenza britannica si ebbe come primo
ministro un democratico convinto come Papandreu, mentre nel fronte
opposto si avevano uomini come Rakosi o Ulbricht disprezzati dai
propri cittadini e total-mente soggetti all'autorità di Mosca.
Nessun raffronto è possibile fra paesi come l'Italia o il Giappone
che gli accordi fra le potenze avevano previsto come soggetti
"all'influenza americana" e paesi come quelli dell'Europa orientale
dove ogni legalità era stata stravolta.
Certamente
è difficile pensare ad una guerra che si sovrappone con una
precedente, tuttavia i primi segnali della contrapposizione fra Est
e Ovest sono ben presenti nel corso della seconda guerra mondiale:
il contrasto fra il governo polacco di Londra e il governo di
Lublino, l'antagonismo fra i gruppi della resistenza filo
monarchici e comunisti in Jugoslavia, la guerra civile in Grecia
costituirono eventi significativi di un mutamento di clima
politico.
Il
nuovo assetto dell'Europa iniziò a delinearsi ben prima della
conclusione del conflitto mondiale. Nel corso della guerra i tre
"Big" Inghilterra, Stati Uniti, Unione Sovietica tennero una serie
di incontri sulla conduzione militare e sugli aspetti politici
dello scontro; dapprima sommariamente, successivamente nel
dettaglio venne formulata la nuova geografia del
continente.
Nella
Conferenza di Teheran del dicembre '43 venne concordato l'impegno a
realizzare una grande "famiglia mondiale di nazioni democratiche"
secondo i principi espressi nella Carta Atlantica precedentemente
stabilita e approvata anche dall'URSS. La Carta Atlantica, uno dei
documenti più importanti nella enunciazione dei principi che
dovevano ispirare il futuro assetto mondiale, prevedeva il diritto
dei popoli all’autodeterminazione, il sostegno alla democrazia, la
collaborazione tra le nazioni nella sicurezza e nella libertà, la
riduzione degli armamenti, e il libero accesso alle materie prime.
Nella stessa Conferenza, tuttavia, presero corpo alcune richieste,
di diversa ispirazione. Venne proposto che all'interno
dell'organizzazione mondiale degli stati fosse riservata una
posizione di maggiore rilievo alle grandi potenze che avevano preso
parte alla guerra al nazifascismo, richiesta che negli anni
successivi si concretizzò nella istituzione del "Consiglio di
Sicurezza" dell'ONU. L'organismo non presente nella precedente
Società delle Nazioni e tuttora in vigore, rappresentò una
alterazione al principio della pari dignità delle nazioni. Gromiko
riferisce a tal proposito nelle sue memorie di avere avuto
contrasti di vedute con il segretario di stato Stettinius contrario
ai poteri speciali da conferire alle tre grandi potenze , e nel
corso degli anni il diritto di veto previsto venne utilizzato più
di 100 volte dall'URSS. Le limitazioni ai principi del diritto
internazionale furono anche più ampie. L'Unione Sovietica richiese
in quel consesso il riconoscimento degli acquisti territoriali
previsti dal Patto Molotov-Ribbentrop del '39: annessione di
Lituania, Lettonia, Estonia e delle provincie orientali della
Romania e della Polonia, portando il confine con quest'ultima su
una linea che sostanzialmente coincideva con la linea Curzon, che
era considerata la più equa demarcazione fra le popolazioni
russo-ucraine e polacche.
Sulla
questione polacca in particolare, non mancarono aspri contrasti;
nell'aprile precedente si era verificata la rottura delle relazioni
fra il governo polacco in esilio a Londra e l'Unione Sovietica in
seguito alla scoperta dell'eccidio di ufficiali polacchi, avvenuto
presso il villaggio di Katyn, dove vennero rinvenuti nelle fosse
comuni cadaveri di oltre 10.000 militari. Nella zona polacca appena
liberata, la costituzione di un nuovo governo, il comitato di
Lublino, in contrasto con il governo in esilio, e il mancato
intervento dei russi a favore della rivolta di Varsavia, contribuì
notevolmente all'ostilità verso i comunisti. Nel corso della
tragica insurrezione (durante la quale trovarono la morte 250.000
polacchi) i sovietici prossimi alla città deliberatamente evitarono
di occuparla e rifiutarono lo scalo sul territorio da loro
controllato degli aerei anglo-americani che avrebbero consentito
l'invio di materiale bellico agli insorti. La repressione nazista
costituì un pesante colpo per il movimento di resistenza. Analoghi
avvenimenti si ebbero in Slovacchia, anche qui un insurrezione
antitedesca quando i reparti dell’Armata Rossa erano prossimi alla
regione non ebbe successo; tuttavia in questo caso la
collaborazione fra democratici e comunisti non venne
meno.
Alla
Conferenza Churchill espose il suo punto di vista sulla necessità
di una penetrazione degli eserciti dei paesi occidentali nei
Balcani al fine di contrastare l'influenza sovietica nella regione,
ma non ebbe l'appoggio di Roosevelt e la questione decadde senza
avere seguito. Le importanti concessioni degli anglo-americani ai
sovietici nella Conferenza di Teheran e in quella successiva di
Yalta erano finalizzate all'inserimento dell'URSS nel sistema di
relazioni internazionali di stampo occidentale, e di incoraggiare
alcune importanti riforme interne di quel paese che potevano
apparire come un avvio di democratizzazione e di apertura. In quei
mesi veniva annunciato infatti lo scioglimento del Comintern,
consentendo una maggiore autonomia dei singoli PC nazionali, un
maggiore decentramento politico-amministrativo a favore delle
popolazioni non russe, ed infine un accordo in materia religiosa
con la chiesa ortodossa.
Nello
stesso periodo si ebbero alcuni importanti incontri a Dunbarton
Oaks negli Stati Uniti, sulla costituzione dell’ONU. Non si ebbero
particolari contrasti, tuttavia l’Unione Sovietica rivendicò il
diritto di disporre di 16 seggi della Assemblea Generale, un seggio
per ciascuna repubblica dell’URSS, iniziativa che destò
preoccupazione presso gli alleati occidentali.
Nell'ottobre
del '44 si tenne a Mosca un incontro fra Churchill e Stalin per il
superamento delle divergenze nella politica dei due governi. In
quella occasione si parlò per la prima volta di sfere di influenza:
Bulgaria e Romania avrebbero fatto parte della zona d'influenza
sovietica, la Grecia di quella inglese, Jugoslavia e Ungheria
soggette al controllo di entram¬be. L'episodio non molto felice è
stato riportato dallo stesso Churchill nelle sue memorie ma non
pienamente chiarito, non si è tradotto in un autentico accordo e
non risulta che abbia avuto un seguito. Visto in un più ampio
contesto si può ritenere che lo statista inglese volesse solo
rassicurare l'alleato che le richieste britanniche erano limitate e
non anche che si dovesse violare i principi della Carta Atlantica
precedentemente approvata.
Le
questioni dei Balcani e dell'Europa Orientale costituirono subito
dopo il ritiro delle truppe tedesche problemi complessi e motivi di
contrasto fra le grandi Potenze.
Nella
Grecia invasa da truppe italiane e tedesche si venne a formare una
attiva resistenza con tre formazioni: l'EAM-ELAS di tendenze
comuniste, l’EKKA repubblicana riformista, l'EDES formata da
elementi monarchici e democratici. Per evitare la degenerazione
della situazione (come nella vicina Jugoslavia erano frequenti gli
scontri fra le varie fazioni) gli inglesi chiesero al re Giorgio di
tenersi temporaneamente in disparte, e di affidare la reggenza ad
un personag¬gio più amato dal popolo, l'arcivescovo Damaskinos. Nel
paese già colpito da una gravissima carestia, si costituì con
l'appoggio delle truppe britanniche sbarcate ad Atene, un governo
di coalizione nazionale con rappresentanti di tutte le fazioni,
presieduto dal socialdemocratico Papandreu che in passato era stato
uno dei massimi oppositori alla dittatura di Metaxas. Il governo
tuttavia ebbe una durata brevissima. Il 2 dicembre '44 i sette
ministri di sinistra diedero le dimissioni a causa
dell'impossibilità di giungere ad un accordo sul disarmo dei gruppi
partigiani e sulla questione istituzionale. Il giorno successivo
una manifestazione comunista ad Atene si concluse con numerosi
morti (incidenti avvenuti forse per responsabilità degli stessi
dimostranti) che costituì l'inizio degli scontri e della guerra
civile. Al governo, sempre comprendente un vasto schieramento
politico, subentrò il generale di tendenze repubblicane Plastiras
che dovette gestire una situazione estremamente difficile. La
ripresa del controllo di Atene costò ai britannici 2000 morti, e lo
stesso Churchill (criticato dalla stampa occidentale, ma non da
quella sovietica, per la durezza dell’intervento) dovette
intervenire. Si arrivò comunque ad un compromesso, che venne
formalizzato negli Accordi di Varkiza, che prevedevano il disarmo
dei gruppi partigiani, l’epurazione dei collaborazionisti, libere
elezioni e referendum sul futuro assetto
istituzionale.
Anche
in Jugoslavia, dove la monarchia formalmente non era stata
abrogata, si assistette a contrasti all'interno della resistenza;
da una parte i cetnici, serbi nazionalisti, sotto il comando di
Mihajlovic, e dall'altra i comunisti titoini comprendenti diverse
nazionalità. Americani ed inglesi fecero pressioni sul re Pietro II
affinché togliesse il sostegno al generale nazionalista in quanto
ritenuto eccessivamente in contrasto con i gruppi non serbi, e si
arrivò nel giugno del '44 ad un compromesso con i titoini, che
tuttavia venne rapidamente superato dagli eventi; nell'ottobre di
quell'anno Belgrado venne liberata dalle forze congiunte russe e
titoine che costituirono l'unica forza politica determinante del
paese.
In
quello stesso periodo crebbe il timore reciproco fra
anglo-americani e russi di una pace separata con la Germania.
Nell'estate del '43 si erano avuti incontri a Stoccolma fra agenti
sovietici e tedeschi con reciproche proposte per la conclusione del
conflitto, e contatti informali si ebbero anche nei mesi successivi
fra rappresentanti del Reich e Alleati occidentali. E' da ritenersi
che se l'attentato a Hitler nel luglio del '44 da parte delle alte
gerarchie militari tedesche avesse avuto successo le potenze
occidentali avrebbero forse incontrato meno difficoltà a concludere
un armistizio a danno dei sovietici.
Alla
Conferenza di Yalta nel febbraio 1945 venne stabilito il nuovo
assetto politico mondiale in linea con quanto stabilito nella
precedente Conferenza di Teheran:
-
Disarmo, smilitarizzazione e smembramento della Germania, con
creazione di una zona d'occupazione francese da ottenersi nella
parte di territorio spettante all'Inghilterra e agli USA. Veniva
stabilito inoltre da parte sovietica un piano di requisizioni per
20 miliardi di dollari, che venne contestato perché eccessivo dagli
inglesi.
-
Spostamento a ovest della Polonia, con confini da definire in
incontri successivi. Veniva previsto inoltre il riconoscimento del
governo di Lublino con l'inclusione comunque di esponenti del
governo di Londra.
-
Riconoscimento del governo di Tito in Jugoslavia con
raccomandazione tuttavia, ad allargare il medesimo ad esponenti non
comunisti.
-
Revisione del Trattato di Montreux concernente gli stretti del
Bosforo e dei Dardanelli a favore dell'URSS, tale da consentire un
migliore accesso alla flotta sovietica.
-
Revisione dei confini fra Italia, Jugoslavia e Austria, in
conformità alla situazione esistente.
-
Ripristino dei diritti russi sulla Cina, la Mongolia Esterna, sulle
basi navali di Port Arthur e Dairen, le ferrovie Transmanciuriana e
Sudmanciuriana; e per quanto riguardava il futuro dello stato
giapponese, occupazione sovietica della parte meridionale
dell'isola di Sakhalin, delle isole Curili e presidio temporaneo
della Corea da parte delle forze armate americane e
sovietiche.
-
Costituzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e del
Consiglio di Sicurezza, con poteri speciali.
-
Impegno sovietico nella guerra col Giappone (non essendo stata
perfezionata la bomba atomica gli americani in quel momento
ritenevano particolarmente utile il contributo russo nel conflitto)
da realizzarsi non appena conclusa la guerra in
Europa.
-
Dichiarazione sull'Europa Liberata che prevedeva il "diritto di
tutti i popoli a scegliersi la forma di governo sotto la quale
vogliono vivere" e quindi l'impegno da parte delle tre potenze di
"costituire delle autorità governative provvisorie largamente
rappresentative di tutti gli elementi democratici di queste
popolazioni, e che si impegneranno a stabilire, non appena
possibile, con libere elezioni, dei governi che saranno
l'espressione della volontà popolare" .
Venne
invece accantonato il cosiddetto Piano Morgenthau, sottoscritto da
Inglesi e Americani alcuni mesi prima, che prevedeva la totale
deindustrializzazione della Germania, si ritenne infatti che tale
iniziativa avrebbe avuto pesanti ripercussioni sull’economia
europea.
Nel
corso della seconda guerra mondiale molti auspicavano una
collaborazione ampia e su basi democratiche fra le tre grandi
potenze e che gli Stati Uniti non riprendessero la politica
isolazionista come negli anni successivi al precedente conflitto;
secondo lo storico italiano Salvatorelli "L'America è proprio
quello che ci vuole fra l'Inghilterra e la Russia" per garantire un
lungo periodo di pace. Una larga parte dell'opinione pubblica
riteneva che un "ruolo guida" dei Tre Grandi avrebbe garantito la
stabilità nella politica europea e mondiale ma il concetto di
"ruolo guida" si prestava ad interpretazioni molto ambigue.
Analogamente la diversa concezione delle sfere d'influenza fu
motivo di contrasto fra anglo-americani e sovietici; "La divisione
dell'Europa in sfere d'influenza", è sempre Salvatorelli che parla,
"porterebbe con sé la soggezione stabile delle molte potenze minori
alle poche maggiori, la compromissione radicale del diritto dei
popoli a un'equa parità, a una ragionevole autonomia. Altro è
riconoscere, come noi abbiamo già esplicitamente fatto, la
necessità «rebus sic stantibus» di una condirezione delle tre
grandi potenze vincitrici; altro è trasformare l'espediente
temporaneo in soluzione permanente, o piuttosto peggiorare
radicalmente lo stato di fatto della condirezione facendo di questa
una spartizione" . Molti condividevano il timore e ritenevano che
il risultato principale della Conferenza di Yalta fosse stato la
suddivisione dell'Europa e del resto del mondo in zone d'influenza.
L'opinione non era del tutto errata, tuttavia le zone d'influenza
hanno conosciuto situazioni molto differenti; nel campo occidentale
l'influenza anglo-americana avveniva attraverso sovvenzioni
economiche o d'altro tipo ai partiti anticomunisti ma senza
alterare la legalità, nel campo orientale la legalità veniva
immediatamente stravolta con elezioni irregolari e vessazioni di
ogni tipo nei confronti dell'opposizione.
La
figura di Roosevelt, il principale protagonista degli accordi, è
stata oggetto di giudizi molto contrastanti; è stato considerato un
intransigente idealista, e il responsabile della cessione di una
parte dell'Europa ai sovietici. Entrambi i giudizi possono non
essere condivisibili. Gli Stati Uniti intervennero nel conflitto
mondiale con molta riluttanza, pertanto conclusa la guerra contro
il nazismo ritennero il loro ruolo concluso, non diedero eccessivo
interesse ai problemi dell'Europa e si disinteressarono del destino
dei popoli dell'Europa orientale. Considerare il presidente
americano un idealista intransigente potrebbe essere anche
eccessivo. L'annessione dei paesi baltici e le deportazioni delle
minoranze non russe in Unione Sovietica, il trasferimento in patria
dei prigionieri russi liberati dagli eserciti alleati contro la
propria volontà già nel corso della guerra, non potevano sfuggire
al presidente americano. Molti politici americani del resto
condividevano l'ottimismo di Roosevelt e mostravano una certa
propensione per l'Unione Sovietica, non perché simpatizzassero per
quel sistema politico, ma perché al vertice di esso vi era in quel
periodo un comunista, non ideologizzato e pragmatico, con il quale
a differenza di molti altri esponenti comunisti, era sempre
possibile il negoziato e quindi avviare, anche se gli avvenimenti
successivi furono diversi, il mondo verso una stabile
pace.
Nelle
settimane immediatamente successive al vertice mondiale, una serie
di gravi violazioni agli accordi in Europa orientale da parte
dell’Unione Sovietica ponevano una pesante incognita sulla tenuta
dei medesimi e sul futuro del nostro continente, portando
anglo-americani da una parte e sovietici dall’altra ad una
progressiva rottura.
L'UNIONE SOVIETICA NEL PERIODO STALINIANO
Nel
leninismo il fine ultimo dello stato è l'emancipazione economica e
politica del lavoratore, non diversamente da quanto previsto dai
marxisti; ma tale fine è realizzato attraverso non l'azione
solidale e spontanea dei lavoratori, ma attraverso la guida del
vertice politico. La massima autorità dello stato, o meglio dello
stato-partito, rappresenta la suprema depositaria del bene dei
lavoratori, insindacabile e non aperta alle richieste dal basso.
Sindacato libero, agitazione spontanea dei lavoratori diventano nel
leninismo delle minacce all'ordinamento, azioni di una massa priva
di coscienza che non contribuiscono all'evoluzione della società
nel senso previsto dal comunismo.
Il
vertice dello stato nei paesi comunisti esercita la sua azione sui
corpi intermedi, i quali agiscono a loro volta sulla parte restante
della società in una organizzazione piramidale efficiente dove
nulla può sfuggire. Secondo i principi dello centralismo
democratico la società è sostanzialmente un corpo inerte plasmato
dalla volontà politica del ristretto gruppo di potere al quale è
legata da un rapporto di subordinazione.
Nel
corso della storia molte forze politiche portatrici di idee
rivoluzionarie, sebbene democratiche, hanno ritenuto di dover
realizzare per un periodo di tempo circoscritto un regime che
assumesse i pieni poteri per neutralizzare le opposizioni legate al
precedente regime. Questo fenomeno rientra in quel realismo
politico che viene generalmente conside-rato accettabile
nell'opinione pubblica. Nell'Unione Sovietica liquidate le forze
controrivolu-zionarie e le interferenze straniere, gli strumenti
repressivi non vennero ridimensionati ma conservati ed anzi
perfezionati. Molte delle purghe staliniane apparirono in Occidente
oltre che deprecabili, come operazioni prive di alcuna utilità dal
momento che nulla minacciava la stabilità dello stato sovietico
negli anni '30. Nello stalinismo infatti l'obbiettivo non è la
neutralizzazione delle opposizioni ma di tutto ciò che possa
costituire difformità nella società. Le minoranza nazionali, il
sentimento religioso, le tendenze scientifiche e artistiche non
codificate dal regime, (e finanche le deviazioni sessuali) sono
viste come minaccia all'ordinamento. Ogni forma di critica
autonoma, ogni forma di individualismo, viene drasti-camente
abolito. Queste caratteristiche non trovano riscontro nei regimi
totalitari nazionalistici che si affermarono in Italia o nei paesi
balcanici negli anni '30, che in genere si limitarono ad una
concentrazione dei poteri senza creare però un sistema di controllo
sull'individuo.
Riguardo
ai regimi totalitari del nostro secolo è possibile fare una
distinzione fra quei sistemi politici, come il nazismo, lo
stalinismo e il maoismo che ricorrono all'utilizzo della
persecuzione di massa anche contro nemici "potenziali", allo
stravolgimento delle regole di diritto civile, e si pongono come
finalità la trasformazione forzata dell'individuo, e quei sistemi
che attuano una forma di repressione diretta a neutralizzare
l'opposizione politica in senso stretto, il diritto civile non
differisce sostanzialmente dai sistemi democratici e dimostrano una
certa indifferenza verso gli aspetti personali
dell'individuo.
La
scissione operata dal leninismo fra il vertice e la base della
società si è aggravata nel corso degli anni e a distanza di
generazioni non si registrarono progressi. L'emancipazione dei
lavoratori, grande obbiettivo della dottrina di Lenin non ha avuto
luogo ed anzi i piani quinquennali rappresentarono una non
indifferente involuzione per il proletariato costretto alla
irreggimentazione materiale e morale per garantire il decollo
economico del paese. La élite che guidava lo stato divenne così
progressivamente burocrazia anonima e priva di valori, per
approdare in tempi recenti, dopo la caduta del regime totalitario,
ad una alleanza con i nazionalisti, solidali nella lotta alla
democrazia.
Sul
concetto di democrazia al quale le dottrine dei paesi dove il
comunismo era al potere hanno fatto ampio ricorso, vi è sempre
stato un equivoco: essa non ha il significato di volontà dei
cittadini liberamente espressa, ma nel bene della collettività
gestito discrezio-nalmente dal vertice politico. La verifica
attraverso gli strumenti autonomi della società è un concetto
estraneo alla dottrina affermatasi nei paesi del socialismo reale.
La posizione comunista sotto questo punto di vista sconfinava nel
manicheismo; dal momento che essi rappresentavano il progresso e il
bene dei popoli, ogni loro atto, anche con l'uso della forza, non
poteva che essere legittimo giustificato storicamente.
Alla
luce degli ultimi avvenimenti appare molto ridimensionata
l'affermazione di diversi storici, che la Rivoluzione del '17
rappresenti il maggiore avvenimento del nostro secolo. Lo stato
sovietico così come si è venuto a realizzare non può essere
considerato l'attuazione di un principio innovatore. Il crollo del
comunismo e la disgregazione dell'Unione Sovietica testimonia che
la società capitalista non sia fatalmente destinata a soccombere
davanti il socialismo e che la democrazia borghese sia storicamente
e dialetticamente superata. Il socialismo dirigista non ha trovato
il consenso degli intellettuali, della parte più progredita del
proletariato (categorie che invece hanno maggiormente contribuito
al crollo del comunismo) e ha invece sviluppato sul piano sociale
una classe parassitaria, priva di valori, incapace di rinnovarsi,
ostile ad ogni innovazione. Nei paesi meno evoluti, come la Serbia,
la Romania, il vecchio regime resiste ancora, mentre completamente
liquidato appare nella repubblica Ceca o in Ungheria, società più
evolute.
Il
controllo della società nella Russia staliniana è sistematico, ogni
organizzazione anche a carattere privatistico con finalità non
politiche è soggetto al controllo della polizia speciale. Come
scrisse il grande storico italiano Salvatorelli, "Stalin mantenne,
e anzi rafforzò la sua dittatura che divenne sempre più fine a se
stessa, sempre più lontana dallo spirito di umanità e dal principio
marxista del potere ai lavoratori ". Lo storico russo Roy Medvedev
ha calcolato in 20 milioni le vittime dello stalinismo e in
altrettanti quelli sottoposti ad internamento e secondo
Solzenitsin in tutto il periodo sovietico 60 milioni furono le
vittime direttamente o indirettamente provocate dalla dittatura
sovietica. Ciò che colpisce maggior-mente è comunque l'inutilità
sotto ogni punto di vista di molte persecuzioni, come quella di cui
furono vittime gli ex prigionieri di guerra dei tedeschi, tutti
uomini che avevano combattuto con onore e che non avevano
collaborato col nemico negli anni passati nei campi di
concentramento. Vennero spediti in Siberia come documentato da
Nicolai Tolstoi in "Vittime di Yalta" .
Alla
luce di tali episodi l'Unione Sovietica, lungi da essere il
superamento del liberalismo e della democra¬zia "borghese",
rappresenta la antitesi dei valori liberali, in una particolare
commistione di autoritarismo tradizionale, e moderno. Gestione
capillare della società, disprezzo del diritto, forte senso dello
stato spinto all'abnegazione, rappresentano gli elementi
fondamentali del sistema socialista sovietico.
Il
caso dell'Unione Sovietica ci pone un inquietante interrogativo,
come un paese sorto sulla base di una dottrina rivoluzionaria in
seguito ad avvenimenti considerati fra i più importanti del secolo
abbia dato vita ad un regime che non solo non ha raggiunto gli
obbiettivi previsti dalla sua ideologia, fare del paese uno stato
moderno dove il lavoratore fosse il soggetto principale della
società, ma ha dato vita ad un regime dispotico chiuso ad ogni
innovazione che nel corso della sua esistenza ha dato vita a
episodi che ripugnano la coscienza umana.
Veramente
si può pensare che l'emancipazione dei lavoratori e dei popoli, il
progresso della storia, la costituzione di una società mondiale
libera si possa realizzare attraverso l'antitesi della libertà, la
coercizione materiale e psichica, l'educazione alla subordinazione?
I risultati dei regimi comunisti in Europa e nel Terzo Mondo
farebbero pensare di no.
Nell'Unione
Sovietica del periodo staliniano si creò una mitologia nella forma
non diversa da quella di altri regimi totalitari, finalizzata a far
ritenere che il paese dovesse impegnarsi in sforzi colossali e
fossero necessarie misure gravissime per fronteggiare le minacce
provenienti dall'esterno. Il regime aveva creato l'idea che lo
stato sovietico dovesse vivere in una costante tensione per la
realizzazione di grandi obbiettivi e che gli fosse affidata una
importante missione per l'umanità. I successori di Stalin pur
mitigando lo stato del terrore non furono in grado di essere
all'altezza del mito e il regime fondato dal grande dittatore non
poté che avviarsi ad un progressivo declino.
Nel
dopoguerra i comunisti presentarono la Russia sovietica come la
grande liberatrice dell'Europa, ma occorre ricordare che le enormi
perdite umane durante la guerra furono la conseguenza
dell'invasione tedesca ma anche della eliminazione della parte
migliore degli ufficiali durante gli anni della Grande Purga. Sulla
condotta della guerra non mancarono d'altra parte gravi ombre: il
Patto Molotov-Ribbentrop sulla spartizione dell'Europa Orientale,
l'eccidio di Katyn, il mancato intervento a favore della Rivolta di
Varsavia.
Nel
periodo staliniano numerose innovazioni introdotte dalla
Rivoluzione riguardo la società vennero eliminate; la famiglia
tornò ad essere il nucleo della società, venne vietato l'aborto,
abolite le scuole con classi miste maschi e femmine, introdotto un
singolare divieto di matrimonio con cittadini stranieri. Il periodo
staliniano per molti aspetti rappresentò un autentico regresso per
la nazione russa. La subordinazione della cultura e il culto della
personalità (che con la imbalsamazione della salma di Stalin
raggiunse livelli patologici) difficilmente trovano riscontro in
altri regimi.
Il
controllo e la rigida subordinazione della cultura, dell'arte, e di
ogni manifestazione di pensiero, insieme all'esaltazione nazionale
russa fu la direttiva principale del governo sovietico; per Zdanov.
"Compito della letteratura sovietica... è aiutare lo stato a
educare in modo giusto la gioventù" . Lo studio non finalizzato
agli obbiettivi di partito venne considerato come "spirito
oggettivo" in contrasto con le direttive dello stato. Venne infine
riabilitato in quegli anni il passato zarista della
Russia.
Non
mancarono nell'URSS le manifestazioni di un nazionalismo gretto e
volgare come la mistificazione delle epopee dei popoli non russi,
della cultura e dell'arte europea; negli stessi anni si ebbe la
attribuzione di alcune importanti scoperte scientifiche e
tecnologiche (fra le quali la radio, l'aeroplano, la lampadina, e
la locomotiva) a uomini di origine russa e la negazione nel campo
scientifico della genetica da parte dell'accademico Lyssenko che
venne ufficialmente approvata dal regime. Il sedicente scienziato
prometteva enormi risultati dall'applicazione delle sue teorie nel
campo agricolo, e gli esponenti della comunità scientifica che vi
si opponevano vennero perseguitati o allontanati. Dove le direttive
della nuova biologia vennero attuate si ebbero gravissimi danni sul
piano economico e ambientale.
Il
nuovo ordinamento stalinista prevedeva una serie di gravi
restrizioni dei diritti dell'individuo; l'arresto venne considerato
un atto amministrativo non soggetto al controllo della
magistratura, e di fatto nessun individuo a qualsiasi categoria
appartenesse poteva considerarsi al sicuro dal cadere
improvvisamente in disgrazia senza conoscere le cause della
sanzione.
Non
appare accettabile la tesi sostenuta da molti comunisti che i
sistemi repressivi di massa realizzati nell'Unione Sovietica
fossero il prodotto dell'isolamento a cui fu sottoposto il paese.
Gli anni del Terrore, seguiti all'assassinio di Kirov nel dicembre
1934 probabilmente programmato da Stalin stesso, vennero a cadere
in un periodo di grande stabilità del paese, quando le minacce
straniere, le armate controrivoluzionarie, le opposizioni politiche
e delle minoranze allogene erano ormai un ricordo del passato. In
campo internazionale a metà degli anni '30 si ebbero alcuni
importanti cambia¬menti; l'Unione Sovietica cessò di essere vista
come una nazione esportatrice di pericolose rivoluzioni, fece
ingresso nella Società delle Nazioni, giudicata fino allora come
una aggre¬gazione di forze borghesi e in campo diplomatico si
dichiarò per il mantenimento dello status quo; nel 1935 concluse un
patto di non aggressione e assistenza con la Francia, integrato con
un'alleanza con la Cecoslovacchia, mentre le relazioni con la
Germania nazista furono per un certo periodo tutt'altro che di
ostilità. D'altra parte l'isolamento per un paese come l'Unione
Sovietica che dispone di risorse naturali immense non poteva avere
molto significato.
Negli
anni '36-'38 si abbatté sul paese la Grande Purga con la quale
venne liquidata la vecchia classe dirigente leninista. Appare
incredibile come una intera categoria di cittadini, in gran parte
bolscevichi che avevano preso parte alla rivoluzione, siano stati
liquidati senza alcuna reazione, così come l'esercito subì senza
ribellarsi la eliminazione delle alte gerarchie militari. Il 70%
dei membri del vecchio Comitato Centrale vennero in diversi modi
epurati o eliminati. Una gigantesca operazione di forza si attuò
nel paese, 8 milioni di cittadini vennero sottoposti a misure
restrittive, 5-6 milioni subirono la deportazione nei campi di
lavoro della Russia settentrionale, e della Siberia. Con tali mezzi
il regime si proponeva di creare una classe dirigente ed una
società allineata e disciplinata con le direttive provenienti
dall'alto.
Nello
stalinismo la repressione non è una degenerazione legata a fatti
contingenti, ma sviluppo logico e parte integrante della dottrina
che intende creare una società anonima e uniforme priva di identità
e di radici storiche. La coercizione, la deportazione, la perdita
della memoria storica e lo svilimento degli oppositori attraverso
le confessioni forzate costituirono gli strumenti ordinari di tale
strategia.
Alcuni
esponenti comunisti a proposito di certi comportamenti del
dittatore georgiano che ripugnavano le coscienze umane hanno
parlato di "errori", ma non è una affermazione condivisibile. Certi
atti, come la creazione dei "gulag" non sono errori ma lo sviluppo
puntuale della dottrina stalinista, errori sono piuttosto da
ritenersi il mancato appoggio dei comunisti europei alla posizione
di Tito. Nel '56 la denuncia di Kruscev sui crimini dello
stalinismo confermò i sospetti dell'opinione pubblica mondiale
sulle pesanti misure coercitive in vigore nel paese e che i
sostenitori del sistema sovietico avevano sempre contestato come
opera della propaganda americana. Le rivelazioni costrinsero i
comunisti ad un diverso atteggiamento; venne affermato che il
comunismo si realizza per "fasi" e che fosse necessario un periodo
dittatoriale per arrivare alla affermazione del socialismo. La
realtà non ha confermato questa opinione l'Unione Sovietica si è
appiattita nell'autoritarismo e a distanza di decenni o di
generazioni non si è registrato alcun progresso nella realizzazione
di uno stato diverso.
I
metodi autoritari non hanno risparmiato nemmeno lo stesso partito
al potere. Il Congresso del partito venne convocato da Stalin in
due sole occasioni, nel '39 e nel '52, il Soviet Supremo venne
privato di fatto dei suoi poteri decisionali, mentre il Comitato
Centrale, responsabile dell'elezione dei massimi organi e del
Politburo, si riunì non più di quattro volte fra il '39 e il
'51.
Le
terribili misure repressive vennero sopportate dalla popolazione
con rassegna-zione. Il popolo russo nutriva nei confronti del
potere un misto di timore, di fedele devozione e di orgoglio
appagato dal nazionalismo. Il rapporto fra stato e cittadino era di
sudditanza talvolta insofferente e passiva talvolta
partecipe.
Il
dopoguerra rappresentò un periodo estremamente difficile per la
nazione russa a causa delle distruzioni della guerra, ma anche per
la prosecuzione delle persecuzioni contro oppositori o più
semplicemente di personaggi che avevano perso la fiducia del
dittatore. In base ai documenti del KGB da alcuni anni disponibili,
risulta che 20 milioni di cittadini sovietici, per periodi più o
meno lunghi soggiornarono nei campi di lavoro forzato. Si tratta di
insediamenti (G.U.L.A.G. ovvero Direzione statale per i campi)
nelle zone interne della Siberia e della Russia settentrionale dove
i detenuti venivano utilizzati nei settori lavorativi più ingrati,
generalmente nelle miniere, direttamente gestiti dalla polizia
politica, all'interno dei quali i reclusi non politici, delinquenti
abituali, era riconosciuto un superiore status. Queste colonie
forzate ebbero un importante ruolo nel processo di
industrializzazione del paese negli anni '30 e '40, tuttavia la
bassa produttività, le attività di controllo dispen¬diose, le
ribellioni di massa (numerose e gestite da associazioni clandestine
anche ben organizzate), resero questo sistema produttivo
scarsamente redditivo e venne drasticamente ridotto dopo la morte
di Stalin. I morti fra il '34 e il '47, come risulta dagli archivi
furono 516.000 , una cifra inferiore a quella calcolata da alcuni
organismi in Occidente; diversamente dai lager nazisti infatti il
fine di questo apparato non era la distruzione di un genere umano,
ma l'utilizzo di mano d'opera a basso costo.
Negli
anni '40 una larga parte dei condannati al lavoro coatto era
rappresentata da minoranze non-russe accusate di collaborazionismo
con i tedeschi. Le deportazioni di massa delle popolazioni allogene
iniziarono già prima del '45. Negli anni '36-'38 vennero colpiti
Ucraini, Tatari, Uzbechi, Mongoli Buriati, nel '40 i Baltici,
Bielorussi e Moldavi, nel '41 i Tedeschi del Volga, nel '44 i
Tatari della Crimea, Calmucchi buddisti, Ceceni, Ingusci, Caraciai;
lo spostamento di popoli interessò circa due milioni di individui.
Le repubbliche autonome di Crimea, Cecenia Inguscezia, dei Tedeschi
del Volga, e dei Calmucchi vennero abolite e sostituite da province
sotto il controllo dello stato; inoltre venne accordato in tutte le
repubbliche ai cittadini di origine russa un posto preminente
nell'amministrazione, in genere il posto di Vice Segretario del
Partito. Anche i gruppi religiosi furono oggetto di misure
repressive, fra questi i Battisti conobbero la deportazione, mentre
relativamente tollerata fu la chiesa ortodossa più incline al
compromesso.
Altra
vittima della politica stalinista nell'immediato dopoguerra furono
i prigionieri di guerra russi rientrati dalla Germania. Soldati e
ufficiali che pure avevano combattuto con valore, che non avevano
collaborato in alcun modo durante l'internamento, vennero al
momento della consegna alle autorità sovietica inviati nei campi di
concentramento perché ritenuti potenzialmente ostili. Analogamente
alla fine della guerra una grande massa di prigionieri di guerra
tedeschi e giapponesi furono trattenuti in Unione Sovietica come
criminali di guerra, in realtà il provvedimento costituiva un
espediente per disporre di manodopera da avviare al lavoro
forzato
La
situazione delle regioni periferiche dello stato sovietico nel
periodo immediatamente successivo alla conclusione del conflitto
mondiale risultava precaria. Lungo la frontiera occidentale
dell'URSS, nell'Ucraina, nelle repubbliche baltiche, e nella
Bielorussia (ma anche al di là del confine in Polonia) operarono
varie gruppi di guerriglia che si erano costituiti nel periodo
dell'occupazione tedesca, di cui Mosca ne venne a capo
definitivamente solo nel '50-'51. Tale situazione ebbe gravi
riflessi sull'agricoltura e nel '46-'47 si ebbero centinaia di
migliaia di morti fra i contadini a causa dei piani di prelievo nei
loro confronti da parte del governo per finanziare la ripresa del
paese, ma anche per le spese militari che rappresentavano nel
periodo precedente alla morte di Stalin circa il 25% del bilancio
dello stato.
La
documentazione in possesso agli storici è ancora oggi fortemente
lacunosa comunque nonostante l'apparente monoliticità dello stato
non mancarono contrasti profondi nel gruppo di vertice. Nel
febbraio del '48 Molotov venne sostituito nella carica di ministro
degli esteri dal procuratore generale della repubblica Wiszinsky,
personaggio temibile e terribile come lo definì lo stesso Gromiko
nelle sue memorie. Il cambiamento non comportò un vero muta¬mento
nella politica estera dell'Unione Sovietica; una svolta sia pure
modesta nelle relazioni USA-URSS si ebbe nel 1952, quando Stalin
visto il fallimento della politica di forza a Berlino come in Corea
ritenne di evitare la politica dello scontro frontale. Fra Zdanov e
Malenkov non mancarono attriti già nell'immediato dopoguerra. Nel
'49 alla morte del primo si verificò il conflitto fra Malenkov,
Berja, Kruscev contro Molotov e gli altri esponenti che erano stati
vicini allo scomparso. Nel '51 infine Berja, ritenuto
eccessivamente potente venne esautorato dal controllo sui servizi
di sicurezza, anche se conservò la carica di ministro degli
interni.
Fra
i cambiamenti avvenuti nei primi anni Cinquanta si ebbe la
modificazione della denominazione del partito da "avanguardia
organizzata della classe operaia dell'URSS" in "organizzazione
volontaria di lotta dei comunisti uniti dagli stessi ideali" ,
mentre la percentuale di iscritti al partito appartenenti alla
classe operaia nel corso degli anni si ridusse progressivamente. Il
partito comunista nel periodo staliniano aveva cessato di essere
"organismo di elaborazione collettiva di un pensiero politico: da
questo punto di vista, la differenza fra comunisti e non comunisti
era diventata per Stalin puramente formale... cinghia di
trasmissione delle direttive emanate dall'alto" .
Al
19° Congresso del partito tenuto nel 1952 Malenkov, il principale
relatore, attaccò Molotov e si fece promotore di alcune innovazioni
in politica estera. Si ritenne che la guerra fredda avrebbe
rafforzato la coesione di Francia, Inghilterra e Stati Uniti e
pertanto venne posta attenzione ai movimenti anticolonialistici che
avrebbero potuto portare ad una rottura fra europei e americani,
anticipando la futura politica kruscioviana; venne invece
confermata la struttura accentrata della direzione dello stato
venne confermata, nonostante il ritorno alla stabilità
interna,
Negli
anni del dopoguerra Stalin assunse una posizione sempre più
sospettosa verso gli organi dello stato e anche del partito,
ovunque il dittatore georgiano vedeva tentativi di complotto e
qualsiasi personaggio emergente che non fosse espressione del
gruppo dirigente venne visto con diffidenza, come nel caso del
maresciallo Zukov, il maggiore protagonista della guerra alla
Germania; venne allontanato da Mosca per un incarico secondario
nonostante che non avesse mai assunto posizioni contrastanti con il
vertice. Altre vittime di quel periodo furono alcuni esponenti del
partito e di organizzazioni locali di Leningrado che avevano
richiesto che fosse riconosciuto alla città l'importante ruolo di
resistenza durante l'assedio nel corso della guerra contro la
Germania e che la sede degli organi della Repubblica federativa
Russa fossero trasferiti nella città del Baltico; la richiesta non
ebbe seguito e i massimi dirigenti cittadini ritenuti responsabili
dell'iniziativa vennero incarcerati o fucilati.
Nel '48 un progetto di costituire una grande comunità ebraica nella
Crimea, spopolata per la deportazione dei Tartari, fu all'origine
di una violenta campagna antisemita di cui ne fecero le spese
uomini di cultura e il Comitato Ebraico Antifascista, il cui
presidente Solomon Michailovic Mikoels venne gettato sotto un
autocarro da agenti dei servizi segreti. Venne inoltre negato agli
Ebrei il diritto di raggiungere la nuova patria in Palestina e la
campagna antise¬mita che si venne a scatenare in quegli anni
nell'URSS e nelle repubbliche dell'Est portò alla rottura delle
relazioni diplomatiche con Israele.
L'ultimo
periodo di vita di Stalin fu contrassegnato da una notevole ripresa
delle epurazioni di cui ne subirono le conseguenze molti alti
dirigenti e stretti collaboratori vittime dei sospetti del
dittatore. Abakumov capo dell'MGB venne arrestato perché ritenuto
troppo legato a Berija; successi¬vamente dopo la morte di Stalin
venne liberato per essere accusato poco dopo per le vicende della
cosiddetta "congiura di Leningrado". Nel 1952 vennero epurati dai
rispettivi incarichi Aleksander Poskrebylev capo della segreteria
personale di Stalin e il generale Nicolaj Vlasik capo della sua
guardia del corpo. Venne incarcerata perché ebrea la moglie di
Molotov senza che ciò suscitasse la reazione del leader comunista.
Successivamente nel gennaio del '53 un gruppo di medici
responsabili delle cure dei massimi dirigenti sovietici, in buona
parte di origine ebrea, vennero accusati complotto e di aver
provocato la morte dello stesso Zdanov. In seguito a tale
iniziativa decine di migliaia di ebrei furono inviati nei campi di
lavoro; solo la scomparsa di Stalin impedì la prosecuzione
dell'opera.
La
morte di Stalin provocò sgomento e dolore nella popolazione, nella
gigantesca massa umana che si dirigeva nella capitale a rendere
onoranza al defunto si verificarono parecchi infortuni che
provocarono numerosi morti. Sulla morte del dittatore numerose sono
state le voci che il decesso non avvenne per ragioni naturali. Si
ritiene che la causa del decesso venne in qualche modo "aiutata"
dall'intervento delle persone vicine (si fece il nome di Berja), e
che i soccorsi medici non poterono arrivare che dopo diverse ore
dalla emorragia cerebrale di cui Stalin fu vittima.
I
progressi dell'Unione Sovietica al termine dei trent'anni di
stalinismo non potevano considerarsi particolarmente numerosi, la
società sovietica conobbe un'autentica involu¬zione. Il dispotismo
come mezzo di progresso di una società si confermava un totale
insuccesso.
Un'economia
per potersi sviluppare adeguatamente necessità di attività come
ricerca, spirito di creatività, libertà d'azione, fattori che non
avevano spazio nell'economia sovietica; d'altra parte le enormi
risorse sottratte alla produzione e destinate alle attività di
controllo, di polizia, nonché alle spese belliche rappresentavano
un peso economico non indifferente. La gestione dell'economia in
forma autoritaria sotto qualsiasi regime difficilmente risulta
produttiva. La centralizzazione del potere decisionale economico e
l'ipertrofia dell'apparato burocratico produssero gravi alterazioni
del sistema economico. I dirigenti di industria costretti ad un
continuo incremento dei ritmi di produzione dovettero ridurre il
livello qualitativo dei prodotti o falsificare i dati
sull'andamento dell'azienda.
L'agricoltura
non ebbe grande sviluppo e non mancarono gli scempi nel campo
ecologico che produssero guasti economici gravi come l'inaridimento
delle terre del Cazachistan. Nel 1940 nonostante la meccanizzazione
e l'ampliamento delle superfici coltivabili (di oltre 6 milioni di
ettari rispetto al periodo precedente) la produzione cerealicola
pro capite non era superiore a quella degli anni precedenti la
Rivoluzione. Situazione ancora peggiore risultava nel settore
zootecnico dove si registrarono dei regressi rispetto al
passato.
Il
primo piano quinquennale nel 1928 con il quale si inaugurò la
politica economica stalinista segnò un sensibile regresso per le
condizioni dei lavoratori: orari di lavoro superiori alla norma (la
legge prevedeva una giornata lavorativa di 8 ore ma normalmente se
ne svolgevano 11 o 12) maggiore disciplina, ricorso al cottimo,
differenziazione dei salari (la costituzione del '36 prevedeva
esplicitamente l'abbandono del principio marxista della
retribuzione del lavoro in base ai bisogni) contrassegnarono quegli
anni. Gli obbiettivi grandiosi del piano (incremento industriale
del 130%, incremento agricolo del 50%) vennero realizzati senza
l'esclusione dei metodi adottati nelle industrie capitalistiche,
contemporaneamente venne realizzata la collettivizzazione completa
delle campagne che venne compiuta attraverso la liquidazione di
quella classe di contadini relativamente benestanti, che aveva dato
vita a organizzazioni di lavoro sufficientemente autonome (erano
considerati tali coloro che possedevano più di 40-60 iugeri di
terra e di 2-4 cavalli). La liquidazione della categoria avvenne
con il ricorso a mezzi coercitivi, deportazioni e massacri (si
calcola che si ebbero 10 milioni di morti e interi villaggi
deportati). La grande opera di industrializzazione venne realizzata
tenendo i prezzi dei prodotti agricoli forzata¬mente bassi,
prelevando in tal modo ricchezza da tale settore per essere
destinato all'industria
La
linea economica seguita nel dopoguerra non divergeva
sostanzialmente da quella seguita negli anni precedenti. La
priorità veniva data alla produzione dei beni strumentali, mentre
il tenore di vita rimaneva a livelli non elevati giustificato dallo
sforzo contro l'"imperialismo". L'unico elemento innovativo di
quegli anni fu l'utilizzo per la ricostruzione delle risorse dei
paesi satelliti con ampio prelievo di beni e anche di
manodopera.
Nella
disciplina del lavoro ritardi nel lavoro erano considerati delitti
punibili con la reclusione anche negli anni del dopoguerra. In
quegli anni vennero introdotti forti incentivi economici a chi
superava la produttività media (stacanovismo), una differenziazione
salariale con rapporti da 1 a 10 all'interno di un medesimo
impianto produttivo, "competizioni socialiste" fra il personale di
aziende dello stesso settore. Il lavoro a cottimo divenne un
sistema ampiamente diffuso, riapparso ufficialmente con una
delibera del Comitato Centrale del PC dell'aprile del
'24.
Successivamente
al conflitto mondiale vennero ulteriormente aggravate le condizioni
di lavoro dei lavoratori dell'agricoltura, costretti a lavorare
senza quasi percepire reddito. Un bracciante delle aziende di stato
in un anno non arrivava a percepire la retribuzione di un operaio
dell'industria in un mese. In base ad una legge degli anni '30 i
contadini non potevano abbandonare il villaggio senza una speciale
autorizzazione ed inoltre la struttura agricola si presentava
notevolmente inefficiente; i piccoli appezzamenti di terra lasciati
in esclusiva ai contadini che rappresentavano non più del 6% del
totale e delle terre coltivabili superavano di gran lunga la
produzione dei Kolchoz e Sovchoz.
Al
termine dei quasi trent'anni di stalinismo, l'Unione Sovietica si
presentava profondamente trasformata in alcuni settori: la
produzione industriale passava dai 40 miliardi di rubli del 1930 ai
245 del 1950 e vaste zone interne desolate erano state colonizzate,
non senza il ricorso tuttavia a metodi coercitivi. La produzione di
carbone fra il 1928 e il 1940 passava dai 36 ai 166 milioni di
tonnellate e quella dell'acciaio dai 4 ai 18 milioni. Tuttavia
molti dei prodotti non giungevano sul mercato e le statistiche non
risultavano sempre attendibili, mentre molte produzioni risultavano
inutilizzabili o prive di interesse per il settore al quale erano
destinate.
La
produzione di cereali costituì uno dei maggiori fallimenti
dell'economia sovietica, lo stesso Kruscev successivamente dovette
riconoscere che in questo settore "il paese si venne a trovare a
lungo al livello della Russia prerivoluzionaria" . La resa
complessiva del settore negli anni 1950-1953 era del 10% superiore
a quella degli anni 1910-1914, ma la resa per ettaro di superficie
coltivabile e quella pro capite risultavano addirittura ridotta. Il
settore dell'allevamento infine registrava valori ancora
peggiori.
Altro
grande problema non risolto dell'Unione Sovietica fu la crisi degli
alloggi nelle grandi città, era considerato normale che una intera
famiglia vivesse in una stanzetta di pochi metri quadrati e che i
servizi igienici fossero in comune in uno stabile per una ventina
di famiglie, mentre diffusissimo risultava il fenomeno della
coabitazione.
I PAESI DEL BLOCCO OCCIDENTALE
Dal
punto di vista economico l'Europa usciva estremamente provata dal
conflitto. Diversamente dalla 1° guerra mondiale, dove le
distruzioni riguardavano solo le zone teatro di guerra, (così ad
esempio l'Inghilterra era uscita praticamente indenne), nell'ultimo
conflitto l'intero continente risultava profondamente devastato.
Impianti industriali, città, ferrovie, comunicazioni marittime
tutto risultava sconvolto. Altissimo si presentava il numero dei
profughi e dei senza tetto, mentre disoccupazione e inflazione
mettevano in difficoltà anche quelle categorie non direttamente
colpite dalle distruzioni. In diverse parti d'Europa, in Germania e
in Russia soprattutto, i danni all'economia provocavano enormi
problemi di disponibilità di cibo per la popolazione. Alla forte
domanda di prodotti dall'estero necessari per i bisogni più urgenti
e la ricostruzione, risultava difficile provvedere a causa della
scarsità di valuta estera disponibile e alla notevole contrazione
delle esportazioni europee verso il resto del mondo. Grande
importanza per la politica di aiuto ai profughi venne dalla
creazione dell'agenzia speciale dell'ONU l'UNRRA al cui
finanziamento provvedeva in larga parte gli Stati Uniti; di questa
iniziativa ne beneficiarono ampiamente i paesi dell'Est e costituì
dopo la cessazione della legge "affitti e prestiti" il maggiore
contributo internazionale alla ricostruzione economica dell'Europa.
I gravi problemi economici che minacciavano l'Europa rendevano più
difficile la ricostituzione di stabili istituzioni; Truman nelle
sue memorie ricorda che il segretario alla difesa americano Stimson
fece presente che: "Durante il prossimo inverno era probabile
sopravvenissero carestia ed epidemia in tutta l'Europa centrale.
Disse che probabilmente a ciò sarebbero seguite la rivoluzione e
l'infiltrazione comunista. Le difese che noi avremmo potuto opporre
a tale situazione sarebbero stati i Governi occidentali della
Francia, del Lussemburgo, del Belgio, dell'Olanda, della Danimarca,
della Norvegia e dell'Italia. Era di capitale importanza impedire
che questi paesi venissero spinti dalla fame verso la rivoluzione o
il comunismo".
I
paesi europei uscirono dal conflitto mondiale fortemente
ridimensionati: le grandi distruzioni operate dalla guerra, il
forte indebitamento con l'estero, la progressiva disgregazione
degli imperi coloniali, la scarsità di risorse naturali rispetto al
colosso sovietico e americano obbligarono il vecchio continente a
rivedere radicalmente la sua politica.
Gli
Accordi di Bretton Woods sulla creazione del FMI e la stabilità dei
cambi, insieme alla creazione dell'ONU e agli Accordi di Yalta
crearono una fiducia eccessiva in un grande avvenire per l'intera
umanità e nella vittoria definitiva e irrevocabile della democrazia
nel mondo, mentre la crisi economica e politica investiva il
vecchio continente.
La
crisi economica e il mutamento dei valori politici causato dal
conflitto favorì in tutta Europa le forze di sinistra e più in
generale provocò il ridimensionamento dei partiti borghesi a favore
di quelli di massa, socialisti, comunisti, cattolici, che in
Francia, Italia e Germania arrivarono a comprendere la massima
parte dell'elettorato. Tuttavia di lì a poco in diversi paesi la
guerra fredda con la conseguente radicalizzazione dello scontro
politico mise in difficoltà i partiti della sinistra moderata,
costretti a scegliere l'adesione a uno dei due schieramenti. La
depressione economica, e sul piano morale lo sforzo bellico
dell'Unione Sovietica contro il nazismo, favorì l'ascesa dei
comunisti anche in quei paesi come la Svezia, la Danimarca, la
Norvegia, il Belgio e l'Olanda dove i comunisti non avevano mai
rappresentato una forza politica di rilievo. Tuttavia solo in
Francia e in Italia il successo di queste forze politiche si
presentò stabile nel tempo, mentre negli altri paesi vennero
facilmente riassorbiti dalla sinistra moderata. I partiti comunisti
europei in linea con il progetto staliniano rinunciavano comunque a
qualsiasi piano di conquista del potere non legalitario e
accettavano la prassi parlamentare.
Il
Piano Marshall e il federalismo europeo divennero due dei
principali temi del dibattito politico del dopoguerra: Il programma
di aiuti americano venne contestato dalle forze di sinistra filo
comuniste come un'ingerenza degli Stati Uniti negli affari interni
dei paesi europei. Tale giudizio non veniva condiviso dalle altre
forze politiche; una nazione che intende utilizzare il proprio
potere economico su altri paesi preferisce servirsi di accordi
bilaterali dove può strappare vantaggi superiori e mettere in
concorrenza tra loro i beneficiari; il piano americano prevedeva
invece la costituzione di un'organizzazione europea (l'OECE) con
l'incarico di provvedere alla distribuzione degli aiuti. Anche la
questione dell'integrazione europea divideva i comunisti
(sostenitori invece dell'internazionalismo proletario e di un
legame privilegiato con l'Unione Sovietica) dal resto delle forze
politiche in massima parte favorevoli (esclusi i gollisti e i
nazionalisti in genere) ad un accordo in materia economica fra le
nazioni del vecchio continente e ad un nuovo spirito di
collaborazione fra paesi che condividevano gli stessi ideali
democratici, iniziativa che incontrava il favore degli stessi Stati
Uniti.
L'azione
dei comunisti in Italia, Francia, Jugoslavia e Grecia (su espressa
disposi-zione di Mosca) fu estremamente prudente. In Francia e in
Italia i comunisti disponevano di un vasto consenso e di una forza,
anche sul piano militare, non indifferente, tuttavia Stalin
richiese di non forzare la situazione. Si riteneva che non vi
fossero le condizioni per la realizzazione di un regime comunista e
che in ogni caso questo avrebbe potuto facilmente mantenersi non
allineato con Mosca così come era avvenuto in Jugoslavia. Tuttavia
nel campo occidentale si ebbero una serie di provvedimenti
restrittivi nei confronti delle organizzazioni comuniste; il
governo laburista inglese decise nel '48 l'esclusione dei comunisti
da alcune istituzioni dello stato, seguito da analoghi
provvedimenti in Francia e negli Stati Uniti.
La
Gran Bretagna soprattutto avvertì le esigenze di un accordo di
collaborazione in Europa, già nel corso della guerra Winston
Churchill espresse la sua opinione sulla necessità della creazione
di una grande coalizione di paesi europei per contrastare
l'influenza sovietica e una possibile ripresa del nazismo.
L'Inghilterra nella opinione di molti non era più in grado di
mantenere il suo status di grande potenza e si apprestava
realistica¬mente a ridimensionare il suo ruolo.
Nel
luglio del '45 i conservatori, sotto il grave peso della crisi
economica e dei sacrifici imposti dalla guerra, vennero fortemente
penalizzati dall'elettorato. La svolta a sinistra venne considerata
significativa delle nuove tendenze affermatisi in Europa. Il nuovo
governo nel biennio 1946-47 procedette ad un piano di radicale
trasformazione sociale ed economica del paese. Vennero
nazionaliz¬zati importanti settori economici, banche, trasporti,
attività minerarie, produzione di energia elettrica e dell'acciaio.
Venne dato impulso alla ricostruzione edilizia delle città
maggiormente colpite dalle devastazioni della guerra, alla riforma
dell'insegnamento, all'estensione dei servizi sociali, e si fece
ricorso alla svalutazione della sterlina per fronteggiare la
difficile situazione della bilancia con l'estero. Tali iniziative
vennero attuate attraverso il ricorso a finanziamenti degli Stati
Uniti, verso i quali il governo si impegnava a rinunciare a certi
privilegi coloniali, a sottoscrivere gli Accordi di Bretton Woods
non ancora ratificati, e quelli sul liberalizzazione del commercio
internazionale (il GATT), che contribuirono al progressivo
ridimensionamento del ruolo economico del paese.
I
provvedimenti adottati dai laburisti non furono in grado tuttavia
di migliorare la situazione economica del paese e nel 1947 Attle fu
costretto ad adottare un piano di austerità, consistente in forti
restrizioni ai consumi e razionamento di alcuni viveri che provocò
nel '49 la grave agitazione dei portuali; l'ondata di scioperi
(ispirati dai comunisti) costrinse il governo a decretare lo stato
d'emergenza. Nuovamente il governo si trovò nelle condizioni di
dover chiedere l'intervento degli americani, i quali decisero un
piano di aiuti generalizzati all'intero continente europeo che
passò alla storia come Piano Marshall.
Alla
svolta in campo economico non coincise una diversa politica estera;
la Gran Bretagna rimase l'alleato privilegiato degli Stati Uniti,
l'impegno nella guerra fredda rimase inalterato, e proprio il
governo laburista, nella persona del ministro degli esteri Bevin,
si fece promotore dell'alleanza atlantica.
Nello
stesso periodo l'Inghilterra fu costretta a riconoscere
l'indipendenza del Pakistan, dell'India e della Birmania, a
recidere definitivamente gli ultimi legami politici con l'Irlanda a
rinunciare ai suoi privilegi in Egitto, e a definitivamente
rinunciare al suo impero coloniale.
La
Francia uscita dalla guerra con gravi danni attraversò un periodo
di instabilità politica che non favorì la ripresa economica. Nel
'44 numerose regioni presidiate da gruppi comunisti, sfuggivano al
controllo del governo centrale e solo un accordo fra il governo di
Parigi e quello di Mosca, finalizzato anche a contrastare
l'influenza anglo-americana nel continente, consentì il disarmo dei
partigiani e il ritorno alla normalità. In politica estera De
Gaulle mantenne un distacco da entrambi blocchi, politica che venne
seguita anche dai suoi immediati successori. Tale politica, come
era realisticamente prevedibile, non ebbe successo e negli anni
successivi la Francia dovette rinunciare alle sue
ambizioni.
Difficile
risultò anche il problema costituzionale. Nel 1946 l'Assemblea
Costituente vide il suo progetto costituzionale respinto da un
referendum popolare e nell'anno successivo vennero indette nuove
elezioni. Approvata finalmente la nuova costituzione che prevedeva
un esecutivo con poteri limitati e un sistema parlamentare che non
consentiva la formazione di stabili maggioranze, la situazione
politica non migliorò, e avviò il paese a quella crisi che nel ’58
portò al governo con poteri speciali presieduto da De
Gaulle.
Nelle
prime elezioni parlamentari i comunisti ottennero 186 seggi, i
socialisti 103, il movimento popolare repubblicano di ispirazione
democratico cristiana 166. Si venne a creare un governo di vasta
coalizione sotto la presidenza del socialista Auriol, ma nell'anno
successivo i comunisti uscirono dalla maggioranza, mentre una vasta
ondata di agitazioni condotte dalla CGT, sindacato di ispirazione
comunista, tentò di mettere in difficoltà il governo. Il distacco
dei comunisti dall'area di governo in Francia, avvenuto nello
stesso periodo in cui il partito comunista italiano rompeva con le
forze politiche moderate, si è realizzato in forma molto diversa.
In Francia i comunisti mantenevano un atteggiamento molto più
intransigente che gli aveva alienato le simpatie degli altri gruppi
di sinistra e nonostante il grande successo elettorale non erano
quindi in grado di determinare un cambiamento nello scenario
politico di quel paese. La rottura avveniva sulla politica
coloniale verso l'Indocina e su quella sindacale; nei mesi
successivi il peggioramento della situazione economica del paese
spinse il governo a severe misure di razionamento alimentare, e nel
novembre del '47 al richiamo di 80.000 uomini sotto le armi per
fronteggiare le agitazioni dirette dai comunisti (vennero scoperti
depositi di armi sovietiche), che rischiavano di degenere in atti
insurrezionali. Alla opposizione comunista venne ad aggiungersi
quella di destra, il Rassemblement du People Francais diretta da De
Gaulle, che chiedeva un maggiore ruolo internazionale della Francia
e un governo con maggiori poteri in grado di contrastare il regime
dei partiti. Tale situazione portò alla formazione di un vasto
raggruppamento di centro sinistra denominato Terza Forza, che
escludeva i gruppi estremistici di destra e di
sinistra.
Analogamente
alla Gran Bretagna anche la Francia decise un vasto piano di
nazionalizzazioni di importanti settori economici e iniziative in
materia di legislazione sociale. I risultati furono inferiori alle
aspettative e il programma economico del radical socialista Mendes
France venne contrastato anche dalle forze moderate della
coalizione. Come in Inghilterra lo stato intervenne a sostegno
dell'economia, venne svalutato il franco, e veniva intrapresa una
riforma profonda dell'impero coloniale ormai destinato al
tramonto.
La
questione italiana risultava anche più complessa rispetto a quella
degli altri paesi europei. Alle difficoltà economiche causate dalla
guerra, si aggiungevano quelle prodotte dalla particolare posizione
del nostro paese, zona di confine fra la sfera d'influenza
occiden-tale e sovietica, e con una regione, la Venezia Giulia,
sulla quale la Jugoslavia avanzava pesanti pretese. A differenza di
altri paesi in Italia inoltre, lo stato democratico doveva essere
interamente ricostituito, alcuni, come Benedetto Croce, ritenevano
che si dovesse ritornare allo status quo precedente il fascismo,
altri, soprattutto le forze che si erano maggiormente impegnate
nella Resistenza, ritenevano che si dovesse creare uno stato
completamente rinnovato sul piano politico e sociale.
Nel
giugno del '46 si tenne il referendum sulla questione istituzionale
e le elezioni per l'Assemblea Costituente. La consultazione si
svolse fra gravi irregolarità, minacce, (molti gruppi armati non
avevano deposto le armi), mentre molti cittadini vennero messi
nelle condizioni di non poter votare. La repubblica ottenne la
maggioranza con un modesto margine e sui risultati non mancarono le
contestazioni da parte della Real Casa e di alcuni giuristi sul
sistema di conteggio dei voti.
Con
la caduta del fascismo e della monarchia la Chiesa riprese una
posizione nel paese che nei decenni precedenti aveva perduto.
L'organizzazione cattolica divenne l'istituzione principale del
paese; con la sua struttura capillarmente diffusa alla vigilia del
18 aprile diede vita ad una vasta rete propagandistica (i Comitati
Civici), superiore a quella della stessa Democrazia
Cristiana.
Nel giugno del '47 il presidente del consiglio De Gasperi si recò
negli Stati Uniti per richiedere aiuti economici. La missione ebbe
esito felice; gli americani accettarono di prestare soccorso alla
nostra economia, ma l'aiuto americano aprì la strada alla rottura
con i comunisti e socialisti e alla fine della collaborazione fra i
partiti che aveva governato il paese dal '44. I comunisti che fino
allora avevano tenuto un comportamento molto moderato, giungendo
alla approvazione in sede costituzionale dei Patti Lateranensi
avversati dai liberali e dagli altri partiti di sinistra, ripresero
piena autonomia. La avversione dei comunisti al Piano Marshall, e
il colpo di stato filo sovietico a Praga contribuirono alla
radicalizzazione della lotta e alla rottura (come già era avvenuto
in Francia) fra comunisti e democratici all'interno delle
organizzazioni sindacali. La situazione economica del paese non
migliorò, manifesta¬zioni contro il caro vita e la disoccupazione
degenerarono in tumulti. Nel Meridione, e in Sicilia, dove operava
un attivo movimento separatista, si diffusero le occupazioni di
terre. La tensione culminò nel paese nel novembre del '47 in
seguito all'assalto alla Prefettura di Milano da parte di
dimostranti armati comunisti. La drammatica situazione nel paese
provocò la scissione del gruppo socialista democratico di
Saragat.
La
minaccia di una spaccatura gravissima nel paese divenne incombente,
si ritenne che i comunisti con l'appoggio dei gruppi partigiani
tentassero di creare un governo autono-mo nel Nord sotto la
protezione delle armate titoine. I trattati di pace d'altra parte
avevano imposto al paese delle forze armate ridotte al minimo non
capaci di contenere una ampia sollevazione. La questione di
Trieste, a cui la popolazione italiana si dimostrò molto sensibile
, influì sulle vicende di quel periodo e favorì i gruppi moderati e
filo americani.
L'appoggio
anglo-americano alle forze politiche anticomuniste non venne a
mancare: nel marzo del '48 il Segretario di Stato Marshall fece
sapere che gli aiuti al paese sarebbero cessati qualora un governo
comunista si fosse insediato. Successivamente si venne a sapere che
l'ammiraglio americano Carney, senza consultarsi coi superiori,
teneva pronte armi da consegnare ai carabinieri e alle forze armate
per far fronte all'eventuale minaccia di un atto di forza delle
sinistre.
Le
elezioni del ’48 diedero la maggioranza assoluta alla Democrazia
Cristiana alla Camera, e un'ampia maggioranza relativa al Senato,
la crisi del paese sembrò superata, ma nel luglio dello stesso
anno, l'attentato a Palmiro Togliatti da parte di uno studente
scatenò gravissimi tumulti a stento trattenuti dai massimi
dirigenti comunisti. L'adesione alla NATO nell'anno successivo
diede luogo a nuove manifestazioni di piazza e incidenti, ma il
potere appariva ormai ben consolidato e il paese si avviava
progressivamente alla normalizzazione.
I
problemi delle guerra fredda investirono anche la Chiesa Cattolica
che nel 1949 si inserì nel contrasto fra Est e Ovest. Pio XII, (che
pure in precedenza non aveva preso posizione nei confronti del
nazismo), espresse con atto ufficiale una pesante condanna verso il
comunismo, in nome di valori sostanzialmente antiliberali. Venne
affermato che costituiva "peccato mortale" non solo l'adesione al
partito comunista, ma anche l'adesione ad associazioni dove i
comunisti fossero ampiamente presenti (come la Confederazione del
Lavoro o le associazioni partigiane) o che comunque facessero
"causa comune con il comunismo". Nell'anno successivo, un decreto
papale comminò la scomunica a tutti coloro che avessero agito in
contrasto con le legittime autorità ecclesiastiche e venne
riaffermato il principio dell'autorità religiosa sui
fedeli.
In
Svezia, Norvegia, Danimarca, Olanda la situazione politica
risultava meno agitata che negli altri paesi del continente e
avviata ad uno sviluppo non traumatico e pacifico. Nei paesi
scandinavi in particolare, si affermava un vigoroso programma
socialdemocratico di riforme economiche che davano vita al
cosiddetto "welfare state".
Nel Belgio si presentava la questione istituzionale del ritorno al
trono di re Leopoldo, criticato per il comportamento tenuto verso
la Germania nazista, questione che divideva la comunità vallone da
quella fiamminga, quest'ultima più legata alla Corona. Superato nel
1951, con l'abdicazione il contrasto, la situazione si avviava
rapidamente alla normalità. Alle elezioni del 1946 il Partito
Social Cristiano riportava il 42% contro il 33% dei socialisti e il
13% dei comunisti; con l'esclusione del quadriennio 1954-58 le
forze conservatrici rimasero al potere per circa trent'anni. In
Olanda il partito popolare cattolico, che nel corso degli anni si
apriva alla collaborazione coi socialisti, riportava una discreta
affermazione, mentre i comunisti nonostante avessero riportato il
12% dei voti rimaneva isolato ai margini della vita politica. In
Norvegia e in Danimarca la ripresa economica e della vita delle
istituzioni non presentava problemi e anche qui la presenza dei
comunisti rimaneva sostanzialmente irrilevante.
Spagna e Portogallo che non avevano risentito degli effetti della
guerra mantenevano inalterati i loro regimi; la Spagna franchista
comunque si trovò al centro di dure critiche da parte della
comunità internazionale. Il governo di Madrid escluso dall'ONU e da
tutti gli organismi internazionali, ma non sottoposto ad embargo
commerciale come richiesto dall'URSS, condusse una vita politica ai
margini dell'Europa. Nel '46 il governo francese, successivamente a
scontri fra partigiani francesi con l'esercito regolare spagnolo
nei Pirenei, dispose la chiusura della frontiera con la Spagna. Nel
dicembre dello stesso anno l'Assemblea Generale dell'ONU chiese il
ritiro degli ambasciatori di tutti i paesi dalla Spagna, ma negli
anni successivi l'isolamento venne parzialmente ridotto.
Alle difficoltà economiche e politiche dell'Europa si contrapponeva la positiva situazione dell'America che negli anni della seconda guerra mondiale aveva acquisito una grande fiducia nel proprio ruolo internazionale che impedì quel ritorno all'isolazionismo che era seguito alla fine del 1° conflitto mondiale. Gli Stati Uniti si fecero promotori di una nuova politica economica mondiale, più aperta al libero scambio e all'accesso alle materie prime, principi previsti nella stessa Carta Atlantica, e quindi del sostegno della democrazia, della legalità e del diritto internazionale.
Nel
campo economico e sociale alla politica del presidente americano,
favorevole alla continuazione delle iniziative rooseveltiane si
contrappose il Congresso, a larga maggioranza conservatore in
quegli anni, che approvò leggi (il Taft-Hartley Act) limitative dei
diritti sindacali. Truman si impegnò comunque in una politica di
sostegno ai ceti economici più deboli, il "Fair Deal" che prevedeva
l'aumento dei minimi salariali, la promozione del pieno impiego, e
importanti opere pubbliche al fine di garantire una migliore
distribuzione del reddito.
I
primi anni Cinquanta furono caratterizzati in America dalla
diffusione fra l'opinione pubblica e le autorità di governo del
timore di gravi infiltrazioni di agenti comunisti nei principali
centri di potere e nelle attività riservate dello stato. Il
fenomeno prese nome di "caccia alle streghe" o "maccartismo" dal
nome del senatore Mac Carthy che fra il 1950 e il 1954, quale
presidente della Commissione d'inchiesta sulle "attività
antiamericane", accusò pubblicamente numerosi esponenti politici di
avere rapporti con ambienti comunisti (fra gli accusati anche
personaggi come Arthur Miller, Charlie Chaplin, il generale
Marshall e successivamente lo stesso presidente Eisenhower). Mac
Carthy venne smentito dallo stesso Senato americano, ma ciò non
impedì il diffondersi dello stato d'allarme. Il fenomeno del
maccartismo non costituì una forma di isterismo collettivo come
talvolta è stato sostenuto. La sottrazione dei piani della bomba
atomica non poteva non suscitare timori e gravi dubbi sulle misure
di sicurezza del governo. Da parte di numerosi e autorevoli
esponenti inoltre si ammetteva esplicitamente il rischio di una
nuova guerra, lo stesso generale Patton (suscitando la reazione di
Truman) espressamente aveva dichiarato poco prima della morte che
il paese doveva prepararsi alla 3° guerra mondiale . Nel '46 in un
sondaggio d'opinione risultò che il 58% degli americani riteneva
che la Russia volesse imporsi come la maggiore potenza mondiale,
nel '48 tale percentuale salì al 77% e nel '50 all'81%.
Nel
1950 venne approvato (nonostante il veto presidenziale) l'Internal
Security Bill in base ad esso le organizzazioni comuniste non
vennero considerate illegali, ma obbligate a rendere pubblici i
loro documenti, e come in Gran Bretagna, i membri di tali
organizzazioni vennero esclusi dagli incarichi nel settore della
Difesa. Vennero poste anche limitazioni all'immigrazione: agli
esponenti di organizzazioni con finalità totalitarie (nazisti e
comunisti sostanzialmente) venne interdetto l'accesso nel paese.
Numerosi dirigenti del partito comunista vennero condannati per
"propaganda contro l'ordine costituito". Nel 1951 negli Stati Uniti
2000 funzionari di stato si trovarono nelle condizioni di dare le
dimissioni, mentre 212 vennero sospesi dal servizio; il caso che
destò più sensazione fu quello del funzionario Alger Hiss, alto
dirigente del Dipartimento di Stato, che accusato di aver passato
documenti riservati all'estero, venne condannato a seguito di un
processo penale anche se la pena riguardava solo un reato minore,
per falsa testimonianza. Anche alcuni grandi uomini di scienza come
Oppheneihmer, vennero colpiti dal sospetto ed esclusi da alcune
ricerche scientifiche.
Le
accuse ingiuste del senatore Mc Carthy, disapprovate anche dallo
stesso Eisenhower, vennero riconosciute come tali, i procedimenti
penali, fra cui quello ai coniugi Rosenberg, che aveva interessato
l'opinione pubblica mondiale, si svolsero nel rigore previsto dalle
leggi americane in dibattimenti processuali ampiamente
pubblicizzati dagli organi d'informazione; le garanzie
costituzionali non vennero meno, e la democrazia americana superò
la difficile prova.
Un
altro importante caso che interessò l'opinione pubblica americana
fu quello di Henry Wallace Segretario al Commercio del Presidente
Truman (già collaboratore di Roosevelt) che nel '46 diede le
dimissioni perché in contrasto con il Presidente sulla questione
dei rapporti con l'URSS. Costituì un "partito progressista"
pacifista e contrario all'antagonismo con l'Unione Sovietica; alle
elezioni successive tuttavia non ottenne che il 2,38% dei voti, e
ben presto uscì dalla scena politica .
Sul
piano della politica estera il Presidente Truman rivelò una grande
capacità di innovatore. Con il programma di aiuti all'Europa,
l'assistenza ai paesi emergenti, il cosidetto "quarto punto", e il
sostegno ai governi impegnati diretta¬mente nella guerra fredda
diede al paese una posizione e una responsabilità mai assunte in
precedenza. Al primato economico che gli Usa avevano raggiunto da
decenni si aggiungeva quello politico che lo stato americano non
aveva mai ricoperto, all'inizio degli anni Cinquanta tuttavia non
mancavano esponenti conservatori americani, come l'ex presidente
repubblicano Hoover, favorevoli alla politica di isolazionismo e al
ritiro delle forze americane dall'Europa. Gli Stati Uniti con
Truman non limitarono più, come nel passato a interessarsi
dell'andamento economico del continente, della situazione dei
mercati, ma con decisione affermarono che ogni violazione dei
principi del diritto internazionale, in ogni parte del mondo
costituiva una minaccia a quei valori di cui il paese era
sostenitore.
L'AFFERMAZIONE
DEI REGIMI COMUNISTI
NEI
PAESI DELL'EST
I
paesi dell’Europa orientale non avevano conosciuto un vero sviluppo
economico e la base dell’economia rimaneva un’agricoltura molto
arretrata, che anche dove non era presente il latifondismo, non
consentiva la diffusione del benessere. Nel periodo fra le due
guerre erano sorti partiti socialisti, partiti contadini, e partiti
comunisti ma con scarsi risultati. I partiti di ispirazione
marxista avevano una presenza significativa in Cecoslovacchia, in
Bulgaria, in Jugoslavia mentre negli altri paesi dell'Europa
orientale disponevano di un consenso molto limitato. In Ungheria
dopo la rivolta del '19 i comunisti persero gran parte del loro
seguito popolare, mentre in Polonia venivano visti con una certa
diffidenza a causa del loro legame con la Russia, tradizionale
nemico del paese, in Romania infine i comunisti erano presenti con
un organizzazione di poche migliaia di simpatizzanti.
Gli
sviluppi politici nei paesi dell'Est nel periodo del dopoguerra non
differiscono di molto, non esistono differenze significative fra
paesi ex alleati dell'Asse (Ungheria, Bulgaria, Romania) e paesi
che hanno conosciuto l'occupazione nazista (Polonia e
Cecoslovacchia) né fra paesi relativamente industrializzati e paesi
più poveri. Sostanzialmente il processo di sovietizzazione dei
paesi dell'Europa orientale presenta caratteri comuni, anche se la
realizzazione della dittatura fu rapida in Romania, Bulgaria e
Polonia, mentre In Cecoslovacchia e in Ungheria avvenne in tempi
più lunghi e i due paesi poterono sperimentare, anche se per un
periodo brevissimo governi nati da liberre elezioni. Nella prima
fase sorsero coalizioni fra partiti antifascisti, successivamente i
partiti non allineati vennero attraverso arresti e persecuzioni
soppressi, assorbiti dal partito comunista o sottomessi alle
direttive del governo. Lo stesso partito comunista venne infine
epurato degli elementi comunisti non conformi alle direttive di
Mosca.
Lo
storico Renè Remond ha messo in luce che una certa rassegnazione
dei popoli dell'Europa orientale nei confronti della Russia era
dovuta alle inaudite violenze che questi paesi avevano subito da
parte della Germania e dal pesantissimo tributo di vite umane, (in
Polonia più di un quinto della popolazione perse la vita nel corso
della guerra), che questi stati avevano subito nel corso della
seconda guerra mondiale.
Nei
paesi dell'Est non diversamente da quanto successo in Italia e
Francia successivamente alla seconda guerra mondiale si affermarono
governi di coalizione nazionale, ma in questi paesi gli eserciti
"di liberazione" svolsero un ruolo determinante nelle vicende
successive. Nell'Europa orientale i partiti non allineati con Mosca
vennero privati progressivamente dei loro capi autentici e
sostituiti con personaggi graditi ai comunisti. In Bulgaria nel
marzo del '45 la sede dell'Unione Agraria venne occupata dai
comunisti con l'appoggio dell'esercito sovietico; nella DDR, in
Polonia, in Bulgaria, in Romania il partito socialista venne
assorbito forzatamente nel partito comunista. La "denazificazione"
nella Germania orientale e la persecuzione dei collaborazionisti
nel resto dell'Europa orientale da parte dei sovietici fu motivo
per eliminare gran parte degli oppositori alla comunistizzazione di
quegli stati. I servizi segreti controllati dai comunisti, come la
spia passata in Occidente Gordievskij ha rivelato, hanno avuto un
ruolo fondamentale in questa operazione e nella realizzazione dello
stato comunista.
Romania,
Bulgaria e Polonia furono i primi paesi ad essere liberati
dall’Armata Rossa, e i primi dove si impose un governo comunista.
Nell’agosto del ’44 quando le truppe sovietiche erano penetrate nel
paese, il sovrano d’accordo con le alte gerarchie militari decise
l’arresto di Antonescu e degli uomini del suo governo. Nello stesso
mese i russi entrarono a Bucarest e successivamente venne
costituito un governo di coalizione (liberali, partito contadino,
socialisti e comunisti) presieduto dal generale Sanatescu,
sostituito successivamente da Radescu. Nel paese si ebbe
immediatamente una situazione di tensione con la nascita di reparti
operai armati. Nel febbraio dell'anno successivo, nel corso di una
manifestazione del Fronte Nazionale Democratico (associazione che
comprendeva comunisti, socialisti, e Fronte dei Lavoratori della
Terra, una formazione politica di minime dimensioni) si
verificarono numerosi morti. L'incidente diede il pretesto ai
sovietici per intervenire direttamente, e imporre al re (fortemente
in difficoltà per il suo precedente sostegno alla dittatura filo
tedesca) la costituzione di un governo a prevalenza comunista
presieduto da Petru Groza, capo dei comunisti del Fronte dei
Lavoratori della Terra. "In Romania" secondo Harry Truman "I russi
dirigevano la Commissione di controllo alleato, senza consultare i
membri inglese e americano. Il Governo era un governo di minoranza,
dominato dal partito comunista che, a dire del generale [il
comandante americano Schuyler] non rappresentava nemmeno il dieci
per cento della popolazione romena. La vasta maggioranza del popolo
romeno, egli diceva, non era soddisfatta dal Governo, nè di
qualsiasi altra forma di comunismo... Dal lato economico, la
Romania veniva strettamente legata allo stato russo, tramite
pagamenti in conto riparazioni, con il trasferimento di
proprietà che i russi dichiaravano essere state dei tedeschi, e con
la requisizione delle attrezzature industriali come trofei di
guerra. Per di più, la Romania veniva quasi del tutto tagliata
fuori dai rapporti commerciali con le altre nazioni, e questo la
costringeva a dipendere sempre più dalla Russia". Gli Alleati
intervennero per ristabilire la legalità nel paese ma non poterono
che ottenere l'inclusione di due membri del partito liberale e del
Partito Contadino nel governo. Le elezioni dell'anno successivo,
che si svolsero in un clima di pesante intimidazione, diedero 386
seggi alla coalizione filo comuni¬sta, 32 al Partito Contadino, e 3
ai liberali.
Nel
1947 i membri dell'opposizione furono accusati di complotto contro
lo stato, il Partito Contadino venne sciolto, il suo leader Maniu
condannato all'esilio, mentre Bratianu, (che negli anni precedenti
si era opposto al governo filo tedesco di Antonescu) leader dei
liberali riparò all'estero. Nel dicembre il re venne costretto ad
abdicare. Il potere venne concentrato nelle mani del leader
comunista Gheorghiu-Dej, che in precedenza era stato membro del
NKVD, il servizio segreto sovietico. Negli anni successivi numerosi
dirigenti comunisti e 192.000 iscritti al partito sospettati di
titoismo vennero espulsi, poco più tardi nel '52 Anna Pauker,
attiva dirigente comunista venne allontanata bruscamente dal potere
in quanto ebrea. Cattolici, ebrei e uniati (cattolici di rito
orientale) subirono restrizioni e persecuzioni. Venne introdotta
nel paese la pena di morte anche per reati non gravi e numerosi
diplomatici occidentali vennero accusati di spionaggio.
Nel
settembre del '44 la Bulgaria, dove negli anni precedenti il PC
aveva raggiunto il 20-25% dei voti, venne invaso dall'Armata Rossa
e costretta con un atto politico piuttosto insolito, a dichiarare
guerra all'URSS (il governo bulgaro, alleato della Germania, aveva
dichiarato guerra a Gran Bretagna e Stati Uniti ma non alla Russia)
al fine di consentire una diversa posizione giuridica di
Mosca.
Contemporaneamente
all’ingresso delle truppe sovietiche un colpo di stato organizzato
da una parte dell’esercito e dai gruppi partigiani, dichiarò
decaduto il governo filo occidentale di Muraviev, e impose un
governo del Fronte Patriottico (Zveno, Unione Agraria,
socialdemocratici e comunisti), presieduto dal colonnello Georgiev,
un ex-leader dell'estrema destra, governo all'interno del quale i
comunisti controllavano i maggiori centri di potere. Nei mesi
immediatamente successivi la composizione di governo venne più
volte modificata, mentre gli oppositori vennero perseguitati.
Secondo le fonti ufficiali oltre 2.000 vennero passati per le armi
e 10.000 arrestati, ma si ritiene che il numero delle vittime sia
stato di molto superiore, e lo stesso Dimitrov, capo del partito
contadino, appena rientrato nel paese, dovette fuggire. Come in
Romania, l’Unione Sovietica fece sentire il suo peso politico, e di
fronte ad un tentativo di accordo fra i partiti, vennero imposte
delle restrizioni all’ingresso di esponenti anticomunisti nel
governo. Le elezioni nel novembre dell’anno successivo, durante le
quali furono assassinati 24 esponenti del partito contadino,
attribuirono il 78% dei voti (ma i risultati vennero contestati
dalle opposizioni) al Fronte Patriottico, dal quale erano già
usciti gli esponenti moderati e quelli socialdemocratici. Il
Partito Contadino, già perseguitato in precedenza, venne sciolto e
il suo leader Petkov, grande figura della resistenza al nazismo,
giustiziato, fatto che suscitò le proteste degli
anglo-americani.
Nel paese si instaurò progressivamente il regime del terrore; negli
anni successivi il Vice Primo Ministro Kostov venne accusato di
deviazionismo con altri dieci esponenti e giustiziato. Quasi
100.000 membri del partito e 17 dei 40 membri del Comitato Centrale
del partito, secondo fonti dello stesso regime, vennero espulsi e
nel '53 venne emanato un decreto in base al quale i cittadini che
tentavano di lasciare il paese senza permesso erano condannati a
morte e le loro famiglie internate in campi di
concentramento.
A
seguito delle numerose violazioni del diritto internazionale nel
febbraio del '50 gli Stati Uniti ruppero le relazioni diplomatiche
con il governo di Sofia.
In
Polonia il partito comunista costituiva una ristretta forza
politica con scarso seguito nel paese, e negli anni passati molti
dirigenti comunisti fuggiti in Russia avevano trovato la morte nel
corso delle purghe staliniane. Alla fine della guerra i comunisti
pertanto non rappresentavano che una ristretta minoranza nel
panorama politico del paese.
Gli
accordi di Yalta avevano previsto per la Polonia l'allargamento del
Governo di Lublino agli esponenti democratici e lo svolgimento di
libere elezioni per la formazione di un nuovo governo. Subito dopo
la conclusione delle ostilità sedici capi della maggiore
organiz-zazione della resistenza, l'Esercito Nazionale (Armia
Krajova), giunti in Polonia vennero arrestati, condotti a Mosca e
nonostante le proteste occidentali condannati. Il governo, (in cui
erano presenti alcuni esponenti del Partito Contadino, ma in
posizione di minoranza), attuò nei mesi successivi un'opera di
repressione dell'opposizione, e decise lo svolgimento di un
referendum sull'as¬setto costituzionale del paese, il risultato del
medesimo fu largamente contrario alle aspettative dei comunisti,
comunque il governo annunciò di aver ottenuto un successo con il
68% dei consensi. La situazione appariva grave, e lo stesso
ambasciatore americano a Varsavia, Bliss Lane in un rapporto a
Washington commentava: "L'NKVD e l'UB [rispettivamente il servizio
segreto sovietico e quello polacco] tenevano le redini del potere
così saldamente che nessuna democrazia, nel significato che diamo a
questa parola, sarà attuabile in Polonia negli anni a venire"
.
Nel
gennaio del '47 si tennero le elezioni generali, il Blocco
Democratico ottenne 386 seggi, altre liste filo governative 22, il
Partito Contadino 28, si trattava di risultati elettorali
falsificati in maniera nemmeno troppo nascosta, che suscitarono le
proteste di Gran Bretagna e Stati Uniti. Le persecuzioni contro gli
esponenti dell'opposizione e la magistratura non cessarono e il
leader del Partito Contadino Mikolajczyk, ultimo rappresentante
delle forze politiche filo occidentali, fu costretto ad abbandonare
il paese.
Nell'anno successivo Wladislaw Gomulka, segretario del partito
comunista e già membro della resistenza, che si era rifiutato di
associarsi alla condanna di Tito, venne costretto a dimettersi e
tre anni dopo incarcerato. I sovietici comunque, non pienamente
soddisfatti della situazione venutasi a creare, per rafforzare il
controllo sul paese imposero il maresciallo di cittadinanza
sovietica Kostantin Rokossovsky come ministro della difesa e
comandante in capo dell'esercito, e numerose altre cariche nelle
forze armate vennero affidate a cittadini sovietici.
Anche
la Chiesa Cattolica che aveva largo seguito nel paese, ed in
particolare il suo primate Wyszynski, divenne oggetto di
persecuzioni, mentre le relazioni con i governi occidentali si
deteriorarono rapidamente e nel 1950, una serie di accuse rivolte a
diplomatici e corrispondenti europei ed americani, portarono vicino
al punto di rottura le relazioni diplomatiche con
l'Occidente.
L'Ungheria
in quanto ex alleato della Germania fu soggetta alla Commissione
Alleata di Controllo, all'interno della quale i sovietici
esercitavano di fatto un vasto potere. Nel novembre del '45 si
tennero le elezioni con le quali il Partito dei Piccoli Proprietari
(analogo al partito contadino degli altri paesi dell'Est) riportò
la maggioranza assoluta con il 57% dei voti (mentre i comunisti non
andarono oltre il 17%) e nell'anno successivo venne costituito un
governo di coalizione diretto da Ferenc Nagy che per un certo
periodo di tempo sembrò reggere e garantire il ritorno del paese
alla democrazia. Nel febbraio del '47 venne annun¬ciato l'esistenza
di un complotto, inscenato da agenti dell'AV, la polizia segreta
controllata dai sovietici, del quale venne accusato il segretario
del partito di maggioranza Bela Kovacs. Di fronte alla resistenza
del parlamento ad autorizzare l'arresto intervenne direttamente la
polizia militare sovietica che procedette contro l'esponente
politico. Questi venne costretto ad accusare Nagy che diede le
dimissioni e gli venne impedito di rientrare in patria.
Progressivamente numerosi esponenti del partito di maggioranza
vennero esautorati e ai ministri non comunisti vennero imposte
guardie del corpo del servizio segreto. Il partito
socialdemocratico, al quale i comunisti imposero la guida del filo
comunista Fierlinger, venne successivamente costretto alla fusione
col partito comunista.
Nello
stesso anno si tennero nuove elezioni che diedero la vittoria alla
coalizione di partiti diretta dai comunisti (ma all'interno della
stessa non ottennero più del 22%), il potere venne concentrato
nelle mani dello stalinista Rakosi, e il paese si avviò verso una
durissima dittatura.
Nel
'49 venne arrestato il cardinale Midszenty e iniziata una grande
purga nei confronti di esponenti comunisti accusati di
deviazionismo che culminò con l'esecuzione del ministro degli
Esteri Rajk, accusato di essere un agente al servizio della
Jugoslavia e degli Stati Uniti. Una successiva epurazione nel '53
colpì numerosi esponenti comunisti ebrei; nel '51-'52 vennero
infine eliminati i socialisti che avevano favorito l'ascesa del
partito comunista.
Il
caso della Cecoslovacchia, paese relativamente più progredito
dell'Europa orientale, risultò particolarmente significativo. Per
un certo periodo di tempo il paese sembrò costituire un'isola
felice fra Occidente e blocco comunista. Senza alterare la
struttura politica del paese venne decisa la riforma agraria, e
vaste nazionalizzazioni ed infine su espressa richiesta sovietica
il ritiro dell'adesione del governo al Piano Marshall. Il tentativo
di creare uno stato socialista, ma non anche antidemocratico, fallì
nell'arco di breve tempo e con esso ogni possibilità in tutta
Europa di costituire "terze vie" fra i due blocchi.
Nel
maggio del '45 dopo la liberazione del paese si ricostituì un
governo del paese diretto da Jan Masarik (figlio dell'eroe
nazionale Tommaso) e dall'esponente comunista Gottwald vice primo
ministro. Nell'anno successivo si tennero le elezioni per
l'Assemblea Costituente. Le liste comuniste ottennero un buon
risultato riportando il 38%, e si costituì un nuovo governo diretto
dal capo comunista; tuttavia nelle elezioni successive che si
sarebbero dovute tenere nel '48, si prevedeva un declino dei
comunisti a causa della difficile situazione economica e alimentare
del paese, con un risultato non lontano dal 10% ottenuto nelle
elezioni del '35. I comunisti attraverso il controllo delle forze
di polizia del ministero degli interni iniziarono una politica di
persecuzioni diretta soprattutto contro il Partito Democratico
Slovacco e gli altri gruppi d'opposizione. La nomina di esponenti
comunisti negli alti gradi della polizia provocò la reazione degli
altri partiti e dodici ministri si dimisero per protesta contro i
metodi arbitrari dei comunisti. Nel febbraio del '48 la situazione
precipitò; come in Ungheria nell'anno prece¬dente venne dato
l'annuncio di un complotto appoggiato da potenze straniere in cui
venne coinvolto direttamente il partito del presidente della
repubblica Benes. A Praga si tenne una manifestazione organizzata
dai comunisti di circa 200.000 operai, venne sospesa l'attività del
Parlamento e si procedette ad una ondata di arresti contro
l'opposizione. La sede del partito social democratico (che in
precedenza i comunisti avevano già tentato di assorbire), del
partito socialista nazionale e di quello cattolico popolare vennero
occupate, effettuati arresti di massa, presidiati i ministeri e gli
altri centri nevralgici del paese. Il 26 in una nota di protesta
Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia dichiararono che i paesi
occidentali si sarebbero opposti anche con l'uso della forza ad
attacchi alla democrazia, ma senza risultato.
Lo
stesso Gottwald diede l'ordine ai Comitati d'Azione (armati dal
ministero degli Interni) di occupare le sedi dei dicasteri non
presieduti da ministri comunisti. Il 25 febbraio Gottwald impose al
presidente della repubblica un nuovo governo e nello stesso giorno
gli studenti di Praga scesero in piazza per protestare contro la
svolta autoritaria, manifesta¬zione che si concluse con numerosi
morti. Nello stesso mese Jan Masarik, unico esponente non comunista
che era stato incluso nella lista dei ministri venne trovato morto¬
suicida o forse gettato dalla finestra. Il Presidente della
Repubblica Benes diede le dimissioni per non firmare il progetto di
costituzione e si ritirò dalla vita politica alcuni mesi
dopo.
Nel
'51-'52 si ebbe la purga contro i cosiddetti titoisti che culminò
con le esecuzioni di Slansky, ex segretario del partito arrestato
su diretta richiesta di Stalin insieme con altri 11 ex dirigenti
comunisti in massima parte ebrei. Anche la chiesa cattolica e gli
ebrei subirono persecuzioni e vennero forzatamente sottoposti al
controllo dello stato. Nel luglio del '51 venne arrestato un
corrispondente americano Wiliam Oatis, accusato di spionaggio, al
rifiuto del governo di rilasciarlo, il governo degli Stati Uniti
prese misure diplomatiche di ritorsione.
In Finlandia, dove i comunisti nelle elezioni del 1945 avevano riportato una discreta affermazione con il 23% dei voti, nel '48 si ebbe una grave crisi. Il ministro degli Interni, il comunista Lejno, tentò di inserire come in Cecoslovacchia, uomini di propria fiducia ai vertici degli organi di polizia, ma il tentativo venne respinto dal Parlamento. Nello stesso anno il paese fu costretto ad un trattato d'amicizia con l'URSS fortemente limitativo della sua libertà d'azione in politica estera. L'Unione Sovietica evitò comunque di inserire stabilmente la Finlandia nel proprio schieramento perché riteneva attraverso di essa di accedere a determinati prodotti di provenienza occidentale.
Anche dal punto di vista economico i paesi dell'Est conobbero una evoluzione abbastanza simile, riforma agraria, nazionalizzazione delle industrie, pianificazione economica; e successiva¬mente soppressione del movimento cooperativo e collettivizzazione forzata furono le tappe del processo di comunistizzazione dello stato. Nello stesso periodo si ebbero una serie di trattati commerciali fortemente sperequati a favore dell'URSS. In base all'accordo russo-polacco del '45 l'URSS acquistava il carbone dal Polonia a 2 dollari per tonnellata contro un prezzo di mercato mondiale intorno ai 14 dollari e la Cecoslovacchia acquistava grano dalla Russia a 4 dollari il moggio mentre il prezzo di mercato del cereale negli USA era di 2,5 dollari. Nei paesi dell'Est vennero create società miste con un duplice obbiettivo, sfruttamento delle risorse economiche e controllo politico dello stato. Il COMECON istituito nel '49 non ebbe ampia attuazione in quanto l'URSS preferì impostare i rapporti commerciali fra le repubbliche sulla base di relazioni bilaterali. Con la politica commerciale imposta da Mosca la percentuale di commercio dei paesi dell'Europa orientale con l'Occidente si ridusse dal 74% del 1938, al 40% nel '48, e quindi al 15 % nel '53. La riduzione dei rapporti economici e diplomatici con l'Occidente, il rigoroso controllo dell'eco-nomia e dei mezzi di informazione, le restrizione all’espatrio e alla circolazione dei cittadini stranieri, completarono la creazione di quella che Winston Churchill definì la "cortina di ferro".
Sviluppi
profondamente diversi si ebbero invece, in quei paesi i cui
territori non vennero liberati dall'Armata Rossa: Jugoslavia e
Albania.
In
Jugoslavia il movimento di resistenza si presentava diviso in due
formazioni contrapposte: i cetnici filo monarchici di Mihailovic e
i comunisti di Tito. La formazione dei cetnici vennero accusate di
scarso impegno nella lotta di liberazione e in taluni casi di
collaborazione col nemico. I contrasti degenerarono in aperti
scontri che videro il progressivo prevalere del gruppo titoino.
Stalin, che riteneva che la causa di Tito non fosse degna di
interesse, (già nell'incontro a Mosca del settembre '44 non erano
mancate divergenze fra i due leader comunisti) offrì scarsi aiuti
alla resistenza e fece pressioni affinché il leader jugoslavo
arrivasse ad un accordo con il governo regio; l'accordo trovò il
consenso anche degli anglo-ameri¬cani, che ritenendo Mihailovic
eccessivamente in contrasto con le altre nazionalità non serbe,
chiesero a re Pietro II di ritirare il proprio sostegno al
dirigente nazionalista .
Nel
marzo del '45, liberato il paese, venne costituito un governo di
coalizione che ebbe però breve durata. Nelle elezioni di novembre
il Fronte di Liberazione Popolare attraverso il ricorso a misure di
polizia e del potente servizio segreto OZNA costrinse i partiti non
allineati a ritirarsi dalla competizione elettorale; la formazione
di ispirazione comunista ottenne pertanto senza incontrare
difficoltà il 90% dei voti. Sebbene non esistesse una attiva
opposizione nel paese anche qui non mancarono le persecuzioni; il
generale Mihailovic venne giustiziato, l'arcivescovo di Croazia
Stepinac condannato ai lavori forzati, Gilas esponente di rilievo
del movimento comunista venne allontanato dal potere alcuni anni
dopo, in quanto ritenuto eccessivamente moderato.
L'Unione
Sovietica non potendo adoperare i consueti metodi di pressione
utilizzati negli altri paesi ricorse per piegare il paese slavo ad
altri mezzi, approfittando della debo-lezza economica di Belgrado.
Vennero create società miste russo-jugoslave per i trasporti, la
gestione delle linee aeree e la navigazione del Danubio, che si
rivelarono un affare lucroso per i sovietici ed una ingerenza nella
vita politica della Jugoslavia. I sovietici, che avevano
contribuito con il 10% circa del capitale, richiedevano profitti
pari al 60%, ed esercitavano un controllo pressoché totale sui
servizi affidati. Contrasti di maggior rilievo fra i due stati
sorsero a causa dell'infiltrazione di agenti sovietici all'interno
della burocrazia statale e sul progetto di federazione fra
Jugoslavia e Bulgaria (da estendere successivamente a Romania,
Albania, e Grecia una volta liberata).
La
Jugoslavia si affermò come un paese molto attivo sulla scena
internazionale, si fece promotore di una intensa politica estera
all'interno dei paesi dell'Europa orientale e avanzò numerose
richieste su Trieste, la Carinzia meridionale, una parte della
Macedonia greca, mentre già esercitava una sua influenza
sull'Albania e mirava a stabilire un controllo sulla
Bulgaria.
Il
10 febbraio 1948 Stalin convocò i massimi leader della Bulgaria e
della Jugoslavia, proponendo che si costituisse una federazione fra
i due stati e che l'Albania fosse forzatamente assorbita
nell'unione; il dittatore georgiano riteneva che attraverso il
governo di Sofia avrebbe potuto esercitare un controllo sulla
Jugoslavia, ma la proposta venne respinta dal Comitato Centrale del
PC jugoslavo. La replica sovietica non si fece attendere e nel mese
successivo l'URSS annunciò, provocando profondo stupore
nell'opinione pubblica mondiale, il ritiro dei consiglieri militari
ed economici, motivato dalla scarsa libertà d'azione accordata ai
propri agenti dalle autorità jugoslave. Il partito e tutta la
nazione si dimostrò solidale con il governo e confermò Tito alla
guida del paese. La questione venne portata davanti al Comitato
Centrale del partito che con l'eccezione del ministro delle Finanze
Zujovic, approvò l'operato; il contenuto della risposta
all'iniziativa sovietica fu abbastanza moderato: "Malgrado
l'affetto che ciascuno di noi può avere per la patria del
socialismo, la Russia sovietica, nessuno di noi può, in nessun
caso, cessare di amare altrettanto il proprio paese, anch'esso
incamminato lungo la via del socialismo".
Venne
convocato nel luglio il Kominform al quale gli esponenti jugoslavi
non parteciparono per il timore di essere arrestati fuori dal
paese. Tutti i partiti comunisti, compresi quelli occidentali, si
uniformarono alla condanna di Tito e venne decisa la denuncia di
tutti i trattati commerciali con la Jugoslavia. L'economia
jugoslava venne messa forte¬mente in difficoltà dal momento che lo
stato era quasi completamente circondato da paesi satelliti
sovietici (considerando anche la zona d'occupazione sovietica
dell'Austria) tuttavia il governo di Belgrado non ebbe difficoltà
ad allacciare nuovi rapporti economici con l'Occidente e la crisi
venne superata.
Successivamente
alla condanna si verificarono concentramenti di truppe lungo il
confine orientale jugoslavo e fra il '48 e il '52 si verificarono
circa 6.000 incidenti di frontiera e un tentativo di colpo di
stato; comunque i sovietici non si sentirono di scatenare una
azione militare contro il paese dissidente per le gravi
conse¬guenze che esso avrebbe potuto creare. La Jugoslavia negli
anni successivi si avviò verso una "via nazionale al socialismo",
venne abbandonata la collettivizzazione forzata delle terre, e la
rigida pianificazione economica; decentramento amministrativo e
cogestione delle aziende divennero i principi del nuovo
stato.
La
crisi jugoslava rappresentò un avvenimento di notevole importanza e
di riflessione per i partiti comunisti europei. Nel '48 nel mondo
comunista non vi erano che due veri leader, Stalin e Tito. La
Jugoslavia costituì infatti con la Russia l'unico paese dove il
comunismo si era formato in maniera autonoma senza l'intervento di
una potenza straniera; per quale ragione Stalin aveva diritto al
monopolio sul comunismo mondiale e Tito un ruolo subordinato? I
fatti della Jugoslavia, furono la prima delle crisi che portarono
al declino comunista, molti militanti nei paesi dell'Est e
dell'Ovest compresero che la patria del socialismo richiedeva una
obbedienza superiore ad ogni aspettativa.
Le vicende politiche dell'Albania furono strettamente collegate a quelle della Jugoslavia. Il generale Hoxha capo delle formazioni comuniste, e alleato di Tito, non incontrò difficoltà nella conquista del potere grazie anche all'atteggiamento del governo britannico non contrario all'accordo con i comunisti. Negli anni successivi la questione dell'ingresso del piccolo stato nella federazione jugoslava divenne causa di rottura all'interno del partito (Koci Dzodze capo della polizia politica e numero due del regime, favorevole a tale proposta venne arrestato, forzato a dichiarare che Tito altro non era che un agente al servizio dell'imperialismo britannico e quindi giustiziato). Nel '46 due incidenti navali, che causarono la morte di alcuni marinai inglesi nel Canale di Corfù aggravarono lo stato di tensione con la Gran Bretagna e anche negli anni successivi le relazioni diplomatiche con i paesi occidentali risultarono pessime. Nel paese venne imposto un autentico regime del terrore contro chiunque manifestasse opinioni difformi a quelle ufficiali; secondo alcune valutazioni 16.000 persone perirono nelle prigioni di stato in quegli anni.
Durante
il periodo staliniano i paesi dell'Europa orientale conobbero
persecuzioni non diverse da quelle portate avanti nello stato
sovietico. Negli anni '49-'54 metà dei membri del Comitato Centrale
del partito in Ungheria e 3/5 in Cecoslovacchia scomparvero .
Contemporaneamente al vertice delle organizzazioni politiche
vennero posti i burocrati allineati a Mosca disposti ad un rapporto
di sottomissione verso lo stato sovietico anche contro gli
interessi della propria patria, mentre i leader che negli anni
precedenti si erano impegnati nella resistenza vennero
perseguitati. Con l'eccezione del leader bulgaro Kostov, che non
ammise le proprie colpe, Slansky, Rajk, Dzodze e Gomulka vennero
costretti a confessioni incredibili e ad autoaccusarsi di fatti che
difficilmente potevano aver commesso; Gomulka (l'unico esponente
realmente vicino a Tito) fu il solo a sfuggire alla pena capitale.
Altri esponenti scomparvero senza che si conoscesse la loro fine,
il bulgaro Georgi Dimitrov infine, morì in circostanze misteriose a
Mosca.
Dopo
la morte di Stalin 30.000 prigionieri vennero liberati in Polonia e
per 70.000 venne ridotta la pena, nella Germania dell'Est vennero
liberati 12.000 prigionieri politici, in Ungheria 150.000 internati
poterono ritornare in libertà. Nel '68 secondo le stesse fonti
governative, in Cecoslovacchia fra uccisi e internati vi erano
state 136.000 vittime.
I
parti comunisti dell’Europa occidentale non intervennero a favore
dei loro colleghi di partito perseguitati e le iniziative
occidentali a favore dei paesi dell’Est realisticamente non furono
numerose, tuttavia nel periodo cruciale della guerra fredda gli
americani installarono nei paesi occiden¬tali di confine
l'emittente radiofonica Voce d'America che per molti anni,
nonostante le numerose azioni di disturbo, rappresentò l'unica
fonte per i paesi d'oltre cortina di disporre di informazioni non
controllate dal regime.
IL
DIFFICILE NEGOZIATO PER LA PACE
1945 -
1947
Lo
storico Renè Remond ha messo in luce che i governi occidentali e
quelli comunisti si esprimevano a favore degli stessi obbiettivi
politici: pace, democrazia e giustizia ma che "gli antagonismi
erano stati momentaneamente nascosti dalla necessità della lotta
contro il nemico comune, e anche dalle ambiguità del vocabolario,
perché i due campi adoperavano press'a poco gli stessi termini,
dando lor significati diversi" .
La
guerra fredda è stata secondo la definizione del maresciallo
sovietico Sokolovskij, comandante delle truppe sovietiche in
Germania "uno stato intermedio fra la pace e la guerra che un solo
passo separa dallo scontro armato" . L'idea di un attacco
preventivo degli Stati Uniti contro l'Unione Sovietica prima che
questa potesse ampliare il suo deterrente nucleare venne più volte
ventilata dalla stampa americana, ma non incontrò interesse nel
governo.
Le
"crisi" che avrebbero potuto innescare più gravi conflitti nel
periodo staliniano appaiono ben localizzate geograficamente,
diversamente dagli anni successivi vaste porzioni del mondo non
vennero coinvolte. I teatri delle crisi si collocavano tutti nei
territori a ridosso con l'Unione Sovietica e i suoi paesi
satelliti: Iran, Grecia, Turchia, Jugoslavia, Germania, Cina e
Corea, tutte nazioni precedentemente coinvolte nella seconda guerra
mondiale e sulle quali Alleati e sovietici avevano tentato di
stabilire accordi.
In nessun caso le parti in conflitto tentarono di portare
all'avversario colpi micidiali, bensì come in una guerra di
logoramento sfruttarono al massimo le situazioni dove ritenevano di
trovarsi in vantaggio, valutando comunque i costi e le implicazioni
collaterali. Winston Churchill dopo la morte di Stalin affermò
"Eravamo convinti che finché Stalin fosse vissuto non avrebbe
iniziato una nuova guerra, che avrebbe potuto scatenare un nuovo
conflitto mondiale" . In Turchia, in Iran, ma anche nella questione
di Berlino, i russi quando compresero che la questione poteva
degenerare fecero marcia indietro senza impegnarsi eccessivamente.
L'unico risultato veramente considerevole del conflitto nel periodo
staliniano fu la vittoria dei comunisti in Cina, che provocò fra
l'altro la estensione geografica della guerra fredda. Comunque,
diversamente dai paesi dell'Europa Orientale, la Cina si trovava
nelle condizioni per mantenere una propria autonomia e il
nazionalismo dei cinesi non tardò di farsi sentire.
In
una logica "imperialista" tradizionale la posizione dell'Unione
Sovietica non era del tutto criticabile: agli anglo-americani
veniva lasciata ampia discrezionalità su Italia e Francia (in
questi paesi Mosca aveva richiesto ai rispettivi partiti comunisti
di astenersi da atti di forza contro i governi filo occidentali),
in Grecia e in Jugoslavia, ma anche in Cina, l'Unione Sovietica
evitava di impegnarsi eccessivamente, e veniva data mano libera
agli americani sul Giappone. Come contropartita l'Europa Orientale
doveva passare sotto il controllo sovietico e la Germania
neutralizzata e gestita in "condominio". Nell'ottica sovietica le
posizioni degli eserciti al momento della cessazione delle ostilità
dovevano segnare i confini delle rispettive "sfere d'influenza" e
ai paesi dell'Europa continentale non venivano riconosciuti i
diritti dei "Big" nè dovevano essere considerati come soggetti
autonomi. Questa concezione era in aperta violazione dei principi
della Carta Atlantica e della Dichiarazione sull'Europa Liberata a
cui la stessa Unione Sovietica aveva aderito. La guerra contro la
Germania aveva come fine il rimuovere l'ordine nazista imposto sul
continente, creare degli stati con eguale dignità giuridica che
corrispondessero alle realtà storico-culturali e dare alle stesse
libere istituzioni.
E'
difficile pensare che l'Unione Sovietica avesse preparato un piano
per il dominio mondiale incontrastato, del resto Stalin per
ammissione degli stessi occidentali era un uomo prudente e
calcolatore, cosciente quindi della enorme disparità di forza che
separavano l'URSS dagli Stati Uniti. I vertici del Cremlino
ritenevano invece praticabile una tattica per piccoli passi per
migliorare, ovunque si presentasse la situazione, le proprie
posizioni. Tuttavia gli obbiettivi risultavano chiari "Questa
guerra non è come quelle del passato" rivelò Stalin a Gilas
"chiunque occupi un territorio, gli impone anche il proprio sistema
sociale. Tutti impongono il proprio sistema fin dove l'esercito ha
il potere di farlo. Non può essere altrimenti" . Tale situazione
non sfuggiva agli osservatori occidentali, secondo John Foster
Dulles “… se i capi sovietici forse non progettano una guerra
internazionale, ciò è vero soltanto fino a quando ritengano di
ottenere vantaggi maggiori per mezzo della guerra di classe o della
guerra civile” .
Per
lungo tempo si è stati portati a ritenere che certe ingerenze
dell'Unione Sovietica nei confronti dei paesi vicini, fossero la
conseguenza dei principi marxisti-leninisti estranei al concetto
tradizionale di nazionalità generalmente accettato in Occidente. La
realtà sovietica fino ai suoi ultimi sviluppi fa invece ritenere
che il nazionalismo tradizionale russo abbia avuto un importante
ruolo.
Il
contrasto che si venne a creare negli anni '43-'45 non fu tra
Unione Sovietica e Stati Uniti, ma fra la prima e la Gran Bretagna.
Gli Stati Uniti fino alla primavera del '45 svolsero
sostanzialmente un ruolo di mediazione fra le due potenze del
vecchio continente (ruolo che venne espressamente riconosciuto
nell'incontro di Yalta) anche perché ovvia¬mente meno interessati
alle questioni dell'Europa orientale che invece stavano a cuore
agli altri due stati. La posizione sostenuta dagli Stati Uniti fino
allora era sostanzialmente quella di un intervento temporaneo a
favore degli stati europei impegnati nella lotta alla Germania
nazista, ma cessata la minaccia ritenevano di disimpegnarsi (e il
consistente ritiro delle forze armate dall'Europa immediatamente
dopo la fine delle ostilità costituiva la conferma) e ritornare
agli interessi tradizionali.
La
divisione in due blocchi successivamente alla fine della guerra non
era un fatto scontato come si potrebbe ritenere, la Francia in
contrasto con l'asse anglo-americano si avvicinò a Mosca, ma lo
scarso interesse dimostrato dall'URSS verso il governo di Parigi
provocò la immediata cessazione di tale politica.
L'entusiasmo
che gli accordi di Yalta avevano suscitato nell'opinione pubblica
mondiale venne rapidamente stemperato. Nelle settimane successive
alla chiusura della conferenza l'Unione Sovietica procedeva a
persecuzioni contro l'opposizionenei paesi dell'Europa dell'est da
essa liberati. In Romania l'Armata Rossa occupava i punti
nevralgici della capitale, imponeva al re un governo presieduto da
Petru Groza, leader di una formazione comunista, e successivamente
impediva l'insediamento della commissione tripartiticadi controllo
in quel paese. Nello stesso periodo si intensificavano le violenze
contro l'opposizione in Bulgaria, mentre in Polonia i capi
dell'Armata Nazionale Polacca vennero con l'inganno catturati dai
sovietici. Gli Alleati replicarono a tali azioni contestando la
assegnazione del seggio della Polonia alla Conferenza di S.
Francisco al governo di Lublino, inoltre decisero che la
capitolazione delle truppe tedesche in Italia sarebbe avvenuta
senza la consultazione del governo di Mosca. Secondo l'ambasciatore
americano Harriman "L'Unione Sovietica seguiva due politiche che i
suoi capi pensavano di poter applicare con pieno successo e
contemporaneamente. Una era quella della cooperazione con Stati
Uniti e Gran Bretagna, e l'altra quella di estendere il controllo
sovietico agli stati confinanti con azione indipendente. In certi
ambienti vicini a Stalin la nostra generosità e il nostro desiderio
di cooperare erano intesi come dimostrazione di debolezza, cosicchè
il Governo sovietico avrebbe potuto seguire indisturbato la propria
politica senza rischiare alcuna protesta o presa di posizione da
parte degli Stati Uniti". Churchill e Roosevelt protestarono
energicamente e il presidente americano in una lettera a Stalin del
1° aprile, dieci giorni prima della morte, denunciò il mancato
rispetto degli accordi di Yalta da parte di
Mosca
Non
appena subentrato alla Casa Bianca alla fine di aprile, Truman
ricevendo il ministro degli esteri sovietico Molotov, gli fece
presente che riteneva gli impegni sottoscritti a Yalta sul sostegno
alla democrazia e l'impegno all'allargamento del governo di
Lublino, violati da Mosca. Nello stesso periodo l'ambasciata
americana a Mosca inviava a Washington un rapporto in cui portava a
conoscenza che "I partiti comunisti e i loro alleati si servono
ovunque delle difficoltà economiche di cui soffrono i paesi posti
sotto la nostra responsabilità per far propaganda alle loro
concezioni e alla politica dei sovietici, minando l'influenza degli
alleati occidentali" .
In
una lettera nel maggio '45 Churchill, che già in precedenza aveva
espresso i suoi timori e la necessità di spingere gli eserciti
alleati su Berlino, Vienna e Praga prima che fossero investite
dalle truppe sovietiche, comunicava a Truman la sua apprensione per
il futuro dell'Europa: "Io ho sempre lavorato per l'amicizia con la
Russia, ma al pari di voi sento profonda ansia per la sua svisata
interpretazione delle decisioni di Yalta, per il suo atteggiamento
verso la Polonia, per il suo soverchiante influsso nei Balcani, per
le difficoltà che crea su Vienna… per la sua capacità di mantenere
in campo grandisimi eserciti per lungo tempo. Come si metteranno le
cose fra un anno o due, quando gli eserciti britannico e americano
si saranno sciolti, e quello francese non sarà ancora formato su
scala notevole, quando noi avremo magari un pugno di divisioni, per
lo più francesi, e invece la Russia potrà a suo beneplacito
decidere di tenere in servizio due o trecento divisioni? Sul loro
fronte cala una cortina di ferro. Noi non sappiamo che cosa succeda
al di là" . Anche nelle settimane successive il primo ministro
britannico continuò ad insistere con apprensione su una diversa
politica nei confronti dell’Unione Sovietica, e a richiedere di
sospendere il ritiro delle truppe anglo-americane dalle zone
occupate. Il presidente americano condivideva almeno in parte
l'opinione dell'al¬leato; nel messaggio sullo stato dell'Unione
affermò "più ci avviciniamo alla sconfitta dei nostri nemici, più
diventiamo inevitabilmente coscienti delle divergenze esistenti fra
i vincitori" , tuttavia a lungo Truman mantenne un atteggiamento
più sfumato rispetto all’alleato britannico.
L'Unione
Sovietica prima dell'apertura della Conferenza di Potsdam
trasferiva al governo di Varsavia il controllo dei territori a est
dell'Oder-Neisse sui quali non c'era stato accordo definitivo,
decisione che provocava l'esodo massiccio della popolazione
tedesca. Per decisione di Truman comunque le truppe anglo-americane
si ritirarono nei giorni precedenti la Conferenza di Potsdam sulle
linee concordate, abbandonando diversi territori fra i quali una
buona parte della Cecoslovacchia. La reazione americana agli atti
compiuti dall'Unione Sovietica fu più morale che altro, tuttavia il
prestito per 6 miliardi di dollari richiesto in precedenza da Mosca
venne rinviato nel tempo finché la questione decadde.
Diversi
autori hanno messo in luce che un cambiamento nelle relazioni
russo-americane si era avuto con l’ingresso di Truman alla
presidenza in sostituzione del defunto Roosevelt. Tuttavia nemmeno
il nuovo presidente sembrava disposto a seguire la politica più
energica di Churchill, e si può ricordare che anche gli uomini
dell’entourage rooseveltiano, come l’ambasciatore Harriman, avevano
formulato negli ultimi tempi conclusioni diverse sulla politica
americana nei confronti dell’Unione Sovietica. Le controversie
immediatamente successive alla Conferenza di Crimea possono essere
considerate come l'inizio del contrasto fra anglo-americani e
sovietici che darà luogo successivamente alla guerra
fredda.
Nel
maggio del '45, negli ultimi giorni della guerra, le armate titoine
invasero Trieste e rivendicarono il possesso di tutta la Venezia
Giulia (regione che insieme al Trentino Alto Adige era stata posta
di fatto sotto l'autorità della Germania nel settembre '43). Il
governo Bonomi espresse la sua protesta e richiese il sostegno
degli Alleati che intervennero con energia, e dopo alcune
settimane, le armate jugoslave si ritirarono da Trieste e Pola
(mantenendo comunque l'occupazione dell'Istria) dietro l'impegno di
una sostanziale revisione dei confini. In quello stesso periodo
avvennero una serie di eccidi contro la comunità italiana che
provocarono diverse migliaia di morti; la responsabilità dei fatti
era da addebitarsi ai comunisti croati; secondo numerose
testimonianze vennero eliminati indifferentemente italiani che in
passato avevano avuto responsabilità col fascismo, antifascisti, e
persone completamente estranee alla contesa politica, tali fatti
provocarono un'ulteriore aggravamento della tensione. Venne
costituita quindi una commissione interalleata per lo studio della
questione, e nell'aprile successivo vennero presentate quattro
proposte; quella russa che accoglieva integralmente le richieste
del governo jugoslavo (Trieste, Monfalcone e Gorizia sotto
sovranità slava), quella francese, inglese, americana più vicine
alle richieste italiane e alla reale situazione etnica e
linguistica della regione. La Commissione giunse quindi a un
compromesso sulla linea individuata dai francesi (fra le proposte
occidentali era quella meno lontana alle posizioni jugoslave), e
venne stabilita la creazione del Libero Territorio di Trieste
provvisoriamente con una zona (comprendente la città di Trieste)
presidiata dagli anglo americani (zona A) e la parte orientale
(Zona B) presidiata dagli jugoslavi in attesa che il Consiglio di
Sicurezza dell'ONU deliberasse la nomina del governatore. La
questione di Trieste, che con Capodistria e Pola risultavano in
maggioranza italiane secondo le stesse fonti statistiche del
periodo asburgico, giunse ad una conclusione solo successivamente
alla rottura della Jugoslavia con l'URSS, nel gennaio del '54, con
la decisione di affidare l'amministrazione della zona A all'Italia
e la zona B alla Jugoslavia.
L'organo
amministrativo previsto non venne mai insediato per i veti
reciproci all'interno del Consiglio di Sicurezza e l'intera
questione costituì un grave nocumento alle popolazioni italiane
locali che si trovarono costrette ad abbandonare la regione
.
Dopo
la sconfitta della Germania, nel luglio del medesimo anno si tenne
la Conferenza di Potsdam fra Truman, Churchill, sostituito dal
laburista Attle nel corso della medesima, e Stalin. Venne
abbandonata l'idea dello smembramento della nazione tedesca, si
decise per la smilitarizzazione della stessa, l’eliminazione
radicale del nazismo, nonché l'imposizione di severe restrizioni
industriali, il trasferimento di impianti produttivi in Russia, e
la requisizione della flotta. Si decise inoltre l'annessione del
territorio di Koenigsberg all'Unione Sovietica, il trasferimento
coatto delle popolazioni tedesche da Polonia, Cecoslovacchia e
Ungheria, e l'ampliamento della zona d'occupazione sovietica della
Germania. Rispetto a quanto previsto in precedenza venne
parzialmente attenuato il regime delle riparazioni; venne infatti
stabilito che tali indennizi dovessero tenere conto delle esigenze
della popolazione tedesca e consentirgli di "mantenersi senza aiuti
esterni". Alla conferenza vennero prese inoltre importanti
decisioni su questioni riguardanti l'Europa orientale e affrontate
altre questioni sulle quali erano sorte delle divergenze. Gli
anglo-americani contestarono la legittimità dei governi rumeno e
bulgaro, si lamentarono del fatto che le loro delegazioni in quei
paesi fossero in una situazione che “rasentava l’internamento”, e
pur accettando l’amministrazione provvisoria polacca dei territori
ad est dell’Oder-Neisse, richiesero che la sistemazione dei confini
occidentali della Polonia fossero stabiliti al momento del trattato
di pace con la Germania. Venne confermato lo sgombero dell'Iran nei
mesi immediatamente successivi alla conclusione del conflitto e la
revisione del regime degli stretti del Mar Nero, questione
collegata comunque allo studio di un nuovo regime internazionale
per le più importanti vie d'acqua navigabili, ed infine
l'internazionalizzazione di Tangeri, occupata dalle truppe spagnole
durante la guerra. Venne stabilito infine di tenere successivi
incontri a livello di ministri degli esteri per il perfezionamento
degli accordi; a tali conferenze la Francia e la Cina non vennero
ammesse in forma piena, ma per volontà dell'Unione Sovietica
poterono partecipare solo su questioni geograficamente
circoscritte. Nel corso della conferenza venne annunciato l'esito
positivo dell'esperimento nucleare americano, tuttavia Truman nelle
sue memorie ricorda che la nuova arma non consentiva al momento di
fare a meno dell'aiuto sovietico nella guerra al Giappone e che
pertanto il possesso del terribile strumento di guerra non
condizionò in maniera determinante lo svolgimento dei lavori, che
risultò abbastanza inconcludente, e si concluse, nonostante le
precedenti proteste, con nuove concessioni da parte degli
angloamericani.
Successivamente
a tale data Stalin, che riteneva a certe condizioni una forma di
collaborazione con le potenze anglosassoni possibile anche
successivamente, non incontrò più i massimi leader inglesi e
americani e per un decennio non si tennero più incontri al massimo
livello. I risultati conseguiti dai sovietici negli incontri
internazionali non furono gli unici di quel periodo; l'URSS aveva
acquistato la regione di Tannu Tuva ai confini della Mongolia e di
fatto la stessa Mongolia e negli anni successivi ottenne la Rutenia
dalla Cecoslovacchia, la Bucovina e la Bessarabia dalla Romania,
l'istmo di Carelia dalla Finlandia, riconosciuti con i trattati di
pace del '47. Perché era stato consentito ad una delle parte
belligeranti di acquistare un bottino così notevole, mentre
un'altra, l'Inghilterra, usciva notevolmente sminuita con l'obbligo
di rispettare le nazionalità a lei sottoposte? La risposta è stata
cercata in diversi fattori, nel dissidio tra Stati Uniti e
l'imperialismo britannico, nella necessità da parte americana del
supporto russo alla guerra col Giappone. La questione ha suscitato
sempre innumerevoli polemiche, comunque appare credibile la
risposta più semplice: i sovietici misero gli Alleati di fronte al
fatto compiuto, e soltanto un nuovo conflitto avrebbe potuto
invertire l'andamento.
I
confini tracciati dagli accordi internazionali, durante la guerra e
successivamente, non erano rispondenti alle realtà nazionali
dell'Europa orientale e gli esodi di massa avvenuti successivamente
ne costituirono la conferma. Nell'Europa Orientale i diversi gruppi
etnici diversamente dall'Occidente non costituivano realtà
geografiche separate, ma presentavano delimitazioni molto incerte
che hanno dato luogo, successivamente allo sfaldamento degli imperi
Ottomano, Russo, Austro-Ungarico, a dispute territoriali senza
termine. Considerando fughe, espulsioni e deportazioni si calcola
che circa trenta milioni di individui fossero coinvolti in questo
gigantesco spostamento di popoli. Di questi, otto milioni erano
profughi tedeschi della Prussia orientale e degli altri territori
incorporati dalla Polonia, (esodo iniziato già negli anni di guerra
di fronte all'avanzata dell'Armata Rossa), tre milioni dai Sudeti
in Cecoslovacchia, 500.000 dal Banato regione compresa fra
Jugoslavia, Ungheria e Romania. Ed inoltre un milione e mezzo di
polacchi raggiunsero la nuova terre annesse dalle regioni
orientali, 400.000 finlandesi, 300.000 italiani dall'Istria, e
numerosi altri spostamenti minori all'interno dei Balcani, si
ebbero in quegli anni .
Per
la risoluzione del problema di Trieste, l'armistizio con i paesi
dell'Asse e dare una sistemazione definitiva alle numerose
questioni internazionali in sospeso, come era stato deciso a
Potsdam, si tennero una serie di incontri fra i ministri degli
esteri dei paesi vincitori. Gli americani sostennero l'opportunità
che alle conferenze partecipassero i rappresentanti di Francia e
Cina, i sovietici si opposero a che altre nazioni godessero degli
stessi diritti dei Tre Grandi, ma si arrivò comunque ad un
compromesso in base al quale i governi delle due potenze minori
potessero prendere parte a questioni geograficamente
limitate.
Nella
prima seduta della conferenza dei ministri degli esteri tenuta a
Londra nel settembre '45, i sovietici richiesero l'assegnazione di
Trieste alla Jugoslavia, e la spartizione delle colonie italiane
(in contrasto con i principi anticolonialistici espressi in
precedenza), con l'assegnazione di un mandato su Libia (ritenuta
utile come base per la flotta nel Mediterraneo) e il riconoscimento
di un particolare interesse sulle isole greche del Dodecaneso. Il
governo degli Stati Uniti ritenne invece che i territori italiani
in Africa dovessero essere affidati al controllo dell'ONU per un
periodo di 10 anni e successivamente accedere alla piena
indipendenza. Su questa proposta gli americani rimasero isolati,
anche la Francia, ritenendo che le popolazioni dell'Africa
occidentale avrebbero chiesto il medesimo trattamento respinse il
progetto. Sulla questione delle riparazioni infine, valutate da
parte sovietica in 600 milioni di dollari delle quali 100 per
l'URSS, non si raggiunse un accordo.
Il
comportamento degli americani e dei russi nelle Commissioni di
Controllo dei paesi sconfitti risultò sensibilmente differente.
L'Unione Sovietica utilizzò tali organismi per imporre restrizioni,
riparazioni economiche nelle forme più pregiudizievoli e uomini di
propria fiducia nei maggiori centri di potere. Gli Stati Uniti
anche esercitando un certo grado di influenza evitarono decisamente
ogni forma di vessazione. Il caso del Giappone risulta senz'altro
significativo, gli americani si limitarono ad avviare il paese nel
processo di democratizzazione e a contrastare i trust economici.
Quando nel giugno 1950 l'esercito d'occupazione americano fu
costretto ad abbandonare rapidamente il paese per raggiungere la
Corea, il Giappone non fece alcun tentativo di sottrarsi al
controllo statunitense.
Gli Alleati contestarono la legittimità dei governi insediati in
Bulgaria e Romania dove l'opposizione era perseguitata e i
rappresentanti della stessa nei governi costretti alle dimissioni.
I sovietici replicarono affermando che il governo greco, legato
agli occidentali, non forniva anch'esso garanzie di legittimità;
vennero fatte comunque da Mosca delle concessioni sull'allargamento
del governo rumeno a esponenti liberali e del partito agrario ma
sulla Bulgaria non ci fu alcun accordo. Sull'Austria venne
stabilito di procedere al distacco dal Reich e la costituzione di
una commissione di controllo composta dai rappre¬sentanti dei paesi
vincitori. Infine venne confermato lo sgombero di tutte le truppe
straniere dall'Iran entro il marzo '46. La conferenza non diede
risultati positivi e confermò la rottura fra anglo-americani e
sovietici, e la posizione isolata dei francesi. Gli Stati Uniti
proposero comunque ai sovietici un patto d'amicizia a lunga
scadenza.
La
questione delle riparazioni di guerra venne a costituire un grave
motivo di contrasto fra occidentali e sovietici. L'URSS reclamava
riparazioni dalla Germania per 10 miliardi di dollari pari all'80%
del patrimonio industriale del paese (da soddisfarsi in beni e non
in denaro) e richiese l'invio di 10 milioni di lavoratori tedeschi
in Russia per la ricostruzione del paese. In Romania venne
prelevato fra aziende e altri beni l'84% del reddito nazionale, in
Ungheria il 94% della produzione meccanica e metallurgica oltre a
300 milioni di dollari in beni. Prelievi vennero effettuati anche
verso la Polonia e la Cecoslovacchia che non erano paesi alleati
della Germania, ma vittime dell'aggressione nazista, i sovietici
infatti avanzarono pretese sui beni "tedeschi" presenti nel
territorio o su beni che i nazisti avevano confiscato in tempo di
guerra. Richieste indirette di riparazioni vennero avanzate da
parte dei sovietici anche nei confronti dell'Austria che gli
Alleati avevano considerato come paese non aggressore.
Nella
seconda metà del '45 l'Unione Sovietica manifestò un notevole
interesse per il fianco sud e l'accesso al Mediterraneo con alcune
iniziative, giudicate gravi dagli Occidentali verso l'Iran, la
Grecia e la Turchia.
Nel
1941 l'Iran, che costituiva il territorio di transito dei
rifornimenti di materiale bellico dagli USA all'Unione Sovietica,
venne occupato da truppe britanniche al sud e russe al nord. Si
riteneva infatti che lo scià Reza Pahlavi, sovrano modernizzatore
ma autoritario, avesse simpatia per la Germania e nutrisse una
certa insofferenza verso la Gran Bretagna che aveva imposto dei
trattati per lo sfruttamento delle risorse petrolifere a suo
favore. Per evitare maggiori attriti venne stabilito un accordo con
lo Scià (che abdicava a favore del figlio), con la garanzia degli
Stati Uniti, in base al quale gli eserciti stranieri avrebbero
comunque dovuto ritirarsi entro sei mesi dalla cessazione delle
ostilità.
Terminata
la guerra in Europa, l'Inghilterra si attenne a quanto previsto
mentre l'Unione Sovietica che riteneva minacciata, pur non
esistendo delle prove, la parte sovietica dell'Azerbagian e mirava
a stabilire un diritto di sfruttamento sulle risorse petrolifere
dello stato persiano, mantenne l'occupazione delle provincie
settentrionali.
Nel
novembre del '45 il Tudeh (il partito comunista iraniano) forte del
tradizionale antagonismo delle popolazioni locali di origine turca
verso il potere centrale, proclamò la Repubblica dell'Azerbagian,
con l'appoggio delle truppe sovietiche che impedirono l'accesso
alle truppe imperiali inviate da Teheran. Nei mesi successivi
insorsero anche i vicini Curdi che reclamavano la costituzione di
uno stato autonomo non soggetto all'autorità dello stato
persiano.
Il
governo iraniano si appellò all'ONU contro la violazione della sua
sovranità. La questione venne discussa nell'incontro di Mosca del
dicembre '45. inglesi e americani protestarono energicamente per la
violazione degli accordi e l'Unione Sovietica ritenendo di non
poter forzare eccessivamente la situazione accettò un compromesso.
L'Unione Sovietica si impegnava a ritirare le sue truppe e veniva
creata una società mista russo-iraniana per lo sfruttamento del
petrolio, mentre il governo persiano si impegnava a rispettare la
sovranità dell'Azerbagian. Nei mesi successivi comunque le neo-nate
repubbliche private del sostegno militare sovietico vennero
travolte dalle truppe di Teheran, mentre il Parlamento iraniano
rifiutò di ratificare l'accordo sullo sfruttamento del
petrolio.
Alla
conferenza dei ministri degli esteri tenuta a Mosca nel dicembre
'45, nonostante le contestazioni da parte americana sulla
legittimità delle elezioni tenute in Bulgaria e Romania, vennero
raggiunti dei risultati positivi; oltre alla questione iraniana si
raggiunse un accordo sulla partecipazione dell'Unione Sovietica
all'interno della commissione di controllo sul Giappone (anche se
di fatto gli americani mantennero una egemonia sul paese asiatico).
Si stabilì infine di fare della Corea, precedentemente occupata dai
giapponesi, un paese indipendente temporaneamente sotto mandato ONU
affidato a rappresentanti sovietici, americani, britannici e
cinesi.
Sulla
questione austriaca invece non si registrarono progressi,
l'ostacolo principale era comunque la questione delle riparazioni,
l'Unione Sovietica pretendeva di rivalersi anche sui beni austriaci
precedentemente confiscati dal Reich, mentre per gli
anglo-americani dovevano essere restituiti a Vienna. Venne
stabilito infine di creare una commissione dell'ONU per l'energia
nucleare e l'eliminazione delle armi nucleari. I risultati positivi
raggiunti comunque apparvero a Truman più teorici che reali, che
contestò pubblicamente l’azione di Byrnes.
Dopo
la denuncia unilaterale del trattato di non aggressione fra Russia
e Turchia del 1925 da parte di Mosca, alcune settimane dopo la
conclusione del conflitto mondiale l'URSS avanzò delle richieste
nei confronti del governo turco sulla questione degli Stretti e su
alcune regioni di confine. Il governo di Mosca richiedeva la
revisione del Trattato di Montreaux, che dava ampia facoltà alla
Turchia di disporre degli Stretti dei Dardanelli e del Bosforo, di
affidare il controllo della navigazione in forma esclusiva ad
entrambe le nazioni e interdire, in violazione con le norme del
diritto internazionale, l'accesso al Mar Nero a navi da guerra di
paesi terzi. L'Unione Sovietica richiedeva inoltre la concessione
di una base militare presso i Dardanelli, e una diversa
sistemazione delle regioni armene di Kars e Ardahan che dai tempi
della dissoluzione dell'impero zarista erano soggette al governo
turco, integrandole nella Repubblica Sovietica Armena (in contrasto
con il Trattato di Sevres che prevedeva la creazione di una
repubblica armena autonoma).
La
questione venne dibattuta alla Conferenza di Potsdam dove inglesi e
americani pur non contestando la richiesta della revisione del
regime degli Stretti affermarono che si dovesse arrivare alla piena
libertà di navigazione per tutte le vie d'acqua anche interne (con
particolare riferimento alla navigazione del Danubio). Nel novembre
successivo gli americani si spinsero ad una proposta
particolarmente favorevole all'Unione Sovietica: l'accesso al Mar
Nero da parte di navi da guerra doveva avvenire con il consenso di
Russia e Turchia o con quello dell'ONU. Il governo sovietico
respinse la proposta americana e per alcuni mesi la tensione fra
russi e turchi si accrebbe con spostamenti di truppe lungo il
confine. Nell'autunno dell'anno successivo gli Stati Uniti (con il
consenso di Francia e Inghilterra) vista la impossibilità di
raggiungere un accordo inviarono una flotta a presidio degli
Stretti, i sovietici evitarono di aggravare la situazione e
progressivamente desistettero dalle loro richieste.
In
Persia e in Turchia la pressione del governo sovietico si svolgeva
in forma diretta, in Grecia invece, poteva operare indirettamente
attraverso una guerriglia locale che consen-tiva all'Unione
Sovietica di non esporsi eccessivamente. La situazione venne
successiva-mente a complicarsi per la rottura fra Mosca e Belgrado
che ebbe notevoli ripercussioni nelle vicende
balcaniche.
Gli
Accordi di Varkiza del gennaio '45 fra il governo regio e il Fronte
di Liberazione Nazionale, l'EAM, prevedevano il disarmo di tutti i
gruppi partigiani, la convocazione di libere elezioni da tenersi
sotto controllo internazionale, e un plebiscito popolare sulla
monarchia. L'accordo sembrò reggere nonostante l'instabilità
politica ed economica del paese, ma al momento delle elezioni
l'Unione Sovietica, membro della commissione di controllo sullo
svolgimento delle elezioni, decise di ritirarsi, mentre i gruppi di
sinistra disertavano (e boicottavano) la consultazione. Il
risultato delle elezioni fu largamente favorevole al partito
popolare filo monarchico anche se quasi la metà dell'elettorato non
prese parte alle votazioni. Il referendum sulla questione
istituzionale tenutosi nel settembre registrò la vittoria della
monarchia (anche se sul conteggio dei voti non mancarono sospetti
di brogli) che riportò il 69% dei voti .
Nei
mesi successivi gruppi armati comunisti presero possesso con il
sostegno di Jugoslavia, Bulgaria, e Albania dell'Epiro e delle zone
montuose del nord. Il governo greco ricorse all'ONU che riconobbe
(con il voto di 48 paesi) l'ingerenza dei tre paesi slavi (che in
precedenza rivendicavano rettifiche territoriali nell'Epiro e in
Macedonia) ma la situazione risultò immediatamente molto
difficile.
La
guerra civile fu particolarmente sanguinosa e comportò gravi
sacrifici per le popolazioni locali. Il governo monarchico al fine
di impedire i rifornimenti al nemico decise il trasferimento di
interi villaggi in zone ritenute più sicure, mentre nel nord
controllato dai comunisti migliaia di bambini, anche contro la
volontà delle famiglie, furono inviati nei paesi dell’Est per
preparare una nuova generazione di cittadini.
La
Gran Bretagna, il principale sostegno al governo di Atene, si trovò
costretta, a causa della grave situazione finanziaria che
attraversava, a interrompere gli aiuti militari ed economici allo
stato ellenico la cui caduta avrebbe provocato una situazione
gravissima per tutto il bacino del Mediterraneo orientale. La
decisione del presidente Truman nel marzo del '47 sull'invio di
consiglieri militari e aiuti di ogni genere alla Grecia risolse la
difficile questione.
Nell'aprile
del '48 si verificò una svolta del conflitto; i combattenti
comunisti vennero chiusi in una sacca e costretti allo scontro
aperto e nel luglio successivo il governo di Belgrado in seguito
alla rottura con Mosca, decise la cessazione di ogni aiuto ai
ribelli e la chiusura della frontiera con la Grecia che era servita
come transito alle basi in territorio jugoslavo. Infine non molto
tempo dopo il comandante delle forze comuniste Markos venne
accusato da Mosca di titoismo e sostituito dal più allineato
Zachariades.
Nell'ottobre
del '49 si concluse definitivamente la guerra civile che era
costata più di 50.000 morti (molti di più secondo altre fonti),
mentre migliaia di guerriglieri vennero deportati nelle isole. La
conclusione della sanguinosa guerra non portò alla stabilità
politica; ben 26 governi si succedettero fino al '56 quando salì al
potere l'esponente di centro destra Karamanlis.
Anche
l’estremo Nord divenne un’area di interesse per i sovietici. Nei
giorni precedenti la fine della guerra, le truppe sovietiche
sbarcarono a Bornholm, un’isola sotto sovranità danese,
particolarmente importante dal punto di vista strategico per il
controllo del mar Baltico, e adducendo varie ragioni i russi
protrassero la loro permanenza per un anno. Nello stesso periodo
richiesero al governo di Norvegia la concessione di una base
militare nell’arcipelago delle Spitzbergen, ma ottennero un deciso
rifiuto e la questione successivamente decadde.
La
prima pesante denuncia del contrasto fra democrazia occidentale e
comunismo, venne da Winston Churchill, che sebbene non più al
governo, continuava in pieno il suo impegno politico. Nel discorso
all'Università di Fulton in America, che suscitò impressione
nell'opinione pubblica mondiale sostenne che: "… un ombra si
proietta sul mondo dopo la vittoria degli Alleati; nessuno riesce a
intendere gli obbiettivi immediati perseguiti dall'Unione Sovietica
e dal comunismo internazionale, né si riesce a capire quali siano i
limiti, se davvero esistono, del loro espansionismo e proselitismo.
Da Stettino a Trieste, dal Baltico all'Adriatico, una cortina di
ferro divide il continente. Alla prevenzione di un'altra guerra si
può giungere ora, nel 1946, solo col raggiungimento di una buona
intesa con la Russia su tutti i punti, sotto l'egida delle Nazioni
Unite." Si espresse poi sulla necessità di mantenere il segreto
sulla costruzione della bomba atomica e sul problema della
sicurezza dell'URSS "Ci rendiamo conto dell'esigenza dell'Unione
Sovietica di sentirsi sicura sulle proprie frontiere occidentali
attraverso l'eliminazione di ogni possibilità di una aggressione
tedesca" continuò lo statista "Diamo il benvenuto alla Russia nel
suo giusto posto fra le più grandi nazioni del mondo...I partiti
comunisti che erano assai piccoli in tutti quegli stati orientali
d'Europa, sono stati innalzati a un predominio e a un potere di
gran lunga sproporzionati al numero dei loro aderenti e stanno ora
tentando dovunque di conquistare il dominio totalitario. Governi
polizieschi prevalgono quasi in ogni caso e fino a questo momento,
tranne che in Cecoslovacchia, non esiste democrazia autentica...
Varsavia, Praga, Berlino, Vienna, Budapest, Belgrado, Bucarest e
Sofia si trovano nella sfera sovietica e soggette in una forma o
l'altra non solo all'influenza ma anche ad una specie di controllo
da Mosca, controllo che va sempre più accentuato. Atene solo è
libera di decidere il suo destino mediante elezioni sotto il
controllo di osservatori inglesi, americani e francesi [i sovietici
rifiutarono di farne parte]. La Turchia e la Persia sono vivamente
allarmate a causa delle aspirazioni di Mosca, mentre i russi a
Berlino cercano di costituire un partito semi comunista in
Germania... Anche in Manciuria la presenza sovietica desta
attenzione... Non è questa la libera Europa che avevamo
sognato di costruire e per la quale noi combattemmo".
Il
discorso di Fulton, preceduto da quello altrettanto duro di Stalin
al Soviet Supremo, venne definito da Bernard Shaw "una
dichiarazione di guerra non ufficiale" e non venne apprezzato da
molti in America. Il segretario al commercio Henry Wallace era
dell'opinione che il comportamento sovietico fosse "causato dalle
preoccupazioni risultanti dai loro gravissimi bisogni economici e
dal timore per la loro sicurezza. Gli avvenimenti degli ultimi mesi
hanno fatto ripiombare i sovietici nel loro timore, già esistente
prima del 1939, di un accerchiamento capitalista" . I timori di
Churchill erano comunque condivisi anche da Truman che in un
messaggio al segretario di stato Byrnes del gennaio '46 scriveva:
"Se la Russia non si trova di fronte a un pugno di ferro e a parole
energiche, la guerra sarà inevitabile. Capiscono solo una frase:
«Quante divisioni avete?» Non penso che si debba venire a
compromessi più oltre" .
Sul
piano militare la realizzazione delle armi atomiche aveva
introdotto grandi novità. Il 25 marzo del '45 Einstein che cinque
anni prima aveva incalzato il governo americano perché affrettasse
gli studi sulle armi nucleari si dichiarò contrario all'impiego
delle armi atomiche ritenute eccessivamente pericolose per
l'umanità. Preoccupazioni vennero espresse anche da un gruppo di
scienziati che avevano condotto le ricerche sull'atomo, che
comunicarono al governo americano (il cosiddetto rapporto Franck)
la loro opinione sul problema rappresentato dalle armi atomiche:
"Le bombe nucleari non possono assolutamente restare un'arma
segreta a uso esclusivo del nostro Paese per più di qualche anno. I
presupposti scientifici su cui si basa la loro costruzione sono ben
noti agli scienziati di altri paesi" e concludeva con la necessità
di istituire un controllo internazionale sulla materia . Il 1°
giugno tuttavia un comitato di scienziati sollecitò l'uso della
potente arma per piegare il Giappone. Il lancio della bomba atomica
su Hiroshima per molti non aveva posto problemi etici particolari,
tale arma era semplicemente stata vista come un mezzo d'offesa
particolarmente efficace; d'altra parte il numero dei morti della
sventurata città giapponese non era superiore a quelli avuti con i
bombardamenti di Dresda o di Tokyo di poco precedenti.
In
quel momento l'arma fatale era monopolio degli Stati Uniti e per
Truman il suo possesso costituiva un fatto di grande importanza; il
9 agosto del 1945, tre giorni dopo il lancio della
bomba atomica su Hiroshima affermò: "Noi dobbiamo costruirci
guardiani di questa nuova forza per impedire il suo impiego nefasto
e per dirigerlo verso il bene dell'umanità. Noi ringraziamo Dio che
sia toccata a noi piuttosto che ai nostri nemici e preghiamo perché
Egli ci guidi per utilizzarla nelle Sue vie e nei Suoi scopi" .
Tale opinione era condivisa anche da Churchill per il quale "Nulla
può opporsi alla tirannia comunista in Europa se non la bomba
atomica" .
Nel
corso degli anni Cinquanta durante le guerre di Corea e di Indocina
venne proposto più volte un ricorso a tali armi per dissuadere la
Cina ad astenersi da ulteriori azioni di guerra, ma sia Truman che
Eisenhower si dichiararono contrari a tale scelta. L'Unione
Sovietica si era dotata dell'arma atomica nel '49 ma solo molto più
tardi si dotò di un'aviazione e di un sistema di missili in grado
di minacciare l'Occidente. Solo allora divenne evidente che il
mondo rischiava una guerra dalla quale non si avrebbero avuti né
vincitori né vinti ma la distruzione dell'intera
umanità.
Fra Stati Uniti, Canada e Regno Unito, gli stessi che avevano
condotto gli studi sull'energia nucleare, si decise di non
divulgare informazioni sull'arma atomica, al tempo stesso però nel
novembre '45 in una conferenza a Washington, si stabilì di
"condividere su basi di reciprocità con gli altri membri delle
Nazioni Unite, informazioni particolari sulle applicazioni pratiche
industriali dell'energia atomica non appena potranno essere messe a
punto garanzie efficaci e realizzabili contro il suo impiego per
scopi distruttivi" e si propose di creare un organismo
internazionale per l'energia atomica. Il Piano Baruch, presentato
dagli Stati Uniti all'ONU e previsto dagli accordi della Conferenza
di Mosca, prevedeva la creazione di un organismo internazionale per
il controllo ed il monopolio dell'energia atomica, l'eliminazione
dell'arsenale atomico americano e un sistema di controlli e
ispezioni sul territorio per garantire che nessun paese procedesse
alla realizzazione di nuove armi atomiche. L'Unione Sovietica
respinse la proposta americana, richiese che venisse eliminato
l'arsenale atomico degli Stati Uniti e propose che l'organismo
incaricato di svolgere i controlli dovesse essere il Consiglio di
Sicurezza, organismo nel quale i sovietici disponevano di un
diritto di veto. Successivamente al fallimento del piano gli Stati
Uniti approvarono la legge Mac Mahon con la quale stabilirono che i
segreti sull'arma atomica non fossero divulgati, e nel luglio del
'46 le forze armate americane diedero corso ad un esperimento
nucleare nell'atollo di Bikini, ritenuto da molti come un monito
indiretto all'URSS.
Sui
segreti relativi alla bomba atomica e alla bomba all'idrogeno si
scatenarono i maggiori sforzi delle reti spionistiche
internazionali. In questo campo i sovietici ottennero grandi
successi, grazie soprattutto alla facile possibilità di
infiltrazione nei paesi democratici. Una grande rete spionistica
venne realizzata dall'Unione Sovietica sul territorio americano
molto prima della conclusione della seconda guerra mondiale. Negli
ultimi mesi del 1945, grazie ad un funzionario dell'ambasciata
sovietica a Ottawa che non intendeva essere rimpatriato, venne
scoperto un fisico britannico che lavorava in Canada, Alan Nunn
May, che aveva passato documenti segreti relativi a ricerche
sull'atomo e una quantità di uranio 235 ai sovietici. Un contributo
a favore dei sovietici ancora più importante venne da un altro
scienziato, Klaus Fuchs, il quale per molti anni lavorò per gli
informatori sovietici, e facendo parte dell'équipe di scienziati
che a Los Alamo progettò la bomba atomica disponeva di enormi
conoscenze da trasmettere al campo avversario. Il caso era da
considerarsi grave considerando che i britannici avevano modo di
sospettare del personaggio, si trattava infatti di uno scienziato
di origine tedesca fuggito dalla Germania all'avvento del nazismo
per le sue simpatie comuniste. L'arresto dello scienziato, che subì
una condanna relativamente mite, 14 anni di reclusione, consentì la
cattura di altri collaboratori minori, fra i quali i coniugi
Rosenberg, la cui condanna a morte suscitò emozione in tutta
l'America. Il caso di scienziati che scelsero di collaborare col
nemico per ragioni di lucro ovvero per convinzioni ideologiche o
perché convinti che il possesso delle armi atomiche da parte di più
di una nazione fosse utile alla pace furono numerosi, fra questi lo
scienziato italiano Bruno Pontecorvo, già collaboratore di Enrico
Fermi, fuggito misteriosamente in Unione Sovietica portandosi
numerosi studi, mentre lo scienziato Oppenheimer, che non si
macchiò di alcun tradimento, si espresse insistentemente per
ragioni etiche contro la realizzazione della bomba
termonucleare.
L'attività
spionistica in quegli anni raggiunse livelli altissimi, condotta
soprattutto attraverso agenti infiltrati da parte dei sovietici e
attraverso missioni esplorative aeree da parte degli americani; si
calcola che 300.000 persone furono gli agenti che operavano in
favore dell'URSS negli Stati Uniti e 100.000 quelli legati alla CIA
che operavano in Unione Sovietica. I casi di doppio gioco, e anche
di triplo gioco, cioè di agenti che fingevano di tradire il proprio
paese ma in realtà passavano al nemico materiale fuorviante, furono
innumerevoli. Vi furono importanti spie che una volta scoperte
ostinatamente non parlarono, come il colonnello sovietico Rudolf
Abel, e altri personaggi che al contrario collaborarono. Non
mancarono casi di spionaggio da parte di personaggi insospettabili,
alti ufficiali pluridecorati, come il colonnello russo Penkowskj,
che passò importanti documenti al governo degli Stati Uniti, e
quello di un affermato giornalista inglese, Harold Philby, per un
certo periodo alto dirigente dei servizi segreti
britannici.
Nonostante
le richieste contrarie di Churchill e il rapido peggiorare dei
rapporti con l'Unione Sovietica, gli americani avevano smobilitato
larga parte dell'esercito; nella primavera del '45 in Europa 7
milioni di soldati ritornarono alla vita civile, nel novembre dello
stesso anno l'esercito americano in Europa ammontava a 1 milione di
effettivi che si ridussero a 300.000 nel luglio '46. contro i circa
4 milioni di quello sovietico.
Gli
Stati Uniti fino allo scoppio della guerra di Corea mantennero
infatti un esercito incredibilmente ridotto, limitato a una decina
di divisioni, mantenendo in stato di buona efficienza solo
l'aviazione (venne messo in servizio il gigantesco bombardiere B 36
in grado di trasportare a 6.000 km di distanza un carico di 36
tonnellate di bombe) e la marina militare.
La
conferenza di Parigi tenuta nell'aprile-maggio e luglio-ottobre '46
confermò le divergenze esistenti fra anglo-americani e sovietici.
Venne decisa l'istituzione del Territorio Libero di Trieste, (città
che il ministro Molotov espressamente dichiarava non essere stata
mai italiana), sotto controllo ONU, e la restituzione del
Dodecaneso alla Grecia; nessun accordo venne raggiunto invece sulla
questione delle colonie e la riduzioni delle riparazioni italiane.
Sulla questione iraniana, di fatto già conclusa, non si pervenne ad
un compromesso ed il governo di Teheran non riconobbe gli impegni
assunti in precedenza. Alla conferenza il rappresentante degli
Stati Uniti presentò delle proposte di liberalizzazione del
commercio che vennero respinte dal governo di Mosca il quale
inoltre accusò il governo americano di ostacolare il processo di
pace. Venne ricercato un accordo sulla regolamentazione della
navigazione sul Danubio, ma di fatto questa rimase soggetta al
controllo dei paesi che il fiume attraversava, e nel luglio 1948 la
Conferenza di Belgrado stabilì il pieno controllo dei paesi
balcanici sul fiume in contrasto con le richieste
occidentali.
Nel
febbraio dell'anno successivo vennero comunque firmati i trattati
di pace con i paesi ex alleati della Germania, attraverso i quali
l'Unione Sovietica si fece riconoscere i territori sottratti ai
paesi dell'Europa orientale.
Nella
seconda metà del '46 due incidenti navali, causati da mine e colpi
di artiglieria, che causarono la morte di alcuni marinai inglesi
nel Canale di Corfù, aggravarono lo stato di tensione fra Albania e
la Gran Bretagna. Contemporaneamente nel sud-est asiatico, in Cina
e nel Vietnam, si apriva un nuovo fronte dello scontro fra
comunismo e potenze europee.
L'Iran,
la Turchia, la Grecia avevano costituito terreno di scontro fra le
grandi potenze, ma ben più importante di questi fu il contrasto
sulla Germania, cuore dell'Europa e paese di grandissimo rilievo
sul piano politico ed economico; il paese tedesco costituì la
maggiore posta in gioco durante la guerra fredda e il sospetto
reciproco che attraverso i negoziati di pace si tentasse di forzare
la nazione verso il proprio schieramento, aggravò i contrasti fra
le parti. Il conflitto di interessi fra sovietici, anglo-americani
e francesi, questi ultimi più di ogni altri interessati a
garantirsi da una ripresa politica e militare di quella nazione,
contribuì notevolmente alla degenerazione della
situazione.
Lo
smembramento e la trasformazione della Germania in un paese
politicamente debole ad economia prevalentemente agricola prevista
dal piano del ministro americano Morghentau prima della conclusione
del conflitto venne rapidamente accantonato perché avrebbe prodotto
indirettamente un danno all'economia europea che necessitava delle
risorse e dei prodotti industriali tedeschi. I piccoli staterelli
creati dallo smembramento sarebbero stati facilmente oggetto di
interesse dei paesi vicini e motivo di uno scontro dalle
conseguenze imprevedibili.
Nei
giorni precedenti alla conclusione del conflitto le potenze
vincitrici si accordarono sul non riconoscere alcun governo
rappresentativo della Germania, e nella successiva Conferenza di
Potsdam venne stabilito l’istituzione di un Consiglio Alleato di
Controllo come massima autorità della nazione sconfitta nonché la
creazione di quattro zone d'occupazione, con la zona francese
ricavata nella parte di territorio controllata dagli
anglo-americani. Nel medesimo incontro le potenze occidentali
ribadirono che le riparazioni da infliggere alla Germania dovessero
tenere conto delle esigenze indispensabili della popolazione
civile. Gli americani ritenevano non senza ragione che sottratto
ogni mezzo di sostentamento, sarebbe ricaduto su di loro l'onere di
provvedere al loro approvvigionamento. Veniva quindi stabilito che
le quattro potenze avessero diritto a prelevare ricchezze (beni e
impianti industriali) ciascuna dal territorio di propria competenza
con una deroga a favore dell'URSS che poteva prelevare anche dalle
altre zone fino al 25% delle industrie considerate non strettamente
necessarie a fini civili, con l'obbligo comunque di contribuire in
una certa misura all'approvvigionamento alimentare.
Nelle
trattative di pace le prime difficoltà sorsero da parte del governo
francese che più di ogni altro temeva una ripresa della Germania
come potenza economica e militare. Il governo di Parigi si oppose a
ogni tentativo di ricostituire una amministrazione centrale
tedesca, e chiese il distacco della Renania dal resto della
Germania affinché fosse costituta in amministrazione autonoma, e
l'internazionalizzazione della Ruhr, richiesta quest'ultima
condivisa a certe condizioni dai sovietici.
Come
scrisse Salvatorelli in quegli anni se le grandi potenze avessero
deciso di esercitare i loro poteri sui rispettivi territori
tedeschi autonomamente si sarebbe arrivati rapidamente alla
spartizione dello stato germanico, mentre se si stabiliva di creare
una amministrazione in "condominio" si avrebbe avuta la paralisi a
causa dei reciproci veti. Si trattava pertanto di "conciliare due
esigenze: il controllo della Germania per la sicurezza dell'Europa
(e anche per impedire uno sfacelo ulteriore della Germania stessa
nel caos politico e nella guerra civile), e la sottrazione di essa
alla sfera d'influenza e agli sfruttamenti particolari di uno o
altro Grande" .
Nel
territorio soggetto all'amministrazione sovietica vennero
introdotte nelle settimane successive alla conclusione della guerra
alcune importanti innovazioni economiche (nazionalizzazione delle
banche e dei grandi complessi industriali non requisiti) e avviata
una drastica riforma agraria che prevedeva l'esproprio e la
collettivizzazione delle terre, senza indennizzo per i proprietari.
I sovietici inoltre procedettero in materia di riparazioni in
violazione di quanto stabilito a Potsdam superando i limiti
previsti, ed assumendo altre iniziative in contrasto con gli
occidentali. Nel settembre '45 venne disposta la chiusura delle
frontiere con le altre zone e la costituzione di quattro partiti,
comunista, socialdemocratico, liberale e democratico cristiano,
riuniti nel Blocco Democratico Antifascista. In tutti gli organismi
amministrativi i comunisti ebbero la maggioranza mentre il partito
socialista venne costretto ad una unificazione forzata con quello
comunista dando vita al SED. Secondo Erich Ollenhauer, presidente
dell'SPD della zona occidentale almeno 20.000 militanti socialisti
vennero perseguitati (in alcuni casi incarcerati o uccisi) nei
primi mesi del '46 perché contrari all'unificazione col partito
comunista; nello stesso periodo si verificarono numerosi casi di
violenza sulle popolazioni civili e di deportazioni di lavoratori
tedeschi nelle industrie sovietiche. Le iniziative sovietiche
suscitarono le proteste inglesi e americane, anche perché obbligava
gli Alleati ad intervenire con iniziative di assistenza per evitare
il collasso del paese.
La
posizione britannica e americana sulla questione tedesca era molto
più cauta e sensibile alle necessità della popolazione dell'ex
Reich. Gli anglo-americani ritenevano infatti che un accordo sulla
sicurezza fra le potenze vincitrici, e una struttura ampiamente
federale del nuovo stato tedesco fosse sufficiente a garantire la
sicurezza dei paesi europei. I francesi successivamente
rinunciarono al distacco della Renania dalla Germania, però
richiesero una unione economica con la Saar, importante regione
mineraria, e nel dicembre del '47 isolarono la regione dal resto
della propria zona d'occupazione, nonostante l'opposizione
sovietica.
Gli
americani ritenendo che la crisi economica e il disordine avrebbero
favorito le forze filo sovietiche, decisero nel 1946 di prendere
alcune iniziative per favorire la ripresa economica e migliorare la
situazione degli approvvigionamenti alimentari. Fra i vari
provvedimenti presi, l'organizzazione di elezioni amministrative, e
la cessazione delle requisizioni nella propria zona d'occupazione a
favore dei sovietici; tale misura era anche conseguenza del rifiuto
sovietico di fornire indicazioni su quanto da loro compiuto, le
requisizioni sovietiche avevano infatti assunto le caratteristiche
di un spoliazione indiscriminata.
Il
segretario di stato Byrnes in un suo discorso a Stoccarda annunciò
che "il popolo americano desiderava aiutare i tedeschi a
riguadagnare un posto onorevole tra le nazioni libere e pacifiche"
e presentò alcune importanti innovazioni che in pratica
significavano la fine della politica di occupazione:
ricostitu¬zione di un governo centrale tedesco formato dai
rappresentanti dei Länder, limitazioni in materia di riparazioni,
nuova sistemazione dei territori tedeschi a est dell'Oder-Neisse
(che i sovietici nell’incontro di Parigi avevano chiesto di
assegnare immediatamente alla Polonia), reintegrazione della
Germania nel consesso delle nazioni libere. Nell'ottobre di
quell'anno si tennero le elezioni amministrative che nelle zone
controllate dagli occidentali diedero un risultato largamente
favorevole ai democratici cristiani e ai socialdemocratici che
ottennero oltre 80% dei voti. Nelle zone controllate dai sovietici
il SED ottenne il 50% dei voti, democratici cristiani e liberali il
25% ciascuno, ma nella città di Berlino dove la consultazione si
tenne sotto il controllo di tutte le quattro potenze vincitrici, i
comunisti riportarono un significativo insuccesso.
I
colloqui di pace sulla Germania fra il '46 e il '48 risultarono più
difficili di quanto previsto; gli americani ritenevano di avviare
il paese a libere istituzioni ed evitare qualsiasi forma ulteriore
di ingerenza, lasciando al popolo tedesco attraverso i propri
rappresentanti la politica interna ed estera del nuovo stato.
Questo atteggiamento non era condiviso dai sovietici i quali
ritenevano che senza un preciso intervento la Germania avrebbe
seguito una politica filo occidentale. I sovietici non escludevano
il ritiro dalla zona orientale della Germania, ma intendevano
imporre pesanti limitazioni alla sovranità tedesca affinché il
paese fosse costretto ad una politica di neutralità. Ulteriore
motivo di contrasto fra sovietici ed anglo-americani era sempre la
questione delle riparazioni, Mosca pretendeva risarcimenti per 10
miliardi di dollari, richiesta tale da provocare il collasso della
Germania.
Fra
il '46 e il '47 nella Germania orientale venne creata una polizia
che sotto certi punti di vista poteva costituire il nucleo di un
piccolo esercito. Adenauer, a nome dei rappresentanti dei Länder
occidentali richiese la costituzione di una limitata forza armata,
pari almeno alla consistenza della milizia della zona est, ma la
richiesta venne respinta dai francesi. Viste le difficoltà a
ricostruire un libero stato tedesco, e l'insuccesso della
conferenza di Londra, britannici e americani decisero
l'unificazione delle proprie zone d'occupazione dando vita alla
cosiddetta "Bizona". Nei mesi successivi, dopo la rottura fra i
rappresentanti dei Länder della zona est e quella ovest venne poi
decisa la creazione di un Consiglio Economico formato da cittadini
tedeschi, diversi provvedimenti a favore della popolazione tedesca,
ed infine la riforma monetaria, che costituì motivo di grave
contrasto con i sovietici.
Sebbene
l'Austria facesse parte del Reich tedesco negli anni della guerra,
non venne considerata dagli Alleati occidentali come paese
aggressore e il processo di normalizzazione risultò molto più
agevole che in Germania.
Il
paese venne diviso in quattro zone d'occupazione e soggetto alla
Commissione Alleata di Controllo, ma diversamente dal vicino
tedesco venne ricostituito in tempi brevi un governo provvisorio,
presieduto dal socialista Karl Renner. Nel novembre del '45 si
tennero le elezioni parlamentari alle quali il partito popolare
ottenne la maggioranza; nei mesi successivi il nuovo stato
austriaco venne riconosciuto dalle potenze vincitrici e il regime
di controllo attenuato anche se non mancarono contrasti in materia
di riparazioni e sulla requisizioni di stabilimenti industriali
considerati di proprietà della vicina Germania.
Nel
'48 cessarono le richieste jugoslave sulla Carinzia, tuttavia il
trattato di pace venne concluso solo dopo la morte di Stalin nel
'55. In base al trattato l'Austria si impegnava alla piena
neutralità che venne rigorosamente rispettata negli anni
successivi.
IL MONDO SULL'ORLO DELLA GUERRA
Nel
conflitto USA-URSS alcuni fattori giocarono a favore di
quest'ultima: le zone di tensione erano tutte nel continente
eurasiatico in zone di contiguità territoriale con l'Unione
Sovietica ed i suoi alleati e pertanto l'esercito russo poteva
muovere, come si dice nel gergo militare "per linee interne" mentre
i paesi aderenti alla NATO necessitavano di numerose basi militari
disperse in ogni parte del globo per assicurarsi valide strutture
logistiche.
Da
un punto di vista strettamente militare, la guerra fredda comprende
due periodi diversi. Nel primo periodo fino al '49, gli Stati Uniti
detennero il monopolio della bomba atomica che assicurò una
posizione di netta superiorità sull'avversario e le consentì di
mantenere poche divisioni contro le 210 dell'URSS, e costrinse
Mosca ad una certa prudenza. Nel secondo periodo, il possesso della
micidiale arma da parte di entrambi gli schieramenti e il
perfezionamento delle armi missilistiche, diede luogo al cosiddetto
"equilibrio del terrore". Un attacco con armi atomiche non poteva
che produrre una "rappresaglia" e quindi la reciproca e totale
distruzione con conseguenze disastrose per tutto il genere
umano.
Nel
febbraio del '47 con i trattati di pace con i paesi ex satelliti
dell'Asse venne stabilito l'obbligo di sgombero delle truppe di
occupazione dall'Europa; tale prescrizioni non ebbe seguito, e a
vario titolo gli eserciti ex invasori permanerono in Europa,
dividendo il continente in rigidi schieramenti
contrapposti.
La
guerra fredda si presta bene ad una periodizzazione, che
sostanzialmente corrisponde alla successione dei capi del Cremlino.
Il primo periodo coincide pertanto con gli anni 1945-1953, il
conflitto riguarda quelle zone, tutte limitrofe allo stato
sovietico, che furono per lo più investite precedentemente dalla
guerra, e sulle quali gli accordi di pace non avevano portato a
stabili soluzioni. In questo periodo la guerra fredda si andò
sviluppando senza che intervenisse qualche forma di contatto fra
gli schieramenti contrapposti per cercare una via di conciliazione.
La Gran Bretagna, attraversata da una lunga crisi passò le consegne
agli Stati Uniti che nel '47 si candidarono a paese leader dello
schieramento occidentale.
Il
secondo periodo 1953-1962 coincide con gli anni del "triumvirato"
Malenkov, Molotov, Berja, e quelli dell'ascesa di Kruscev. L'Unione
Sovietica divenne un interessante punto di riferimento per i paesi
emergenti di tutti i continenti e il conflitto si allargò quindi a
regioni in precedenza mai toccate. Al tempo stesso si tennero
numerosi incontri, anche ad alto livello, fra le grandi potenze,
che fecero sperare in una rapida conclusione del conflitto; non fu
così, tuttavia si ebbero significative fasi di distensione. Le
riforme interne al blocco sovietico risultarono totalmente
insufficienti a dare stabilità all'impero, che continuò ad essere
attraversato da forti agitazioni, anche se in parte non pienamente
conosciute. Nel 1962 L'Unione Sovietica, già provata per il
conflitto con la Cina, subì una sconfitta senza precedenti che
segnò profondamente gli eventi futuri. La crisi dei missili a Cuba
fu l'ultima delle grandi crisi internazionali, abilmente gestita da
Kennedy, rappresentò un durissimo colpo per i sovietici, i quali
non tentarono più una sfida diretta agli Stati Uniti.
La
terza fase del conflitto 1962-1985 coincise con il lungo periodo di
permanenza al potere di Breznev e le brevi leadership di Andropov e
Cernenko; l'Unione Sovietica chiusa ormai in se stessa di fronte
alla crisi interna ed esterna, non poté sfruttare nemmeno la
sconfitta degli Stati Uniti in Vietnam e l'insofferenza dei popoli
del Medio Oriente verso l'Occidente per riprendersi. Chiusa la
questione di Berlino, l'Europa cessò di costituire una zona di
scontro fra i due schieramenti e il conflitto fra Est e Ovest si
spostò completamente all'interno dei paesi del Terzo Mondo dove
fino all'ultimo l'Unione Sovietica riportò dei successi. La paura
di una guerra totale nel mondo si allontanò sempre di più e la
disten¬sione si affermò in maniera irreversibile nonostante la
violazione degli Accordi di Helsinki (in materia di diritti umani)
e la ripresa dell'espansionismo sovietico dopo il
1975.
Infine
con l'ascesa al potere di Gorbaciov e l'affermarsi del rispetto dei
diritti civili e politici in Unione Sovietica, ormai in pieno e non
più occulto travaglio, terminò definitivamen-te il lungo periodo di
tensione internazionale creatosi successivamente al
1945.
Si
possono distinguere tre fasi nell'origine della guerra fredda. Il
periodo anteriore alla primavera del '45 coincide con il periodo di
maggiore fiducia in una stabile intesa fra le grandi potenze, e
sebbene non fossero mancati contrasti, questi vennero superati
attraverso negoziati e la Conferenza di Yalta venne salutata come
l'inizio di una nuova era. Nelle settimane successive allo storico
accordo, ancora vivo Roosevelt, si ebbe una serie di gravi
violazioni da parte sovietica e la posizione di equidistanza degli
Stati Uniti rispetto a Gran Bretagna e Unione Sovietica venne meno
con un sensibile riavvicinamento fra le due nazioni anglosassoni.
Infine a metà del '47 con l'enunciazione della dottrina Truman, il
rigetto del Piano Marshall da parte sovietica e la nascita del
Cominform il dissidio degenerò ulteriormente, e si giunse allo
scontro aperto l’anno successivo, con il blocco di
Berlino.
Il
1947 fu l'anno più difficile per l'Europa. Il vecchio continente si
presentava stremato dalla guerra e sconvolto dalle agitazioni
sociali. La Gran Bretagna gravata dal debito estero, fu costretta a
rinunciare al suo ruolo internazionale e ad una presenza militare
più incisiva nel contrastare l'URSS. In Italia e Francia erano
attivi due potenti partiti comunisti legati al Kominform, mentre in
Grecia con la guerra civile, in Germania, Austria, Turchia,
Finlandia e su Trieste si faceva sentire la presenza diretta o
indiretta dell'Unione Sovietica. Se gli Stati Uniti non si fossero
impegnati nuovamente con il sostegno economico e militare ai paesi
europei si avrebbe avuta probabilmente una gravissima situazione
per l'intero continente.
Non
appena conclusi gli accordi di pace con i paesi satelliti dell'Asse
si tenne nel marzo-aprile '47 la conferenza di Mosca. Il trattato
di pace con l'Austria si arenò sulla questione delle riparazioni e
delle richieste sovietiche sulla Carinzia meridionale rivendicata
dalla Jugoslavia. Sulla Germania i sovietici si opposero alla
cessione della Saar alla Francia e nuovamente presentarono la
richiesta di riparazioni per 10 miliardi di dollari, ottenendo un
nuovo rifiuto americano. Il governo sovietico si espresse per la
creazione di uno stato unitario tedesco fortemente centralizzato e
lo scioglimento dei corpi ausiliari tedeschi in quanto considerati
unità militari, mentre gli occidentali ritenevano preferibile una
repubblica federale. La Francia si allineava sulle posizioni
anglo-americane e firmava un accordo con Gran Bretagna e Usa sulla
Ruhr. Sulla questione della Renania e i territori a est
dell'Oder-Neisse si ebbero veti reciproci e nessun accordo venne
raggiunto su libertà d'accesso nella zona orientale e sulla
costituzione di un Consiglio Consultivo tedesco. I sovietici
contestarono energicamente la fusione delle due zone controllate da
britannici e americani, i quali replicarono con la richiesta del
numero dei prigionieri tedeschi (diversi milioni) ancora trattenuti
in Unione Sovietica. Al termine della Conferenza il segretario di
stato americano Marshall lamentava il fatto che "la zona
d'occupazione sovietica... ha fatto conoscere pochissimo, o
addirittura nulla, su quello che accade dentro i suoi confini" . La
infelice conclusione della conferenza segnò una grave rottura dei
rapporti fra gli occidentali e i sovietici, e spinse il governo di
Washington ad una profonda revisione della propria politica
internazionale.
Il
fine ultimo della politica degli Stati Uniti, non più ristretta al
continente americano, veniva definita dal presidente Truman nel
discorso al Congresso del 12 marzo 1947: "Uno degli obiettivi
fondamentali della politica estera degli Stati Uniti è la creazione
di condizioni in cui noi e le altre potenze possiamo stabilire un
modo di vita libero da ogni coercizione. Non raggiungeremo il
nostro scopo se non aiuteremo i popoli liberi a mantenere libere
istituzioni e l'indipendenza nazionale contro movimenti aggressivi
che tentano di imporre loro regimi totalitari... Provvedimenti
spietati e il desiderio di estenderli alle nazioni libere che
ancora sussistono in Europa, hanno provocato la situazione critica
nella quale si dibatte questo continente... per garantire
condizioni di libertà a tutte le nazioni gli Stati Uniti hanno
assunto un ruolo di primo piano nella creazione delle Nazioni
Unite. Ma se noi non realizzeremo i nostri obbiettivi se non
sapremo aiutare i popoli liberi a mantenere libere le loro
istituzioni e la loro integrità si finirà ad imporre ad essi i
regimi totalitari. I regimi totalitari imposti ai popoli liberi
attraverso aggressioni dirette oppure indirette minacciano la pace
e quindi la sicurezza degli Stati Uniti. Molti popoli si sono visti
in tempi recenti imporre regimi totalitari contro le loro volontà.
Il governo degli Stati Uniti ha più volte protestato energicamente
contro le violazioni degli accordi di Yalta commesse in Polonia e
Bulgaria... In questo momento della storia del mondo quasi tutte le
nazioni devono scegliere fra due forme di vita. Questa scelta
troppo spesso non è libera: una forma di vita è basata sulla
volontà della maggioranza e si distingue per liberi istituti,
governo rappresentati¬vo, elezioni libere, garanzie delle libertà
individuali, della libertà di parola e di religione nonché dalla
libertà della aggregazione politica. La seconda forma di vita si
basa sulla volontà di una minoranza coercitivamente imposta alla
maggioranza. Si fonda sul terrore e l'oppressione, su stampa e
radio controllate, su elezioni addomesticate e sulla soppressione
delle libertà personali. Ritengo che la linea di condotta degli
Stati Uniti debba sostenere i popoli liberi che resistono ai
tentativi di asservimento da parte di minoranze armate e di
pressioni esterne. Ritengo sia nostro dovere aiutare i popoli
liberi a forgiarsi i propri destini secondo la loro volontà.
Ritengo che il nostro soccorso debba estrinsecarsi anzitutto a
mezzo di soccorsi economici e finanziari indispensabili alla
stabilità economica e alla vita politica regolare... I liberi
popoli del mondo guardano a noi perché noi li assistiamo al
mantenimento delle loro libertà. Se noi esitiamo ad assumere tale
responsabilità, rischiamo di mettere in pericolo la pace del mondo
e metteremo certamente in pericolo il benessere della nostra
nazione" .
Il
discorso che seguiva le dichiarazioni del Primo Ministro inglese di
non poter concorrere più al sostegno di Grecia e Turchia, non venne
approvato dagli uomini dell'alta finanza come Bernard Baruch e
Joseph Kennedy in quanto l'assunzione di responsabilità avrebbe
significato costi economici notevoli e protratti nel tempo; anche
il presidente della Occidental Oil Corporation, Armand Hammer,
Nelson Rockfeller e il magnate delle ferrovie Wiliam Harriman, si
opposero alla politica di scontro con l'URSS . Secondo un'inchiesta
del periodico americano "Fortune", riportata dallo storico russo
Geller, gli uomini d'affari americani erano interessati a buone
relazioni con l'Unione Sovietica. La "dottrina Truman" e il
discorso di Fulton di Winston Churchill sulla "cortina di ferro"
sono stati considerati, non ingiustamente, gli atti con cui il
mondo intero prese coscienza dell'instaurarsi della guerra
fredda.
L'altra
grande iniziativa americana di quel periodo costituì una importante
novità storica per gli Stati Uniti ed il Nuovo Mondo, abituato ad
un ruolo politico limitato e comunque subordinato a quello delle
potenze europee. Attraverso il Piano Marshall concretatosi nel
Programma di Ricostruzione Europea (ERP), il vecchio continente
poté beneficiare di scorte alimentari, materie prime, ma anche
prodotti finiti e strumentali e crediti commerciali per circa 13
miliardi di dollari. Un effetto non secondario del Piano Marshall
fu quello di favorire una maggiore liberalizzazione degli scambi
commerciali e facilitazioni nelle transazioni internazionali fra
Europa e Stati Uniti e all'interno dell'Europa stessa. La risposta
delle economie europee al piano di aiuti fu immediata, e già nel
1949 i paesi europei raggiunsero, e in alcuni casi superarono, il
livello di produzione industriale degli anni immediatamente
precedenti alla guerra. Opposizioni al Piano Marshall vennero oltre
che da parte comunista (sebbene in un primo periodo avessero dato
il loro consenso) dai sostenitori del nazionali¬smo economico e
politico. L'OECE, l'organizzazione per la cooperazione fra i paesi
europei oltre a sovrintendere la distribuzione degli aiuti divenne
un organo finalizzato a favorire l'integrazione
europea.
George
Marshall, ideatore del piano e premio Nobel per la pace, nel suo
discorso all'università di Harward nel giugno 1947 espresse in
forma esplicita le finalità del suo piano: "La nostra politica non
è rivolta contro un paese o una dottrina, ma contro la fame, la
povertà, la disperazione e il caos. Suo obbiettivo deve essere la
rinascita di una economia attiva nel mondo, così da permettere il
sorgere di condizioni politiche, sociali ed economiche nelle quali
le libere istituzioni possano vivere… Ma un governo che cercherà di
bloccare la ricostruzione di altri paesi non potrà attendersi aiuto
da parte nostra. Inoltre, i governi, i partiti politici, o i gruppi
che cercano di perpetuare la miseria umana per profittarne
politicamente o in altro modo, incontreranno l’opposizione degli
Stati Uniti" .
Il
piano di aiuti, a cui aderirono 16 paesi europei, non era ristretto
ai paesi dell'Europa occidentale, anche all'URSS e ai paesi
confluiti nell'orbita sovietica venne accordata la facoltà di
aderire al programma. La Polonia e la Cecoslovacchia diedero la
propria adesione, che venne successivamente ritirata su richiesta
dell'Unione Sovietica. Alla conferenza di Parigi del giugno '47
Molotov si disse contrario al principio che gli aiuti economici
dovessero essere concordati fra America e paesi europei;
sostanzialmente riteneva che i governi del vecchio continente
avrebbero dovuto semplicemente indicare una lista dei beni di cui
necessitavano da presentare agli americani. Per il ministro degli
esteri sovietico "i crediti degli Stati Uniti non serviranno a
ricostruire l'Europa, bensì a dividerla" .
Il
programma di aiuti al continente europeo venne completato da un
piano di assistenza tecnica ed economica ai paesi in via di
sviluppo previsti dal cosiddetto Quarto Punto. Il piano non diede
risultati notevoli, tuttavia impedì una maggiore penetrazione del
comunismo in quei paesi. La "dottrina" e il "piano" costituivano
per espressa affermazione di Truman "le due metà della stessa
noce" e costituirono un contributo di grande rilievo alla
creazione del nuovo ordine mondiale.
L'estate
del '47 segnò una importante svolta nei rapporti fra Est e Ovest:
le elezioni in Ungheria dove il principale partito d'opposizione al
comunismo venne ridotto al silenzio, l'esecuzione di Petkov, eroe
della resistenza antitedesca in Bulgaria, la forte pressione
jugoslava su Trieste provocarono un irrigidimento dei due blocchi.
Di non minore importanza poi la creazione del Kominform da parte
dei partiti comunisti dei paesi del blocco sovietico e di Francia e
Italia. La riunione avvenuta nel settembre, e alla quale non
vennero invitati i rappresentanti dei partiti comunisti cinese,
greco, albanese, e vietnamita ritenuti poco allineati, costituì un
importante momento dello scontro ideologico della guerra fredda;
vennero denunciati come traditori i sostenitori della
socialdemocrazia (fra cui esplicitamente il partito di Saragat) e
vennero lanciate gravi accuse ai paesi capitalisti. Altre accuse
vennero dirette al Piano Marshall, finalizzato secondo il punto di
vista comunista a "stabilire il dominio mondiale dell'imperia¬lismo
americano", mentre gli Stati Uniti, leader dello schieramento
imperialista, vennero additati come "il nemico principale" del
comunismo. L'ambasciata americana a Mosca definì la dichiarazione
di Varsavia che istituiva il Kominform "una dichiarazione di guerra
politica ed economica contro gli USA"; tuttavia l'organizzazione
non ebbe grande vita, i partiti aderenti nutrivano diffidenza verso
l'organizzazione che costituiva un mezzo di controllo di Mosca
nella vita delle organizzazioni comuniste.
Nello
stesso anno gli USA misero a punto il primo piano di emergenza
nucleare denominato Half Moon, venne creato il Consiglio di
Sicurezza Nazionale e approvata la costituzione della Central
Intelligence Agency meglio nota come CIA. Non molto tempo dopo
nell'aprile '50 Truman diede la sua approvazione al piano NSC-68 di
risposta ad un possibile attacco massiccio delle forze sovietiche
contro l'Europa, nel quale si affermava espressa-mente che
obbiettivo della politica di Mosca era "imporre la sua autorità
assoluta sul resto del mondo" e che occorresse "...stare all'erta
per colpire con tutto il nostro peso appena attaccati e, se
possibile, prima che l'attacco sovietico sia realmente lanciato...
Nelle fasi iniziali di una guerra atomica, i vantaggi
dell'iniziativa e della sorpresa sarebbero enormi" . L'allarme per
l'Europa era condiviso anche da un illustre giornalista e
diplomatico americano, George Kennan: “Fino a quando si riconosceva
ufficialmente che esistevano in Russia resti di capitalismo, era
possibile attribuire a questi, in quanto elemento interno, parte
della colpa per il perpetuarsi di una forma di società
dittatoriale. Ma come tali resti vennero poco a poco liquidati,
questa giustificazione venne a mancare… e si rese necessario
giustificare la continuazione della dittatura proclamando la
minaccia del capitalismo estero… Il popolo americano di fronte a
questa implacabile sfida, ha fatto sì che tutta la sua sicurezza
nazionale dipenda dalla sua capacità di far massa e di accettare le
responsabilità di guida politica e morale che la storia ha voluto
palesemente affidargli” .
Negli anni '48-'49 molte deposizioni di ex internati e di funzionari sovietici fuggiti all'estero, fra i quali Kravcenko, autore di un libro che destò molto scalpore, parlavano del clima di terrore esistente nel loro paese. La versione ufficiale dei comunisti in tutto il mondo era che si trattasse di propaganda americana per gettare discredito sullo stato sovietico, ma di lì a pochi anni vennero smentiti da Kruscev stesso, oltre che da una serie inconfutabile di prove. In Francia l'esponente russo venne attaccato con violenza dai più autorevoli esponenti comunisti e divenne oggetto di una campagna denigratoria che testimoniava un clima di intolleranza. La sua testimonianza insieme ad altre prove indirette fecero ritenere che in Unione Sovietica e negli altri paesi d'oltre cortina esistessero dei campi di concentramento vasti intere regioni, dove oppositori politici, appartenenti a nazionalità non russe, ed altre categorie ritenute non integrate nel regime, erano costrette al lavoro in condizioni disumane. Le prove raccolte dalla Federazione Americana del Lavoro, e altri riscontri, fra cui nel '49 il ritrovamento del "Codice di lavoro correttivo della Repubblica Federale Socialista della Russia Sovietica", vennero inviate agli uffici delle NU affinché fossero valutate. L'inchiesta aperta dall'ONU accertò le responsabilità dei sovietici i quali comunque impedirono l'accesso ai delegati delle Nazioni Unite nel paese, e respinsero le accuse affermando che i campi di cui si parlava accoglievano solo criminali comuni. Il Consiglio Economico dell'ONU nel 1950 comunque concluse che circa dieci milioni di cittadini erano soggetti al lavoro forzato.
Nel
1948 una grave crisi si ebbe nel nord Europa. La Finlandia che nel
'41 si era associata alla Germania nell'aggressione alla Russia
(per i territori perduti nel '39) nel marzo del '45 si distaccò
dall'Asse e con il ricorso esclusivo alle sue forze si liberò delle
truppe tedesche presenti. Ciò gli consentì che non si stabilissero
truppe dell'Armata Rossa nel proprio territorio; per la Finlandia
tradizionalmente legata alla Russia mantenere una politica di
indipendenza da Mosca non fu tuttavia facile, Stalin impose
durissime riparazioni al paese ritenendo in tal modo di porre in
difficoltà l'economia del paese.
Nelle
elezioni del 1945 l'estrema sinistra riportò il 25% dei voti circa
e nell'aprile del '48 il governo finnico concluse un patto di
reciproca assistenza con l'URSS (diretto soprattutto contro una
ripresa della Germania). Un mese dopo si diffusero voci nel paese
di un tentativo di complotto che consentì al ministro degli
Interni, il comunista Lejno, di adottare alcune gravi contromisure.
Il Parlamento espresse un voto di sfiducia all'esponente comuni-sta
il quale si appellò ai lavoratori perché fosse indetto uno sciopero
di protesta. L'agitazione non ebbe successo, e nelle elezioni di
luglio i comunisti risultarono sconfitti. Progressivamente la
situazione si normalizzò e la Finlandia si avviò così ad una
posizione di neutralità con governi democratici non ostili a Mosca
ma senza subire ingerenze esterne.
Nello
stesso anno Stalin propose al governo svedese un piano di difesa
comune dell'arcipelago di Spitzberg, che venne respinto
energicamente dalla Svezia come tentativo di ingerenza negli affari
interni.
L'insuccesso
della Conferenza di Londra del 1947 conclusa senza raggiungere un
accordo su riparazioni e i confini orientali del nuovo stato
tedesco portò alla rottura definitiva dei negoziati sulla Germania.
John Foster Dulles, presente alla conferenza, ricorda che le
richieste sovietiche erano contraddittorie: “Molotov chiedeva alla
Germania somme considerevoli a titolo di riparazioni a favore della
Russia e, al tempo stesso, prometteva ai tedeschi di migliorare le
loro condizioni economiche”. Inoltre il diplomatico americano
ricorda che già nel precedente incontro “Il Signor Molotov
insistette per l’insediamento di un potente governo centrale a
Berlino. I capi sovietici erano sicuri che se tutto il potere
politico fosse stato concentrato in un solo posto, preferibilmente
Berlino, nella Zona Sovieitca, essi avrebbero assunto il controllo
della Germania una volta che essi avrebbero assunto il controllo di
quel potere centrale”. I contrasti fra le potenze occidentali e
l'Unione Sovietica si accrebbero ulteriormente quando in un
incontro a Londra nel febbraio '48, francesi, inglesi e americani
decisero di unificare la già esistente Bizona con il territorio
sotto controllo francese, di riconoscere al governo di Parigi la
Saar, e di voler dare vita ad una Assemblea Costituente eletta
direttamente dai cittadini tedeschi. I sovietici accusarono le
altre potenze di voler integrare la Germania nel blocco politico e
militare occidentale e di perseguire una politica contraria alla
pace.
La
tensione, anche fra i diversi contingenti militari presenti in
Germania, si accrebbe notevolmente, nel marzo il generale Clay,
comandante delle truppe americane in Germania, informò il governo
della nuova situazione: "Da qualche settimana sento
nell'atteggiamento sovietico una sottile evoluzione, che non posso
definire ma che mi dà l'impressione che la guerra potrebbe
esplodere con drammatica immediatezza" . Nello stesso mese il
coman¬dante delle truppe sovietiche, presidente di turno del
Consiglio Alleato di Controllo sospese le riunioni
dell'organizzazione; l'organo cessò di esistere e ogni forma di
coordinamento permanente fra i quattro. Negli stessi giorni venne
deciso da parte sovietica il blocco dei treni militari diretti a
Berlino che creò difficoltà al rifornimento delle truppe
franco-anglo-americane nella città.
Tre
mesi dopo il grave provvedimento sulla circolazione ferroviaria gli
Alleati decisero l'introduzione di una nuova moneta per
fronteggiare la gravissima inflazione nel paese. Il nuovo marco
venne ben apprezzato dalla cittadinanza tedesca ma per i sovietici
rappresentò una grave violazione degli accordi e decisero un
inasprimento delle limitazioni al traffico per Berlino. Le ferrovie
intorno alla città, le strade, i canali navigabili, vennero
completamente chiusi al traffico, mentre venne sospesa l'erogazione
di elettricità ai quartieri occidentali; tali misure significarono
l'assedio per le forze armate alleate e l'interruzione di ogni
forma di approvvigionamento per la popolazione civile. Il Blocco di
Berlino fu una iniziativa di eccezio-nale gravità, di fronte alla
quale gli Alleati non avevano altra possibilità che forzare il
blocco, rischiando di provocare un gravissimo conflitto, o di
cedere; gli Stati Uniti trovarono una terza via, che forse i
sovietici non avevano previsto, dispendiosa ma pacifica, il ponte
aereo fra la ex capitale tedesca e la Germania occidentale,
utilizzando l'aeroporto che rientrava nel settore occidentale della
città. L'iniziativa americana, che non aveva precedenti nel
passato, realizzata attraverso una concentrazione di aeroplani da
tutto il mondo, ebbe successo; il ponte aereo per undice mesi
rifornì la città di oltre due milioni di abitanti di quanto
necessario (venne trasportata anche pezzo per pezzo una centrale
elettrica); l'Occidente diede una grande prova di capacità tecniche
e della volontà di resistere ad azioni aggressive.
Nel
giugno si ebbero minacciosi spostamenti di truppe da parte dei
sovietici ai quali gli americani replicarono con misure militari
per garantire i corridoi aerei che erano stati in precedenza
violati. L'opinione pubblica mondiale visse un lungo periodo con il
fiato sospeso; il generale Clay confermò pubblicamente le
intenzioni degli occidentali che "solo la guerra potrebbe
obbligarci a lasciare Berlino", Churchill parlò esplicitamente del
pericolo di una terza guerra mondiale e riferendosi al fatto che
fino a quel momento la bomba atomica era monopolio esclusivo
dell'America, disse "Se fan questo in tempo di vacche grasse, cosa
faranno in tempo di vacche magre?" ; il Sunday Times infine così
commentò gli avvenimenti di quei giorni: "O noi abbandoneremo
Berlino, o i russi rinunce¬ranno a cacciarci, o la guerra
scoppierà".
Nello
stesso periodo il Consiglio Comunale di Berlino, largamente
dominato dai socialisti contrari alla fusione con il partito
comunista, venne boicottato da tumulti di piazza che costrinse
l'Assemblea ad abbandonare la sua sede per trasferirsi nella zona
occidentale della città. Ciò diede l'opportunità ai comunisti di
realizzare un nuovo organismo rappresen-tativo nella zona est
largamente controllato da esponenti filo sovietici.
Venne investito il Consiglio di Sicurezza dell'ONU del problema, ma
senza alcun risultato a causa del veto posto dall'URSS. Nella
Conferenza di Londra del novembre '48 l'URSS riconfermava le sue
posizioni sulla questione delle riparazioni, e contro la
costituzio¬ne di un governo federale; l'incontro si concluse
pertanto senza risultati. Nell'aprile del '49 venne deciso un nuovo
incontro a quattro per tentare di sbloccare la situazione; non vi
furono progressi, comunque vista la fermezza dei paesi occidentali
nel maggio il blocco di Berlino venne progressivamente ridotto e la
tensione fra le due parti decrebbe.
I
gravi avvenimenti non impedirono gli occidentali dal proseguire la
loro opera a favore della ricostruzione di uno stato tedesco, si
pose fine ad ogni tipo di requisizione e si limitarono i propri
poteri al controllo sugli atti della nuova amministrazione tedesca,
alla gestione della Ruhr, e a materie particolari riguardanti la
sicurezza. I Länder della parte occidentale della Germania poterono
riunirsi per l'approvazione del nuovo assetto costituzionale, la
Legge Fondamentale di Bonn, con la quale diedero vita al nuovo
stato tedesco. La Germania venne infine ammessa a beneficiare del
piano Marshall, iniziativa che consentì il progressivo
miglioramento della situazione economica e il ritorno alla
normalità del paese. Nella Germania orientale venne invece
costituito un Congresso del Popolo nominato dal SED che costituì
l'organo parlamentare del futuro stato tedesco. Non molto tempo
dopo nella Germania orientale veniva istituita la DDR, per la
Germania iniziava il difficile periodo della separazione in due
stati.
La
creazione di due stati in Germania creò una serie di problemi per
la nazione tedesca e l'Europa; nel 1950 il governo di Pankow
sottoscrisse un trattato con la Polonia in base al quale i
territori a est dell'Oder-Neisse, venivano ceduti al governo di
Varsavia che suscitò la reazione di Bonn. Nel settembre dell'anno
successivo il capo del governo della DDR, Grotewohl propose ai
colleghi della RFT di aprire negoziati per la riunificazione del
paese che non ebbero successo. In Austria la situazione era solo
relativamente migliore; nel settembre del 1950 venne indetto con
l'appoggio delle truppe di occupazione sovietiche uno sciopero
generale insurrezionale, che non ebbe esito positivo per la mancata
partecipazione dei lavoratori austriaci.
Nel
marzo del '47 venne concluso a Dunkerque un trattato di reciproca
assistenza tra Francia e Gran Bretagna in funzione antitedesca,
l'accordo venne considerato scarsamente efficace e l'anno
successivo si pervenne, su iniziativa del governo laburista
inglese, ad una estensione del patto (Trattato di Bruxelles) a
Belgio, Olanda e Lussemburgo. Il nuovo trattato prevedeva
l'assistenza immediata in caso di aggressione contro uno dei paesi
firmatari da qualsiasi parte provenisse l'offesa e consultazioni
immediate nel caso che l'aggressione avvenisse al di fuori del
territorio metropolitano (senza specificare il tipo di aiuto da
riceversi). Il governo del Belgio si dimostrò particolarmente
sensibile alla questione della sicurezza europea; parlando del
governo sovietico il rappresentante del Belgio presso le Nazioni
Unite affermò "La verità è che la vostra politica estera è oggi più
audace e più ambiziosa della politica degli stessi zar". La
cooperazione sul piano della difesa venne apprezzato da Truman, il
quale ribadì l'appoggio americano ai paesi europei: "Sono sicuro
che ci mostre¬remo tanto risoluti ad aiutare le nazioni libere
dell'Europa, quanto queste lo sono nell'assicu¬rare la propria
difesa" e ben presto si aprirono trattative per una
partecipazione di Stati Uniti e Canada.
Nell'anno
successivo vennero invitati a far parte dell'organizzazione i paesi
scandi-navi, l'Italia e il Portogallo; la Svezia declinò l'invito
fedele allo spirito di neutralità pur affermando che una
aggressione contro la Finlandia avrebbe prodotto una revisione
della sua politica. Si giunse così il 4 marzo 1949 alla firma del
North Atlantic Treaty Organization (NATO) che costituì la
principale alleanza fra i paesi occidentali. Il trattato non
prevedeva l'immediato intervento militare a favore dello stato
aggredito ma una serie di consultazioni e di misure a seconda di
dove si verificasse l'aggressione. Il campo di azione della NATO
era abbastanza circoscritto geograficamente; risultava composto dal
continente europeo, quello americano, parte del bacino del
Mediterraneo e altre aree geografiche particolari. Il trattato
venne rapidamente ratificato dal Senato americano nonostante
l'opposizione degli ambienti più conservatori. La costituzione
della alleanza suscitò proteste da parte dei sovietici e dei
comunisti dei paesi europei, ma non impedì comunque il
raggiungimento di un compromesso sulla questione di
Berlino.
Il
timore di un attacco su vasta scala del continente europeo era in
quel tempo molto vivo; secondo il periodico italiano "La Nuova
Stampa": "Non fu esagerazione la frase divenuta comune che
l'Occidente europeo rimaneva aperto ad una invasione russa, la
quale poteva arrivare in pochi giorni all'Atlantico. L'obbiezione
da parte sovietica o filo comunista, o ingenuamente neutralistica,
che l'URSS non pensava e non pensa nulla di simile, è priva di
valore. Una sicurezza basata sul buon volere altrui significa, per
uno stato qualsiasi, la perdita dell'autonomia" .
I
timori espressi dagli occidentali furono molto accresciuti quando
il 23 settembre 1949 si ebbe l'annuncio del governo americano che i
sovietici disponevano di una bomba atomica (aerei in volo ad alta
quota avevano segnalato un aumento della radioattività dell'aria
prodotto da un esperimento nucleare), la notizia sconvolse
l'opinione pubblica che riteneva la sicurezza dell'Occidente
minacciata. Vi fu chi pensava ad un attacco preventivo contro
l'URSS prima che disponesse di un arsenale superiore e della
facoltà di colpire obbiettivi americani (i bombardieri russi non
avevano sufficiente autonomia di volo per raggiungere il continente
americano), la reazione di Truman fu invece sostanzialmente
moderata, "constatato che nessuno avrebbe potuto mantenere il
monopolio" sottolineò la "necessità del controllo internazionale
dell'energia atomica" e affermò infine che il risultato sovietico
non rendeva più probabile una guerra né che poteva modificare la
politica degli Stati Uniti.
Nella
riunione del Consiglio del Patto Atlantico a New York del settembre
1950, successiva all'aggressione alla Corea del Sud gli Stati Uniti
si fecero promotori di alcune importanti iniziative: inclusione del
territorio tedesco occidentale e di Berlino Ovest nell'area di
vitale importanza dell'alleanza, un aumento consistente delle
truppe statunitensi sul continente europeo (accogliendo una vecchia
richiesta degli europei) e infine l'inseri¬mento della Germania
Occidentale nell'alleanza; il riarmo tedesco venne accolto con una
certa perplessità dei governi europei e pertanto si studiò una
formula per l'impegno di truppe della RFT sotto un comando
unificato non tedesco, che trovò attuazione nella riunione del
dicembre 1950 del Consiglio Atlantico a Bruxelles.
Nel
1950, alla vigilia della guerra di Corea, gli USA disponevano
complessivamente di non più di 14 divisioni contro le circa 175
dell'URSS. L'esercito sovietico in quegli anni superava i 5 milioni
e mezzo di uomini, e risultava dotato di grandi quantità di carri
armati e di mezzi con caratteristiche prevalentemente offensive.
"Allo stato attuale delle cose" secondo l'opinione del generale
Montgomery "si può prevedere che se fossimo attaccati dai russi,
l'Europa occidentale sarebbe teatro di scene di una spaventosa ed
indescrivibile confusione" . Nel 1951 gli Stati Uniti realizzarono
la prima bomba termonucleare, seguiti dai sovietici due anni dopo,
da lì si ebbe la corsa alla costruzione di bombe sempre più
terrificanti di numerose volte più potenti di quella di
Hiroshima.
Nella
riunione del vertice della NATO a Lisbona del 1952 venne stabilito
di creare un sistema di difesa dell'Europa mettendo insieme 50
divisioni, ma di fatto tale obbiettivo non venne raggiunto e le
divisioni disponibili non furono più di una trentina; gli americani
si trovarono pertanto nelle condizioni di dover sollecitare un
maggiore impegno da parte dei paesi europei e un sistema di difesa
comune, il CED.
Nel
periodo staliniano i colloqui fra potenze occidentali e comuniste
in materia di sicurezza non cessarono del tutto e fra il '51 e il
'52 si tennero diversi incontri in sede ONU per il disarmo, che
comunque non diedero risultati.
Intorno
al 1950 operava in diversi paesi dell'Occidente e dell'Oriente un
attivo movimento pacifista, i Partigiani della Pace, al quale
aderirono diversi esponenti della cultura e dell'arte come Picasso
e lo scienziato Joliot-Curie. Il movimento lanciò da Stoccolma un
appello per la interdizione delle armi atomiche, promosse diverse
manifestazioni nelle principali capitali europee ed una gigantesca
raccolta di firme che raggiunse la cifra di 273 milioni di adesioni
(raccolte in massima parte nei paesi comunisti) contro la guerra.
La richiesta di abolizione delle armi atomiche era diretta
soprattutto verso gli Stati Uniti e se accolta avrebbe messo in
difficoltà maggiormente lo schieramento occidentale.
L'organizzazione era diretta da comunisti e sulla spontaneità del
movimento si nutrivano numerosi dubbi. Diversa era l'azione di
alcuni importanti uomini di cultura come Albert Einstein,
sostenitori convinti della pace, e del cosmopolitismo, favorevoli
alla creazione di un governo mondiale che garantisse i diritti dei
popoli e dei cittadini.
I TEATRI DELLE GUERRA FREDDA IN ASIA
I
popoli di colore avevano dato vita già dagli anni precedenti il
conflitto mondiale a movimenti nazionalistici e marxisti (ma in
molti casi le due posizioni coincidevano e le ideologie non
presentavano caratteri ben definiti) che misero in difficoltà il
potere degli europei, i quali trovavano sempre più difficoltà a
legittimare la loro presenza in Asia.
La
posizione degli Stati Uniti e quella dei paesi europei in molti
casi divergevano sul problema coloniale. Il governo americano
riteneva che i paesi afroasiatici avessero diritto
all'autodeterminazione, e l'intervento occidentale dovesse
limitarsi a contrastare la penetra-zione del comunismo, mentre i
governi europei in molti casi non erano disponibili ad accordare la
piena indipendenza. Per le popolazioni indigene in molti casi era
comunque difficile distinguere fra le due posizioni e assunsero un
atteggiamento di ostilità a quello che genericamente era definito
il dominio dei bianchi.
La
guerra fredda in Asia pose in luce un problema che gli Stati Uniti
non avevano valutato sufficientemente. Nei paesi progrediti dove il
livello culturale ed economico della popolazione è elevato, i
cittadini attraverso regolari elezioni sono in grado di dare vita a
libere istituzioni, mentre nei paesi meno sviluppati certi
meccani¬smi costituzionali risultano di difficile attuazione. Tale
situazione provocò il sorgere di regimi dittatoriali, di
concentrazioni di poteri economici e politici (sia attraverso un
sistema ad economia statalizzata sia attraverso un sistema
liberista) e di una stagnazione della vita politica del paese. In
questi paesi d'altra parte le esigenze immediate di soddisfacimento
dei bisogni elementari non poteva favorire il sorgere di una
coscienza civica né l'esigenza diffusa di democrazia. Anche secondo
John Foster Dulles i popoli asiatici: “Sono popoli che non
posseggono esperienza per il funzionamento delle libere istituzioni
politiche… In quei paesi esiste una grande miseria che offre un
terreno molto favorevole alla propaganda sovietica” .
Nel
sud-est asiatico o in Cina molti dei capi locali sostenuti dai
governi occidentali non combattevano per la democrazia e contro il
comunismo, ma per chiunque potesse garantirgli il proprio potere e
i propri traffici. Nulla di strano quindi che questi governi che
non poggiavano su solide basi si sfaldassero con tanta facilità.
L'errore degli americani che questi combattessero in nome dei
valori del mondo occidentale ebbe numerose conseguenze
negative.
La
situazione si presentava difficile per gli europei, tuttavia i
sovietici solo con ritardo compresero che la causa dei popoli
sottoposti al colonialismo potesse ritornare utile e per un lungo
periodo non manifestarono alcun interesse per i paesi afroasiatici
che si apprestavano a fare il loro ingresso nel consesso delle
nazioni.
Il
"fronte asiatico" della guerra fredda fu quello dove i comunisti
registrarono i maggiori successi. Alla fine degli anni '40 la Cina
continentale con i suoi 800 milioni di abitanti fece il suo
ingresso nel mondo comunista anche se venne a a crearsi una
situazione non dissimile a quella jugoslava, con uno stato
insofferente a porsi in stati di sudditanza nei confronti della
"patria del socialismo".
Gli
americani ebbero l'intelligenza di non impegnarsi eccessivamente
con l'alleato Chiang Kay Shek. Il governo nazionalista aveva
favorito l'unificazione della Cina e il superamento dei disordini
interni, ma non aveva provveduto ad avviare il paese verso libere
istituzioni né a migliorare le condizioni delle popolazioni rurali
dove miseria e analfabetismo risultavano largamente diffusi. Per un
certo periodo aveva mantenuto buone relazioni con il movimento
comunista, ma successivamente alla fine degli anni '20 aveva
bruscamente interrotto i rapporti con l’organizzazione marxista,
senza che comunque questo pregiudicasse le buone relazioni con
Mosca. Il contrasto venne temporaneamente superato dal comune
impegno nella lotta all'espansionismo giapponese, ma venuto a
cessare il comune pericolo, la guerra civile riprese il
sopravvento.
I
sovietici, che nell'ultimo periodo di guerra avevano preso possesso
della Manciuria e della Mongolia interna, sebbene nutrissero
numerose riserve sul movimento maoista, favorirono la penetrazione
dei comunisti nelle regione settentrionali. Gli americani pur
appoggiando i nazionalisti del Kuomintang, ai quali non fecero
mancare rifornimenti di ogni natura, ritenevano tale regime
destinato a soccombere per i contrasti interni esistenti (alcuni
generali agli ordini di Chiang arrivarono a disfarsi del materiale
bellico ricevuto, per cederlo ai rivoluzionari) e a causa
dell'ostilità delle masse contadine, che costituivano il 90% della
popolazione, verso il regime nazionalista, la diffusa xenofobia
verso gli europei e l'impoverimento delle classi medie a causa
dell'inflazione, le forze anticomuniste si trovarono in grave
difficoltà. Il governo americano si sforzò per una composizione
pacifica del conflitto, e nel dicembre del '45 la Casa Bianca inviò
il generale Marshall per tentare una mediazione fra le parti, che
ebbe però scarso successo.
Nei
primi due anni di guerra civile le forze del Kuomintang riportarono
alcuni successi, avanzando al nord e occupando anche Yenan, sede
del governo comunista, ma l'eccessiva dispersione delle forze, la
abile tecnica della guerriglia nelle campagne dei comunisti, ed
infine il tradi¬mento dei generali, obbligarono alla ritirata le
truppe di Chiang Kay Shek; il generalissimo si dimise da presidente
a favore del suo vice Li Tsung Jen, esponente moderato maggiormente
stimato dal popolo, che tentò un compromesso con le forze
comuniste. Nel gennaio del '47 gli americani cessarono i tentativi
di mediazione fra le due parti, e non mancarono di esprimere aperte
critiche al governo nazionalista; nell'anno successivo ogni forma
di sostegno venne drasticamente ridotto. Nel '49 i nazionalisti si
ritirarono nell'isola di Formosa, protetti dalla flotta americana,
ma non mancarono anche nel futuro scontri localizzati fra le due
parti.
Il
nuovo governo della Repubblica Popolare, che successivamente si
estese anche al Tibet e alle altre regioni interne, venne
immediatamente riconosciuto dall'Unione Sovietica e dagli altri
paesi del blocco comunista e nell'anno successivo da Birmania,
India e unico fra i paesi occidentali, dalla Gran
Bretagna.
Nel
febbraio 1950 venne concluso fra Unione Sovietica e Cina un
importate accordo di collaborazione che prevedeva la restituzione
di Port Arthur, Dairen e le ferrovie della Manciuria, l'apertura di
crediti e l'invio di tecnici al governo di Pechino, ma anche la
creazione di società miste russo-cinesi per lo sfruttamento delle
risorse minerarie della Cina, che costituiva, come in Jugoslavia,
una forma di ingerenza negli affari interni del paese. Le basi per
una diver¬genza fra i due paesi erano quindi presenti, anche
secondo Luigi Salvatorelli se "Tito nella piccola Jugoslavia si è
arrischiato a fare del comunismo nazionale affrontando la scomunica
di Stalin, tanto più è ragionevole prevedere che ciò avvenga in una
Cina comunista" .
Negli
anni successivi il governo americano continuò la politica di aiuti
al governo nazionalista di Formosa (Taiwan) e si adoperò affinché
il seggio all'interno del Consiglio di Sicurezza dell'ONU rimanesse
nelle mani di questi, ma al tempo stesso frenarono ogni velleità di
rappresaglia contro la Cina Popolare.
La
regione sud orientale asiatica ha conosciuto una forte instabilità
dovuta a ragioni etniche e religiose. Nei primi anni la guerra del
Vietnam, che antepose il governo nazionalista del Viet Minh e
diretto dal comunista Ho Chi Minh, ai governi in vario modo
sorretti dai francesi, costituì un episodio di guerra
anticolonialista non diverso da quanto avveniva in altre parti del
mondo. L'opposizione degli Stati Uniti alle rivendicazioni francesi
fu esplicita, tuttavia quando dopo l'appoggio di Mao ai comunisti
indocinesi lo scontro assunse le caratteristiche della guerra
fredda, gli americani non fecero mancare il loro sostegno
finanziario al governo di Parigi.
Nella
Conferenza di Potsdam venne stabilita la creazione di una Indocina
indipen-dente (precedentemente composta da 4 protettorati francesi,
il Tonchino, l'Annam, la Cambogia e il Laos) in via provvisoria
presieduta da truppe cinesi (nazionaliste) a nord del 16°
parallelo, e britanniche al sud, ma il progetto incontrò serie
difficoltà.
L'11
marzo 1945 i giapponesi prima di ritirarsi dalla penisola avevano
dato vita ad un governo indipendente presieduto dall'imperatore Bao
Dai, il quale intimava ai francesi di astenersi dal tentativo di
restaurare una nuova amministrazione coloniale nella penisola. Un
certo sostegno al nuovo governo venne dagli Stati Uniti. Le truppe
americane presenti nella regione, che in precedenza avevano fornito
aiuti al Viet Minh, si rifiutarono di prestare sostegno alle truppe
francesi presenti.
La
zona nord del Vietnam, come previsto dagli accordi di Potsdam venne
occupata daIl'esercito cinese e il 2 settembre 1945 il Viet Minh,
proclamò la Repubblica ad Hanoi L'imperatore Bao Dai fu costretto
alla abdicazione e nel paese Immediatamente si instaurò una ferrea
dittatura; molti dei membri dell'appena risorta assemblea nazionale
vennero eliminati o incarcerati.
Gli
inglesi rinunciarono al loro presidio (e altrettanto il governo
cinese nazionalista alcuni mesi dopo) non appena le truppe francesi
furono in grado di riprendere possesso della ex colonia, tuttavia
il governo di Parigi comprese ben presto che non era possibile
restaurare l'amministrazione precedente e il 6 marzo dell'anno
successivo riconobbe l'indipendenza del Vietnam come paese membro
della Federazione dell'Indocina e facente parte dell'Unione
Francese.
Nei
mesi successivi la situazione peggiorò; atti di violenza contro
coloni francesi, provocarono la reazione francese. Nel giugno venne
proclamata con l'appoggio aperto dei francesi la Repubblica di
Cocincina (la parte meridionale del Vietnam abitata in prevalenza
da cambogiani) e alla fine dell'anno si accesero i combattimenti.
Come notò il John Foster Dulles “Le speranze di successo per un
governo non comunista sarebbero state maggiori se il Governo
Francese si fosse affrettato a concedere una vera indipendenza più
rapidamente” .
Il
Viet Minh era sicuramente il raggruppamento politico più forte, ma
presso le popolazioni non vietnamite, i cattolici, e nel sud,
esisteva un forte timore verso il tradizionale autoritarismo del
nord. Il governo filo francese però si presentava debole, e lo
stesso imperatore Bao Dai con la sua prolungata assenza dal paese,
non favoriva la creazione di una alterna¬tiva al dominio
comunista.
La
guerra si presentò sempre più impegnativa per la Francia, specie
quando nel '49 la neo nata Repubblica Popolare Cinese offrì il suo
sostegno al governo comunista, ed ebbe importanti riflessi nella
vita politica francese. Numerosi furono i tentativi di mediazione,
il governo francese giunse comunque alla conclusione che la
migliore via per risolvere la complessa questione fosse un
riavvicinamento con la Cina. Riteneva infatti che la grande nazione
asiatica avesse necessità a superare l'isolamento in cui si
trovava, e che a tal fine sarebbe stata disposta a "scaricare"
l'alleato indocinese. L'azione del governo di Parigi venne favorita
dal Premier indiano Nehru che svolse un importante ruolo di
mediazione nelle vicende indocinesi, tuttavia intuita la minaccia
dell'espansionismo cinese, il governo di Nuova Delhi si impegnò
perché fosse rispettata l'indipendenza di Laos e Cambogia. Tale
politica però non incontrava il favore degli Stati Uniti, contrari
non solo ad un miglioramento delle relazioni con il governo di
Pechino, ma anche al riconoscimento internazionale dello stato
comunista. Secondo una larga parte dell'opinione pubblica americana
era giusto l'intervento a favore dei francesi in Indocina ma a
condizione che si creassero maggiori attenzioni alle popolazioni
locali, e che il governo di Parigi assumesse maggiori impegni circa
il rispetto dell'indipendenza della ex colonia. Progressivamente
gli americani comunque si impegnarono finanziariamente sempre più
nella difficile guerra. Nel '53 Dulles dichiarò che gli Stati Uniti
erano disponibili ad adoperarsi insieme alle altre nazioni libere
per porre fine all'espansione comunista in Vietnam, e fece presente
alla Cina che si sarebbe potuto verificare un allargamento del
conflitto al di fuori dell'Indocina anche con il ricorso alle bombe
atomiche, nel caso che il governo cinese avesse continuato la sua
politica di ingerenza nei confronti dello stato vietnamita, ma tale
politica non ottenne l'appoggio britannico e si rinunciò ad un
maggiore impegno.
La
caduta di un importante presidio militare isolato nel nord del
Vietnam, Dien Bien Phu, nell'anno successivo costituì per il
governo e l'opinione pubblica francese un duro colpo (gli Stati
Uniti sebbene sollecitati, a causa dell'opposizione inglese, non
consentirono l'intervento diretto della aviazione americana),
comunque l'incontro nel mese successivo fra il Primo Ministro
francese Mendes-France e il Premier comunista Ciu En Lai sbloccò la
situazione. In base agli Accordi di Ginevra firmati il 21 luglio
1954, venne stabilito di dividere il Vietnam in due parti, il nord
oltre il 17° parallelo governato dal Viet Minh e il sud sotto il
governo dell'imperatore Bao Dai; inoltre venne stabilito che si
tenessero elezioni generali sotto controllo internazionale entro
due anni e che l'esercito comunista dovesse ritirarsi da Laos e
Cambogia che si costituivano in governi autonomi.
L'armistizio
poneva fine ad una guerra impopolare che aveva provocato la morte
di 19.000 francesi e di 80.000 uomini dei contingenti associati.
Negli anni successivi la Francia si astenne da interferenze nella
regione, tuttavia la pacificazione nella regione asiatica era da
considerarsi ancora lontana. Tre giorni prima della conclusione
dell'armistizio le isole Quemoy e Matsu controllate dalle forze di
Taiwan vennero cannoneggiate dall'esercito di Pechino, e nel
settembre si costituiva l'alleanza militare fra i paesi del sud-est
asiatico legati all'Occidente, la SEATO.
In
Indonesia le vicende della guerra fredda s'intrecciarono
profondamente con quelle della decolonizzazione e dei contrasti
religiosi ed etnici della composita nazione. Come nell'Indocina
francese, anche nell'Indonesia i giapponesi favorirono la nascita
di uno stato indipendente in contrasto con gli antichi dominatori
olandesi. Nell'ottobre del '45 sbarcarono le truppe inglesi per
presiedere alle operazioni di sgombero delle truppe nipponiche, ma
ben presto si accesero i combattimenti con le forze nazionaliste e
comuni¬ste, che si accentuarono d'intensità quando le truppe
olandesi sostituirono quelle britanniche.
Nel
'48 i comunisti tentarono una sollevazione nell'isola di Giava che
venne prontamente repressa con migliaia di morti dalle autorità del
nuovo governo repubblicano. Tale situazione contribuì alla
radicalizzazione del conflitto. L'Olanda, che sosteneva i movimenti
indipendentistici delle isole contro il potere centrale, comunque
sotto la pressione degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica fu
costretta ad accettare il negoziato con il governo nazionalista,
che si concluse nel '49 con il riconoscimento dell'indipendenza
dell'arcipelago sia pure sotto la corona olandese.
L'Indonesia sotto la guida del leader nazionalista mussulmano Ahmed
Sukarno, l'uomo che parlava di una organizzazione mondiale dei
paesi poveri, ed ostentava una ricchezza senza confronti, mantenne
comun¬que ottime relazioni con l'Unione Sovietica e diede vita ad
un regime fortemente autoritario in contrasto permanente con le
varie etnie del paese. Il programma politico della rivolta
anticolonialista, i Pantja Sila, che prevedevano come punti
essenziali il nazionalismo, la democrazia e la giustizia sociale,
come molti altri documenti politici terzomondisti rimasero
sostanzialmente inapplicati, specie per quanto riguardava la
democrazia che non trovò alcuna attuazione.
Anche
gli altri paesi della regione furono interessati da ondate di
protesta. Un tentativo insurrezionale comunista si ebbe in Birmania
nel 1948, paese che aveva da poco raggiunto l'indipendenza ed un
certo grado di democrazia. La rivolta venne facil¬mente repressa
dal governo centrale, ma negli anni successivi si sviluppò una
insidiosa guerriglia ad opera delle popolazioni cristiane Karen e
di altre minoranze etniche, che ebbero per un certo periodo
l'appoggio cinese.
Nella
Malesia, dove gl'immigrati cinesi e in minor misura indiani
costituivano oltre la metà della popolazione, si ebbe nel '48 un
tentativo di rivolta comunista contro i sultani malesi musulmani
nelle cui mani era concentrato l'intero potere politico della
nazione. Come nella vicina Birmania, l'insurrezione venne repressa,
ma diede origine ad una lunga guerriglia durata dieci anni che
impegnò notevolmente le truppe britanniche e costituì una sorta di
guerra parallela a quella dei francesi in Indocina. Il conflitto,
nel corso del quale 500.000 contadini vennero trasferiti in zone
non controllate dalla guerriglia per evitare l'estendersi della
rivolta, si concluse con la vittoria del governo
legale.
Anche
nelle Filippine a cui gli Stati Uniti concessero l'indipendenza
nell'immediato dopoguerra, si ebbero diversi movimenti di
guerriglia d'ispirazione comunista, ma legata anche a fattori
etnici e religiosi; tali movimenti non misero mai in difficoltà
seriamente il governo ma si protrassero comunque a lungo nel tempo
e crearono impedimenti all'econo¬mia del paese, caratterizzata da
una struttura produttiva agricola arretrata.
Lo
scontro di gran lunga più importante in Asia, che portò le due
superpotenze vicino al conflitto aperto, si ebbe nella piccola
penisola di Corea, ex colonia giapponese il cui futuro venne
delineato dalle grandi potenze nella Conferenza di Yalta. Gli
accordi stabiliti in Crimea prevedevano la creazione di una zona
nord presidiata dai sovietici e una zona sud presidiata dagli
americani; nella successiva Conferenza di Mosca del dicembre '45 le
grandi potenze decisero la costituzione di un governo democratico
coreano soggetto provvisoriamente al controllo dei tre Grandi e
della Cina.
I
partiti coreani, con l'eccezione del locale partito comunista,
erano favorevoli invece alla immediata indipendenza; l'Assemblea
dell'ONU si fece portavoce di questa esigenza e stabilì due anni
dopo di tenere libere elezioni sotto controllo internazionale.
L'Unione Sovietica si oppose alla decisione, rifiutò di prendere
parte alla Commissione dell'ONU incaricata di sovrintendere alle
elezioni e impedì l'accesso della stessa nella zona sottoposta al
proprio controllo.
Nel
sud, dove si svolsero regolarmente le elezioni, vinse la
Associazione nazionale per l'indipendenza immediata diretta
dall'anziano leader nazionalista Syngman Rhee. Il 15 agosto venne
quindi proclamata la Repubblica di Corea, riconosciuta dall'ONU ma
non ammessa a far parte dell'organizzazione internazionale per
l'opposizione sovietica. Nel nord invece, si costituì un Consiglio
del Popolo sotto la guida di Kim Il Sung, fanatico leader
comunista, che diede vita nel corso degli anni ad una sorta di
dispotismo teocratico, realizzato attraverso la concentrazione dei
poteri dello stato in mano alla famiglia. Il dittatore, che creò
attorno a sé una eroica leggenda di leader politico, ma che non
prese mai parte secondo diverse testimonianze, alla lotta contro i
giapponesi per la liberazione del paese, instaurò un regime del
terrore con pochi eguali nel continente. Entrambi i governi
comunque si ritenevano rappresentanti legittimi dell'intera nazione
coreana, anche se in realtà il paese risultava spaccato in due,
diviso dal 38° parallelo, che per accordi internazionali segnava il
confine delle zone d'occupazione.
Il
nord era più ricco, e le modeste industrie del paese risultavano
concentrate in questa area (l'80% dell'industria pesante e il 90 %
del carbone), tuttavia centinaia di migliaia di cittadini negli
anni successivi fuggirono al sud. Nel sud anche non si ebbe la
realizzazione di uno stato democratico; il governo di Seul nel
corso degli anni ha subito ripetute contestazioni da parte degli
studenti, ha proceduto all'arresto di migliaia di oppositori e non
ha compiuto progressi sul piano politico.
Nonostante
il disaccordo fra le due potenze, venne stabilito il ritiro dei
rispettivi eserciti dalla nazione coreana, alla quale procedettero
i sovietici nel dicembre 1948 e gli americani nel giugno
1949.
Nel
giugno dell'anno successivo la Corea del Nord, molto superiore come
forze militari, superò il 38° parallelo e iniziò l'invasione del
Sud. Contro le forze armate di Pyongyang, che disponevano di 90.000
uomini e 150 carri, le truppe di Seul opponevano 65.000 uomini
senza armamento pesante. Nei giorni precedenti all'attacco si erano
verificati numerosi incidenti di frontiera e il governo della
repubblica comunista dichiarò di aver reagito ad una aggressione,
ma la concentrazio¬ne di truppe, la rapidità di mobilitazione non
lasciava dubbi su chi fosse il reale aggressore; documenti recenti
degli archivi di Mosca infine, accertano inequivocabilmente il
fatto.
L'aggressione
venne giudicata molto grave in quanto la Corea costituiva il
tradiziona-le accesso al Giappone. Nei mesi precedenti una
dichiarazione del Segretario di Stato americano Acheson aveva
invece fatto intendere che gli Stati Uniti non attribuissero grande
importanza alla ex colonia giapponese e ciò fu interpretato dai
sovietici come possibilità ad agire. Il dittatore nordcoreano
d'altra parte riteneva che invaso il sud la popolazione avrebbe
immediatamente fraternizzato con i comunisti ma la speranza rimase
delusa.
La
situazione si presentò subito difficile; il giorno successivo
all'attacco i nord coreani avevano raggiunto Seul e costretto alla
ritirata l'esercito sud coreano. Il 27 giugno Truman diede l'ordine
di intervento alle forze armate a favore della Corea e di
presidiare il Canale di Formosa, altra zona di crisi, al fine di
impedire attacchi della Cina Popolare contro l'isola nazionalista,
(ma anche per evitare rappresaglie di quest'ultimi contro il
governo di Pechino), ed infine di aumentare gli aiuti alla Francia
in Indocina. Quindi Il giorno successivo in un drammatico appello
rivolto al popolo americano dichiarò: "L'attacco contro la Corea
mette in chiaro al di là di ogni dubbio, che il comunismo ha ormai
superato lo stadio dell'impegno di misure sovversive per
conquistare le nazioni indipendenti e che userà ora l'invasione
armata e la guerra"; un preciso altolà venne intimato su Formosa
"In queste circostanze l'occupazione di Formosa da parte di forze
comuniste rappresenterebbe una minaccia diretta alla sicurezza
della zona del Pacifico e alle forze degli Stati Uniti che svolgono
le loro legittime e necessarie funzioni in quella zona" . Gli Stati
Uniti incontrarono notevoli difficoltà ad intervenire; per
difendere la Corea del Sud dovettero essere trasferite la massima
parte delle truppe che presidiavano il Giappone, lasciando
sguarnita la grande nazione orientale.
Venne
convocato d'urgenza il Consiglio di Sicurezza dell'ONU nel quale
non era presente il rappresentante sovietico. L'Unione Sovietica
aveva disposto il ritiro (dal gennaio di quell'anno) del proprio
rappresentante per protesta per l'attribuzione del seggio spettante
alla Cina al governo nazionalista di Chiang Kay Shek. Il Consiglio
condannò la Corea del Nord come paese aggressore (9 voti
favorevoli, nessun contrario, e l'astensione della Jugoslavia); la
quasi totalità degli stati liberi di quel periodo (compresi gli
stati afroasiatici di recente formazione) aderirono alla lotta
all'aggressore e venne costituita una grande coalizione di eserciti
di 15 nazioni.
L'Unione
Sovietica spostò alcune divisioni verso il confine con la
Manciuria, fornì sostegno alla Corea del Nord con l'invio di
materiale bellico e, anche se la notizia non fu mai confermata, di
aviatori russi che presero parte ad azioni di guerra contro gli
americani sotto le insegne nord coreane. Il territorio della Corea
del Sud venne quasi completamente invaso dai nord coreani che non
incontrarono forte resistenza, ma nel settembre con una ben
studiata operazione navale le truppe della Coalizione sbarcarono a
Inchon, alle spalle dell'esercito comunista, e in due settimane
tutta la Corea del Sud venne liberata. Durante questo periodo
vennero scoperte presso la capitale diverse fosse comuni dove erano
stati trucidati numerosi oppositori politici che suscitarono
profonda indignazione nel paese. Venne studiata la nuova situazione
e, su richiesta del generale Mac Arthur comandante delle truppe
della Coalizione, e contro il parere dei britannici venne
consentito all'esercito della coalizione di superare il 38°
parallelo.
In
breve tempo le truppe della coalizione arrivarono a prendere
possesso di quasi tutta la Corea provocando tuttavia la reazione
cinese. Il governo di Pechino decise l'intervento nel conflitto
coreano attraverso l'invio di circa 400.000 "volontari", (in realtà
truppe ben addestrate). Gli americani, che non avevano previsto
l'attacco e disponevano di un esercito sul piano numerico
decisamente inferiore a quello cinese, furono costretti a ritirarsi
oltre il 38° parallelo dove per un lungo periodo la guerra si
stabilizzò. La Cina comunista venne condannata dall'ONU come paese
aggressore della Corea e nel '51 venne decretato l'embargo militare
contro il governo comunista.
Nei
mesi successivi la minaccia di un ampliamento del conflitto si
diffuse in tutto il mondo e nel dicembre gli Stati Uniti
dichiararono lo stato d'emergenza; ai comandi militari venne quindi
comunicato che "la situazione esistente in Corea, aumentava
considerevol¬mente la possibilità di una guerra generale" e
pertanto le forze armate dovevano tenersi pronte ad una rapida
mobilitazione. Anche l'URSS adottava delle contromisure e nei primi
mesi del '51 venne deciso un considerevole aumento delle spese
militari, che passavano dal 19 al 25 per cento del bilancio dello
stato.
Il
generale Mac Arthur si fece sostenitore di una strategia in
contrasto con le direttive della Casa Bianca. Il comandante
americano sostenne la necessità di bombardare i ponti sul fiume
Yalu che segnava il confine fra la Corea e la Cina, attraverso i
quali affluivano i rifornimenti all'esercito di Pionyang, e forte
del prestigio che godeva in patria si spinse oltre, proponendo di
bombardare le basi dei nord coreani in Manciuria anche con il
ricorso alle armi atomiche (si riteneva modesta la possibilità di
risposta da parte sovietica in quel momento) e attraverso il gruppo
senatoriale repubblicano richiese l'estensione geografica del
conflitto coinvolgendo anche le truppe di Formosa contro la Cina
comunista. Il Primo Ministro inglese Attle fece conoscere il suo
disappunto, riteneva infatti che fosse più utile una politica
conciliante verso la Cina (riconoscimento diplomatico e
attribuzione del seggio all'ONU) favorendo la rottura con l'URSS;
riteneva infatti che Mao Tze Tung come Tito avesse la forza e la
volontà per un tale gesto. Truman sfidando l'impopolarità decise la
revoca del Comando al generale Mac Arthur; nei giorni successivi la
Casa Bianca ricevette 78.000 telegrammi di protesta.
La
guerra ebbe notevoli ripercussioni anche sul piano
politico-diplomatico. Nel dicembre l'Assemblea Generale dell'ONU
votò una risoluzione per l'armistizio e l'inizio di colloqui fra le
parti in conflitto. Mosca respinse esplicitamente la proposta
mentre Pechino richiese il ritiro delle forze dell'ONU,
l'allonta¬namento della marina americana dal Canale di Formosa e in
pratica l'eliminazione del governo di Seul. I cinesi inoltre
replicarono accusando gli americani di condurre una guerra
batteriologica contro le popolazioni della Manciuria, rifiutando
comunque l'inchiesta della Croce Rossa Internazionale sul
luogo..
Le
aspettative di una facile risoluzione del conflitto in Corea da
parte di Eisenhower, subentrato a Truman, andarono perdute. I
comunisti tenevano un comportamento imprevedibile. Attacchi con
truppe scarsamente addestrate venivano condotti a ondate massicce
contro postazioni militari di scarsa importanza senza successo. Nel
febbraio del '53 l'ambasciatore degli Stati Uniti a Nuova Delhi
fece conoscere, anche se in forma non ufficiale, che se le
trattative non avessero avuto luogo, ovvero se si fossero
incontrati pretestuosi ostacoli, il governo americano avrebbe
deciso il ricorso alle armi nucleari e all'allargamento del
conflitto.
La
scomparsa di Stalin di lì a poco, favorì una svolta nel conflitto,
e su mediazione dell'India si ebbero nuvi colloqui. Il problema
maggiore dei negoziati risultò la questione dei prigionieri di
guerra; numerosi cinesi e nord coreani si rifiutavano di rientrare
in patria. Nel luglio si arrivò finalmente all’armistizio, la
guerra era costata la vita a 25.000 americani, 50.000 sud coreani,
2.500 membri degli altri paesi della Coalizione e 270.000 fra
Nordcoreani e cinesi; il conflitto ebbe conseguenze disastrose per
le popolazioni civili fra le quali si contarono oltre 2 milioni di
morti e una massa di un milione di profughi, (fenomeno proseguito
anche negli anni successivi). Le relazioni fra le due Coree
rimasero sempre tese e nel '68 si ebbero due gravi incidenti con la
cattura della nave militare americana Pueblo da parte dei Nord
Coreani e l'abbattimento di un aereo spia.
In
seguito alla guerra nell'Estremo Oriente gli Stati Uniti
incrementarono notevolmen¬te gli stanziamenti per la difesa che
passarono dai 12 miliardi di dollari del 1950 a circa 51 nel 1953 e
vennero introdotte nuove importanti armi come il Nautilus, il primo
sommergibi¬le a propulsione nucleare in grado di compiere
prolungate permanenze in mare senza rifornimento. La guerra di
Corea ebbe anche notevoli ripercussioni sul piano interno, il
generale Mac Arthur venne accolto come un eroe non gradito al
potere con grandi manifestazioni, e proposto come candidato
repubblicano alle elezioni presidenziali. Ad una osservazione più
attenta le sue idee sul conflitto erano profondamente errate; la
guerra contro la Cina da lui sostenuta sarebbe stata "una guerra
sbagliata, nel posto sbagliato, nel momento sbagliato, contro un
nemico sbagliato" secondo una felice intuizione del generale
americano Bradley .
Lo
sgomento suscitato dall'attacco comunista in Corea suscitò la
reazione dei paesi dell'area del Pacifico tradizionalmente legati
all'Occidente. Nel 1951 venne sottoscritto un trattato di
cooperazione militare fra Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti,
l'ANZUS, al quale seguì un nuovo trattato , il Trattato del Sud-Est
Asiatico, fra i medesimi stati, le Filippine, la Thailandia, il
Pakistan (denunciato nel 1972) con la partecipazione di Francia e
Gran Bretagna.
La
guerra di Corea non impedì la prosecuzione dell'opera di pace in
Giappone. La politica degli Stati Uniti nel paese asiatico diretta
alla ricostituzione di un governo democra-tico e allo
smantellamento dei grandi trusts economici, incontrò il favore
delle popolazioni. Al trattato di pace con il Giappone nel 1951 il
governo della Cina comunista non venne invitato in quanto governo
non riconosciuto, mentre l'Unione Sovietica declinò l'invito. In
base ad esso si stabilì che le riparazioni di guerra dovevano
tenere conto delle possibilità economi¬che dei giapponesi; lo stato
nipponico rinunciava quindi alla Corea, a Formosa, alle isole
Pescadores, alle Curili, al sud di Sakhalin e ai suoi mandati sui
diversi arcipelaghi nel Pacifico, venne infine consentito il riarmo
del Giappone, decisione che produsse un certo timore da parte dei
vicini paesi asiatici. Il governo giapponese, reintegrato nei suoi
poteri, richiese comunque che truppe americane rimanessero nel
territorio e sottoscrisse un patto di mutua sicurezza con gli Stati
Uniti.